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Autore: Beels    06/07/2013    1 recensioni
Se vi aspettate la solita bionda perfetta con gli occhi azzurri che si fidanza con lo stronzo di turno vi sbagliate di grosso.
Belinda è una ragazza normalissima, molto lontana dalla perfezione, segnata dalla sua infanzia e il suo futuro sembra seguire le stesse orme del passato.
Harry, un diciannovenne ricco, bello e intelligente che sembra avere tutto ciò che desidera.
Liam, il bel moro rubacuori, lo stronzo di turno senza cuore.
Louis, il ragazzo perennemente felice, il ragazzo che regala a tutti un magnifico sorriso.
Niall, il ragazzo violento, il qarterback che si è fatto mezza scuola.
Zayn, il cervellone asociale bello da far paura.
Ma spesso le apparenza ingannano.
Sembrano ragazzi come tutti gli altri e invece sono tutti bloccati tra l'odiare se stessi e le persone attorno a loro.
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Chi cazzo sei tu per dirmi cosa fare? – mi urlò Liam venendomi incontro minacciosamente.
Lo odiavo quando si comportava così, perché non poteva parlare come una persona civile?
Oh giusto, non si può chiedere a un animale di non comportarsi come tale.
- Abbassa la voce, mamma e Oliver sono nell’altra stanza – risposi stringendo i denti andandogli incontro  – ti sto solo chiedendo di accettare questa storia senza farne un dramma!-
- Hai idea di ciò che ci hanno appena detto? – rispose con la stessa rabbia di prima ma fortunatamente senza urlare. – Dobbiamo trasferirci, sai che vuol dire o il tuo stupido cervello non ci arriva? -
-Pensi che a me piaccia l’idea di cambiare città, di andare dove non conosco nessuno e dove si parla una lingua che non è la mia? – replicai mentre lui mi osservava attentamente senza rispondere.
- Mia mamma è finalmente felice e non sarà un imbecille come te a impedirle di esserlo, chiaro? – non appena finì di pronunciare l’ultima parola me ne pentii, non avrei mai dovuto chiamarlo in quel modo, mi avrebbe sicuramente uccisa ma mentre lui stava per reagire entrò Oliver per chiedere se fosse successo qualcosa, per fortuna Liam trovò una buona scusa e andammo a cena.

Questa conversazione mi tormentò per buona parte della notte insieme ai ricordi, mi rivoltavo nel letto da quando mi ci ero messa.
Come poteva non capire che anche a me faceva male l’idea di abbandonare la mia casa? Lì avevo trovato delle amicizie fantastiche esattamente come lui ma a differenza sua io non mi sarei trovata subito bene nella nuova città.
Liam, per quanto odiassi ammetterlo, era un bel ragazzo e giocava a rugby, baseball, basket, praticava nuoto sin da piccolo; si sa che le scuole inglesi sono divise in piccole classi sociali e certamente lui non avrebbe avuto problemi ad arrivare in cima.
Io al contrario  ero una ragazza normale, non molto alta, per niente sportiva e purtroppo non ero una modella. Niente in contrario con la forma del mio corpo sarebbe stato perfetto se non fosse stato per qualche chilo di troppo.
Liam mi aveva sempre presa in giro per questa cosa, sapeva che mi faceva soffrire infatti andava sempre a toccare quel tasto quando voleva ferirmi…
Presi la sveglia per vedere l’ora; erano le due e quaranta e siccome non riuscivo a dormire decisi di alzarmi a prendermi un bicchiere d’acqua e andare fuori.
Era una notte bellissima, le stelle brillavano in cielo e non c’era alcun tipo di rumore così mi sedetti sul dondolo.
Mi era sempre piaciuta la notte: la frenesia del mondo che andava avanti senza pietà nonostante tu lo implorassi di fermarsi finiva con il suo arrivo; l’unica cosa che detestavo erano i pensieri e i ricordi che tornavano a tormentarmi come se già non stessi abbastanza male.
Ero talmente persa nei miei pensieri che quasi non mi accorsi che qualcuno si era seduto vicino a me, era Oliver.
- Hey, che ci fai qui fuori a quest’ora? – disse sedendosi al mio fianco.
Non riuscivo a dormire.– risposi timidamente.
Sì, forse non era normale sentirsi timidi per una domanda del genere, ma per me era ancora strano parlare con lui, parlare con un uomo; non c’era mai stato un padre nella mia vita anche se, a dire il vero, ne avevo sempre sentito il bisogno.
Non che mia madre non mi avesse amata abbastanza, ma mi era sempre mancato qualcosa.
Avevo sempre avuto bisogno di protezione, di due braccia forti pronte a sorreggermi quando cadevo, di qualcuno che mi amasse come solo un padre può amare sua figlia.
Ero stata privata di quell’amore, l’uomo che avrebbe dovuto volermi bene mi aveva sempre odiata, e me lo aveva rinfacciato parecchie volte.
-Allora, come stai? – sussurrò Oliver osservandomi, sembrava che gli interessasse davvero, era davvero così?.
Come sto? Mh, mi sono appena trasferita, devo iniziare una nuova vita, tuo figlio mi odia e ho paura.
Paura di non essere abbastanza.
Paura di fallire, di deludere te e mamma.
Paura di affrontare la gente lì fuori.
Paura che non mi accettino.
Avrei dovuto dirglielo?
- Sto bene, sono solo un po’ stanca.– dichiarai sorridendo, non era il caso di parlarne con lui. - Tu invece, che ci fai qui? -
-Ho sentito dei rumori e sono venuto a controllare -
Gli sorrisi, non sapendo cos’altro fare, rigirando il bicchiere tra le mani. Parlare non era mai stato il mio forte.
-Allora andiamo a dormire, sarà una giornata impegnativa e devi riposarti – disse accarezzandomi la guancia.

