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Autore: MartixHedgehog    08/07/2013    2 recensioni
In questa storia Sonic è un giovane riccio di dodici anni che corre per cercare libertà e solitudine: libertà da un mondo crudele e opprimente in cui regna la legge del più forte; solitudine da uno zio un po' strampalato e soprattutto da dei coetanei che lo maltrattano e con cui non è mai entrato in sintonia. Ma la sua vita cambia quando nella valle dove abita arriva un altro riccio che potrebbe essere suo fratello da tanto gli somiglia, con quel pelo turchese e i suoi luminosi occhi azzurri... che però, a differenza sua, è costretto su una sedia a rotelle. Un riccio che non può correre, che non potrà mai assaporare quel vento di libertà che tanto gli piace inseguire. Un riccio così diverso da lui che non potranno mai intendersi, pensa Sonic. E invece ben presto tra i due nasce qualcosa: un'amicizia profonda, che saprà insegnargli che esistono tanti modi di correre, e che anche chi non ci riesce può imparare a sognare, a vivere, a trovare la felicità.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Sonic the Hedgehog
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 3
In cui Zephir tenta un approccio


I giorni successivi – come c’era da aspettarsi, del resto – furono in uguali in tutto e per tutto al lunedì. Anzi, Sonic si accorse a malapena che era già passata una settimana abbondante scuola. Le mattinate in classe erano state talmente inutili e noiose che non avrebbe fatto differenza essere presente o fare focaccia: correggere i compiti delle vacanze che quasi nessuno aveva fatto, dopotutto, non era davvero l’attività più divertente che i prof potessero inventare.

Zephir, da parte sua, nel giro di una decina di giorni confermò pienamente le impressioni che aveva avuto fin dall’inizio: un ragazzo a posto, tutto sommato, ma al tempo stesso troppo ottimista, troppo allegro nonostante il clima fosse tutt’altro che gioioso… e naturalmente troppo studioso e diligente.
Il problema, però, era che Sonic cercava a tutti i costi di convincersi che non gli piaceva, che gli stava antipatico, che non sarebbero mai e poi mai andati d’accordo… eppure al contempo nemmeno lui riusciva più a capire quale fosse di preciso il suo atteggiamento nei suoi confronti.
Avrebbe voluto volentieri levarselo dalla mente una volta per tutte, ma non ci riusciva: poteva anche provarci con tutte le sue forze, ma il pensiero di lui non ne voleva proprio sapere di abbandonare la sua testa per sempre. Ciò che temeva di più stava diventando realtà: Zephir lo stava ossessionando, e la cosa non gli piaceva affatto.
Promise a se stesso che non lo avrebbe più degnato di uno sguardo… e in quei giorni anche Zephir sembrò collaborare, rimanendosene al suo posto e facendo proprio come se l’altro non esistesse.
Il venerdì successivo, però, le cose andarono assai diversamente.
 
«Birgit Fawn?»

«Ci sono, prof.»

«Adrian Hamster… sì, ti ho già visto. Allora andiamo avanti: Sonic Hedgehog?»

«Presente.»

Non fece in tempo a pronunciare l’ultima sillaba di quella parola che si sentì arrivare un pizzicotto al braccio. Fece finta di nulla: tanto ormai ne aveva ricevuti talmente tanti da essere diventato quasi insensibile. Francis, però, non era dello stesso avviso.

«Hanno di nuovo sbagliato a scrivere il tuo nome, nanerottolo! Non hanno ancora capito che tu ti chiami Pezzente Hedgehog?», gli bisbigliò dritto in un orecchio, mentre con una matita giocherellava con i suoi aculei.

Sonic non poté impedirsi di sbuffare: se fino a poche ore prima si era sforzato di dimenticare tutto il repertorio di soprannomi che i suoi compagni avevano amorevolmente coniato per lui nell’anno precedente, adesso i suddetti si erano persino presi la briga di ricordarglieli tutti uno per uno. Magari aggiungendone giusto un paio di nuovi, come se la collezione non fosse già abbastanza ricca.

«Perché non ti alzi e vai a cambiare il nome sul registro davanti alla prof? Scommetto che non vedete l’ora tutti e due... lei di mandarti dal preside, però!» Sonic lo fulminò con lo sguardo, ma sapeva che sarebbe servito ben altro per farlo smettere.

«Naaa... non lo farebbe mai! E poi il preside mi adora, lo sai? Dice che lo faccio divertire!»

«Certo, perché ne combini di tanto assurde che non ti crederebbero nemmeno tra un secolo!», precisò Sonic. «Dopo i tre anni che avete passato insieme, ormai sarete amici per la pelle!»

