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Autore: lulubellula    08/07/2013    1 recensioni
Storia scritta a quattro mani con 2calzona3
"A volte si desidera qualcosa a tal punto da fingere che sia vero anche con se stessi, e all'interno della propria realtà si finisce per renderlo vero. Ma ciò non significa che sia reale. Il vero e il reale sono due cose diverse".
Dall'ultimo capitolo (Giallo/Lexie): "Eri semplicemente euforica e sentivi una scossa di adrenalina pervadere il tuo corpo e correre sino al cervello.
Rubare era per te persino più soddisfacente di una tavoletta di cioccolato.
E ti rendeva felice almeno il doppio.
Finchè il senso di colpa non si sarebbe ripresentato di nuovo".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Callie Torres, Cristina Yang, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione, Contesto generale/vago
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Welcome to my mind
 

NdA: Le parti in corsivo sono state scritte da 2calzona3, quello in stampatello da lulubellula


Ci sono un’infinita di paure a questo mondo, si può aver timore del buio, della morte, dei ladri.
Puoi aver paura di annegare non appena vedi una pozza d’acqua di modeste dimensioni, puoi credere di morire quando ti trovi nel centro di una piazza e vedi fiumi e fiumi di individui che camminano verso destinazioni diverse, fiumi che sembrano investirti, annientarti, annullarti.
Le paure colgono le persone senza fare troppe distinzioni: alti, magre, biondi, more, laureati, medici, giardinieri, avvocati, nessuno si salva, nessuno è al sicuro.
Come ci si può mettere al riparo allora? Come si riesce a scampare dal pericolo di venire infettati?
Non ci sono cure, né formule, nessun incantesimo, nessuna fattura.
Non siamo immuni dalle nostre paure, non ci sono vaccini, non c’è via di scampo.
Dobbiamo semplicemente convivere con questo tarlo incessante e infinito, con la paura di aver paura, con il timore di non riuscire, di finire nelle nostre stesse trappole.
La mente è un labirinto e gli uomini semplici ancelle dispersi per la vie sconfinate e confuse, alla perenne ricerca del bandolo della matassa con il quale si sono illusi di poter salvare loro stessi, con la quale si sono illusi di ritrovare la strada di casa.
Ed è troppo tardi, troppo per poter tornare indietro, potrete solo andare avanti, lasciandovi consumare ad ogni passo.
La paura vi uccide, vi ferma, vi annulla, trasforma cefalee in tumori, palpitazioni occasionali in temibili e fatali attacchi cardiaci, semplici e curabili infezioni in arti da amputare.
E giunti a questo punto, non c’è più nulla di sano da conservare, ma tanto di infetto da eliminare.

 
 
 
Sentire il respiro calmo della persona che amo, in parte a me.
Sentire Owen tranquillo, tiepido, sdraiato dietro di me. Sarebbe stata una gioia incommensurabile, se solo fosse stato un respiro calmo, se solo lui fosse stato tranquillo. Owen era come agitato, il suo torace si dilatava e si rilassava con troppa velocità per una persona dormiente, probabilmente aveva la febbre.
 Presi una sua mano tra le mie, un po' riluttante ad avvicinarmi ai suoi batteri.
Era caldo, era un nido infinito di batteri.
Secondo i miei calcoli, nel giro di tre giorni d'incubazione mi sarei ammalata anche io. Cominciai a toccarmi i linfonodi del collo che scoprii essere sicuramente infiammati, mi sarei ammalata eccome.
Ma non sarebbe stata una banale influenza perché le mie difese immunitarie avrebbero perso contro il virus, questo sarebbe andato avanti ad attaccare il mio corpo, mi avrebbe infettato.
 I polmoni, mi facevano male i polmoni. Chi nella vita non ha mai sentito male ai polmoni? Bronchite, polmonite, pleurite, bronchiolite, enfisema polmonare.
Sarebbe stato carino se i miei polmoni avessero smesso di sfregare contro le costole, forse avrei dovuto smettere di respirare per impedire quell'attrito.
Non capivo se stavo per morire o se ciò che pensavo diventava realtà. 
Stavo per morire sicuramente. 
Ed era la realtà
.

