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Autore: grenade_    08/07/2013    2 recensioni
Alzai lo sguardo sui suoi occhi scuri, sorrisi amaramente. «Non riesco a capirlo, sai? Sembra quasi mi detesti, critica ogni cosa che faccio o dico e non ne so neppure il motivo. Penso che non me ne importi niente invece ci sto male, e tutto quello che vorrei è essere solo un fratello maggiore degno di quel titolo.» feci una pausa, sospirando. Un ricordo mi attraversò la mente, e sorrisi istintivamente. «Forse ce l'ha ancora con me per via di Teddy.»
Lei assottigliò lo sguardo, confusa. «Teddy?»
«Sì, il suo orsacchiotto di peluche.» ricordai. «E' accidentalmente finito nel tritarifiuti.» mi giustificai, gli occhi fissi su di lei e un sorriso innocente con cui speravo di convincerla che non fossi stato io, a buttarlo lì dentro.
Mantenne lo sguardo indagatore fisso sul mio per qualche istante, poi si sciolse in un sorriso e scosse la testa. «Siete i gemelli più strani che conosca.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Se c’era qualcosa che mi piaceva da matti era giocare a basket. Non ricordavo bene come avevo cominciato a nutrire quella passione per la pallacanestro, ma da quando l’avevo riscontrata non l’avevo più abbandonata, facendone il mio hobby primario.
Dovevo forse avere 6 o 7 anni quando papà per la prima volta mi portò ad una partita di basket e, mentre Martin si guardava attorno con fare annoiato e si lamentava con mamma di tornare a casa, io ero affascinato dai movimenti dei giocatori e interessato a seguire la traiettoria della palla con lo sguardo, con papà che mi sussurrava all’orecchio i diversi ruoli di ogni giocatore. E man mano che comprendevo le regole del gioco mi appassionavo maggiormente, sorridendo ed esultando ad ogni punto vincente della nostra squadra di casa. Quando poi qualche mese dopo papà mi aveva portato al mio primo allenamento a mia insaputa gli ero saltato addosso per la felicità, perché non c’era cosa che più avevo desiderato in quei giorni, oltre a giocare. E dal primo momento in cui avevo preso per mano la palla avevo sentito che non l’avrei abbandonata tanto presto, come di solito fanno i bambini coi loro passatempi passeggeri.
Giocare a pallacanestro non era diventato solo un ottimo passatempo o hobby, ma il mio personale metodo di scaricarmi. Mi aiutava a dimenticare qualsiasi cosa andasse storta nella mia vita, centralizzando tutta la mia attenzione attorno alla palla e solo soltanto ad essa. Avevo preso l’abitudine di giocarci ogni qualvolta ero triste, o arrabbiato, o frustrato, e avevo scoperto che mandare una palla in un canestro mi aiutava molto di più di tutte le parole di conforto che ricevevo. Era diventata la mia distrazione principale dalla solita e noiosa ruotine quotidiana, e a distanza di anni non era cambiato nulla, apparte la maggiore dedizione e i miglioramenti agonistici, che mi avevano portato a diventare il capitano della squadra della scuola.
«Passa!» urlai a Simon, che se ne stava a palleggiare con la palla da circa un minuto.
Lui intercettò il mio sguardo e con qualche difficoltà riuscì a lanciare la palla verso la mia direzione, che la afferrai e cominciai a palleggiare, mentre Thomas, il mio marcatore, cercava di togliermela dalle mani. Mi mossi a destra e lui mi seguì a sinistra, ma velocemente cambiai verso e lanciai la palla da metà campo, che andò a canestro e segnò gli ultimi due punti della partita, determinando la vittoria del mio quartetto.
L’allenatore fischiò la fine del gioco e i miei compagni mi raggiunsero, dandomi il cinque e qualche pacca sulle spalle. Sorrisi a loro e ricambiai, poi tutti quanti ci ritirammo negli spogliatoi.
Feci velocemente una doccia ed uscii, indossando i vestiti puliti. Mi passai un asciugamano sui capelli per asciugarli, ma quando la voce fastidiosa di Kyle Thompson mi raggiunse abbandonai l’asciugamano sulla panca, avvicinandomi per scoprire di cosa stesse blaterando.
«Andiamo Kyle, non puoi dirci che con la Gilbert non è successo niente! Non ce la dai a bere così!»