Francis, infatti, non faceva mistero (anzi, se ne vantava pure!) di essere stato bocciato per ben due volte in prima media. Dopo la seconda volta, era finito in classe con i ragazzi dell’età di Sonic… e il giovane porcospino aveva pregato a lungo affinché facesse il tris e fosse costretto a ripetere per la terza volta: dopotutto non c’è due senza tre, no? E invece no: sfortunatamente l’anno prima ce l’aveva fatta per il rotto della cuffia e, con suo enorme disappunto, se l’era ritrovato anche in seconda.
Per questo motivo era il più grande di tutta la classe, con i suoi due anni di vantaggio, e non c’era da stupirsi se era diventato fin dal primo giorno il leader indiscusso del gruppo di bulli che infestavano la scuola.
Anche Arnold e qualcun altro erano stati bocciati un anno (e, meraviglia delle meraviglie, erano finito proprio nella sua classe, come a volergli ricordare quanto era fortunato), però lui rimaneva comunque il più vecchio, e come tale il più rispettato di tutti. In particolar modo per le sue numerose “visite di cortesia” al preside, che lo avevano consacrato come l’alunno con più note disciplinari della storia dell’istituto (o forse di tutte le scuole di Mobius, rifletteva Sonic).

Intanto l’appello procedeva:

«Zephir Hérisson?»

«Presente!»

Ce l’ho pure vicino nell’elenco, osservò il giovane porcospino con disappunto. Era incredibile: se per pura combinazione riusciva a non pensare a Zephir per più di cinque minuti, in un modo o nell’altro se lo ritrovava sempre tra i piedi. Si stava davvero trasformando in un’ossessione, e la cosa non andava affatto bene.
Come se non bastasse, il suo “amico” appariva a dir poco entusiasta di essere a scuola per assistere all’ennesimo giorno di lezioni: un motivo in più per stargli alla larga, pensò.

«Ma me la vuoi spiegare, una cosa?» Neanche Francis sembrava deciso a lasciarlo in pace, però. «Per caso voi ricci siete imparentati con i funghi?»

«Eh?», esclamò Sonic preso alla sprovvista, guardandolo stranito.

«Non so...», riprese Francis. «Ultimamente spuntate proprio come i funghi, mentre fino a due anni fa non ce n’era neanche l’ombra... e non ti dico quanto si stava bene senza dei pezzenti come voi!»

Erano quelli i momenti in cui desiderava maggiormente mettergli le mani addosso e picchiarlo per benino... ma sapeva fin troppo bene che gli mancavano per natura diversi dettagli fondamentali per la riuscita di una simile impresa: i muscoli, prima di tutto, ma anche un po’ di centimetri in più, delle belle unghie affilate e volendo anche delle zanne taglienti. Così com’era messo, ovvero con la possibilità di arrotolarsi su se stesso fino a diventare una palla di spine come unica arma di difesa, sapeva che avrebbe fatto la fine di un moscerino: spiaccicato da qualche parte senza opportunità di reagire.

Mi aspetta una gran bella fine, non c’è che dire, rifletté.
Purtroppo poteva farci ben poco: era nato roditore e sarebbe morto roditore, con tutti le controindicazioni che ciò prevedeva. Così voleva la legge degli animali, ahimè.

«Sempre meglio che essere un leone sbruffone come sei tu», sibilò Sonic a denti serrati, ma la voce della prof lo fece sobbalzare: «Silenzio, Sonic Hedgehog. Non disturbare Francis!», decretò Miss Aegolius, inchiodandolo con i suoi occhietti da civetta.
Sonic rinunciò a protestare, mentre Francis e gli altri sghignazzavano: sarebbe servito solo a peggiorare le cose, e lui aveva già abbastanza problemi per conto suo.
Almeno una cosa, però, doveva pur concedergliela, alla sua “adorata” professoressa di matematica: sembrava un perfetto puzzle delle specie di animali più disgustose che lui conoscesse. Sapeva essere velenosa come una vipera, pungente come una vespa, sadica come una iena, viscida come una sanguisuga… insomma, pareva una perfetta sintesi delle peggiori caratteristiche che un essere animale fosse in grado di possedere. E non bisognava dimenticarsi della sua presenza alquanto inquietante: se ne stava seduta alla cattedra come un avvoltoio appollaiato su un ramo, in attesa di un bel cadavere da spolpare fino all’osso.
Chissà, magari suo padre era un avvoltoio davvero… pensò Sonic, e non poté fare a meno di sorridere all’idea.

«… E infine Oliver Usagi. Bene: strano a dirsi, ci siete tutti. Ancora», concluse la professoressa con aria soddisfatta, richiudendo il registro di classe con un gesto secco. Sonic odiava quando si muoveva a scatti in quel modo: lo faceva sussultare ogni volta, e balzare sulla sedia in media dodici volte in un’ora non era certo un’esperienza rilassante.
«Visto che, come mi sembra ovvio, state tutti morendo dalla voglia di iniziare in bellezza il nuovo anno scolastico, e considerato che, con mio sommo disappunto – ma del resto non è colpa mia se sono finita a insegnare matematica in una scuola di microcefali primitivi come siete voi –, il primo argomento di quest’anno sono le figure piane… oggi ho deciso di intrattenervi con una memorabile lezione su quella meraviglia geometrica che è il divino triangolo

Sonic trattenne a stento uno sbadiglio. Ormai lo sapeva: si sarebbe annoiato a morte come sempre. Tanto valeva chiudere immediatamente l’audio: non valeva nemmeno la pena sforzarsi per restare attento… senza contare che seguire da cima a fondo gli interminabili periodi che la professoressa tesseva di continuo era un’impresa degna di pochi.
Il resto della classe sembrava essere del medesimo avviso, perché dopo che la Aegolius ebbe introdotto l’argomento si levò un’ondata di lamentele che includeva sbuffi, imprecazioni e altre lagne del genere. L’unica eccezione era – a quel punto era persino inutile specificarlo – come al solito Zephir, che entrasse dallo zaino l’ennesimo quaderno pulito e iniziò a prendere diligentemente appunti.

