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Autore: venerdi 17    09/07/2013    2 recensioni
Il mondo, tu, stretto in una mano, la mia.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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In questo capitolo faremo un salto temporale di qualche mese, e si svolge in Italia.
Buona lettura.
V.17
 
******************************
 
CAP. 38 - UN GIORNO LONTANO
 
Un giorno lontano
sorriderò persino,
ma adesso non ci sei più.
 
Domani per caso
confonderò il tuo viso,
ma adesso non ci sei più.
 
Non basta che giuri
che scorderò chi eri,
adesso, adesso ci sei tu,
nei miei occhi adesso ci sei tu,
nelle orecchie adesso ci sei tu…
 
Daniele Silvestri
 
**
 
Giovedì 3 Gennaio 2013 - Milano
 
Questi ultimi giorni sono stati… strani, sì, strani. Russel è il primo uomo che frequento che ho fatto conoscere alla mia famiglia, e con tutta me stessa spero che sarà anche l’ultimo, e non solo perché non desidero stare con nessun altro che non sia lui, ma anche perché è stato piuttosto stressante.
Vederlo gironzolare nella casa in cui sono cresciuta, seduto a tavola con noi il giorno di Natale, dormire abbracciata a lui nel mio letto da una piazza e mezza, mi sembra così… strano.
Non riesco a trovare una parola più adatta di questa.
Le cose tra noi hanno subito un’accelerata improvvisa. Probabilmente anche per il fatto che lui è stato per più di tre mesi a New York, e quindi l’unico modo che avevo per vederlo era andare a trovarlo a casa dei suoi.
Mi è mancato così tanto in quei tre mesi e mezzo, e le poche volte in cui andavo a trovarlo non bastavano mai a saziarmi di lui, anche perché avevamo sempre i suoi familiari attorno.
Suo padre e sua madre mi hanno accolta in casa come se fossi una figlia, per me è stato molto imbarazzante, soprattutto le prime volte, e soprattutto per le battutine che Connie rivolgeva sia a me che a suo fratello, almeno fino a che non sono passata al contrattacco cominciando a sfottere lei e Karen per tutte le loro smancerie. Connie sta facendo sul serio con Karen, le ha addirittura chiesto di trasferirsi da lei inventandosi la scusa che avrebbe bisogno di qualcuno che le desse una mano con le scartoffie della palestra. Karen sta giocando ancora a fare la preziosa, ma so che tra non molto alla Vicky perderemo una valida assistente.  
Ho conosciuto anche Liam, sembra un piccolo ometto, è molto sveglio e sempre allegro, ho intravisto un’ombra di malinconia nei suoi occhi solo il giorno in cui io e Russel siamo partiti per tornare a Los Angeles dopo che erano terminate le riprese del film. So che anche a Russel è dispiaciuto lasciarlo, gli vuole davvero molto bene. In realtà ho capito che gli piace proprio stare con i bambini, è divertente vederlo giocare con Susy, nessuno dei due capisce una sola parola di quello che dice l’altro, ma questo non impedisce loro di trascorrere intere serate distesi a terra nel soggiorno di mia sorella a giocare con le costruzioni facendo case e macchinine ogni giorno più grandi. 
A volte mi capita di pensare che la mia scelta di non avere figli potrebbe spingerlo a lasciarmi, non abbiamo mai affrontato l’argomento, e talvolta mi sale l’ansia perché temo che lui stia solo aspettando che io cambi idea, mentre altre volte mi angoscio perché ho ancora più paura che un giorno cambierò idea davvero, ma che quando lo farò forse sarà troppo tardi.
Anche se cerco di arginare simili pensieri, sempre più spesso mi chiedo come sarebbe, non tanto avere un figlio, ma avere un figlio da lui. E in quei momenti mi sembra di desiderarlo davvero. Una sera, mentre lo guardavo giocare con Susy, per un attimo me lo sono immaginato lì a terra a costruire un fortino assieme a un bambino di tre-quattro anni con gli occhi turchesi come i suoi che rideva mostrando una graziosa fossetta sopra la guancia. Per un attimo ho sorriso da sola come una cretina, ma un attimo dopo sono scattata in piedi alzandomi dal divano e ho detto a tutti che ero stanca e che volevo andare a dormire.
Non so se parlare o meno a Russel di questi miei vaneggiamenti, non vorrei illuderlo, ma diventa ogni giorno più faticoso ricacciare indietro le parole e soffocare simili pensieri.
Forse fino ad oggi ho scacciato l’idea di avere un figlio solo perché non mi ero mai innamorata e non pensavo che avrei mai desiderato trascorrere il resto della mia vita con qualcuno. Mentre ora che so che posso amare davvero e che con Russel ho sorpassato i limiti che mi ero imposta, non vedo più nessun impedimento perché io non possa superarne altri.
 
