CAPITOLO 16 - SO HIGH, SO LOW
I ragazzi hanno finito di suonare, dopo due ore buone.
Li applaudiamo, euforiche.
Poco dopo ci raggiungono, tutti sudati.
Frank si dirige subito verso Floria, sorridente.
Non mi rivolge neanche uno sguardo.
Mi mordo un labbro, voltandomi di nuovo verso il bancone.
“Una vodka al limone” sussurro, senza nemmeno guardare in faccia il barista.
“Un’altra??” esclama qualcuno alla mia sinistra.
È Andrea.
Mi guarda preoccupata.
Le sorrido, cercando di simulare un po’ di autocontrollo.
“Ehi…non dovresti essere con Gerard?” le chiedo.
“Sì, ma mi sa che se non sto qui qualcuno finisce per andare in coma etilico…” sussurra, fissandomi severa.
“Oh, non preoccuparti per me!” esclamo, un po’ brilla “piuttosto và da lui, ti aspetta…” la incalzo, indicando Gerard.
Lui le sorride tenero, e gli occhi di lei si illuminano.
Dopo uno sguardo di raccomandazione verso di me, Andrea lo raggiunge, dandogli un bacio.
Ma qualcosa attira di nuovo la mia attenzione.
Vedo Frank uscire di corsa dal locale, come se stesse cercando qualcuno.
Mi torna in mente la volta in cui aveva fatto così per me.
Ormai sembra passato così tanto tempo.
Mi mordo il labbro inferiore, così forte da farlo quasi sanguinare.
Poi, automaticamente, le mie gambe cominciano a muoversi.
Senza rendermene conto apro la porta d’ingresso.
Piove.
A dirotto.
Ma non è importante.
Perché il mio sguardo viene catturato da qualcosa.
Due figure vicine.
Trattengo il respiro.
Attraverso la nebbiolina creata dalla pioggia ho la conferma
che tutte queste brutte sensazioni
non erano un caso.
A pochi passi da me ci sono Frank e Floria.
Si stanno baciando.
Dio, ti prego.
Uccidimi in questo preciso istante.
Perché solo la vista di tutto ciò
per me
è peggio di morire.
Sento il mio cuore fermarsi
ancora una volta.
L’ennesima volta.
E gli occhi riempirsi di lacrime.
Questa volta non le fermerà nessuno.
Tanto a che servirebbe?
Sei una stupida, Gloria.
Avevi la verità davanti ai tuoi occhi.
Ma non hai fatto altro che negare l’evidenza.
Ora non ha senso rimanerci male.
Rientro nel locale.
Il viso gelido, freddo, impassibile.
Brava, così.
Solo una persona pare non crederci.
Andrea.
Mi guarda fisso negli occhi, e in un secondo capisce tutto.
Provo a sorriderle, ma ciò che ne viene fuori sembra più una smorfia forzata.
All’improvviso sussurra qualcosa a Gerard e viene verso di me.
No.
No.
Prendo le mie cose ed esco di nuovo.
Di fretta.
Ma lei mi segue.
“Gloria, fermati, ti prego!!” urla, inseguendomi fino ad un piccolo parco.
Dopo un po’ scocciata, mi fermo.
“Che vuoi??” ribatto, in lacrime.
Devo essere orribile in questo istante.
Con tutto il trucco colato.
Rimane a guardarmi per qualche istante, in silenzio.
E senza che ce ne sia bisogno le parole escono da sole dalla mia bocca.
“Non leggermi dentro….” sussurro sconvolta, scuotendo la testa.
“Gloria…” mi fa lei, accarezzandomi una guancia.
No Andrea, non leggermi dentro.
Non ricordarmi che in questo momento
il dolore che sto provando
è insopportabile persino per un essere umano.
Ma tu mi abbracci, incurante delle mie proteste.
“Ti prenderai un raffreddore….” borbotto, appoggiando il viso sulla tua spalla.
“Non mi interessa” rispondi tu, con voce calma.
In quel momento i singhiozzi si liberano completamente.
E per la prima volta
piango tutto il mio dolore,
mentre la pioggia ci investe,
come se volesse mescolare le mie lacrime,
cancellarle,
portarle via
in quella miriade di rigagnoli
che si sono formati ai lati dalla strada,
e che portano in quei pozzi bui
dove la tristezza e il dolore
non esistono più.