«Ho sentito che il tuo amico ha già cambiato diverse scuole...», continuò a bisbigliare Francis, attento a non alzare troppo la voce. «Be’, stai tranquillo: lo manderemo via in fretta anche noi, vedrai. Non vorrei che ti soffiasse il primo premio per il più sfigato!»

«Lui non è mio amico», fu l’unica cosa che riuscì a rispondere, e la parola “amico” gli venne fuori con un disgusto tale che lui stesso finì per stupirsene.
Ma cos’avevano tutti? C’era per caso una legge dello stato che diceva che due animali della stessa specie dovessero per forza essere amici? Proprio non riusciva a capirlo.

«Oh, scusa tanto, non lo sapevo!», ribatté Francis con tono strafottente. «E che vi assomigliate così tanto che...»
Sonic non lo lasciò finire: «No, non è vero! Lui è diverso da me!», sbottò indignato.

«Vuoi finire dal preside, Sonic Hedgehog?»

La voce stridula della prof lo fece sobbalzare ancora una volta.
No, non ci teneva affatto. Non di nuovo.
C’era già finito un paio di volte in prima, e tutto perché aveva cercato di mollare un cazzotto ad Arnold senza controllare che la prof fosse sufficientemente lontana: in pratica, le uniche due volte in cui la sua pazienza non aveva retto e aveva cercato di alzare le mani gli erano costate due rapporti e una serie di visite al preside in compagnia dello zio Chuck. Entrambe le volte Mr. Raccoon si era lamentato dei suoi “atteggiamenti violenti” e aveva minacciato di sospenderlo. E tutto questo per due mancanze di attenzione da parte sua... perché ovviamente Francis e compagnia lo trattavano molto peggio, e ciononostante la passavano quasi sempre liscia.

«Allora?», incitò la Aegolius.

«No, prof», sibilò dunque a denti stretti.

«Quand’è così, tappati la bocca e ascolta la mia sublime lezione.»

Sonic incrociò le braccia sul banco e ci si posò col mento, profondamente imbronciato. Ci manca soltanto che mi mandino dal preside per colpa di Zephir, pensava tra sé con rabbia crescente. Ma come a voler peggiorare ulteriormente il suo umore, Francis aveva deciso di non avere ancora finito con le prese in giro.

«Ehi, nanerottolo! Sai che forse ho capito cosa ti è successo quest’estate?», lo interpellò con un sorriso furbetto dipinto in volto.

«Cosa?», sbuffò Sonic, questa volta attento a non alzare troppo la voce.

«Hai incontrato la Fata Turchina e lei ti ha trasformato in un cavallo. Solo così si spiega il tuo muso lungo!»

Eh, no, questo era troppo. Francis aveva decisamente superato il limite.
Si girò di scatto fissandolo con sguardo di fuoco (o almeno era quella l’intenzione) e stava già per caricare un pugno diretto proprio sul muso di Francis... ma proprio allora la campanella decise che era il momento di suonare.
All’udirla, Miss Aegolius non concluse nemmeno la frase che stava formulando, richiuse il libro con un altro dei suoi gesti secchi e congedò la classe con un rapido: «Grazie per l’attenzione, miei cari, non mancate alla prossima puntata!»
Poi si dileguò in un battibaleno, lasciando come sempre la classe in uno stato di momentanea trance. Almeno su una cosa, Sonic sapeva di pensarla esattamente come i suoi compagni: la Aegolius era proprio strana. Sapeva trasformarsi da “pazza e isterica” a “dolce e premurosa” nel giro di un battito di ciglia... peccato che la sua seconda personalità saltasse fuori soltanto a fine lezione.

«Wow, avete visto che fegato ha la piccola palla di spine?»

A quanto pareva Arnold non si era perso la scena con Francis, e ora ci teneva parecchio a fargli sapere che l’aveva trovata assai divertente:

«Addirittura mettere le mani addosso al povero Francis... ma si può sapere che ti frulla in quel tuo cervellino spinoso?

Sonic cercò di non accogliere la provocazione e di rimanere composto, ma dentro di sé – lo sentiva – stava ribollendo.

«Attento, micetto, non giocare troppo col fuoco!», sibilò. «Potrei averne ancora per te, lo sai?»

«Hahaha, questa sì che è buona! Ma se non saresti in grado neanche di sollevare un fuscello, razza di microbo!», sghignazzò Arnold.

Sonic lo guardò con odio. Sapeva che aveva ragione: non possedeva obiettivamente i requisiti anche solo per sperare di fargli male. E non aveva senso nemmeno spaventarlo, tanto non ci avrebbe mai creduto.

«Ti avverto solo di non sottovalutarmi», ringhiò a denti stretti.