Anche portarlo con me per le vacanze di Natale è stata una scelta obbligata, e anche se all’inizio tremavo all’idea, adesso sono contentissima di averlo fatto. Avrei preferito aspettare, ma tra poco uscirà il suo film in Europa e in qualche modo i miei familiari avrebbero saputo di noi.
Mia madre non me l’avrebbe mai perdonato, ancora mi rinfaccia di essere venuta a conoscenza della mia relazione con Dario solo a causa del mio incidente. Per lei è stata una doccia fredda scoprire che le tenevo nascosto un rapporto che andava avanti da un anno. Non potevo rifare lo stesso errore.
Ho dovuto anche dire a tutti che forse un giorno verrà fuori la storia di papà, per fortuna non sembravano molto turbati, non almeno quanto lo sono io. Da quando sono uscite le foto di noi due che ci baciavamo per strada, in America i cacciatori di gossip ci stanno già addosso, ma per il momento non sono troppo invadenti. In fondo se quel giorno l’ho baciato davanti casa sua era proprio perché volevo che si sapesse di noi, perché dovevo fargli capire che niente mi terrebbe lontana da lui, nemmeno la mia riluttanza a finire sulla prima pagina di una rivista di pettegolezzi, e qualche volta ci siamo già finiti, con titoli assurdi che dicevano o che ero incinta, o che stavamo per sposarci, o che addirittura ci eravamo già lasciati. Che scrivano pure tutto quello che vogliono, a me non interessa.   
Quando per telefono ho detto a mia madre che sarei venuta a trovarli per le feste insieme a Russel, credo che abbia avuto un mancamento. Ancora non le avevo nemmeno detto che stavamo insieme.
Il secondo mancamento l’ha avuto quando le ho detto che lavoro fa. Russel era ancora in camera mia che dormiva, eravamo arrivati solo la sera prima e non avevamo avuto modo di parlare molto con lei perché eravamo stanchissimi. Mentre preparavo la colazione lei ha cominciato l’interrogatorio: Come vi siete conosciuti? Da quanto state insieme? Perché non mi hai detto che tu e Dario vi eravate lasciati? Quanti anni ha? Fate sul serio? Come si guadagna da vivere?
Dopo che le ho detto come si guadagna da vivere, non mi ha fatto nessun’altra domanda. Probabilmente quelle che voleva ancora farmi se l’è scordate tutte di botto, è rimasta in silenzio seduta su una sedia della cucina dimenticandosi anche di bere il suo caffè. Poi per un paio di giorni ha gravitato attorno a Russel studiandolo, probabilmente pensa che non me ne sia accorta, ma so che stava cercando di capire se lui fa sul serio o no con me. E lei non è certo un tipo da farsi abbindolare facilmente dalle smancerie, e anche se negli ultimi giorni la vedo molto più rilassata con lui, so che continua a non andarle molto a genio che faccia l’attore. Non me l’ha detto apertamente, ma so che pensa che non sia un lavoro serio, e forse incide anche il fatto che non avendo mai visto nessun film con lui, continua a non credere che sia davvero bravo e molto richiesto come invece le ho detto. Probabilmente pensa a lui come ad un attore di soap opera, e che, se un giorno gli sceneggiatori decideranno di far morire il suo personaggio, rimarrà senza lavoro.
In ogni caso, a parte la sua ancora evidente mancanza di entusiasmo per la nostra relazione, mi faccio un sacco di risate con loro due. Lei non sa mezza parola di inglese, ma, gesticolando e a volte irritandosi un po’, cerca lo stesso di farsi capire da lui, che a sua volta, non capendo assolutamente niente di quello che lei gli sta dicendo, cerca continuamente il mio aiuto incitandomi con lo sguardo, ma io invece di tradurre scoppio quasi sempre a ridere in faccia a entrambi. Tranne quando Russel, approfittando proprio del fatto che lei non capisce l’inglese, mentre siamo tutti e tre a tavola, fingendo di chiedermi di passargli una qualsiasi cosa e indicandola, in realtà mi dice cosa mi farà quando saremo a letto. La prima volta, rossa in viso come un peperone, ho sollevato gli occhi di scatto per guardare mia madre, e lei stava sorridendo a Russel compiaciuta per i suoi modi gentili. È proprio un attore con quella sua faccia da schiaffi. Allora io ho sorriso a mia madre, lei ha sorriso ancora a Russel, lui ha sorriso a me, tutti insomma stavamo sorridendo, ma io in realtà stavo solo pensando a come gliel’avrei fatta pagare. Dopo tre o quattro volte che mi faceva questo scherzetto, ho cominciato a chiedere io a lui di passarmi qualcosa, sorridendo e dicendogli cosa gli avrei fatto quando saremo stati da soli in camera mia. Dopo che durante un pranzo si è quasi strozzato con una forchettata di spaghetti, ha smesso di molestarmi, almeno con le parole, peccato per lui che io invece ci ho preso gusto e mi diverto a torturarlo anche la mattina a colazione, mentre lui e mia madre sorseggiano il loro caffè e io inzuppo i biscotti nel latte. Se mia madre sapesse quello che ci diciamo davanti a lei, sicuramente smetterebbe di sorridergli tanto.
Con mia zia Anna invece è stato amore a prima vista. La prima volta che l’ha visto mi ha trascinata lontana da lui e, testuali parole, mi ha chiesto: “Ma dove l’hai trovato quel fustacchione Californiano?” Da quel giorno non fa che ripetere che deve assolutamente venire a trovarci a Los Angeles.
Poi lei per fortuna parla benissimo l’inglese e fanno sempre delle lunghissime chiacchierate assieme. Quando non sono vicina a loro li vedo che mi guardano e sghignazzano, mi sa che se la spassano un mondo a sfottermi. 
 
