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Autore: LaDolceScrittrice    06/07/2013    1 recensioni
L'adrenalina è il motore dell' adolescenza, quel periodo in cui sfido chiunque a non essersi mai sentito invincibile,inafferrabile o immortale : UN SUPEREORE.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riuscivo a sentire il dolore del proiettile che mi trafiggeva la testa eppure il colpo di pistola non era rivolto contro di me ma verso di lui.
   “Mi chiamo Adele Giorgi e riesco a sentire le persone”
Avrei potuto presentarmi così ormai alla gente.
Mi facevo spazio fra la folla con quell’assillante dolore alla testa. “Chiamate un medico!” la gente urlava, e intanto dentro di me mi dicevo “penso proprio che il medico non servirà”.  Raggiunsi il ragazzo che ormai era accasciato a terra con la testa sanguinante. Esitai un po’ all’ inizio poi mi feci coraggio e toccai la ferita. Non avevo mai intinto la mia mano in così tanto sangue e la sensazione di calore, se non fosse stato per la terribile situazione, sarebbe stata accogliente e tranquillizzante. Un minuto dopo, questo pensiero mi fece rabbrividire .
“Giuro, ho tentato di salvarlo, ma non ci sono riuscita”
Questo invece è quello che mi ostinavo a dire alla psicologa una settimana dopo l’ accaduto. Non avevo la minima idea del perché il mio potere non avesse funzionato ma sono riuscita a sentire che in lui la volontà di morire era dominata da qualcosa di sovrumano. Sarebbe servito un po’ più di tempo per capire che non si può rimediare alla magia con la stessa magia, solo i dottori avrebbero potuto salvarlo ma la chirurgia non fa miracoli. Lo stesso giorno scoprimmo i poteri delle altre. Letizia ci dimostrò la sua superintelligenza risolvendoci una lunga espressione logaritmica in un secondo, Gaia invece prese una formica sulla mano e  ci parlò, come niente fosse. Non capivamo il perché di questi poteri ma sapevamo che in qualche modo rispecchiavano la nostra personalità. Mano a mano quindi imparammo a controllarli, anche se eravamo ancora molto spaventate visto che non sapevamo né da dove provenissero né in che cosa consistessero esattamente, né che cosa fossimo diventate noi dopo l’ incidente con il fulmine. Streghe?! Dietro a questo nome comune si presentava un’ immagine stereotipata di una vecchia vestita di stracci che faceva incantesimi in un pentolone, ma noi eravamo qualcosa di molto diverso ,non solo per il fatto che non eravamo vecchie e vestite di stracci ma anche per il fatto che non facevamo incantesimi, ci limitavamo ad attuare il potere che era stato assegnato ad ognuna di noi, anche se avevamo notato che alcuni poteri erano riservati a tutte quante: far esplodere o spostare con la mente gli oggetti e comunicare a vicenda solo con il pensiero.
Ah quasi dimenticavo, qualche giorno dopo la morte del ragazzo, un pomeriggio qualcuno suonò alla mia porta. Andai ad aprire e di fronte a me si presentò una ragazza: occhi verdi, capelli castani chiari con sfumature bionde alle punte, vestita di nero e verde militare e truccata un po’ pesante. I capelli lisci e un po’ arruffati  le coprivano il viso così che  a prima vista non la riconobbi, ma non dimentichiamoci che io potevo sentirla e quando mi porse la mano dicendomi “Ciao, io mi chiamo Luce!”  io avrei potuto affermare che quel nome non si addiceva affatto a quell’anima cupa e corrosa che stava di fronte a me. Non feci domande e la invitai ad entrare (essere maliziosa non è mai stato il mio forte ma sapevo bene che dietro quello sguardo spento non si nascondeva una così malvagia persona). Si sedette sul divano tutta composta, mi guardò veramente negli occhi ( per la prima volta direi) E disse:
“ Adele, io ho bisogno d’ aiuto.”
Ad un tratto capii che quella sensazione di déjà vu non era errata. Le guardai i polsi per controllare e… sì era lei! Pensavo di averla salvata all’ ospedale ed invece era soltanto l’ inizio. Ma da quando avevo ricevuto i poteri ero diventata diffidente verso gli altri, avevo paura che tutti mi volessero usare come fenomeno da circo, quindi non feci una parola sulle mie “attitudini” e continuai ad ascoltare. Quello che disse non fu esattamente ciò che volevo sentire: anche lei aveva un potere! Una sensazione di impotenza mi attraversò il cuore, pensavo che io e le mie amiche fossimo le uniche ad aver avuto questi stupendi doni quella sera e invece no, chissà quanta altra gente si trovava nel nostro stesso stato di confusione, chissà quali altri poteri potevano esser stati distribuiti dal celo quella sera. Mi raccontò l’ accaduto: era accasciata nel bagno del locale con i polsi sanguinanti quando una strana luce attraversò la finestra accanto a lei, dopo di che il buio nella sua memoria. Quello che mi fece pensare però è che , mentre noi avevamo altri poteri comuni oltre a quello principale come la telepatia o la telecinesi, lei possedeva solo quel potere. “Sicuramente” pensai, “nella magia vale più la forza di un gruppo che quella di un singolo, molto probabilmente noi siamo le prescelte, abbiamo un compito e tutti gli altri ci devono aiutare.” A quanto diceva, il suo potere consisteva nel parlare con i morti. Dico “a quanto diceva” perché non ero sicura al 100 % di ciò che mi aveva raccontato, potevo sentire le persone sì, ma era impossibile capire lei, soprattutto capire se dicesse la verità o no. A parte tutto, mi disse che aveva parlato con il ragazzo morto la stessa sera del suo ritorno in vita dal coma. La curiosità mi assalì in un istante, vero o no, volevo qualcosa che mi chiarisse le idee sull’ accaduto, che mi consolasse e discolpasse e così ascoltai.
“La sua voce suadente mi penetrava le orecchie. Ricordo che era sconvolto, che non avrebbe mai voluto suicidarsi ma che così era stato e che la sua anima ormai era in pace.”
Non disse molto ma era stata convincente, allora mi tranquillizzai.
 Tutti hanno bisogno di credere in qualcosa, la mente umana non può essere costantemente bombardata dalle mere verità e realtà anche perché , nella mia vita, di cose reali ce n’ erano rimaste ormai ben poche! Non avevo però ancora capito di cosa avesse voluto parlarmi, in che modo potevo aiutarla? Luce si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla, aveva gli occhi luccicanti e  quasi stava conficcando le sue unghie nella mia pelle. Doveva essere impaurita, molto impaurita ma non fece in tempo ad aprire bocca quando qualcun altro suonò al campanello. Chi poteva essere adesso? Vado ad aprire la porta e fa capolino dal cancello il mio migliore amico. Prima di lui avevo perso le speranze che ci potesse essere una vera e solida amicizia tra maschio e femmina, le esperienze precedenti infatti mi avevano fatto pensare tutt’ altro, ma lui con un sorriso riusciva a rassicurarmi e io non avevo bisogno di altro in quel momento. Il suo nome è Daniele ma tutti lo chiamano Dan all’americana, io avevo preso da tempo a chiamarlo soltanto “amico” come una mamma si chiama “mamma” o un papà si chiama “babbo”  perché quello era, un AMICO e volevo poterlo gridare ai quattro venti che anche io potevo averne uno come nei film. Lo feci entrare e gli presentai Luce. A quanto pare si conoscevano di già. Fu così che ci perdemmo in chiacchiere dimenticando l’argomento principale: l’AIUTO!
   
 
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