«Ed è qui che ti sbagli, pezzente!»

Sonic sussultò quando si vide arrivare i baffi di Arnold a pochi centimetri dalla faccia: «Io... anzi, noi... non sottovalutiamo: noi valutiamo e basta! Non è certo colpa nostra se tu sei esattamente ciò che sembri, ovvero uno sfigato senza speranze!»

Sonic sentì le lacrime premergli contro gli occhi, ma le ricacciò indietro con tutte le sue forze... e ringraziò silenziosamente il prof dell’ora successiva, il signor Tyto, che decise proprio in quel momento di entrare, salvandogli la reputazione e forse anche la vita.
Ma anche durante l’ora di lingua Echidnica le parole di Arnold continuavano a tormentarlo.

«Non è certo colpa nostra se tu sei esattamente ciò che sembri, ovvero uno sfigato senza speranze!»

Era vero? Lui non era veramente nient’altro che un sfigato, un nanerottolo o che altro?
No, non è vero, sono solo degli idioti, cercò di convincersi. Ma se era così, come mai lui, Sonic Hedgehog, cominciava a cedere sotto i loro colpi?
Rimase col mento appoggiato sulle braccia per tutta la lezione, con la solita aria imbronciata, quasi senza accorgersi che Francis aveva ripreso a giocherellare con le sue spine... fino a quando un male acuto e bruciante non gli esplose sul retro della testa.

«Ahi!!!», strillò con quanto fiato aveva, con gli occhi che lacrimavano per il dolore.

«Oh, scusa tanto, Hedgehog, non ho mica fatto apposta!»

Girò di poco il capo, ancora sotto shock per il dolore e la sorpresa, e così facendo si accorse che ora Francis si rigirava tra le dita qualcosa di lungo, sottile e appuntito... qualcosa di blu.

«Che succede, Sonic?», chiese il signor Tyto allarmato da quel trambusto, mentre i suoi grandi occhi da barbagianni seguivano ogni suo movimento.

«Professore, Francis mi ha strappato un aculeo!», piagnucolò, ancora colpito da quel bruciore violento e improvviso. Ne aveva già perso qualcuno durante gli anni... qualcuno che per un motivo o per l'altro si era indebolito e chiedeva di essere rimpiazzato da uno nuovo... ma sentirsene strappare uno che non era ancora giunto alla fine dei suoi giorni era un’esperienza da non ripetere, almeno a giudicare dal male che gli era costato.

«Non lo stia a sentire, prof, è troppo catastrofista! Mi è rimasto in mano, tutto qua!», cercò di minimizzare Francis. E il prof, che a quanto pare sapeva tutto sulle Echidne, ma di ricci non si intendeva granché, gli credette sulla parola.

«Ha ragione. Non preoccuparti, Sonic, prima o poi ricrescerà!», disse sorridendo incoraggiante.

«Ma mi ha fatto male...», singhiozzò Sonic, che ormai aveva capito l’antifona: come al solito sarebbe andata bene a Francis & Co, mentre lui, come al solito, ci avrebbe rimesso.

«Mi dispiace... Prova ad andare fuori a bagnarti: vedrai che ti passerà.»

D’accordo, poteva accettare che non conoscesse la fisionomia dei porcospini, ma che si intendesse di medicazioni quanto lo zio Chuck di cucina era il colmo: posto che fosse riuscito a incastrare la testa sotto il rubinetto (con i suoi aculei sparati all’indietro come degli spaghetti crudi non era mica facile), a cosa gli sarebbe servito bagnare la “ferita” con dell’acqua? Seriamente, a confronto lo zio Chuck pareva un chirurgo professionista.
Decise comunque di andare in bagno, se non altro per avere cinque minuti tutti per sé senza i suoi compagni. Si alzò dunque dal banco e si incamminò verso l’uscita, poi andò fuori e attraversò il corridoio verso destra, diretto al bagno dei ragazzi.

Si richiuse subito la porta alle spalle e si avvicinò allo specchio. Girò su sé stesso per verificare la situazione. Come prevedeva, la mancanza di quell’aculeo non si notava di certo, in mezzo a quell’ammasso informe di spine dietro la sua testa. Però non era certo un buon motivo per aiutarlo a diventare calvo prima del tempo, pensava imbronciato.
Rimase in bagno finché non sentì la campanella suonare, poi rientrò in classe controvoglia.

«Oh, povero piccolo Sonic! Quel cattivone di Francis ti ha fatto la bua?», lo prese in giro Arnold non appena lo vite, sfregandosi gli occhi e versando finte lacrime.

Sonic si costrinse a ignorarlo: se solo avesse potuto staccarseli tutti, i suoi aculei, non c’era cosa che desiderasse di più di adoperarli come freccette per il tiro a segno. Usando come bersaglio il sottocoda di Arnold, ovviamente.
Non fece in tempo a sedersi sulla sua sedia che si sentì punzecchiare la schiena da dietro.

«Lo sai che è davvero carino? Non avevo mai visto un aculeo da vicino prima d’ora!», disse la voce di Francis con un tono fintamente estasiato, mentre gli tormentava il collo con l’estremità appuntita del suo ex aculeo.