«Ehi, che fai ancora lì?» chiedo a Russel vedendolo disteso nel mio letto, senza scarpe e con le braccia incrociate sotto la testa «Hai preparato le valige?» nega continuando a osservare il soffitto.
«Forse è meglio se ti sbrighi. Sai che prima di andare in aeroporto voglio passare… sì insomma, te lo ricordi, vero?»
«Certo che me lo ricordo» battendo una mano al suo fianco mi incita a sedermi accanto a lui.  
«Che c’è? Ti piace così tanto la cucina di mia madre che non vuoi più tornare a casa?»
«No. Cioè, sì, mi piace molto come cucina» dice mentre mi siedo sul letto «Però non vedo l’ora di essere a casa per poter fare l’amore con te senza dovermi preoccupare di tua madre che dorme nella camera accanto»
«Stai dicendo che ti sei stancato di giocare al pervertito davanti a lei?» chiedo piegandomi su di lui fino a sfiorargli le labbra con le mie.
«Assolutamente no. Però vorrei poter mettere tutto in pratica senza dovermi tappare la bocca con il cuscino»
Sorrido sulle sue labbra e dopo averlo baciato mi stendo al suo fianco, circondandogli la vita con una gamba.
«Ma c’è anche un altro motivo se non vedo l’ora di essere a Los Angeles»
«E me lo diresti?» chiedo, mentre infila una mano sotto al mio accappatoio per sfiorarmi la schiena.  
«Be’, sì. Penso che prima o poi dovrò dirtelo, anche perché riguarda te» risponde distrattamente.
«Allora dimmelo!» gli ordino impaziente.
Dopo qualche secondo, vedendo che non si decide a dirmelo, gli salgo a cavalcioni sullo stomaco e tra due dita afferro un ciuffetto di peli che esce dallo scollo a V della sua maglia.
«Parla o conoscerai il dolore che proviamo noi donne quando ci facciamo la ceretta» lo minaccio.     
«Non lo faresti mai» mi sfida sollevando un sopracciglio.
«Sei davvero sicuro?» chiedo afferrando meglio il ciuffo di peli chiari e torcendolo un po’.
«No, okay, so che lo faresti. Quindi molla prima che qualcuno si faccia male» supplica afferrandomi i polsi.
«Prima che tu, ti faccia male» puntualizzo, allentando poi le dita per liberargli i peli «Ora però parla, prima che cambio idea e decida di farti sapere quanto è doloroso depilarsi l’inguine»
Solleva le mani per farmi capire che si è arreso e finalmente inizia a parlare «Stavo pensando che quando arriviamo, dopo esserci riposati un po’, potremo portare un po’ di roba tua a casa mia»
«A casa tua c’è già un po’ di roba mia» gli ricordo.
«Sì, ma solo qualche vestito che ti serve per andare a lavoro quando rimani a dormire da me»
«Be’, è tutto quello che mi serve» ribatto, e lui sospirando solleva gli occhi esasperato.
«È assurdo continuare a stare un po’ da me e un po’ da te. E poi il mio appartamento è più vicino allo showroom, sarebbe più comodo anche per te se ti trasferissi definitivamente a casa mia»
Lo osservo corrucciando la fronte mentre lui sembra spazientito perché me ne sto zitta invece di rispondergli.
«Allora? Che ne pensi?» chiede sollevando un po’ i fianchi per scuotermi.
«Mi stavo chiedendo com’è che in una manciata di secondi sei passato dal portiamo un po’ di roba tua da me, al vieni a vivere a casa mia»
Sorride divertito scuotendo il capo «In realtà puntavo fin dall’inizio di chiederti di venire a stare da me, ho solo pensato che prendendola un po’ alla larga ti saresti spaventata meno»
«Non mi spavento di certo per così poco» minimizzo sollevando un po’ il mento e distogliendo lo sguardo per osservare il muro.
«Quindi verrai a stare da me» afferma pizzicandomi un fianco per attirare la mia attenzione.
«Devo pensarci»
«Hai paura»
«No, è che tu sei troppo disordinato»
«E tu invece sei troppo pignola»
«E poi il tuo frigo è sempre vuoto»
«Andremo a fare la spesa insieme o ordineremo la pizza tutte le sere»
«Devo pensarci» ripeto.
«Quanto?»
«Almeno…» mi picchietto un dito sulle labbra guardandogli il petto «Almeno… un paio di secondi. Okay, ci sto»
«Crudelia che non sei altro. Ti divertivi a tenermi sulle spine» dice gettandomi di lato sul letto.
«Forse. E comunque ho accettato solo perché mi piace il tuo loft. È così grande e luminoso»
«Non è vero, tu hai accettato perché mi ami e non puoi più stare senza di me»
«E tu come fai a saperlo?» chiedo appoggiandomi su un gomito e sollevando le sopracciglia per fingermi stupita.
«Lo so perché me l’hai detto anche stanotte» risponde slacciandomi la cintura dell’accappatoio.
«Tra quanto torna tua madre?» chiede lanciandosi sul mio seno.
«È uscita mezz’ora fa. Per andare da mia sorella, prendere Susy e tornare… penso che abbiamo almeno tre quarti d’ora»
«Perfetto» afferma, poi mi bacia mentre si sbottona in fretta i jeans.
 