Sentire il cognome di Stephanie mi fece capire che era lei e la sua catastrofica uscita con Kyle l’argomento trattato, quindi senza fiatare abbandonai la mia posizione d’origlio e mi aggiunsi agli altri, tutti impegnati a cercare di estorcere a Thompson qualche informazione piccante, com’eravamo soliti fare l’un l’altro dopo gli allenamenti.
Quel codardo di Thompson sorrise, e agitò le mani come a voler calmare l’entusiasmo dei suoi compagni. «E va bene, ma non vi racconterò ogni minimo dettaglio, sarebbe scortese da parte mia.»
Ero disgustato. Anche se lei l’aveva smentito, sapevo che era in parte colpa sua se Stephanie aveva passato una notte pessima tra lacrime e silenzi, e vederlo lì a pavoneggiarsi di chissà quale grande scopata con una ragazza che aveva solo reso in lacrime mi faceva schifo. Non gli interessava delle conseguenze che aveva provocato, o di inventare menzogne riguardo il conto di Stephanie, il suo unico scopo era mantenere la sua reputazione da bastardo, i mezzi non erano importanti.
«Ve lo dico io cosa è successo.» feci qualche passo in avanti, interrompendo Kyle e parandomi davanti a lui. «Aprite bene le orecchie, perché questa è l’unica verità.»
Il ghigno di Thompson si trasformò presto in uno sguardo preoccupato. Ovviamente aveva paura che rivelando il suo sporco trucchetto la sua reputazione sarebbe calata di valore, ma se lo meritava. Per questo gli sorrisi in un ghigno, rivolgendomi poi agli altri.
«Thompson non ha avuto nemmeno un bacio dalla Gilbert, quella sera.» esordii, suscitando lo stupore di tutti e l’ansia di Kyle. «In realtà la loro serata non è durata nemmeno tanto, perché appena arrivato alla festa Kyle si è precipitato al bancone dell’alcool, e ha finito con una scopata con una puttanella di quarta mano.» sorrisi, mentre vedevo crescere l’odio nei suoi occhi. «Ma in realtà qualche contatto fisico con lei c’è stato, ora che mi ricordo bene... sì, un bello schiaffo in piena regola.»
Sorrisi ricordando lo scatto della mano di Stephanie sulla sua guancia, e vedendo Kyle quasi esplodere dalla rabbia. Tutti erano attenti al nostro confronto, come si trovassero ad un match. Ma Kyle non aveva speranze contro di me, e lo sapeva fin troppo bene per tentare un azzardo come persino aprire bocca.
«Ti fa ancora male?» mormorai, accarezzandogli la guancia destra. Lui spostò la mia mano ed io sorrisi, vittorioso. «Dovresti pensarci prima di rovinare la reputazione di una ragazza, o potrebbe succederti qualcosa di peggio che un insulso schiaffo della Gilbert. Prendilo come un consiglio spassionato, amico.»
Diedi un leggero schiaffetto sulla sua guancia e tornai a prendere le mie cose, tornando a pensare a come Stephanie stesse. Non avevo avuto occasione di vederla in tre giorni oltre a quelle rare volte per i corridoi, ed ero inspiegabilmente in ansia.
Sbuffai e tirai fuori il cellulare dal borsone, trovandovi un messaggio.
E’ da un po’ che io e te non abbiamo qualche momento in privato, non trovi? Fatti sentire, potrei pensare che non ti vado più bene. –Sarah
Stetti a fissare il display per qualche secondo, sospirando. C’era una ragione per la quale non l’avevo contattata, ma a quanto pare lei non sembrava del mio stesso avviso. Come potevo dirle che non mi andava più di trattarla come un giocattolo e di esserlo io stesso, senza bruciarmi nel mio stesso fuoco?
Mentre i soliti pensieri pessimisti facevano capolino nella mia mente il telefono nelle mie mani prese a vibrare, segnalando l’arrivo di una chiamata. Veder lampeggiare il nome di Martin mi stupì alquanto: non mi chiamava mai a telefono se non per estreme emergenze quali mancanza di cibo, e di solito usava il telefono di casa e non aveva mai chiamato dopo i miei allenamenti. Aggrottai la fronte e fui indeciso di rispondere, ma feci spallucce e portai il cellulare all’orecchio.
«Che è successo fratellino, hai finito le patatine?»
