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Autore: _Juliet98    08/07/2013    5 recensioni
" Gli inglesi dicono ' fall in love', e credo che non esista termine più adatto. Fall, cadere. Quando ti innamori non è semplice, ti ribalti, non ti addormenti senza pensare a lei. Quando ti innamori passi le giornate a sperare di sentirla. Quando ami faresti pazzie, davvero. Amare è cadere. E' cadere e sperare che ci sia qualcuno a prenderti. Io mi sento così: che mi hai fatto Juliet? "
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Joe Jonas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6.
 
Juliet’s pov.

 
Erano esattamente le tredici e quarantuno, tra venti minuti avrei finito il turno e Joe non accennava a svegliarsi, era ancora troppo debole.
Il suo corpo aveva subito troppi shock per riprendersi subito.
Se sarebbe andato bene, dopo essersi svegliato, l’avremmo tenuto minimo 5 giorni prima di poter finire tutti i controlli e di poterlo lasciare andare.
Povero lui.

Doveva svegliarsi. Il più presto possibile. Doveva –pretendevo- delle spiegazioni. Perché aveva nominato il nome di Lucas? Era il mio Lucas, troppo coincidenze. Non avevo mai creduto al destino e non ci crederò adesso.
Sorrisi, pensando a quando Lucas mi portò da una cartomante, perché lui credeva davvero in queste forze soprannaturali.

 
<< Ancora non capisco perché mi lascio convincere sempre da te. Chi l’avrebbe mai detto? Io nella sala d’attesa di una cartomante! Addirittura si fa attendere. È mezz’ora che siamo qui. Andiamo. Voglio fare altre cose. >>
Dissi a Lucas, lanciando un’occhiata maliziosa, che lasciava intendere quali fossero le altre cose.
<< Sai quanto amo fare quelle altre cose con te, ma oggi ho deciso che dobbiamo sentire questa cartomante. A quello ci penseremo dopo. E poi ehi, questa è la settimana in cui decido io cosa fare nei pomeriggi liberi. >>
<< La prossima settimana la passeremo tutta in libreria, preparati da adesso. >> dissi a mo’ di ricatto.
Odiava leggere, e odiava quando io entravo in una libreria, perché non ne uscivo più.
Dicendo questo mi lasciò intendere che davvero dopo avremmo fatto altre cose, dandomi solo un assaggio di quello che mi aspettava: mise una mano dietro la mia nuca e avvicinò la sua bocca alla mia. Io intanto sentivo il solito fuoco che si irradiava in me: dalla punta dei piedi fino all’estremità dell’ultimo capello. Poi sentì la sua lingua farsi strada per incontrare la mia. Ah, quanto mi faceva impazzire.
<< Ti amo. >> disse dopo aver concluso il bacio.
In tutta risposta accarezzai la sua guancia con i polpastrelli come per assicurarmi che Lucas fosse vero, e che non fosse solo un sogno. Avevo paura che tutto ciò sarebbe potuto finire. E mi feci strada con la testa nell’incavo del suo collo e mi appoggiai a lui. Profumava. Avevo un odore misto al suo dopobarba, il profumo e il  vero  odore della sua pelle. Muschio. Mi ricordava il  muschio fresco che prende i primi raggi del sole. Quello non ancora calpestato da nessuno. Il muschio indicava sempre una direzione, ecco lui era la persona che mi indicava la giusta strada.
<< Perché credi a queste scemenze? >>
<< Mia nonna era una specie di cartomante, diciamo che con queste cose ci sono cresciuto. >> disse passando una mano sopra le mie spalle e stringendomi ancora di più a lui.
<< Cosa? – mi rizzai a sedere-  tua nonna era una cartomante? Perché non me l’avevi detto? >>
 Lui, teneramente, alzò le spalle << Non pensavo fosse importante. >>
<< Si che lo era! Non vale. Io ti ho sempre detto tutto. Ingiusto. >> dissi facendo la finta offesa e togliendomi il suo braccio dalle spalle
<< Amo quando fai l’offesa. >>
<< Io ti amo sempre. >> dissi, lui accennò un sorrisetto.
Poi la cartomante uscì e ci chiamò.
Entrammo, io dopo di lui, mi sentivo intimidita da lei e da quel luogo:  il pavimento era coperto da lunghi tappeti con cerchi rossi e viola su uno sfondo blu. L’unico divano presente era viola, al centro della stanza un’enorme scrivania mogano con due sedie. Sopra la scrivania un mazzo di carte.
<< Mescola. >> disse semplicemente la cartomante, senza convenevoli.
Sbuffai e iniziai a mescolare.
<< Non prendere niente con scetticismo, cara. Mescola bene. >>
Finii di mescolare e le passai le carte.
Erano strane, questo era l’unico modo per descriverle.
<< Tieni stretto ciò che più ami, perché non sarà per sempre, poco tempo e finirà tutto.>> disse dopo un po’.
Una settimana dopo Lucas era steso a terra che urlava agonizzante con il sangue che usciva dappertutto.

