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Autore: AnotherrBreath    09/07/2013    2 recensioni
“Ama chi ti ama, non amar chi ti sfugge, ama quel cuore che per te si strugge. Non t’ama chi amor ti dice, ma t’ama chi guarda e tace.” –W. Shakespeare.
Lei sperava in una cosa del genere. Sperava che da qualche parte nel mondo ci fosse qualcuno che distruggeva il proprio cuore per pensare, sognare, amare lei. Ci sperava perché credeva nei sogni, nel destino, nei dettagli, negli sguardi, nei sorrisi, nelle piccole cose, quelle cose che non tutti riuscivano a notare. Perché tutti vedono ma pochi osservano e lei aveva osservato attentamente quel ragazzo e quasi se ne era innamorata, ma lei non lo sapeva, non se ne rendeva conto perché “troppo giovane” per conoscere il significato di una delle parole più temute e desiderate allo stesso tempo: l’Amore.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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“Si possono insegnare tante cose, ma le cose più importanti, le cose che importano di più, non si possono insegnare, si possono solo incontrare.„

- Oscar Wilde




2° CAPITOLO


Il secondo giorno di scuola, Serena lo passò tranquillamente prendendo appunti su un quaderno multifunzione e facendosi aiutare dalla professoressa d’italiano per segnare i libri che avrebbe dovuto ordinare.
Si trovava bene sola nel suo banco. A lei importava solo studiare anche se le sarebbe piaciuto che qualcuno le chiedesse solo una matita o i compiti fatti a casa. Giusto un po’ d’attenzione.
Mercoledì, le cinque ore volarono e si incamminò, come i due giorni precedenti, alla fermata dell’autobus. Aveva organizzato che sarebbe sempre salita sul terzo autobus che passava, per non soffocare nei primi due ma anche nella speranza di rivedere il ragazzo.
Era poco più distante dalla massa di scolari, quando si sentì toccare una spalla; Sussultò leggermente e si girò, trovandosi una ragazza mora con degli occhi grandi e scuri che la guardava con entusiasmo.
“Ciao! Piacere io sono Melissa” Sorrise porgendole la mano.
Serena gliela strinse sorridendo, felice dell’iniziativa che aveva preso la ragazza.
“Ho visto che non parli molto quindi mi sono detta perché non fare io il primo passo!”
Si vedeva subito che fosse davvero una ragazza allegra e solare e ringraziò il Cielo che esistessero ancora ragazze come lei!
“Anche a me piace stare da sola avvolte, sai? Quindi ti capisco.. Serena, giusto?”
Serena annuì divertita dalla parlantina di Melissa.
“Oh, è arrivato l’autobus! Ci vediamo domani, ciao!” Disse allontanandosi e immischiandosi nella folla.
Contenta della nuova conoscenza, si mise seduta su una delle panchine fuori dall’edificio dietro di se e pensò al trasferimento, che aveva già donato una svolta alla sua vita. Erano da anni che non riusciva a comunicare con qualcuno che non fosse sua madre e una nuova emozione si fece parte dentro di lei: la felicità.

Quando tornò a casa, Silvia era ai fornelli e splendente come sempre salutò la figlia.
“Come è andata oggi?” Le chiese asciugandosi le mani sullo strofinaccio.
“Bene..” Non voleva dirle di Melissa, avendo paura che il fato giocasse una delle sue solite carte.
La giovane iniziò ad apparecchiare andando avanti e dietro per la cucina.
“La cena di domani è confermata” Mise nei piatti le fettine e si sederono.
“Mh, bene”
“E’ solo una cena, Serena. E poi non sei curiosa di conoscere il figlio di Adele?”
Serena ci pensò e.. si lo era, ma non disse niente, continuò solo a mangiare.
Mentre stava mandando giù l’ultimo boccone, le vibrò il telefono nei pantaloni; lo tirò fuori e rispose.
“Papà!” Urlò quasi, alzandosi per andare in camera.
“Ciao tesoro, come va lì?” Sentì dire dall’altra parte.
“Bene, tu?” Chiuse la porta e si sedette sul letto.
“Me la cavo.. Scuola?”
“Sempre uguale..”
“Capito.. e tua madre?” Non si stupì di quella domanda. Sapeva che lo chiedeva solo per farla contenta e non perché le interessasse veramente. Faceva così da anni e non capiva come il padre non si rendesse conto che la figlia essendo cresciuta, con lei alcuni trucchetti non funzionassero più, ma forse era diventata un’abitudine.
“E’ in cucina” Rispose raffreddando il tono.
“Scusa piccola ma devo tornare a lavoro, ci sentiamo questa sera. Ah e sempre lontana dai ragazzi, mi raccomando”
A Serena scappò una piccola risata e lo salutò.
Si abbandonò sul letto e chiuse gli occhi. Troppi pensieri che la torturavano, troppe preoccupazioni tutte insieme. Le venne da piangere ma si addormentò dopo pochi minuti.