 




La sveglia suonò perforandomi i timpani.
Avevo la tentazione di prenderla e buttarla dall’altra parte della stanza, ma controvoglia dovetti alzarmi per non arrivare tardi.
Aprii l’armadio e dopo averlo messo sottosopra optai per un paio di jeans, un largo maglione grigio e le solite vans; prendendo poi un cappellino di lana e il woolrich da indossare prima di uscire.
Poi andai in bagno a truccarmi: fondotinta, ombretto, rimmel, blush; le solite cose.
Avrei preferito non usarne, la mia voglia di truccarmi era pari a zero, ma non potevo uscire struccata si sarebbero spaventati pure i sassi!
Aggiustai i miei ricci ribelli e scesi a fare colazione, stanca di guardarmi allo specchio e vedere chiaramente la differenza tra me e le altre ragazze.
Com’era quella frase? “L’autodistruzione inizia quando ti guardi allo specchio e ti dici che nessuno mai ti amerà” Non c’era niente di più vero.
- Buongiorno piccola – la voce dolce di mia mamma mi accolse, tranquillizzandomi momentaneamente.
- ‘Giorno mamma – risposi andandole in contro per abbracciarla.
- Tutto apposto? – disse tornando a mettere tavola.
-Si mamma, quando partite tu e Oliver?
-Partiamo oggi, verso mezzogiorno – rispose Oliver entrando in cucina seguito da Liam.
Dovevo ancora abituarmi al fatto che rispondesse lui alle domande che rivolgevo a mia madre o viceversa.
Gli sorrisi e lui si avvicinò per salutare mamma, lo sentì mormorare “buongiorno amore” mentre gli lasciava un dolce bacio sulla fronte.
Poi il suo sguardo si posò su di me, dopo un po’ di incertezza mi si avvicinò e mi abbracciò, impacciato.
Dopo aver fatto colazione io e Liam salutammo mamma e Oliver e andammo a scuola.
Durante il tragitto in macchina nessuno dei due disse niente, non ci eravamo neanche detti un buongiorno quella mattina.
Arrivammo a scuola alle otto meno dieci e non appena ebbe parcheggiato, Liam scese dalla macchina.
Io lo seguì, eravamo fianco a fianco e, mentre camminavamo per il cortile, sentivo gli sguardi degli studenti addosso, accompagnati da un fastidiosissimo mormorio.
Non riuscivo ad alzare lo sguardo  per osservare ciò che succedeva intorno a noi, Liam notò il mio disagio e una volta dentro finalmente parlò
- Ehi smettila di preoccuparti, andrà tutto bene.-  disse, ma il suo tono era freddo e distaccato, come al solito.
- Io non sono preoccupata.- risposi continuando a evitare di alzare lo sguardo.
Ci recammo in segreteria dove una donna di mezz’età, visibilmente annoiata e seccata, ci diede il foglietto con i nostri orari e le chiavi per gli armadietti; nessun sorriso o un  “benvenuti ragazzi”.
Liam mi disse che aveva francese la prima ora e che ci saremmo visti all’uscita per tornare a casa insieme; facendomi intendere, senza dirlo apertamente, che non mi voleva nei dintorni, così, dopo esserci separati, andai a cercare la mia aula.
Avevo matematica, l’inizio non era dei migliori.
Camminavo in mezzo alla massa di studenti che si affrettavano per raggiungere le loro classi, non accorgendosi di me. Forse era meglio così, odiavo essere al centro dell’attenzione.
Quella scuola era un enorme labirinto, non riuscivo a trovare la classe giusta, e ormai gli alunni erano spariti.
- Hei! – disse qualcuno posandomi la mano sulla spalla, distraendomi dal mio centesimo tentativo di capire quella cosa chiamata cartina.
Mi voltai e incontrai due occhi magnificamente azzurri di cui il cielo stesso sarebbe stato invidioso, se avesse potuto.
- Ehm, ciao – risposi, timida come sempre, osservando quel ragazzo che sembrava quasi un angelo.
- Tu devi essere la ragazza nuova, io sono Louis – disse allegramente, porgendomi  la mano.
- Piacere, io sono Belinda – risposi stringendogliela, mentre lui mi sorrise di nuovo, facendomi arrossire.
- Hai bisogno di aiuto? -  chiese gentilmente.
- ehm, si grazie.. Sto cercando l’aula di matematica ma non capisco questa piantina.– ammisi un po’ imbarazzata.
- Si lo so, sono solo pezzi di carta inutili! Comunque, anche io ho matematica, vieni con me!
