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Autore: margheritanikolaevna    07/07/2013    3 recensioni
In un'intervista Tim DeKay ha detto che la città di New York è un personaggio vero e proprio di White Collar e non solo un semplice sfondo: se questo è vero, vi siete mai domandati dove fossero Neal, Peter e tutti gli altri nel giorno più tragico per la Grande Mela? Si conoscevano già, oppure i loro destini si sono incrociati per la prima volta in quel drammatico mattino di settembre del 2001?
Questo racconto è la risposta che ho cercato di darmi. Ma non temete, non è una storia angst, perché il sentimento dominante sarà sempre e comunque la speranza.
Per adesso - e non so per quanto - sarà il mio ultimo lavoro su efp e spero veramente che riesca a emozionarvi.
Il racconto è stato scritto per il bellissimo contest "La speranza vive in una creativa realtà", indetto da HopeGiugy sul forum di efp e con mia grande gioia di è classificato al secondo posto (su ben ventinove concorrenti!).
Seconda classificata al contest "Anime, serie tv e sentimenti", indetto da bakakitsune su efp.
Terza classificata al contest "Dal linguaggio iconico a quello verbale", indetto da darllenwr su efp.
Grazie a chiunque avrà voglia di leggere e lasciare un suo parere.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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E finalmente anche Neal comincia a rendersi conto che qualcosa non va… mentre a Los Angeles Diana riceve un dono inaspettato.

Grazie infinite agli amici che hanno la pazienza di continuare a leggere e a lasciare un loro commento: vi voglio bene!

 

 

Guarda la Morte ghignare tra nastri di fumo sfilacciati

 

 

Neal Caffrey non impiegò molto tempo a rendersi conto che qualcosa di tremendamente grave era appena accaduto in città: per la verità, capirlo non sarebbe stato difficile nemmeno per uno sveglio la metà di lui.

Camminava a passo svelto, conservando un atteggiamento del tutto normale e cercando di non attirare l’attenzione in nessun modo, per raggiungere al più presto il suo appartamento e mettere al sicuro il nuovo tesoro che aveva appena preso in prestito a tempo indeterminato.

La prima cosa che lo colpì fu la presenza massiccia di vigili del fuoco e poliziotti che, visibilmente agitati, si dirigevano di corsa verso la punta sud di Manhattan: sebbene gli sembrasse strano uno spiegamento di forze del genere - e tanto rapido per di più - per un semplice furto d’arte, si irrigidì e aumentò ancora l’andatura curando di non guardare nessuno degli agenti in faccia.

Il suo ego ebbe uno scossone quando si accorse che nemmeno uno di loro faceva caso a lui e che, pure se avesse tirato Speranza n. 1 fuori dallo zaino e l’avesse sventolata per aria, non avrebbero degnato d’uno sguardo né il prezioso dipinto, né colui che l’aveva rubato.

Come se non bastasse, i passanti sembravano impazziti: c’era chi parlava ininterrottamente al cellulare col volto deformato dall’ansia, chi correva alla disperata ricerca di un taxi e chi, al contrario, si era fermato davanti a un grande magazzino di elettronica e fissava, immobile, gli schermi delle tv espose in vetrina.

A quel punto un senso di inquietudine sempre più intenso prese a serpeggiargli nelle vene e, senza riflettere oltre, si infilò nel primo caffè che trovò lungo la strada: anche qui, come immaginava, nessuno gli prestò attenzione perché tutti i presenti, personale compreso, se ne stavano impalati a guardare il piccolo televisore appeso al muro dietro il bancone. Muti, con gli occhi sgranati e le labbra contratte.

Fu allora che Neal alzò gli occhi e lo vide.

Lo vide e gridò.

Perché quello che la sua mente aveva registrato per una frazione di secondo solo come un aereo che volava decisamente troppo basso, un istante dopo s’infilò a tutta velocità nel ventre di una delle Torri Gemelle mentre l’altro grattacielo, già circondato da una densa coltre di fumo, ebbe come un doloroso sussulto d’agonia. 

Neal barcollò e si aggrappò con tutte le sue forze allo schienale della sedia che aveva davanti, evitando in tal modo di cadere sul pavimento perché le gambe minacciavano di cedere.

 

***

 

Diana Barrigan aveva ascoltato le incredibili notizie che tutti i canali stavano trasmettendo con angoscia, ma senza minimamente essere sfiorata dal pensiero che la catastrofe potesse toccare anche lei da vicino: la sua famiglia si trovava in Canada, infatti, e Jo a quell’ora era al sicuro su un aereo che la stava riportando a casa.

Niente e nessuno la legava a New York, la città martoriata da quello che ancora non si capiva bene se fosse stato un attentato terroristico o altro, né da chi fosse stato orchestrato; eppure, nonostante questa consapevolezza, un’ansia irragionevole ma insopprimibile le serrava il cuore, impedendole di pensare con lucidità.

Razionalmente sapeva che non sarebbe riuscita a parlare con la sua compagna, dato che durante il volo le avrebbero senza dubbio chiesto di spegnere il cellulare, ma non riuscì a impedirsi di fare comunque un tentativo; in fondo, considerò, dato ciò che stava succedendo magari i piloti avevano consentito ai passeggeri di entrare in contatto con chi si trovava a terra…

Con le dita che le tremavano, compose il numero di Jo sul telefonino: quando udì la voce automatica che le chiariva che l’apparecchio non era raggiungibile fu come se d’improvviso una mano ferrea le avesse stretto il cuore così, come si stringe una spugna, facendone schizzare fuori tutto il sangue. Una lama di gelo le attraversò le membra e invano tentò di rassicurarsi ripetendo a voce alta che era normale, che non c’era nulla di strano e che tra poche ore Jo sarebbe atterrata a Los Angeles.

Come se non bastasse, in quell’istante l’attonita speaker della CNN annunciò con voce rotta che era stato appena ordinato il ground stop su tutto il territorio nazionale e che almeno due voli aerei avevano spento i trasponder, scomparendo dal radar e non rispondendo più alla torre di controllo (5).

D’improvviso, guardandosi intorno con angoscia quasi che gli oggetti che le erano familiari e cari potessero darle le risposte di cui aveva bisogno, Diana notò che la luce che sul cordless segnalava la presenza di nuovi messaggi in segreteria lampeggiava con insistenza: confusa e senza fiato, premette il pulsante e cadde pesantemente a sedere sul divano.

«Diana, amore» la voce di Jo, incrinata dalle lacrime, riempì prepotentemente la camera sebbene non fosse più alta di un singulto strozzato.

«Non mi senti, non riesco a parlarti… il capitano ci ha appena detto che c’è una bomba a bordo e che dobbiamo rimanere seduti. Non so cosa sta succedendo, mi sembra di soffocare chiusa qui dentro».

Il respiro le si spezzò in gola per un istante e Diana capì che Jo stava cercando con tutte le sue forze di non piangere per non spaventarla.

«Non so come finirà»  adesso il suo tono era fermo «voglio solo dirti che ti amo. Ti amo tantissimo. Se dovesse accadermi qualcosa, so che sarà più dura per te che per me.

E io voglio solo che tu stia bene. Ti amo…».  

 

(5)   Si tratta del divieto di decollo a tutti gli aerei sul territorio americano, diramato subito dopo l’attentato.

 

 

  
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