«Ridammelo!», protestò debolmente Sonic, girandosi e cercando di afferrarlo. «È mio, ridammelo!»

«Oh no! Io te l’ho staccato, io me lo tengo! Sarà il nostro trofeo!», sogghignò Francis, squadrandolo con le sue pupille sottili.

«Secondo me, come penna andrà alla grande!», si intromise in quel momento Cedric. «Basta intingerla nell’inchiostro e scriverà a meraviglia!»

Arnold e Francis si scambiarono un’occhiata d’intesa:
«O magari...», cominciò il primo, e Francis concluse:

«... nel suo sangue!»

«C-cosa?», balbettò Sonic, impallidendo atterrito. Ci mancava soltanto che lo usassero come vittima sacrificale!
Prima che potesse fare un solo movimento, Francis gli premette con maggior forza l’aculeo su una spalla. Sonic cacciò un altro strillo quando sentì la punta affondare nella carne, e se la strappò immediatamente con un gesto secco.
Dal forellino fuoriuscì una singola goccia di sangue... con suo sommo disappunto: per un attimo aveva sperato che ne venisse fuori una fontana, così perlomeno la professoressa dell’ora dopo avrebbe finalmente capito con chi aveva a che fare. Ma ancora una volta, la tecnica di attacco di Francis era troppo ben pianificata da permettersi errori simili.

«Oh, ma allora sei proprio incontentabile! Te lo stavo solo rimettendo a posto! Cosa vuoi che cambi se te lo infilo al contrario in un punto a caso? Tanto resti sempre e solo una palla di spine!»

Sonic fissò Francis con tutto l’odio che gli era possibile.
Erano solo alla terza ora dell’undicesimo giorno di scuola: come avrebbe fatto a sopravvivere fino alla fine dell’anno? Se continuavano così, sarebbe diventato calvo nel giro di pochi mesi, e soprattutto avrebbe necessitato di tutto l’autocontrollo possibile per non esplodere.
Prima che se ne rendesse conto, Arnold gli sfilò dalle mani il suo povero aculeo.

«Wow, certo che è proprio appuntito!», commentò con finta ammirazione. «E dimmi... come si sta con questi cosi conficcati nel cervello?»

«Dall’altra parte non hanno mica la punta, razza d’ignorante!», ribatté Sonic, mostrando un sorriso di scherno. Almeno quella piccola vittoria ci voleva, no?

«Ah, davvero? E se te li rigiriamo tutti cosa succede? Ti trasformi in un puntaspilli, hahaha?», proseguì Arnold come se niente fosse.

Sonic stava per ribattere a tono, ma proprio allora il fischio di Jack il camaleonte attraversò l’aula.
Francis e la sua banda di felini al completo si sedettero composti nei loro banchi, imitati dal resto della classe (tranne Zephir, che per ovvi motivi era già seduto), pronti ad accogliere la professoressa di storia: miss Fuchs, una volpe dal pelo arancione e dagli incredibili occhi color cioccolato fondente. Una prof tutto sommato normale, pensava Sonic: forse un po’ troppo fredda e distaccata nel rapporto con gli altri, ma a parte quello non dava altri problemi... tranne per il fatto che, nonostante i suoi buffi occhialini tondi calcati sul muso, fosse cieca come una talpa. Il che autorizzava i suoi compagni a fare i diavoli a quattro sapendo di non poter essere visti.

Anche se, in generale, gli piaceva abbastanza la storia come spiegava la Fuchs, quel giorno non era proprio dell’umore giusto per stare attento. Perciò, come al solito, si rannicchiò imbronciato sul suo banco e lasciò che la mente vagasse libera, riflettendo sul da farsi. Francis non si era ancora stufato di giocherellare col suo aculeo, a giudicare dalle fastidiose punture che ogni tanto avvertiva sulla schiena, ma per una volta decise di non reagire e lasciar perdere: la sua mente stava già pensando all’intervallo, ai suoi venti minuti di pace assoluta. Che per fortuna arrivarono abbastanza in fretta.

Nel momento stesso in cui la campanella iniziò a trillare, si alzò afferrando il suo panino, si catapultò fuori dalla classe e scese le scale in volata. Il suo albero lo aspettava, e niente e nessuno avrebbe potuto rovinare il suo intervallo.
Niente Francis. Niente Arnold.
Niente Zephir.
O almeno così credeva.

Era già appollaiato sul suo ramo preferito da cinque minuti, osservando con interesse un nido incastrato tra due rami a qualche spanna dalla sua testa, quando lo sguardo gli cadde sul cortile. E così facendo vide una cosa che lo fece fremere dall’irritazione: Zephir si stava distaccando dalla massa di studenti che si godevano l’intervallo e veniva nella sua direzione, spingendo in avanti le rotelle della sua carrozzina.
No, non si era sbagliato: non c’era nessun altro in cortile dalla parte dove si trovava. Stava proprio venendo verso di lui.