 
 
 
“L’hai rifatto! Dannazione, Cristina, l’hai rifatto di nuovo!”.
Si sedette sul letto, guardò nella tua direzione e saresti voluta scomparire.
Beccata, scoperta, tradita dalla sua stessa paura, di nuovo vulnerabile, esposta ai microbi, agli urti, alla sua voce che sembrava massacrare le tue fragili orecchie.
“Non capisco di cosa tu stia parlando, forse sei stanco, spossato, lievemente esaurito, sarebbe meglio che ritornassi a dormire, Owen, sarebbe meglio che allontanassi le tue labbra dal mio volto” gli dicesti quasi sussurrando, mentre le tue ultime parole ti morirono sulla bocca, rimasero lì sospese, dove tutti i sogni e le frasi a metà vanno a scomparire, in quell’angolino tra il non detto e il pensato.
“Mi stavi spiando, stavi osservandomi dormire, respirare, vegetare. Dovresti farti vedere da un medico, dovresti parlarne con qualcuno” sbottò il tuo quasi fidanzato, quell’uomo a metà tra il futuro marito perfetto e l’amante che avevi sempre cercato.
“Sono un medico io stessa, non ho bisogno di vederne altri, sto benissimo, è tutto ok, tutto perfettamente sotto controllo” affermasti con sempre meno convinzione.
“Credi forse che osservare il tuo uomo dormire in modo ossessivo si avvicini almeno un pochino ala comportamento di una persona normale?” ti urlò contro, senza mezzi e misure.
“Intendi forse dire che un uomo stabile e equilibrato tenterebbe di strangolare la sua fidanzata durante il sonno?”.
Lo osservasti increspare le labbra, chiudere i pugni e girarsi dall’altra parte del letto.
Avevi vinto tu questa battaglia, ma la guerra era solo agli inizi.
 
 


 
Aveva urlato troppo forte, sentii i miei timpani tremare, una vibrazione e una pulsazione negativa.
Cercai di riaddormentarmi, cominciai però a concentrarmi sul malsano battito cardiaco nel mio timpano, questo rimbalzava su ogni parete del mio corpo e si amplificava, stavo ascoltando l'eco dell'eco dell'eco del mio cuore.
Pensai seriamente ad alzarmi e controllarmi le orecchie, potevo aver subito un trauma al timpano, di quelli che ti abbassano l'udito.
Almeno non l'avrei più sentito sputarmi addosso quelle verità. Non lo stavo fissando, stavo solo cercando di capire quanto fosse ammalato.
Ero troppo vicina a lui, al suo battito cardiaco accelerato, tanto che le sue palpitazioni si univano alle mie, confondevano ogni mia conoscenza sul cuore.
Mi allontanai dal suo corpo, cosa che risultava inutile, ormai l'infezione stava conquistando il suo posto. Le mie orecchie ora erano più fragili.
Bronchite, polmonite, pleurite, bronchiolite, enfisema polmonare.
Cercai di non badare al suo sonno disturbato ma tutto il suo corpo me lo impediva.

Si muoveva, come se non stesse dormendo.
Insonnia, sicuramente un sintomo di malanno.
Probabilmente il suo sonno disturbato non era altro che quello.
O forse si sarebbe girato verso di me, apposta per farmi del male.
Si girò e non mi diede un bacio, non mi fece una carezza e non mi urlò contro, avrei preferito che l'avesse fatto.



 
Il tuo problema maggiore era ostinarti a credere e far credere agli altri che, fondamentalmente, tu non avevi alcun problema.
All’inizio era stato piuttosto semplice, era bastato nasconderti sotto una maschera di apparente forza e freddezza, una maschera che ti calzava a pennello, al punto tale da guadagnarti l’appellativo di “Robot”.
Ma l’animo umano non resiste alle forzature e prima o poi qualcuno o qualcosa avrebbe spezzato la tua perfetta messinscena, la tua performance recitativa da Premio Oscar.
Sarebbe bastato poco, un raffreddore, un’amica troppo presente, un uomo perdutamente innamorato di te.
Owen e Meredith erano riusciti a toglierti la maschera, lentamente e senza darti modo di accorgertene, perseverando nel loro intento, in un modo tanto subdolo e delicato al tempo stesso, che, tolto quel velo di bugie che in fondo non ti apparteneva, si sei sentita nuda e vulnerabile, ma in un certo senso finalmente libera di essere te stessa, di vivere e di convivere con il tuo mostro di paura e fragilità.
Eppure, voltata di spalle, in un misero lembo del letto, accanto a lui, a quell’uomo complicato e spezzato come te, non potevi fare a meno di sentirti sola.
Sola e completa per la prima volta.
Che senso ha bastare a se stessi, se non si ha essere umano alcuno con cui condividere questo stato di grazia?
 




Forse non avrei dovuto preoccuparmi nemmeno per un secondo dei miei polmoni o delle mie orecchie. Forse il problema non era lì, tutto consisteva nel riconoscere il problema del mio cuore.
Questo fantastico organo che solo organo non è.
Scossi la testa per convincermi del contrario, il mio cuore pulsava e pompava perché era costituito da cellule, e i sentimenti non hanno mai avuto cellule.
Scivolai giù dalla brandina senza che il mio cercapersone avesse suonato, volevo allontanarmi da Owen, come se lui rappresentasse la malattia che si infiltra nelle cellule di un organo, e lo era.
Appena varcata la soglia verso il corridoio incontrai Meredith, sembrava confusa e sembrava tenere in mano un sacco di patate.
“”Questo è mio figlio” sembrava quasi stupita.
“Lo so. Anche se tenerlo a testa in giù non l'aiuterà” feci per aggiustare la posizione del bambino, avvicinai le mani a quelle gambette pure, a quella pelle così candida senza sudore, senza ormoni e senza sporco.