Ma non sentii sbuffare dall’altro lato, come di solito accadeva. «Mi serve un favore Zack, e sei l’unico che può farmelo.»
 
Il cellulare sul comodino prese a squillare ed io sospirai, immaginando chi fosse il mittente della chiamata. Deglutii un po’ impaurito e mi portai l’apparecchio all’orecchio, giocherellando con la matita in modo nervoso.
«Steph...?»
«Dove diavolo sei.» fu la sua risposta. Poteva sembrare calma e pacata, ma la conoscevo abbastanza bene per sapere che era furiosa, e che si stava soltanto contenendo dall’urlarmi contro.
«A casa...»
Alzai lo sguardo verso l’orologio, che segnava ormai le 4.20 del pomeriggio. Sbuffai demoralizzato, quindi mi alzai per scendere in salotto.
«E perché non sei qui?!» tuonò infatti.
Sospirai. «Ho avuto un contrattempo, avrei voluto avvertirti ma me ne sono dimenticato. Comunque ti ho mandato un sostituto, prenderà lui il mio posto...»
«STAI SCHERZANDO, VERO?»
Cercai di controbattere ma non ne ebbi il tempo, perché riprese a parlare.
«Zack?! Il tuo sostituto sarebbe Zack?! No Martin, tu adesso vieni qui ad aiutarmi coi preparativi, perché mi hai assicurato che lo avresti fatto e perché io non posso lavorare con lui. Ci ho provato già una volta col progetto di chimica, e ci ho messo una settimana per togliermi quella roba appiccicosa dai capelli!»
Sorrisi ripensando a quanto si fosse irritata nel vedere i suoi amati capelli ricoperti di poltiglia verde e a come avesse evitato di salutare Zack per ben due settimane, sebbene anche adesso non fossero proprio buoni amici. Ma non avevo potuto che fare altrimenti quel pomeriggio, visto che avevo evitato di parlarle dell’accordo con Emma per tre giorni, aspettando di avvisarla della mia assenza giusto mezz’ora prima e sperando che Zack non avesse rifiutato. Non che non volessi dirglielo, in realtà fremevo dalla voglia di parlargliene, ma avevo avuto paura della sua reazione , quando le avrei detto che i pomeriggi che avrei dovuto dedicare ai preparativi del ballo con lei erano stati occupati dalle lezioni di “doposcuola” ad Emma Desmore. E avevo fatto più che bene a temerla.
«Andiamo, non sarà così terribile. Infondo deve solo spostare qualcosa e attaccare festoni e cose varie, può farcela!»
«Forse non hai ben capito la faccenda Martin, io non ce lo voglio qui! Fa battutine insulse e irritanti che mi fanno salire i nervi a mille, e non fa che sorridere alle aiutanti e conversarci allegramente in modo fastidioso, così loro si distraggono e non combinano niente! E vuole scegliere lui la musica, io non posso sopportarlo!»
Roteai gli occhi. «Mi dispiace, ma non posso farlo davvero.»
«Certo che puoi. Esci di casa e mi raggiungi, così io posso toglierti la scomunica di ex migliore amico e rimandare Zack da dove è venuto. Lavoreremo in modo tranquillo e non ucciderò nessuno.»
Ridacchiai, sentendola “minacciarmi”. Ma a farmi tornare incauto fu il campanello, che suonò solo una volta, facendo crescere l’ansia. Le mani mi sudavano già, quindi le passai sui jeans per asciugarle, e cominciai a respirare irregolarmente.
«Senti Steph, fai fare a Zack quello che avrei dovuto fare io e fai finta che non ci sia, se placa i tuoi istinti omicidi. Adesso però devo staccare, ti chiamo più tardi per sapere come sta andando. Ti spiegherò tutto stasera o domani, mi dispiace ancora. Divertitevi!»
«Non provare a riattacc-»
Non diedi il tempo a Stephanie di finire che riattaccai, mentre il campanello suonò per la seconda volta. Presi un lungo respiro sentendomi un perfetto idiota, ed andai ad aprire. Mi ritrovai davanti una chioma di capelli rossi, e solo quando Emma si rese conto che ero lì sulla soglia si voltò, sorridendomi. Ed io ebbi paura di sciogliermi, potendo ammirare finalmente il suo sorriso e i suoi occhi da vicino e rivolti a me, non a Zack o qualcun altro. Era una sensazione dal carattere paradisiaco, la migliore di tutte in assoluto.
