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Autore: LuLu96    06/07/2013    1 recensioni
"La domanda che mi risuonava nella testa era una sola.
Perchè?
Perchè Sherlock aveva deciso di morire?
Perchè aveva assecondato quella farsa?
Perchè non aveva reagito?
Perchè faceva così dannatamente, maledettamente male?"
Dopo la morte di Sherlock Holmes, John Watson non sa come fare per vivere. i dubbi lo attanagliano, ma c'è qualcosa, in un angolo della sua mente, che lo mette in allarme, che lo avverte che non tutto è perduto, anche se lui non riesce a sentirlo. Presto, però, la sua vita cambierà e tornerà di nuovo a splendere... giusto?
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Fissai gli occhi nei suoi e ancora una volta lacrime di gioia, dolore, rabbia e ancora felicità mi riempirono gli occhi. Dei singhiozzi leggeri mi lasciarono le labbra, le ginocchia cedettero sotto il peso della situazione e del dolore di entrambi. Caddi in ginocchio per terra davanti a Sherlock, i polsi bloccati in alto dalla sua stretta, la testa abbandonata sul petto, scosso dal pianto. Che diavolo stava succedendo? Era morto. Sherlock era morto, dannazione! E io con lui. Ero morto ogni singolo giorno aspettando che compisse quell'ultimo miracolo che gli avevo chiesto, ero morto sapendo che non sarebbe successo. Ma ora... Dio, stavo impazzendo, ero completamente pazzo! Eppure ero sicuro di non essermi immaginato la sua morte. La Signora Hudson, Molly, Lestrade, tutti, tutti sapevano della sua morte, ne aveva parlato ogni giornale. Eppure...
Lo sentii abbassarsi di fronte a me, percepii il suo sguardo scientifico analizzare il mio comportamento, cercare di capire quanto grave fosse il danno, ipotizzando una diagnosi. Ma cosa ne poteva mai sapere, di quello che sentivo? Era Sherlock Holmes, cazzo, era colui che diceva che i sentimenti erano un difetto chimico!
Una stanchezza che sembrava avere il peso di centinaia di anni si abbattè sulle mie spalle. Rilassai le mani ancora strette a pugno, calmai il respiro. Solo le lacrime continuavano a scendere silenziose senza rimedio. Sherlock mi lasciò andare i polsi, reputando la minaccia ormai passata.
"John" la sua voce era calda, bassa, graffiante come era sempre stata, ma un tremolio nuovo turbava la sua freddezza. Sherlock era sempre stato più a suo agio nel ghiaccio, quel tremore nella sua voce sembrava quasi.. emozione? Alzai lo sguardo sul suo viso. Era come lo ricordavo. Forse più bello, pensai involontariamente. La sua espressione era turbata da qualcosa a cui non sapevo dare il nome, forse.. dolore? Preoccupazione?...Affetto?
Alzai una mano, tremante, verso il suo viso. La avvicinai, sicuro che si sarebbe ritratto. Ma invece non lo fece. Sotto la mia pelle martoriata dalle ferite e macchiata dal sangue sentii il contatto con la sua, fredda, liscia, perfetta, rovinata solo dai tagli che gli avevo provocato io. Una fitta di dolore e senso di colpa mi investì nel seguirne il contorno. Seguii il profilo degli zigomi pronunciati, della mascella, del naso. I suoi occhi non si staccarono dai miei mentre il solo rumore erano i nostri respiri che si mischiavano e il battito troppo forte, diavolo, troppo veloce, dei nostri cuori. In quegli occhi c'era una luce strana, nuova e.. bellissima. Vi scavai dentro, cercando Sherlock, il mio migliore amico, quello che avevo scoperto essere il il motivo del perchè io mi sentivo vivo. Prima non c'era luce, in quegli occhi, di un blu glaciale, freddo e lucente quanto la sua anima. O meglio, non fino a quel giorno di tre mesi prima.
Nella mia mente si ripresentò l'immagine del suo viso rivolto verso di me mentre da quel tetto mi diceva addio.
Ora sì. Vedevo le lacrime, vedevo quella luce, quel dolore che potevo sovrapporre tanto facilmente a quello presente sul suo viso proprio in quel momento, in quella stanza luminosa.
Sfiorai con le dita il profilo del suo viso una, due, tre volte. Volevo, dovevo, accertarmi che fosse reale.
"Sei davvero tu?" dissi in un sospiro con un filo di voce appena udibile. Sherlock annuì piano senza spostare lo sguardo. Mi sembrò di vedere l'ombra di una lacrima aleggiare neglio occhi del detective, ma subito sparì, tirata indietro.