**
 
Avevo giurato a me stessa molti anni fa che non sarei mai venuta qui, ma in questi ultimi mesi mi sono rimangiata tante di quelle promesse che mi ero fatta che non sono nemmeno più così certa di averci creduto davvero.
La ghiaia ghiacciata scricchiola ad ogni mio passo, stringo la gerbera gialla tra le dita e premo il cappotto contro il petto mentre continuo a seguire la mappa che ho stampata in testa da anni.
È la prima volta che entro in questo cimitero, ma ho sempre saputo dove avrei dovuto svoltare e dove guardare per trovare la tomba che sto cercando.
L’odore dei fiori freschi non riesce a coprire del tutto quello dei gambi marci in alcuni vasi, il fetore è talmente pungente che non posso fare a meno di arricciare il naso. I cimiteri mi danno la nausea, questi visi quasi tutti sorridenti sopra le lapidi sono un tale contrasto con la desolazione dell’ambiente e i volti tristi di chi li osserva. In luoghi come questo sembra che il tempo si sia fermato, che la frenesia, gli impegni, tutto ciò che fa parte del quotidiano di noi vivi non sia di nessuna utilità. Ci affanniamo tanto a cercare un po’ di tranquillità, e alla fine la troviamo solo quando ci chiudono in una bara, gettandoci qualche metro di terra sopra la testa e lasciandoci in un posto dove i fiori che marciscono dentro ai vasi appestano l’aria.
Sapevo che entrando qui dentro il buon umore che avevo accumulato in questi giorni si sarebbe dissolto, ma sono venuta lo stesso, ma solo ora che sto osservando la tomba di mio padre so perché questa mattina ho deciso di venire.
 