«Pensavo non mi aprisse nessuno... sono un po’ in ritardo.» fece, passandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
La sua voce mi riportò alla realtà e mi sentii stupido ancora una volta pensando che probabilmente l’avevo fissata senza dire una parola come mi era già successo, ma scossi la testa e le sorrisi. «Non fa niente. Entra.»
Fece come le dissi e per qualche secondo il mio olfatto fu catturato da un profumo di pesche e albicocche, probabilmente riferibile al suo shampoo.
«Bella casa.» commentò, guardandosi attorno.
La ringraziai e lasciai che si aggirasse per il salotto ancora per un po’, scorgendo tra le varie foto di famiglia. Quando mi aveva parlato della sua situazione e proposto di aiutarla ero stato indeciso se accettare oppure no, consapevole di stare sottomettendomi a una dose di imbarazzo decisamente fuori dalla mia portata, ma dovevo ammettere che averla attorno e poterle parlare senza prima meditare uno scusante decente era decisamente meglio che guardarla da lontano.
Quando la vidi osservare una foto di Zack e sorridere ingenuamente un moto di gelosia scattò in me, quindi la raggiunsi e le chiesi su cosa avrei dovuto aiutarla.
Sembrò per un attimo spaesata, poi sorrise e cominciò a frugare nella sua tracolla. «Direi di cominciare da matematica, è quella con cui ho più problemi.» mi spiegò, mostrandomi un pesante tomo bianco e mantenendo comunque un mesto sorriso.
«D’accordo. Mamma sarà qui tra un po’, perciò sarebbe meglio se salissimo in camera...» cercai di incitarla a salire, sforzandomi per far sì che quella proposta non sembrasse quella di un maniaco.
Lei sorrise e mi fece spazio per farle strada, ma giunti davanti alla porta in legno mi bloccò, posando una mano sul mio avambraccio.
«Non dovrò mica chiamarti Mr.Payne o roba simile, vero?» mi domandò, scettica.
Scossi la testa, sorridente. «Solo Martin.»
 
«Va bene, potete andare. Grazie a tutte. Vi avviserò io del prossimo incontro.»
Sorrisi a Kelsey, Tina e Zoe e agitai la mano in segno di saluto. Il primo pomeriggio di preparativi era andato abbastanza bene, e avevo scoperto con mio grande piacere che le mie “assistenti” erano davvero delle ragazze carine e molto simpatiche, seppure un po’ troppo suggestionabili.
La scelta della location era ricaduta indubbiamente sulla vecchia palestra, abbandonata dalla costruzione della nuova, quindi ci eravamo impegnate per sgomberarla e pulirne i pavimenti, stabilendo la pittura delle pareti al nostro prossimo incontro. Ritenevo che fosse perfetta per l’evento, vista la sua uscita sul cortile scolastico, e nella mia mente già prendevano vita le prime immagini di coppiette che attraversavano l’alto arco adornato da fiori, calpestando il lungo tappeto bianco ricoperto di petali. Il tema che avevo scelto era quello floreale, e tutte le mie colleghe erano state d’accordo con me, discutendo con quale genere di fiori avremmo dovuto addobbare l’intera sala.
«Aspetta, ti aiuto.»
Mi voltai verso la voce alle mie spalle e tutto quello che vidi fu un sorrisetto e due forti braccia afferrare lo scatolone che avevo tra le mani, per poi portarlo nel ripostiglio.
«Ecco fatto.»
Per un attimo il mio sguardo rimase fisso sul suo, ma quando esibì il solito sorriso falso scossi la testa e non ricambiai, tornando ad occuparmi degli scatoloni più leggeri. Quando però mi ritrovai al centro della palestra, notai che non ne era rimasto neppure uno. Zack aveva rimediato a portarli via tutti quanti.
Sospirai, per l’ennesima volta in quel pomeriggio. Ancora una volta mi ritrovai a pensare a Martin, a come mi aveva scaricata senza la minima spiegazione, e a come avrebbe dovuto farsi perdonare per avermi costretta a lavorare con una delle persone più irritanti del pianeta. Mi voltai e me lo ritrovai di fronte ancora una volta, il che suscitò il mio sguardo omicida. «Mi sembra di aver detto che potevate andarvene, che ci fai ancora qui?» sputai, acida.
