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Autore: Caleido    07/07/2013    2 recensioni
Ed eccomi qui. Mi chiamo Hana. No, non "Hannah" o "Hanna" o simili. Hana. In giapponese vuol dire "fiore". E mia madre ha una passione per il Giappone. E' lì che lei e mio padre si sono conosciuti. Nessuno dei due è giapponese, se ve lo steste chiedendo. (...) Comunque, questo non ci interessa. Io mi chiamo Hana e ho sedici anni. Quest'anno io e la mia famiglia, che oltre a me e ai miei sopra citati genitori comprende mio fratello minore Peter (niente nome giapponese per lui), un gatto di nome Toulouse e due criceti dagli originalissimi nomi di Cricio e Criceta, ci siamo trasferiti nell'Ohio. E oggi è stato il mio primo giorno al liceo McKinley. Per essere stato un primo giorno non è stato poi così male. Io non sono una delle persone più espansive del mondo, capiamoci. Non rivolgo la parola e se mi viene rivolta rispondo a monosillabi. (...) Non trovavo la mia classe di storia, così ho chiesto indicazioni a una ragazza. E' stata molto carina. Si chiama Marley. Mi ha accompagnata alla classe, e abbiamo chiacchierato un po'. Mi ha chiesto se vorrei far parte del Glee club.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Ryder Lynn, Ryder Lynn, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Well... This should kinda be me - capitolo 13

GIORNO 22: Mai, mai, mai più farò una sorpresa a qualcuno.

Il giorno dopo il (mancato) matrimonio sono andata a scuola in modalità “I’m walking on sunshine”. Quando la serata è finita Ryder mi ha accompagnata a casa, e dopo una seduta di baci davanti all’ingresso sono entrata in casa senza riuscire a reprimere un enorme sorriso. Mi sono addormentata così beata che per una volta non ricordo più cosa ho sognato, tanto la mia testa era svuotata.
A scuola è stata la solita solfa, finché non ho pensato di cambiarmi qualche lezione e rinunciare a qualche corso avanzato per averne qualcuno in comune con Ryder. Sono andata in segreteria e ho compilato la richiesta. E ho pensato di correre a dirlo a Ryder. Ho imboccato il corridoio e, quando ho svoltato l’angolo quasi saltellando, sono quasi caduta per lo shock. Il mio sorriso si è pian piano congelato ed è scivolato via dal mio viso. Mi sono fermata, in apnea.
Ryder e Marley. Un bacio.
Certo che sono stata davvero idiota. Ingenua fino a sfiorare il ridicolo. Sapevo bene di essere solo un ripiego. Non avrei mai dovuto permettermi illusioni. In un felice universo parallelo in cui viviamo la vita come un musical, in questo momento io mi sarei girata con espressione ferita, avrei svoltato in un corridoio lasciato deserto apposta per me e avrei intonato una canzone strappalacrime sulla mia ingenuità e sulla delusione (vi dice qualcosa “When there was me and you” di High School Musical? Ecco. Più o meno così.).
Invece mi sono girata e basta. Purtroppo (o per fortuna, col senno di poi non saprei dire cosa sarebbe stato peggio), Ryder mi ha vista. E per una volta non ho avuto difficoltà a interpretare la sua espressione, che era “sono stato colto sul fatto”.
Me ne sono andata, ma dopo una serie di “Hana! Hana, aspettami!” mi ha raggiunta.
- Hana, non… - ha iniziato a dire.
- Non è quello che penso, giusto? – ho detto con un sorriso amareggiato. – Senti, non devi spiegarmi nulla. Sapevo perfettamente cosa provavi per Marley. Solo che avreste potuto essere più discreti. Jake avrebbe potuto vedervi, e non sarebbe stato giusto nei suoi confronti, perché ama Marley, e tu sei il suo migliore amico.
- Hana, ascolta, fammi spiegare. Non è davvero come può sembrare.
- No, non dirmi nulla. Adesso vorrei stare un po’ da sola, se non ti dispiace. Mi capirai se al momento non ho molta voglia di parlare con te. O con Marley.
Me ne sono andata prima che potesse aggiungere altro. Ho cambiato sul serio corridoio, camminando a larghe falcate. Sono passata davanti all’armadietto di Artie, che vedendomi è passato dall’allegro al confuso e infine al preoccupato.
- Hana? Stai bene? Cosa è successo? – ha chiesto, cominciando a seguirmi.
- No, ma non ti preoccupare, prendo la mia borsa e vado a casa. – e infatti ho raggiunto e aperto il mio armadietto, ho tirato fuori la borsa e sono uscita. All’ingresso non c’era nessuno. Artie mi ha bloccato prima che potessi raggiungere le scale.
- Ehi, ehi, guardami. Che è successo? – ha insistito. E allora non ce l’ho fatta più. Mi sono lasciata cadere su una delle panchine e sono scoppiata a piangere. E intendo proprio con trasporto. Con singulti e tutto il resto. E mi viene sempre la candela al naso quando piango.
- Ho appena visto Ryder e Marley che si baciavano. – E’ stata la frase concepita nella mia testa, anche se deve essere suonata qualcosa come: Ho-ho a-ap-pe-ena v-visto R-r-r-yder e-e-e Ma-Marley c-che s-s-si ba-b-ba-baciavano.
- Che cosa? – ha chiesto lui, e non ho capito che lo diceva come un “Non è possibile!” o come un “Ripeti quello che hai detto, non ho capito niente”. Così ho preso un profondo respiro e ho ripetuto, con più calma:
- Ho appena visto Ryder e Marley che si baciavano. In corridoio. Dio, certo che non so se sono più stupida io che mi sono fatta fregare così, o loro che si baciano in corridoio in un cambio d’ora! – con improvvisa rabbia ho frugato nella borsa in cerca di un fazzoletto e mi sono soffiata il naso stile Eolo dei sette nani.
- Sei sicura di quello che dici?
- Avrò anche ricevuto il mio primo bacio sei giorni fa, ma so riconoscere un bacio quando lo vedo. – Mentre ripensavo alla scena, lo scatto di rabbia è svanito, e il labbro inferiore ha preso a tremarmi di nuovo, e sono di nuovo scoppiata a piangere. Artie mi ha preso una mano e l’ha tenuta tra le sue, dandomi piccole pacche per calmarmi.
- Adesso vado a casa. – ho detto infine. – Improvvisamente la musica di Adele sta avendo senso e vorrei approfittarne per ascoltarla.
- Vuoi che ti accompagni? – si è offerto lui.
- No, grazie. Spero che correre da sola fino a casa mi tolga così tanto il fiato da non lasciarmi sufficiente ossigeno nel cervello da permettermi di pensare. Ci sentiamo. – Mi sono alzata, ho sceso gli ultimi gradini e poi, con uno sprint che il mio corpo non vedeva più o meno da quando avevo otto anni, sono corsa a casa.

 

   
 
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