Attraverso le mie mani sul suo viso sentivo un calore strano e nuovo e familiare spargersi in tutto il mio corpo, pervaderlo e farlo tremare di brividi freddi e caldi e tremendi. Che sensazione strana. Era giusta, giustissima, ma infinatmente strana e inaspettata. Mi chiesi distrattamente cosa fosse, per poi relegare i miei ragionamenti ad un altro momento, più adatto e tranquillo.
Sentivo il peso del suo sguardo, carico di scuse e di risentimento. Lo sostenni, lasciando che il detective vi vedesse tutto il mio dolore, quanto mi era mancato averlo accanto e quanto proprio quei fattori, però, mi stessero facendo allontanare da lui. Volevo gettargli le braccia al collo, sorridergli, dirgli che era tutto a posto, che nulla era cambiato, ma non era così. Un dolore tanto grande lascia il segno, un segno inesorabile. Gli avevo chiesto io di non essere morto, di fare quell'ultimo miracolo. Ma non mi aveva ascoltato, o almeno non per i tre mesi più brutti della mia vita, e detto da un soldato è tutto dire. Sapevo che c'erano delle ragioni, dovevano esserci.
"Lo so" disse piano, leggendo dal mio viso tutto quello che mi passava per la testa e vederglilo fare di nuovo era qualcosa di.. beh, non c'erano parole per descriverlo "e ti spiegherò tutto, se solo me ne lascerai l'occasione."
Non mi mossi di un solo millimetro, aspettando che finisse la frase, ponderando la mia scelta.Volevo dargli fiducia, l'avevo sempre fatto e l'avrei fatto anche questa volta, non potevo mentire a me stesso.
"John, ti prego, dammi mezz'ora, il tempo di curarti le mani e di spiegare, poi potrai fare quello che vorrai, non ti fermerò."
Lo scrutai per qualche interminabile momento. In fondo al mio cuore sapevo che gli avrei creduto, qualunque cosa mi avesse detto. Gli avevo sempre creduto. Quando tutti gli avevano dato dell'assassino, del pazzo, dello psicopatico, io gli avevo creduto. Gli avevo creduto anche quando lui stesso cercava di convincermi di quella teoria improponibile e sensa senso. Non per che lo conosceva davvero. Era successo qualcosa su quel tetto, prima che Sherlock saltasse, lo sapevo. La chiamata che mi aveva fatto allontanare per soccorrere una sanissima Signora Hudson era la prima che era successa, il primo indizio, la prima tessera.
Lasciai che mi prendesse le mani e che mi aiutasse a sedermi sul divano. Mi guardò preoccupato, come se da un momento all'altro potessi scoppiare in una scenata di pazzia e isterismo. E probabilmente era vero. Si alzò e andò a prendere la scatola del primo soccorso che tenevo sotto il lavandino in cucina. Torno davanti a me e si inginocchiò ai mie piedi. Mi prese una mano, appoggiandola delicatamente sulla sua. Prese delle pinzette e iniziò a estrarre le schegge di vetro e legno, infilzate in profondità nella carne. Contrassi la faccia in una smrfia di dolore.
"Scusa" disse piano. Fissai gli occhi sui suoi, concentrati sul suo lavoro, aspettando che iniziasse. Corrugò la fronte e prese un respiro. Il mio cuore accelerò.
"La chiamata... l'ha fatta Mycroft. Avevo bisogno che tu andassi via, per un po'. Appena tu uscisti, mi arrivò un messaggio di Moriarty: mi stava aspettando. Quando sono arrivato stava.. ascoltando "Staying alive"" disse con un accenno di sorriso nella voce. C'era qualche cosa che mi sfuggiva, cosa c'era di divertente? "Era il problema finale, John, quello che lo assillava. Sai, era tutta una truffa. I codici che gli permettevano di entrare ovunque, tutta una truffa. Aveva dei collaboratori in ogni posto di controllo: la prigione, la sorveglianza della Torre di Londra, la Banca d'Inghilterra. Ma un codice esisteva. E lo conoscevo solo io. Per questo quegli assassini intorno a casa nostra. Moriarty lo voleva vendere e per farlo io dovevo restare vivo." Posò le pinzette e prese del cotone e del disinfettante. Iniziò a tamponarmi piano le nocche con una delicatezza che non gli avrei attribuito e ancora una volta dovetti cacciare pensieri poco pertinenti. Ma cosa diavolo mi succedeva? "Ma non era quello il punto. Moriarty voleva comletare il suo spettacolo, il suo gioco. E per farlo, doveva inscenare la mia morte. Il genio psicopatico doveva morire schiacciato dalla sua stessa bugia. L'ho preso per il colletto e l'ho sporto nel vuoto, ma è stato in quel momento che mi ha rivelato il trucco. 