Quando si svegliò, aveva una leggera copertina che le mandava calore, che la fece sentire al sicuro. Guardò il telefono accanto a lei e toccò il cerchio in basso, accendendolo: aveva dormito per due ore.
Si alzò e subito prese la borsa appesa alla sedia della scrivania e uscì dalla stanza.
“Io esco!” Urlò e chiuse la porta alle sue spalle.
Aveva bisogno di ritrovare in se stessa la forza giusta e solo in un modo poteva farlo.

Si ricordò del tragitto fatto giorni prima, quando si era appena trasferita e con un po’ d’orientamento e fortuna, riuscì a trovare ciò che stava cercando.
Il parchetto era ancora meno affollato dell’ultima volta e subito una pace la travolse. Dirigendosi verso il suo amico albero non si guardò in intorno, ma piuttosto le margherite che cercava di non calpestare.
Quando raggiunse la pianta, si buttò sotto e aprì la borsa, proprio come la volta scorsa. Tirò fuori i libri e l’agenda per poi continuare a leggere e ricopiare.
Mentre scriveva, ritrovò la serenità, la tranquillità e soprattutto se stessa. Ma ad una frase in particolare, delle lacrime silenziose le rigarono le guance e un altro vortice di malinconia la travolse. Si accorse solo dopo di essere accompagnata da delle note di una chitarra, mentre rileggeva le parole nella sua mente.
Si girò verso destra e lo rivide.
Appoggiato al tronco di un altro albero solitario mentre produceva note di una canzone a Serena sconosciuta o non molto importante da distoglierla da quello stato di ipnosi.
A bocca aperta, come un pesce, osservava il suo viso concentrato. E le sue mani che scorrevano sulle corde.
Quando tornò cosciente si disse che non si sarebbe fatta sfuggire anche quella occasione, che bastava andare lì e presentarsi come aveva fatto Melissa con lei.
Ma se lo avesse disturbato?
Se non gli piacessero le ragazza come lei? O se proprio non gli piacessero le ragazze?
Si fece così tante domande tutte insieme che una tempia le iniziò a pulsare.
Doveva smetterla di far sovrastare la timidezza; lei era più forte e aveva abbastanza sicurezza per muoversi. Ma naturalmente, non mosse un capello.
“Avanti Serena, ce la puoi fare” Disse a se stessa sussurrando.
Si alzò in piedi per poi pulirsi il didietro dei pantaloni. Subito riconcentrò lo sguardo sul ragazzo.
Fece due passi per poi fermarsi. Doveva valutare un attimo la situazione e prepararsi su cosa dire.
“Ciao, ti ho visto qui.. no.. ciao, sono già tre volte che ti vedo e.. no.” Provò a formare delle frasi ma nessuna sembrava al suo caso.
Basta, si era decisa: avrebbe improvvisato.
Fece altri cinque passi trovandosi a metà tra i due alberi. Lo guardava dritto il volto, mentre lui ancora suonava.
Fece altri due passi e una gamba le iniziò a tremare.
“Merda!” Disse mentalmente.
Tirò fuori il telefono dalla tasca e risposte scocciata; era sua madre.
“Pronto?”
“Serena, ma dove sei?” Chiese Silvia dall’altra parte del telefono con tono preoccupato.
“Sono al parco, mamma!” Disse alzando gli occhi al cielo per poi subito ritornare al ragazzo che ora la stava fissando.
Non le importò più della voce alterata della madre o dei pensieri che prima l’assillavano.
Ora c’erano lui e i suoi occhi. Quello sguardo le sembrò durare minuti, ore! Era uno sguardo da.. amico. Sembrava che lo conoscesse da tutta la vita.
“Serena?! Che cavolo stai facendo? Mi vuoi rispondere?!” Il trillo della voce di Silvia la fece risvegliare.
“Si.. m-mamma, scusa ero distratta.. dimmi” Balbettò quasi.
“Vieni a casa, subito! Mi devi aiutare a preparare il dolce per domani.”
“Ok arrivo” Attaccò e prima di girarsi diede un altro sguardo al ragazzo distante dieci metri e già era tornato a suonare lo strumento che aveva sulle cosce.
Scoraggiata e senza parole, rimise dentro i libri senza dargli molta importanza e si allontanò a passo svelto.
Un’altra occasione bruciata. Ma almeno, non era stata tutta sua la colpa.