Annuii e lo seguì.
L’aula non era lontana, ma  durante quel poco di strada non smise di parlare un secondo.
Mi parlò di  Miss. Lincoln, la prof. di matematica, descrivendola come una cinquant’enne zitella con due facce: dolce e gentile con i genitori; stronza e acida con gli alunni.
Nonostante ci conoscessimo da pochissimo, Louis mi piaceva, mi ispirava simpatia.
Forse per il fatto che non aveva smesso di sorridere un secondo da quando ci eravamo incontrati, e che sorriso!
Uno di quelli difficili da dimenticare.
Quando entrammo in classe, Miss. Lincoln mi presentò alla classe che mi accolse con un “ciao” generale e mi fece sedere accanto a Louis, fortunatamente.
Lui continuò il suo discorso sulla gerarchia scolastica non appena ci sedemmo.
- Devi sapere che se vuoi sopravvivere in questa scuola devi rispettare una piccola regola – mormorò lui osservandomi.
- Cioè?- risposi ridacchiando.“Sopravvivere” Oh andiamo, dov’eravamo, nella giungla?
-Stai lontana dal ragazzo di Katherine Pierce; sarebbe capace di portare la tua reputazione ad un livello molto, molto basso. – Disse serio.
- E chi sarebbe questo qui? -
-Lo riconoscerai di sicuro: è un “figo da paura”,come dicono le ragazzine, ed il quarterback. Alto,  biondo, con gli occhi azzurri e.. sembra un angioletto. -
-Il principe azzurro ha un nome? – scherzai, in realtà poco interessata.
-Io direi il cavaliere nero, e comunque si chiama Niall Horan.-
- Scommetto che, da bravo quarterback quale è, si è fatto mezza scuola.-
Lui rise alla mia affermazione e poi parlò – Sai già come funzionano le cose, vedo.-
- Beh, è la tipica scuola americana/inglese. – risposi come se fosse una cosa ovvia.
-Ehi, ora non offendere la mia scuola – dissemettendo il broncio, facendo il finto offeso. Dovetti soffocare una risata, visto che la prof ci aveva già richiamati un paio di volte.
-Quante scuole hanno il secchione bello da far paura, quello bello e divertente e …–
- Tomlinson alla lavagna. – Disse la Lincoln interrompendo la conversazione.
Louis rimase per il resto dell’ora alla lavagna, cercando di risolvere equazioni, disequazioni e radicali che la professoressa continuava ad assegnargli, e di tanto in tanto mi guardava con aria da cucciolo bastonato.
Quando suonò la campanella corse verso di me per prendere i libri e accompagnarmi nella prossima aula, era evidente che non vedeva l’ora di uscire.   
Le seguenti ore passarono velocemente con Lou, forse non sarebbe stato poi così male lì.
Ci stavamo dirigendo verso l’uscita quando, non so come, mi trovai per terra; dovevo essermi scontrata con qualcuno che iniziò a scusarsi ma si fermò.
Louis mi aiutò ad alzarmi e quando vidi chi avevo di fronte capii.
-Potresti anche degnarti di chiedere scusa – disse Louis infastidito, a quel cretino di Liam di fronte a noi, che aveva accanto una finta bionda in divisa da cheerleader.
- Lou, lascia stare non importa – gli dissi, lui stava per ribattere ma lo interruppi – Lou, non mi chiederà scusa. Lascialo stare. – Lou mi guardava senza capire.
-Oh, comunque non torno a casa per ora. – disse Liam.
-E io come faccio scusa?-
-Ti fai una bella camminata che non ti fa male – disse prima di andarsene, dandomi una pacca sulla spalla, acido come sempre.
Ma che simpatico, sempre lì deve andare a parare?
- Chi era quello? – mi chiese Lou, ancora irritato.
-Oh, lascialo perdere, è solo mio fratello. – beh, quasi fratello.
-Tuo fratello, e ti pianta in asso così? -
-Mi ci sono abituata – dissi nascondendomi dietro il solito sorriso, se così si poteva chiamare.
Non è vero che ci si abitua è solo che dopo che hai sopportato troppo arriva il momento in cui non te ne frega più niente.





Hei dolcezze!
Spero vi piaccia questo capitolo, magari se vi va lasciate una piccola recensione per dirmi cosa ne pensate!
Accetto critiche, basta che non siano insulti :)

-Beels.

@Onedjoverdose su twitter c:
  
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