 
 
Sospirai. Sentendo i brividi a fior di pelle. Avrei dato tutto l’oro del mondo per passare un altro pomeriggio con Lucas, a stringerlo tra le mie braccia, a sentire la sua bocca sopra la mia, poterlo toccare, sentire, poterlo sentire dentro di me, e per sentire quella soddisfazione subito dopo essere andata a letto con lui.
Merda.
<< Juliet, non credi sia ora di andare? >> domandò teneramente Thomas.
Guardai l’orologio. Oh, le quattordici e cinque.
<< Sì >> dissi abbozzando un sorriso << Joe come sta? Segni di miglioramento? >>
<< No, è ancora stabile. Comunque sia non sveglierà prima di domani. Sente comunque forti dolori ancora, si lamenta nel sonno - disse lui con lo sguardo che si incupiva- non sappiamo esattamente dove andare a toccare, è un caso piuttosto complicato e la distorsione certo non facilita. >>
<< Beh, se si lamenta, dategli un antidolorifico, che sia con la A maiuscola e non un equivalente. Ho visto l’infermiere riccio che le dava un equivalente. >>
<< Ho sempre saputo che eri una tipa scaltra, dottoressa Juliet.>> disse Thomas sorridendo e scompigliandomi i capelli. Non ci aveva pensato, era questo che mi soddisfaceva: arrivare dove un capo reparto non era arrivato.
Thomas era un tipo sulla cinquantina, non propriamente bello, ma affascinante. Aveva i capelli brizzolati, e una barba incolta che lo rendeva più giovane, nonostante le rughe di gallina agli occhi e quelle che si formavano sulle labbra quando sorrideva. Tipo adesso.
Era davvero un brav’uomo: dava a tutti del tu, e non voleva essere dato del lei, lo faceva sentire vecchio, diceva. Con noi scherzava, non era un tipo severo. Solo una cosa pretendeva: che in qualunque occasione avremmo dovuto dare anima e corpo per salvare un paziente. Indipendentemente dal luogo, dalla situazione e dalla persona stessa.
<< Vado, ciao Thomas. A domani. >>
Andai nello spogliatoio, mi cambiai e misi gli auricolari alle orecchie: Nonostante le mie grandi pene la musica mi aiutava sempre.
Uscii e presi l’aria mischiata alla grande quantità di smog newyorkese. Amavo New York. Mi faceva sognare quando ancora non ci vivevo, e non ha smesso adesso che ci vivo.
Sentivo odore di neve, aprii gli occhi ed effettivamente il cielo era cupo e c’era molto freddo. La neve era prossima.

‘Questa vita- ha detto mia madre- figlio mio va vissuta, questa vita non guarda in faccia. In faccia al massimo sputa. ‘
Tiziano alle orecchie, mille e mille volte grazie a lui. Ero andata al primo concerto di Tiziano con Lucas.
E’ vero. Questa vita non guarda in faccia, in faccia al massimo sputa.
La vita mi ha sputata in faccia, e non contenta ha distrutto il mio cuore in modo irreparabile. Mi aveva uccisa.
Ero morta, per di più con uno sputo in faccia.


‘Io non lo so chi sono e mi spaventa scoprirlo, guardo il mio volto allo specchio ma non saprei disegnarlo.’

Chi sono adesso? Chi sono stata? Non lo so. Come farò a saperlo? Mi sono persa e non so più ritrovare la strada giusta. Urlo aiuto ma nessuno mi viene incontro. Nessuno mi vede o mi sente. Perché dovrebbero aiutarmi in fondo? Perché dovrebbero aiutare una complessata come me? Non mi aiuto nemmeno io in fondo.
Non mi riconosco più.

 

‘ Ma qualcuno lassù mi ha guardato e mi ha detto, io ti salvo stavolta, come l’ultima volta. ‘

Lucas.
Lui mi ha sempre salvata.
Presi a correre tra il traffico newyorkese, come una furia, un bisogno che mi spingeva a correre e non fermarmi più, nonostante il freddo che mi bloccava il respiro a metà strada tra la trachea e i bronchi, premeva. Era quasi un bisogno primario. Il traffico newyorkese che mi bloccava la strada. Corsi, corsi più che potevo, con la  musica alle orecchie, e polmoni che bruciavano per l’enorme sforzo, fino ad arrivare a Central Park, decisamente lontana dall'ospedale. Nessuno mi avrebbe aiutata, nessuno si sarebbe accorto di me. Ero solo un piccolo puntino nell’universo che non brillava né di luce propria, né di luce altrui. Non contavo niente. Ero solo la povera ragazza che aveva perso il fidanzato, a soli 22 anni.





Buonanotte donzelle! Oggi sono di fretta, ho un sonno da morire, ma ho postato solo per voi perchè poi Martedì andrò in vacanza e tornerò Domenica, quindi niente capitoletto! Grazie sempre a tutte. Mi rendete davvero felice. Un bacio enorme, anzi enormissimo.





  
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