Ma... cosa fa? Che sta facendo?? Non sa che questo è il mio albero?
Evidentemente a lui non importava granché del fatto che il suo fosse il PdP, ovvero il Posto Dei Pezzenti (ennesima trovata di Francis).
Distolse immediatamente lo sguardo e tornò a concentrarsi sul suo panino, ma con la coda dell’occhio vide che Zephir era sempre più vicino, e questo lo fece grugnire per il nervosismo.
Perché, perché sta venendo qui? Che diavolo vuole da me?

Non fece in tempo a darsi una risposta che se lo ritrovò proprio ai piedi dell’albero, e si stupì di quanto fosse veloce a muoversi anche con la carrozzina.

«Ciao!»

Quella voce lo costrinse ad abbassare gli occhi, seppur controvoglia. Sentiva che non gliel’avrebbe perdonata facilmente: perché voleva a tutti i costi disturbarlo? Era così difficile capire che voleva stare da solo?
Gli rivolse un’occhiata sospettosa, ma rimase ancora una volta meravigliato dal suo sguardo: lo fissava con i suoi occhi azzurri grandi e luminosi, e in essi non c’era ombra di malizia. Forse voleva semplicemente tentare un approccio amichevole con lui, ma il fatto che fosse venuto a disturbare i suoi sacri venti minuti di intervallo glielo aveva reso tutt’altro che simpatico. Perciò rispose al suo saluto con un grugnito.
Zephir non apparve turbato da quella poca convinzione nel replicare. Anzi, parve addirittura più motivato a proseguire col suo tentativo di approccio.

«Tu sei Sonic, vero?»

«Hmm-hmm…», borbottò Sonic, fissando con insistenza una delle grosse radici dell’albero pur di non doverlo guardare negli occhi.

«Be’, piacere, io sono Zephir... anche se questo lo sai già.»

Non si arrende facilmente, eh?,pensò il riccio color cobalto. Anche solo dargli una possibilità non gli andava proprio a genio: era senz’altro un porcospino con delle qualità, ma non si trattava di qualità che gli piacessero.

«Perché te ne stai sempre da solo? Non scendi mai da quell’albero?», gli domandò Zephir, con un guizzo di bambinesca e docile curiosità negli occhi.

«Per fare da bersaglio mobile per le loro pallonate? Non ci penso nemmeno!»

Quelle parole gli scivolarono fuori dalla bocca prima che riuscisse a frenarle, e subito dopo si morse le labbra per l’irritazione: se gli dava troppa confidenza, non lo avrebbe più lasciato in pace.
Zephir ridacchiò piano, poi ritornò serio.

«Ti ho visto nei giorni scorsi... Te ne stai tutto il tempo per conto tuo», osservò.

«Be’, io... sì, preferisco rimanere da solo», replicò Sonic, freddo, facendo per girarsi dall’altra parte e continuare a mordere la sua merenda.

«Capisco», disse semplicemente Zephir. Poi aggiunse: «I nostri compagni non sono il massimo, vero?»

Ancora una volta, le parole vennero fuori da sole: «Puoi dirlo forte!», esclamò Sonic. Zephir sorrise di nuovo, con uno di quei suoi sorrisi così sinceri e luminosi.

«Senti... ti andrebbe di scendere da lì?»

Quella domanda lo fece balzare sulla difensiva: «Perché?», scattò, improvvisamente teso.

«Mi piace guardarle negli occhi, le persone con cui parlo», fu la solita risposta schietta. Sonic lo guardò negli occhi per attimi interminabili, chiedendosi cosa mai stesse ronzando nella sua testolina.

Poi sospirò rassegnato e scivolò giù dal tronco dell’albero, attento a non farsi male.
Anche quando fu a terra, però, rimase comunque a distanza di sicurezza: non era affatto sicuro di voler essere suo amico, dopo la prima impressione non proprio magnifica, e sperava che da quel distacco Zephir capisse che loro due dovevano essere semplici compagni di classe e niente di più. Ma a quanto pareva il nuovo arrivato era piuttosto duro di comprendonio.
Zephir, infatti, gli allungò la mano aperta, sorridendo cordiale.

«È un piacere conoscerti, Sonic», disse, e Sonic non poté fare a meno di ricambiare la presa con titubanza: la strinse con estrema lentezza, come se stesse dando la mano a una specie di alieno verde che non aveva mai visto.

«Piacere mio», rispose poi con somma asciuttezza, decisamente poco convinto di quel che stava facendo. Ma Zephir non sembrò affatto scoraggiato dal suo atteggiamento freddo.

«Ho visto che mi fissavi, in questi giorni», continuò, abbassando di poco gli occhi.

Sonic si morse le labbra, del tutto preso alla sprovvista: allora se n’era accorto che fin dal primo momento non aveva fatto altro che guardarlo, come se volesse leggergli nel pensiero.

«Be’, ecco… io…», buttò lì, senza sapere come uscire da quella scomoda situazione. Ma ci pensò Zephir ad allontanare l’imbarazzo.

«Non fa niente, credimi», lo rassicurò con uno dei suoi soliti sorrisi sinceri. «Penso che anch’io mi sentirei turbato, se incontrassi qualcuno di così diverso da me.»