Non mi metterò a piangere o disperarmi per come sono andate o dovevano andare le cose. Sono qui solo per dirti addio. Per liberarmi di te, una volta per tutte. Non riesco a perdonarti per quello che hai fatto, non ci riuscirò mai, ma posso provare a perdonare me stessa perché ero solo una bambina e non potevo né capire che stavi male né quello che avevi intenzione di fare. 
Anche tu sorridi in quella fotografia, lo ricordo bene il tuo sorriso, avevi quel canino leggermente sporgente, ricordo come mi pizzicava quando ti divertivi a mordicchiami se tornavi dal lavoro e non era ancora pronta la cena, e io ridevo con te mentre fingevi di mangiarmi il braccio perché dicevi di essere “taaanto affamaaato, affamato come il lupo di Cappuccetto Rosso”. 
Vorrei davvero smettere di immaginarti morto dentro la tua auto e ricordare solo il tuo sorriso e le tue risate. 
Ridevo sempre tanto con te, e anche tu ridevi con me, e allora non capisco, continuo a non capire.   
Osservando Camilla con il suo pancione, suo marito e Susy in questi giorni di festa, ho capito che solo un dolore così immenso da far sentire già morto dentro potrebbe spingere un genitore fino a rinunciare a veder crescere i propri figli.
E tu un dolore così insopportabile lo conoscevi bene, e dopo tanti anni hai deciso di non volerci convivere più.    
Non mi sono mai soffermata a pensare cosa provavi tu, sono sempre stata troppo impegnata a rimuginare al modo in cui mi avevi lasciata, ero talmente imbrigliata nel mio dolore che non riuscivo a mettere da parte l’odio neanche per un solo istante per cercare di comprenderti. 
Però vorrei provarci, da un po’ di tempo comincio a pensare che forse se mi impegno di più potrei riuscire a capirti.
So cosa ti ha spinto, lo so da tutta la vita, e so anche che hai finto per sette lunghi anni che il senso di colpa non ti stesse logorando l’anima. So che non sei più riuscito ad andare avanti perché non avresti mai visto crescere uno dei tuoi tre figli, e so anche che hai finto che in realtà non maledivi te stesso ogni giorno per una stupida distrazione, per quella porta lasciata aperta mentre scendevi in strada perché avevi scordato in auto il regalo per un fratello che non ho nemmeno mai conosciuto. Non posso nemmeno immaginare cosa puoi aver provato a vedere l’auto che lo investiva davanti ai tuoi occhi, ma sono sicura che il tuo cuore si sia fermato nel momento esatto in cui si è fermato il suo sopra l’asfalto. 
Come so che si è fermato il mio quando ho capito che non ti avrei più rivisto, che non mi avresti più scaldato il latte la sera, che non ti saresti più disteso accanto a me nel mio letto per leggermi una favola mentre mi accarezzavi i capelli, quando ho capito che non ti avrei più potuto raccontare cosa avevo fatto all’asilo. 