Lui roteò gli occhi e sbuffò, ma le sue labbra si piegarono inevitabilmente in uno dei suoi fastidiosi sorrisetti. «Senti.» cominciò, posando una mano sulla mia spalla. Seguii la traiettoria della sua mano, così si apprestò a rimuoverla dalla mia spalla, come il mio sguardo chiaramente suggeriva. «So che ti sto antipatico – e la cosa è assolutamente reciproca – ma mi ha chiesto Martin di fare questa... cosa, e l’ho fatta per alleggerirti il carico.» continuò.
Feci una smorfia, poi puntai gli occhi nei suoi. «Bel modo davvero, di aiutarmi. Sorridendo come un idiota e lanciando occhiatine ad ogni ragazza ogni due minuti. Davvero davvero utile, Zack.»
Ancora una volta sorrise abbassando il capo, fin quando non lo alzò e assunse un’espressione indagatrice piuttosto strana. «Non sarai mica gelosa?» insinuò, continuando a muovere le sopracciglio in un modo assurdo.
Spalancai gli occhi e inclinai leggermente la testa in avanti, aggrottando la fronte e socchiudendo la bocca scioccata da quell’insulsa domanda.
«Okay, scherzavo!» riprese, divertito dalla mia reazione, «Comunque se proprio vuoi prendertela con qualcuno prenditela col mio adorato fratello gemello, io ho fatto la mia parte.»
«Ho in programma di meditare una vendetta, a riguardo.» commentai, provocando la sua risatina di risposta.
«Non ti facevo così vendicativa, Gilbert. Antipatica sì, ma non vendicativa.»
Non risposi alla sua provocazione ma gli rivolsi una semplice smorfia, andando a curiosare tra le cianfrusaglie trovate in ripostiglio. «Comunque grazie di essere venuto, nonostante tu sia particolarmente irritante sei stato utile.» ammisi infine, lasciando che il suo viso assumesse un che di sconcertato. Detestavo mostrarmi carina con lui, ma dovevo ammettere che il suo contributo era stato determinante, aveva senza dubbio diminuito i tempi di lavoro.
Tossicchiò, poi riprese la sua normale espressione. «Questo vuol dire che posso continuare ad aiutarti?»
Mi immobilizzai, stupita da quella domanda. Ero più che sicura di averlo visto roteare gli occhi annoiato ad ogni mio rimprovero, eppure mi aveva chiesto di poterlo fare di nuovo. E non seppi spiegarmi perché la prima risposta che il mio cervello elaborò fu un sì. «Forse,» concessi, «ma non credo ti divertiresti.»
«Io mi sono divertito!» fece spallucce. «E poi credo di riuscire ad ottenere un appuntamento con Tina, mi mangiava con gli occhi.» aggiunse, facendo strane mosse con gli occhi come a voler imitare gli sguardi della ragazza. Avrei voluto dirgli che lo avevano fatto un po’ tutte e tre, ma non volevo che si montasse la testa ulteriormente. Inoltre ero certa lo sapesse già.
Sorrisi, aspettandomi quel riferimento. «Ed io che pensavo volessi aiutare una donzella indifesa!» ridacchiai, fingendomi offesa, «In realtà mi stai solo usando per i tuoi loschi scopi!» continuai, lanciandogli addosso qualche pallina da tennis.
Lui spalancò la bocca indignato al primo lancio, per poi cercare di ripararsi al secondo, mentre io lo colpivo crudelmente. Corse e mi fu velocemente addosso, stringendo i miei polsi in una mano e tenendomi per un fianco con l’altra. Cominciò a solleticarmi e iniziai a strattonarmi e zoppicare senza smettere di ridere, fino ad avere i crampi ai fianchi, mentre lui si prendeva la sua personale vendetta.
«A quanto pare sto vincendo io, Gilbert!» si pavoneggiò, senza che le sue mani abbandonassero i miei fianchi neanche per un momento.
Fu quando mi ritrovai il suo braccio a pochi centimetri dalla mia bocca che lo morsi, sorridendo quando lo sentii gemere come un bambino. «Non vale!» si lamentò.
Ma era bastato quel semplice attacco per costringerlo a mollare la presa e liberarmi, così ripresi a lanciargli le palline, senza alcuno scrupolo.