'I tuoi amici moriranno, se non lo fai tu'. Così mi disse. Tre cecchini, tre pallottole, tre vittime. E non potevo lasciare che tu morissi, John, nè tu, nè la Signora Hudson, nè Lestrade. Non potevo permetterlo. Ma c'era una scappatoia." Mentre parlava il viso di Sherlock si rabbuiava e si illuminava di sorrisi diabolici alternatamente, rendendo tutto il racconto incredibilmente più vero. Mi sembrava quasi di riuscire a vedere la scena con i miei stessi occhi. "Se Moriarty fosse rimasto vivo, fino a che io avevo la sua vita in pugno, potevo far ritirare i cecchini. A quel punto lui.. lui mi strinse la mano, mi ringraziò. Poi prese la pistola e si sparò un colpo in bocca. A quel punto l'unica cosa da fare era saltare. Perdere la partita, sacrificare la mia vita, ma vincere la tua, in cambio. Non potevo lasciare che tu morissi, John, non potevo. Non riuscivo a sopportarne nemmeno l'idea. Avrei fatto qualsiasi cosa perchè tu potessi vivere. E possibilmente vivere senza che soffrissi per me. Così è stato facile dirti tutte quelle cose, cercare di convincerti che era vero quello che Moriarty voleva far credere a tutti, che ero pazzo, che era tutto un gioco di prestigio. Sentire il dolore nella tua voce, la fiducia che mi stavi dimostrando... credo... credo che in quel momento abbia davvero sentito dei sentimenti, John, per la prima volta." Disse quest'ultima frase con un sorriso dolce, così strano e bellissimo e perfetto sul suo viso. "Avrei voluto che mi odiassi, che mi maledicessi per averti rovinato la vita e che andassi avanti, piuttosto che vederti così. Anche se non ha funzionato come speravo." A questo punto si rabbuiò. sulla sua fronte c'erano delle rughe profonde che non mi sembrava di aver mai visto. Improvvisamente sentii il desiderio di spianarle. Cercai di calmarmi, di riportare l'attenzione sulle sue parole. " Lo capisci, John? Non potevo permettere che nessuno si avvicinasse a te, che nessuno ti facesse del male, nemmeno io, non dopo quella sera in piscina. Quando ti ho visto l'esplosivo addosso, le pistole puntate contro, l'idea di perderti mi ha terrorizzato. E quando quell'eventualità si era ripresentata non ho capito più nulla, la mia mente... non funzionava più. C'era qualcosa che non era al suo posto, una disfunzione. Non ero lucido. Ma non potevo lasciarti da solo contro gli uomini di Moriarty, chi mi avrebbe assicurato che non ti avrebbero comunque sparato? L'idea di salvarti ha preso il sopravvento e sono tornato... come prima. Sono riuscito a inscenare la mia stessa morte, a ingannare il mondo. E per quanto mi facesse male ero deciso a non tornare, non sarei tornato se tu avessi dato anche un solo cenno di miglioramento. Non credevo di contare così tanto per te" Un sorriso timido e dolce rispuntò sul suo volto facendo scomparire le rughe della preoccupazione e del turbamento. "Non ti ho lasciato solo nemmeno un minuto, John, sono sempre stato con te. Sono stato il tuo angelo custode per questi tre mesi. Volevo avvicinarmi, John, ti giuro che volevo farlo, ma per te sarebbe stato troppo pericoloso e dopo tutti i miei sforzi non potevo permettere che scoprissero che ero ancora vivo, non potevo permettere che tu rischiassi la vita. Ho aspettato fino a quando non... fino a quando la situazione non è sfuggita di mano."
Le sue mani si erano fermate, smettendo di curare le mie, ma senza lasciarle. I suoi occhi erano bassi, nascosti dai ricci che ricadevano fluenti. Tutto quel discorso così... sentimentale... quanto gli era costato dire tutte quelle cose? Forse la morte lo aveva cambiato, invece. Quando rialzò il viso nei suoi occhi si poteva vedere il segno delle lacrime e lo sforzo fatto per non lasciarle libere di scorrere. Nei suoi occhi potevo leggere il suo dolore, la sua richiesta di essere perdonato, il suo bisogno di essere perdonato, azzardai a pensare che forse aveva bisogno di stare ancora accanto a me. Quanto io ho bisogno di lui, almeno. Non potevo più negarlo.
"Ti prego" sussurò talmente piano che quasi non lo sentii, la voce rotta dell'emozione, incrinata dallo sforzo di trattenere il pianto.


Lulu's Corner
Ehilà! Ben ritrovati, ciao a tutti! Ecco un nuovo capitolo. Scriverlo è stato un parto, ma spero che sia di vostro gradimento. Rendere Sherlock al contempo emozionato, emozionante e.. Sherlock, è un'impresa complicata, ma spero che il risultato sia decente! Fatemi sapere!
Un ringraziamento e un saluto a
Gageta98 che ha letto e recensito i precendenti due capitoli :3
Un bacio,
Lulu :D

 
   
 
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