Tu lo amavi, e se quel maledetto giorno avessi chiuso la porta invece di accostarla solamente, non ti avrebbe seguito in strada. Però poi sono nata io, è nata Camilla, lui non c’era più ma c’eravamo noi. E noi avevamo bisogno di te. Io avevo un disperato bisogno di te.  
Ma malgrado tutto, forse adesso riesco a capire il tuo dolore, solo ora che amo così tanto Russel che il solo pensiero di perderlo mi rende incapace di ragionare per qualche istante, e non solo perché oggi è lui che mi prepara il latte caldo, che mi accarezza la testa prima di addormentarmi e che mi chiede cosa ho fatto durante la giornata, ma soprattutto perché con lui ho ricominciato a sperare, a desiderare, a vivere.
Anche sapere che voi due non vi conoscerete mai è una piccola cicatrice, sai. A Natale eravamo tutti insieme a casa di mamma, mancavi solo tu, ma sono sicura che con Russel accanto mi mancherai sempre meno, non sarei qui se lui non fosse già riuscito ad alleggerire almeno in parte il mio cuore dai brutti ricordi. Certo, alcuni rimarranno, e quasi sicuramente saranno anche i più dolorosi, quelli che per quanti colpi di spugna tu cerchi di dare, se ne staranno sempre lì come una macchia ormai indelebile, ma non mi impediranno più di prendermi delle responsabilità nei confronti di un uomo che mi ama e che amo, né di affidarmi completamente a lui. 
Forse sono qui proprio perché voglio che tu sappia che ho accanto un uomo che con una semplicità disarmante è riuscito a sgretolare il muro che avevo eretto intorno a me dopo la tua morte. Forse perché vorrei alleggerire un po’ anche il tuo cuore facendoti sapere che ormai riesco a muovermi piuttosto agevolmente sopra alle macerie che sono rimaste, non cado più e non mi sbuccio più le ginocchia, sono diventata un’equilibrista che saltella da una pietra all’altra con agilità. 
Però, sappi che un pochino ti odierò sempre, mai quanto ti ho amato, ma un po’ di odio nei tuoi confronti ci sarà sempre, è un mio diritto. Lasciami almeno quello. 
 
«Credo… credo di averti detto tutto, o forse no, ma non fa niente, in ogni caso so dove trovarti, e so anche che non serve che venga fin qui se mi verrà in mente qualcos’altro. Ora… ora devo andare»
Sono proprio un’idiota, mi sento in imbarazzo davanti alla tomba di mio padre. Non mi sono mai concessa di immaginarmi in una situazione simile, ed ora posso dire che è stato molto più facile di quello che pensavo, forse perché questo era semplicemente il momento giusto.
Stringo il fiore e mi concentro soltanto sulla sua fotografia. Fa male guardarla, ma mi impongo di farlo perché vorrei portare con me solo il ricordo del suo viso allegro.
«Non so nemmeno qual era il tuo fiore preferito, quindi ti ho portato quello che preferisco io, spero che ti piacerà»
Un po’ titubante faccio un passo e con movimenti impacciati inserisco la gerbera al centro del mazzolino di fiori appena un po’ appassiti.
«Spero solo che tu sia riuscito a trovare la pace che cercavi. Addio, papà»
 