«Pietà!» urlò, e solo allora smisi di attaccarlo, notandolo accasciato a terra contro la parete, le ginocchia al petto e le braccia sopra la testa a formare uno scudo. Vederlo così vulnerabile mi strappò un sorriso, forse uno dei più sinceri degli ultimi giorni, così riposi la mia arma e cominciai a ridere, scatenando la sua occhiata omicida.
«Sei davvero un’infame avversaria, hai barato con quel morso.» brontolò, tendendomi l’indice in modo minaccioso.
Gli rivolsi una linguaccia e andai a sedermi accanto a lui, sospirai affaticata. «Mi fanno male i fianchi, Payne.» mi aggiunsi alla serie di lamentele, massaggiandomi il fianco destro.
«Te lo meriti.» fu la sua risposta, «Perlomeno tu non dovrai sfoggiare un orribile segno rosso sul braccio!»
«Te lo meriti!» lo imitai.
Arcuò le sopracciglia. «Attenta a ciò che dici, potrei reclamare una vendetta, e non andrebbe a tuo favore stavolta!»
«Nemmeno a tuo» risposi, beffeggiandomi della sua “minaccia”. «Diamine, mi fa male la pancia! E’ rischioso per me ridere così tanto!» lo rimproverai, continuando a lamentarmi.
«Almeno hai riso, è questa la cosa importante.»
Ebbi la sensazione che avesse appena sorriso e difatti lo aveva appena fatto. Ma non quei suoi soliti sorrisi derisori, no, questo era un sorriso sincero, che combinava perfettamente con i suoi occhi, che reputai splendidi. Era sincero, e l’ipotesi che fosse davvero contento di avermi fatta ridere e distrarre per un po’ si fece spazio per la mia testa, ma come al solito mi sentii estremamente stupida per averlo pensato.
Abbozzai un sorriso e abbassai il capo, sentendo comunque il suo sguardo sul mio viso. Non capivo perché fosse così premuroso nei miei confronti negli ultimi giorni, non mi aveva mai rivolto la parola se non per provocarmi, ed ora era addirittura preoccupato per me. E lo ero anch’io. Mi tenevo nascosta quella tristezza dentro da troppo tempo e con troppa dedizione ormai, e non so perché, ma sentivo di potermi fidare di Zack e liberarmi. Di potermi fidare dei suoi occhi, che mi osservavano ansiosi. Ero certa che sapesse bene che stavo per crollare, aspettava.
«Ho visto mio padre con un’altra.» mormorai allora, la voce tremante e un mesto sorriso di conforto a me stessa, «La sera della festa, io... l’ho visto con una donna. E non era mia madre. Erano a braccetto e sorridevano, come se non ci fosse nulla di sbagliato...E’ per questo che ho avuto quella reazione... Loro sono importanti per me, ed è stato...»
«Scioccante.» terminò lui la frase, lasciando che annuissi.
Alzai lo sguardo e incontrai ancora l’azzurro dei suoi occhi, così simili a quelli di Martin, ora illuminati da una nota di tristezza, dovuta al mio racconto. Mi costrinsi a volgere lo sguardo altrove per paura di scoppiare a piangere, ma ogni singhiozzò si ritirò quando sentii la sua mano raggiungere la mia, stringerla e accarezzarne lentamente il dorso, quasi potessi spezzarmi. «Mi dispiace.» sussurrò, giocherellando con le mie dita.
«Anche a me. Ma non posso farci niente, no?»
Stette in silenzio per alcuni secondi, fin quando «Invece sì!» esclamò. Corsi a raggiungere i suoi occhi con la fronte un po’ aggrottata, e lui sospirò, quasi stesse riflettendo su. «Tu non hai mai visto quella donna, vero?»
Feci mente locale e scavai nei ricordi, poi scossi la testa.
«Allora non puoi davvero sapere chi o cosa sia, magari hai frainteso tutto e stai male per nulla.»
Stetti ad osservarlo, confusa. Non avevo pensato a quell’ipotesi. «Tu credi?»
Fece spallucce. «Non sono un mago, ma può essere. Dovresti parlarci. Con tuo padre, intendo.»
Soppesai sulle sue parole, riflettendo. Sì, poteva avere ragione, ma chi mi assicurava che fosse così e che non fosse la mia l’ipotesi giusta? «E se scopro che è vero?» gli chiesi, «Se davvero frequenta un’altra?»
