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Autore: MelKaine    22/01/2008    37 recensioni
Il piccolo Harry Potter ha sei anni e non ha assolutamente idea di cosa significhi essere felice. Quando viene portato via dalla famiglia dei suoi zii la sua vita è destinata ad intrecciarsi con quella di Severus Snape, giovane maestro di Pozioni. Una storia sulla compassione e l'affetto, il cuore di tutto ciò che è amore.
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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The Heart of Everything 8
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Wow, abbiamo passato le 100 recensioni, yayyyy!!! Grazie di cuore a tutti. Chiedo scusa se sarò velocissima nei ringraziamenti di oggi, benché ne meritiate più del solito, ma domani, che fra le altre cose è il mio compleanno, ho ben 2 esami e sono un attimo in crisi. Quindi partiamo senza indugio. Grazie mille a gokychan (la prima e velocissima), Jerada (uh uh no, la piattolona no!!), Lexie89 (parte ora la raccolta fondi assistenziale per mandare Harry a Lourdes), Aki-chan (a Sorier puoi fare quello che vuoi, te le regalo come anti-stress), Summer84 (Sev si sveglierà, promesso!), Tigre94 (in effetti continuo a dirmi stupita di me stessa, di solito sono sempre in ritardo, strano... Sorier viene nominato spesso nel capitolo 6 e nel 7, è uno studente Slytherin del quinto anno), pikkola prongs (grazie cara!), sparta (sono felice che la storia ti abbia coinvolta, mi sa che Sorier rischia davvero grosso con tutte voi uh uh), sam89 (no, causa no, poi in galera non mi fanno scrivere e Sev non aprirà mai gli occhi...nuuuuu), iaco (ecco il prox chap pieno di novità), ila ( grazie mille), Elysion (grazie di cuore, mi sento molto incoraggiata, in questo chap Sev avrà modo di riscattarsi, dai) ^______^ Oh, come mi piace scrivere di Sev quando fa il figo...  Ancora grazie a ellinor (uh uh Sev un po’ fesso lo è a questo punto), Lizard (grazie mille per il commento), bufyna (scusa l’attesa, oggi come di consueto è il prima possibile per me), Kary91 (in effetti anch’io sono curiosa di sapere come va avanti, eh eh eh, diciamo che scrivo volta volta e non so bene, ogni tanto mi chiedo come finirà questa storia...), LadySnape (no, la fine è ancora lontana te lo assicuro, anch’io adoro il nomignolo uomo-Sevreus ^_^), hocuspocus ( wow, grazie per l’accurato commento, spero davvero di mantenere le tue aspettative, forse qualcosina di inatteso accadrà, anche se non ho ancora deciso, il ‛serpentello postulatore’ mi piace molto come termine uh uh), dario (grazie di cuore anche a te per il tuo commento), rotavirus (in effetti sono un po’ cattivella con il piccolo Potty, ma saprò farmi perdonare, forse...) e lake (hai anticipato due cose importantissime di questo capitolo quindi non posso dirti molto, per quanto riguarda il carattere di James, credo che Snape intenda la frase più come ‛ci vuole ben altro oltre un’idiotissima propensione agli scherzi per fare un uomo’, anche se in effetti la tua indignazione è più che giustificata. Riguardo ad Harry, Snape non lo sa che cosa ha patito fin’ora... scusa per la conclusione ad effetto del capitolo precedente, ma adesso eccoci al ‛Sev alla riscossa’). Un ringraziamento particolare a bombottosa, che oltre ad aver fatto vincere la mia squadra al laser game mi ha aiutato con alcuni problemi tecnici di questa storia, riempiendo le mie molte lacune mentali. Grazie, tesora! Oh, ho corretto un paio di errori nel chap precedente, giusto per avvertire. Dunque, capitolo 8! Questi capitoli mi diventano sempre più lunghi, bah! Ed ho sviluppato un masochistico gusto nel finirli tutti così, poi... ATTENZIONE: piccolo spoiler del settimo libro sui sentimenti di Snape. Finalmente le scene che tutti aspettavamo (sì, me compresa, yayyyy!!!). Buona lettura!

Mel Kaine

 

 

 

 

                                                                    The Heart of Everything

 

 

 

Capitolo 8 - / Deceived right from the start /


 



La vista gli si annebbiò per pochi, tremendi istanti, mentre il suo corpo atterrava dolorosamente accanto ad un tronco muschiato.
Poco dopo Severus Snape, maestro di Pozioni ad Hogwarts, spia agli ordini di Albus Dumbledore e potente mago, era di nuovo in piedi.

Ci voleva ben più di un semplice ‘Stupefy’ lanciato da un ragazzino del quinto anno per privarlo dei sensi…

Ma la bacchetta era persa fra le foglie che tappezzavano i margini della Foresta Proibita.
Poco lontano rumori di passi su quelle stesse foglie.

Severus si lasciò sfuggire un ringhio quasi disperato.

L’uomo incappucciato stava rapidamente sparendo fra le frasche.
Il piccolo Potter ancora nella sua morsa.

Senza sprecare istanti preziosi il giovane professore si lanciò contro il suo studente.
Il ragazzo, colto di sorpresa, non ebbe tempo per castare un altro maleficio e venne disarmato.

“Chi è quell’uomo? Dove sta portando il bambino? Signor Sorier, farà bene a parlare, ADESSO!” gli gridò.