Mi bloccai.
Parotite, pertosse, mononucleosi. 
“Cristina! Questo non è mio figlio, prendilo!” malgrado avessi voluto con tutta me stessa far cadere quel bambino, lo presi tra le braccia osservando Meredith impazzire e svanire di fronte a me.

Non ebbi rivelazioni sulla maternità, non sentii smuovermi dentro neanche un po'. Il bambino cominciò a piangere e tutte le donne presenti nel reparto si girarono verso di lui, come se questo istinto materno le facesse correre ovunque ci siano della bava e dei pannolini.
Io no, io spalancai gli occhi cercando in ogni modo di non toccarlo con la pelle, mi girai frettolosamente e andai a sbattere contro un uomo.
“Ehi! Questo è mio figlio!” Andy non era nudo, stava avendo un'illuminazione di paternità sul bambino e io volevo fuggire, perfetto. 
“Perché tutti ripetete questa frase?!” gli dissi, quasi tirandogli addosso quel povero bambino.
“E’ il frutto dell'amore tra me e lei” indicò la macchinetta delle merendine e per qualche momento mi vennero in mente immagini orribili di Andy e quella macchinetta, non avrei più mangiato patatine.
“Non credo che tu...sia suo padre. Forse dovrei chiamare AIUTO” urlai l'ultima parola e neanche una delle dannate infermiere che prima si erano girate mi degnò di uno sguardo.
“Chiedilo a lui, il distributore di bibite ha visto tutto, io sono suo padre! La macchinetta delle merendine è sua madre!”.




 
 
I soliti specializzandi annoiati stavano camminando per i corridoi, discutendo del paziente X, come erano soliti fare negli ultimi tempi.
Non avevano un granché di cui spettegolare, novità allettanti non ce n’erano, nuovi indizi nemmeno.
Erano solo riusciti a scoprire che il paziente misterioso aveva avuto una “crisi” nella notte, ma la natura del malessere era sconosciuta alle loro orecchie.
Poteva trattarsi di una crisi nervosa, cardiaca, epilettica, di una crisi ipoglicemica, ma a loro non era dato sapere e questo non faceva che incuriosirli ancora di più.
“Hai sentito cosa ha combinato Andy?” chiese la donna, rubando un biscotto al doppio cioccolato al collega.
“Andy, chi?” ribatté lui, curioso.
“L’uomo che rifornisce i distributori automatici”.
“Ah, l’uomo altresì conosciuto come:’Cookie, telefono casa?’. E’ folle, totalmente folle”.
“Già. Pensa che stamattina ha strappato il figlio della Grey dalle braccia della Yang e l’ha preso tra le sue, tenendolo a testa in giù e gridando a squarciagola che Bailey è suo figlio, figlio suo e del distributore automatico”.
Lo specializzando osservò la confezione di dolcetti che teneva in mano con disgusto.
“Credo che mi sia passata la fame”.
“Anche a me, puoi giurarci”.
“Perché non lo licenziano? E’ uno squilibrato!”.
“Si vocifera che sia “amico” di qualcuno dei piani alti”.
“E di chi?”.
“Io che ne so? Se lo sapessi, sarei milionaria a quest’ora. Venti milioni di dollari per il mio silenzio”.
“Sei venale, lo sai?”.
“Sì, ne sono perfettamente consapevole”.



 
 
Stanza 2332

Sei sempre stato un tizio sudaticcio, di quelli con l'alito pesante e i pori ostruiti dai rimasugli di tequila della sera prima.

Sei sempre stato il più sporco.
Sei andato a vivere in una roulotte, hai dormito su ogni piastrella di questi pavimenti eppure...non ti sei mai ammalato.
Certo non eri invincibile. Infatti ora sei sdraiato su un letto e stai sognando un mondo più insano del nostro, il lato positivo è che sei pulito.
Si, le infermiere ti lavano, ti spogliano e ti muovono come una bambolina.
Ti sfotterò a vita per questo.
Ma sappiamo che non ti risveglierai tanto facilmente.
Bé, ti sfotterò a vita lo stesso, per questo.

 
     N.d.A.

grazie a tutti, se avete fatto la fatica di arrivare fino in fondo lasciateci un parere!
e se avete idee su come far impazzire Andy la mascotte, siamo tutte orecchie!
Lulubellula e 2calzona3
 

   
 
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