“Lo sai che hai un tempismo perfetto?” Serena si rivolse alla madre con tono acido, mentre impastava la pasta che sarebbe diventata una crostata.
“Cosa?” Anche Silvia era in sovrappensiero. Le capitava spesso di pensare all’ex marito.
Aveva voluto il trasferimento per non soffrire, ma invece la distanza stava peggiorando le cose.
“Niente” Rispose la figlia amareggiata.
“Fragole, ciliegie o frutti di bosco?” Chiese la madre mentre si allungava ad aprire lo sportello in alto per prendere la marmellata.
“Mh.. frutti di bosco”
“Speriamo gli piaccia”
“Com’è stata la tua prima cotta? Cioè, come ti comportavi” Le chiese Serena all’improvviso senza guardare in faccia la madre, che si trovò totalmente impreparata.
“Beh..se non ricordo male è stata a sedici anni e lui era più grande di me di sei.. non è stata molto facile e serena, in realtà.” Aprì la marmellata e si leccò quel che le era finito sul dito.
“Perché?”
“Ci ho messo un anno per farmi notare da lui e quando è successo, tuo nonno non riusciva ad accettare che avessi un ragazzo così tanto più grande”
“Cosa.. hai fatto per farti notare?” Esitò per un momento, ma era quella la domanda alla quale voleva che la madre rispondesse. Intanto prese la teiera e ci inserì la pasta.
“Ero proprio come te: timida, riservata e sognatrice, quindi non facevo molto, ma un giorno inciampai uscendo da un negozio e il destino decise di esaudire i miei desideri, anche se in un modo un po’ imbarazzante” Rise, rituffandosi in quei ricordi mentre appiattiva l’impasto per darle la forma.
“Quindi dici che è tutto merito del destino, se ci succedono o no delle cose?” Guardava in silenzio Silvia che buttava sopra la marmellata e la spalmava con un grande cucchiaio, mentre pensava al ragazzo.
“C’è chi crede in Dio e io credo nel fato” Sorrise alla figlia per poi posizionare sopra delle strisce di pasta.
Insieme misero la crostata nel fornetto, mettendo il timer e il calore.
Stanche di quel lavoro e di quelle parole, si riposarono sulle sedie della cucina, mentre si immergevano nei propri ricordi.

Quando Serena uscì dalla doccia, si precipitò sulla borsa e tirò fuori tutto ciò che conteneva. Silvia la rimproverava spesso sul disordine e ci teneva che tutte le cose venissero messe al loro posto, subito dopo l’utilizzo.
Alla ragazza prese un colpo. Ricontrollò tre, quattro, cinque volte ma niente; il quadernino non c’era.
Non respirò più per qualche secondo, poi una lampadina si accese nella sua mente: il parco. L’aveva perso là sicuramente.
Si vestì velocemente e senza asciugarsi nemmeno i capelli, uscì.
Era persa senza quel quaderno. Era tutto per lei. Era tutta lei. Maledì il ragazzo che le stava facendo perdere la testa e il controllo. Non sapeva se odiarlo o perdonarlo, per quello che le stava combinando nella testa. Di sicuro, se l’avesse odiato, sarebbe stato tutto più semplice.




Saalve gente!
Eccomi qui con questo capitolo fresco fresco. Allora, parto dicendo che so che è noioso, nemmeno tanto lungo e non succede molto, ma VI PROMETTO che nel prossimo ci sarà una svolta e non ci saranno più solo sguardi, quindi vi prego di non abbandonarmi ahahah.
Ringrazio Seven che ha recensito gli altri due capitoli, dandomi anche dei consigli molto utili. :)
Detto ciò, mi farebbe molto piacere sentire cosa ne pensate.. Anche se non vi piace, io lo accetto e se c’è qualcosa che non quadra, ditelo tranquillamente!
Vi ringrazio e a presto!
Baci
  
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