Per un attimo, uno soltanto, a Sonic parve di percepire una lieve sfumatura di tristezza e rassegnazione, ma non fece in tempo a meravigliarsene, perché pochi secondi dopo il suo sorriso era tornato. Però si sentì lo stesso un maleducato, per averlo fissato con così tanta insistenza: non era difficile immaginare che Zephir soffrisse parecchio per il fatto di essere diverso, anche se non lo dava a vedere.

«Mi dispiace, io… non volevo essere sgarbato…»

«Nessun problema, davvero.» Zephir scosse la testa, come sempre sorridendo. Sonic strinse impercettibilmente le labbra: cominciava ad averne veramente piene le scatole di quel suo atteggiamento.
Come diavolo faceva a sorridere sempre, pur sapendo che in quella scuola di cose per le quali valesse la pena sentirsi felici si contavano sulle dita di una mano (o anche meno)?   
 
Proprio in quel momento la campanella che annunciava la fine della pausa cominciò a trillare. Sonic sbuffò profondamente infastidito: parlare con Zephir gli era costato più di metà intervallo, che avrebbe preferito impiegare nei suoi soliti sogni ad occhi aperti. Borbottando tra sé e sé, si allontanò dall’albero per dirigersi verso l’ingresso, quasi senza sentire le ultime parole di Zephir: «Grazie per la chiacchierata, Sonic!»

Grazie. Chiacchierata.
È ufficiale, quel tipo è davvero strano, pensò Sonic mentre si accodava agli studenti che stavano rientrando a scuola. Quel rapido scambio di battute (in cui aveva parlato per la maggior parte Zephir) era classificabile come “chiacchierata”? E soprattutto, lo ringraziava per aver sopportato a malapena la sua intrusione nel suo mondo e per averlo piantato in asso così? Le possibilità erano due: o era disperato e anche un atteggiamento freddo come il suo gli pareva una meraviglia in confronto ai loro compagni, oppure nella sua testa le rotelle non giravano tutte nel verso giusto. In entrambi i casi, pensava Sonic, la loro amicizia era incompatibile.
 
Al ritorno in classe, però, lo attendeva una brutta sorpresa. No, non brutta: pessima, orribile, quanto di peggio potesse esistere.
Quando entrò in aula quasi tutte le sedie erano già occupate, e Sonic si stupì del fatto che nessuno della gang di Francis avesse iniziato a tirargli palline addosso o a prenderlo in giro: tutti e cinque erano zitti e lo guardavano con un aria furbetta che non prometteva niente di buono.

Sonic capì subito che c’era qualcosa che non andava. Colto da uno strano presentimento, raggiunse il suo banco e aprì lo zaino per controllare che tutto fosse a posto... e il suo cuore di porcospino saltò un battito quando l’occhio gli cadde sull’astuccio che gli aveva regalato lo zio Chuck: sul davanti, dove c’era la scritta SONIC HEDGEHOG, qualcuno aveva fatto dei segni con quello che aveva tutta l’aria di essere un pennarello indelebile. La parola “Sonic” era scomparsa sotto svariate righe di colore scuro, e al suo posto si poteva leggere “Pezzente”.
Non appena lo vide, Sonic faticò a trattenere le lacrime: quello era il suo astuccio, quello che suo zio aveva fabbricato a mano e che gli aveva regalato. E i suoi compagni (perché non era difficile indovinare chi fosse stato) glielo avevano rovinato solo per il gusto di fargli uno scherzo e di vederlo soffrire. Rovinato... forse per sempre.

«Allora, che ne dici, microbo? Ti piace la nostra piccola nota di colore al tuo bell’astuccino?», sghignazzò Francis lanciandogli un sorriso subdolo. «Scommetto che quando Miss Barnardius lo vedrà ci darà un bel 10!»

Sonic non rispose; era troppo sconvolto per farlo.

«P... perché?», fu tutto quello che riuscì a balbettare. Avevano a disposizione un sacco di cose da rovinargli: il banco, la sedia... Anche i libri se necessario. Ma quell’astuccio... perché proprio lui?

Ovvio, no? È la cosa a cui tieni di più!, si disse, disperato e profondamente umiliato.

«Ma come, non ti piace? Ma se l’abbiamo fatto con tanto amore! E poi l’abbiamo corretto, dato che quello che c’era prima non era il tuo vero nome! Pezzente Hedgehog è più bello, no?»

Quelle parole lo fecero tremare di collera profonda. Con gli occhi lucidi di rabbia e di disperazione, eseguì un attacco frontale a Francis e compagni.

«Questa me la pagherete!», sibilò accecato dalla stizza. No, quello era troppo: a tutto c’era un limite, e con quel gesto meschino Francis lo aveva abbondantemente superato.

«Uh-uh! E sentiamo: come vorresti fare? Andare a piagnucolare dal tuo patetico zietto per farti proteggere?», proseguì Arnold con tono strafottente.

«Non la passerete liscia, questa volta!», singhiozzò di nuovo Sonic, con gli occhi pieni di lacrime di frustrazione.

«Ma davvero?», lo schernì Francis, fingendosi impressionato. «Io non credo proprio, sai? Tanto per cominciare, come sai che siamo stati noi? Potrebbe essere stato chiunque, dato che non hai nessuna prova!»