«Beh, allora...» fece per rispondermi, ma si rese conto di non avere alcuna risposta, «non lo so.» si rabbuiò, «Ma devi almeno fare un tentativo. Ne va della tua salute mentale.»
Volsi lo sguardo davanti a me, riflettendo su quel suo suggerimento. Sì, era senza dubbio una buona idea. Non potevo essere certa di ciò che avevo visto se prima non ne parlavo col diretto interessato, ovvero mio padre, e anche se alla fine i miei sospetti si fossero rivelati esatti, avrei avuto una valida motivazione basata sulla verità, e non solo su una stupida supposizione.
«Già, hai ragione.» asserii, sorridendogli.
«Come sempre.»
Feci per tirargli una gomitata ma la suoneria del suo cellulare catturò la sua attenzione, quindi lo tirò fuori dalla tasca e lasciò la mia mano per alzarsi e rispondere, allontanandosi. Rimasi seduta lì ad osservarlo, quando lui tornò indietro e mi sorrise. «Era mamma, dice che ha bisogno di me.» mi spiegò, tendendomi una mano che utilizzai come ancora per sollevarmi da terra.
«Certo, va’ pure.» lo congedai.
Lui sorrise ancora e si avvicinò di poco al mio viso, per lasciare un bacio sulla mia guancia. «Pensaci.» si raccomandò, una volta ristabilite le distanze.
Annuii e lui mi diede le spalle, per uscire dalla palestra, senza prima evitare l’ultima scomoda battuta: «Non dimenticarti di portare una tuta la prossima volta, potrei schizzarti di vernice!»
 
Sorrisi salutando Sophie, la madre dei gemelli, una signora minuta e molto graziosa. La prima cosa che mi aveva colpito di lei erano stati gli occhi, ancora più chiari e belli di quelli dei suoi figli, ma la gentilezza e il suo sorriso erano senza dubbio la parte migliore. Era stata tanto gentile con me ed era chiaro tenesse davvero molto ai suoi figli, vista la scintilla nei suoi occhi quando ne parlava.
Studiare con Martin mi era piaciuto. Ero solita farmi assalire dalla noia circa qualche secondo dopo aver aperto libro, ma con Martin non era successo, anzi mi ero quasi divertita. Quel pomeriggio avevo studiato e riso insieme, e non credevo potesse essere possibile, ma ero certa Martin fosse la mia scelta giusta.
«Scusala, è un po’ impertinente.» Martin rimproverò sua madre, che mi aveva appena allacciato le braccia al collo e stretta come fossimo amiche di vecchia data. Sicuramente doveva essere stato Zack, a ereditare la sua espansività, visto che suo fratello era davvero discreto e introverso. In realtà non avevo mai conosciuto dei gemelli così diversi, e seppure avessi pensato per un momento che Martin potesse essere Zack o viceversa, adesso rimangiavo ogni mia parola.
«Non importa, è carina.» la giustificai io.
Lui sorrise, e ancora una volta rimase a corto di parole, volgendo lo sguardo ovunque tranne che nella mia direzione. Era qualcosa che avevo notato spesso durante quelle ore, come se stare ad insegnarmi lo annoiasse da morire e cercasse una distrazione, e il fatto che mi avesse invitata a salire dopo nemmeno cinque minuti dal mio ingresso in casa era la prova che volesse fare presto. Ci ero rimasta un po’ male, ma non lo avevo dato a vedere.
«Io andrei...»
Finalmente il suo sguardo tornò a concentrarsi su di me. «Certo... Buonanotte, allora.»
Gli sorrisi e mi allungai per stampare un bacio sulla sua guancia, che riuscì a renderlo rosso dall’imbarazzo. «’Notte... Martin


va beeeene, è un po' lungo. lol 
ma comunque ho amato questo capitolo *u* il modo in cui Zack e Stephanie riescono ad andare d'accordo e divertirsi e comportarsi da amici quando non si ostinano a pensare di odiarsi è a dir poco dolcissimo :3 senza contare che lei comincia a fidarsi del "gemello cattivo" :o
Martin è tenerissimooooo *w* ahahah imbranato, ma davvero tenero. E Emma too


come sempre, hope you like it :)
alla prossima!


ps.



non è bellissima? *uuu* amo Nina Dobrev/Stephanie ahahah
  
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