Mi volto e faccio a ritroso il vialetto che mi porterà fuori dal cancello di questo cimitero, sapendo che non ci metterò mai più piede.
Appoggiato al taxi, con le braccia incrociate, Russel mi sta aspettando. Solo lui sa che sono venuta qui, non volevo nessuno dei miei familiari con me, e malgrado le loro proteste perché volevano accompagnarci in aeroporto sono riuscita a spuntarla. Era una cosa che dovevo fare da sola, mi bastava sapere che Russel sarebbe stato a pochi metri da me.
Non dice niente, allarga le braccia e io affondo il viso nel suo piumino. Sono riuscita a trattenere le lacrime fino ad ora, ma abbracciata a lui sembrano non volersi fermare più, vorrei smettere di singhiozzare e dirgli tutto quello che mi sta passando per la testa in questo momento, ma so anche che non ce n’è affatto bisogno perché lui già lo sa. Ormai lui sa tutto di me, ed è così liberatorio sapere di non dovergli più spiegare niente.
Sciolgo l’abbraccio e mi asciugo gli occhi con le mani «Possiamo andare» dico guardando a terra mentre cerco un fazzoletto nelle tasche del cappotto.
Mi circonda le spalle con un braccio e baciandomi la fronte apre lo sportello del taxi «Okay. Torniamo a casa»
Mentre mi accomodo sul sedile per abbracciare meglio Russel, mi torna in mente la risposta che mi dette quando gli chiesi perché aveva pensato che Dario fosse così furioso con me da arrivare addirittura a picchiarmi, con una scrollata di spalle e l’espressione più ovvia che gli ho mai visto fare, disse semplicemente: “Perché io mi preoccupo sempre per te”.
Quello è stato il momento esatto in cui ho capito che desideravo stare con lui per tutta la vita, e anche quello in cui ho realizzato che forse, un giorno, un giorno lontano, sarei riuscita a gettarmi tutti i brutti ricordi dietro alle spalle e guardare solo avanti.  
 
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Vi confesso che sono piuttosto emozionata. Questo è il penultimo capitolo, e dopo più di un anno che mi diletto a scrivere di Reb e Russel mi sembra di stare per dire addio a due amici che amo tantissimo. Questo è anche il motivo per cui ci ho messo così tanto prima di decidermi a scriverlo. Io sono di quelle un po’ folli che quando stanno per terminare di leggere un libro, se mi è piaciuto tanto, lo lascio sul comodino anche per dei mesi prima di riprenderlo in mano per leggere le ultime pagine, mi affeziono ai personaggi, che ci volete fare.
Comunque, per chi ancora non lo sa, li ritroveremo nella storia che ho intenzione di scrivere con protagonista Luca.
Ora vi saluto, ma per l’ultimo capitolo, che sarà un altro pov di Russel, intanto ascoltatevi la canzone dei KISS che ho scelto per il titolo: I was made for loving you.
 
Ringrazio davvero tutti quelli che leggono, non m’importa come, sapere che ci siete è confortante e stimolante al tempo stesso.
 
Un bacio,
V.17

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PICCOLO… SPAZIO… PUBBLICITÀ…
 
SEX LIST

Questa sarà una raccolta di one shot ispirata al film SEX LIST - OMICIDIO A TRE.
Ho rubato l’idea del club che tramite una semplice telefonata smista a caso le richieste di incontri al buio tra gli iscritti. Ogni capitolo avrà due protagonisti diversi, che ancora non sono sicura, ma probabilmente non saranno solo di sesso opposto, che si incontreranno solo per fare sesso e solo un’unica volta.  

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