Sonic non seppe mai cosa lo avesse trattenuto dal saltargli al collo. Sentiva solo che in quel momento l’odio gli aveva del tutto offuscato i sensi: offeso e arrabbiato com’era, sapeva che sarebbe stato capace di uccidere.
Probabilmente l’unica cosa che salvò in extremis i denti di Francis fu la professoressa dell’ora successiva – Miss Cheetah – che pensò bene di entrare proprio allora e, vedendo la situazione, di raffreddare gli animi prima che le cose degenerassero.

«State calmi, ragazzi. Ora ditemi qual è il problema e vedremo di risolverlo in toni civili», disse seria, mentre separava i due litiganti. Sonic si sedette al suo posto imbronciato e con le lacrime agli occhi, lanciando al leone delle occhiate che contenevano puro odio.

«Cos’è successo, dunque?», proseguì la Cheetah.

«Il mio astuccio», piagnucolò Sonic. «Me l’hanno rovinato.»

Forse era finalmente arrivata la volta buona, rifletteva: la volta in cui i professori si sarebbero accorti di come lo trattavano i suoi compagni; la volta in cui tutte le torture a cui era stato sottoposto sarebbero venute a galla e vendicate; la volta in cui la giustizia sarebbe stata ristabilita. Ma, come al solito, si stava illudendo.

«Oh, Sonic, mi dispiace tanto...», disse la professoressa, vedendo come era ridotto il suo povero astuccio. «Ti assicuro che farò di tutto per trovare il responsabile.»
Poi si rivolse all’intera classe, e fu allora che Sonic si mise definitivamente il cuore in pace: non sarebbe mai riuscita a identificare i colpevoli; né tantomeno a punirli.

«Ragazzi, voi avete idea di chi possa essere stato? Non avete visto nessun estraneo entrare in aula durante l’intervallo?»

Estraneo? Ma cosa si inventava? Perché mai cercare i colpevoli lontano, quando era fin troppo ovvio che non potevano essere altri che Francis e la sua banda? Seriamente, a volte Sonic non sapeva se i suoi professori facessero apposta oppure se fossero davvero così ingenui. La risposta della classe, infatti, fu tutt’altro che imprevedibile:

«No, professoressa, ma siamo stati tutti fuori durante la pausa: può essere davvero stato chiunque.»

Sonic non poté fare altro che accasciarsi sul suo banco, sconsolato: come sempre, la collezione di vittorie dei suoi compagni aumentava proporzionalmente alle sue sconfitte. Ma ciò che lo innervosì maggiormente fu il commento finale della professoressa, che fu solo un’ulteriore prova dei suoi sospetti: «Sono mortificata, Sonic... Ma vedrai che riuscirai a trovare un astuccio nuovo uguale al tuo, o forse anche più bello.»

Certo. Se fosse stato così semplice, il problema non si sarebbe nemmeno posto. Ma quello che i suoi compagni (e chi altri?) gli avevano rovinato per sempre non era un astuccio comune, di quelli che si compravano in cartoleria per pochi spiccioli: quello non aveva prezzo, perché a farlo era stato suo zio, e niente al mondo avrebbe potuto restituirglielo tale e quale. Ci voleva così tanto per capirlo?
Ormai Sonic dubitava sempre più spesso della sanità mentale degli adulti che gli stavano intorno. Perciò se ne uscì con un semplice: «Non importa, prof.» Poi incrociò le braccia sul banco e ci poggiò il mento sopra, battuto e umiliato.

Illusasi di aver risolto il problema, la professoressa ordinò ai componenti della classe di prendere il loro zainetto e di seguirla in palestra, dove avrebbe avuto luogo la seconda lezione di educazione fisica.
Sull’orlo delle lacrime, anche Sonic si mise sulle spalle la sua sacca da ginnastica e si accodò ai suoi compagni, mugugnando borbottii incomprensibili.

Era così preso dai fatti suoi, però, che non notò le occhiate che Zephir gli rivolgeva ogni tanto, mentre procedevano per il corridoio. Se avesse fatto attenzione, probabilmente si sarebbe stupito vedendo che i suoi occhi erano colmi di tristezza e di compassione, ma anche di profondo sdegno. Non immaginava certo che il suo “amico” riccio fosse rimasto colpito nel profondo da quanto gli era successo e che avrebbe accettato volentieri di condividere la sua rabbia e il suo dispiacere per l’astuccio rovinato.
… E se non si fosse rifugiato come al solito nella sua solitudine, impedendosi così di accorgersi dello stato d’animo di Zephir, forse la lezione di ginnastica sarebbe andata diversamente. Ma si sa, a volte il destino è crudele e ama prendersi gioco di chiunque capiti sotto tiro.


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Buondì, gente, spero non vi dispiaccia avermi di nuovo qui ;)
A essere sincera questo capitolo non mi soddisfa del tutto, forse perché è più che altro di passaggio e non succede granché d'importante, a parte l'approccio del nostro amico Zephir. Spero solo di non avervi annoiato... in ogni caso, spero che col prossimo vada meglio!
Intanto alla prossima! :D
Martix Hedgehog

  
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