Il ragazzo, schiacciato a terra, in tutta risposta gli sputò in viso.

“Il mio nome non è Sorier, io sono Rosier, Jerome Rosier, fratello dell’uomo che tu hai ucciso tradendo la causa del nostro Signore!”

Gli occhi di Snape si socchiusero, due lame di incomprensione e furia.
Non aveva tempo per il ragazzo e sapeva che non avrebbe ricavato altro da lui.

A gran voce prese a chiamare il nome del guardacaccia.

Hagrid corse fuori dalla sua capanna, le mani ancora impastate di farina.
“Professore, cosa diamine sta succedendo?”

“Hagrid, presto, prendi in custodia il ragazzo, portalo da Dumbledore, è un seguace del Signore Oscuro!”

Subito le enormi, bianche mani del mezzogigante afferrarono saldamente le spalle del giovane Slytherin.
“Io devo andare! Avverti il Preside che il bambino è stato rapito. Fa’ in fretta!”

Hagrid si lasciò scappare una robusta imprecazione e subito sollevò il ragazzo, affrettandosi verso l’entrata del castello.

La bacchetta del signor Sorier, o chiunque altro fosse, in mano, il cuore in gola, una scarica potente di adrenalina lungo la colonna vertebrale.
Severus scomparve nella Foresta Proibita sulle tracce del rapitore di Harry Potter.



Harry sentiva gli occhi sempre più umidi.
L’uomo tutto vestito lo stringeva troppo forte.
Faceva male!
Aveva ancora la bocca coperta da una delle sue mani e non riusciva a respirare bene.

Perché lo stavano portando via, lontano dall’uomo-Sevreus?
Lui non voleva andarsene.

Provò miseramente a divincolarsi.
L’uomo strinse la presa e sibilò: “Sta’ fermo, moccioso. O ti sgozzo come un maiale!”
Harry ubbidì in preda al panico.
Qualunque cosa significasse non credeva che essere ‘sgozzati’ fosse una cosa piacevole e felice…



Al diavolo gli aristocratici manierismi inglesi!
Severus corse come se avesse avuto la Morte stessa alle calcagna.
Nella fitta penombra e nell’umido gelo delle fronde.
Sapeva perfettamente qual era la meta del rapitore.

I confini nord della Foresta Proibita erano anche i confini che segnavano la fine della barriera magica anti-apparizione che Albus aveva eretto attorno alla scuola. Lasciare che li passasse con Potter voleva dire perderlo per sempre.
Affastellati nella sua mente migliaia di dubbi e di domande e di supposizioni riempirono il silenzio affaticato della sua lunga, estenuante corsa.

Chi era quell’uomo?
Cosa voleva?
Sapeva di Potter?
Come aveva fatto ad entrare ad Hogwarts?
Cosa aveva a che fare con questo il signor Sorier?
Era quello il motivo per il quale lo aveva seguito per giorni?
Rapire il bambino?
Ucciderli?

Domande su domande.
Nessuna risposta.

E nemmeno ce n’era il tempo.

Ad ogni costo lo avrebbe riportato indietro.
Parola sua.


Un guizzo nero e le forze che stava rapidamente perdendo, assieme al fiato, gli tornarono.
Erano vicini.
Ma il nero sul nero si confondeva nelle ombre.
Più di una volta credé di aver sbagliato direzione, di averli persi e la vista pareva ingannarlo.
Scavalcò un tronco abbattuto e si gettò nella radura di fronte.

Un attimo e sentì l’aria saturarsi di elettricità, come prima dei temporali.
Ma sapeva perfettamente che non era la pioggia imminente.
Magia.

Castò un ‘Protego’ puramente per istinto, un momento prima che un potente maleficio si ponesse irrimediabilmente fra lui ed il continuo della sua esistenza. Si nascose dietro un albero, il cuore batteva inferocito contro le coste del suo petto, la gola pulsava, così come le sue tempie.

In silenzio maledisse Albus Dumbledore più e più volte.


Un altro guizzo.
L’uomo stava fuggendo di nuovo.

Un altro scatto, un ramo basso, un altro ‘Protego’.
Non poteva contrattaccare e correre il rischio di colpire anche il bambino.
I confini della Foresta erano vicini, troppo e la distanza fra lui e Potter troppo grande.

Alla fine di quella distesa di impressionantemente identiche querce c’era l’ultima radura.
Era imperativo raggiungerli prima, assolutamente.

Il sudore gli scorse freddo sulla pelle umida ed un’idea folle si fece strada nei meandri in panico della sua mente.
Dannazione, a conti fatti non era nemmeno un piano inutile.
Un paio delle sue ossa valevano sicuramente la vita del Bambino Sopravissuto…
Non che lui fosse di quell’esatto parere, ma aveva scelta al momento?

Si volse, gli ultimi alberi davanti a sé, lasciò fluire le parole dalla sua bocca con una sicurezza che non avrebbe dovuto provare.
Il suo corpo si alzò come una foglia secca nel primo vento di ottobre, spostato dalla potente onda d’urto della magia ‘Ascendio’ che aveva castato su se stesso.
Pregando di non incontrare molesti ed ipoteticamente mortali ostacoli si lasciò gettare in aria verso la radura, ad una velocità impressionante.
L’uomo incappucciato non aveva messo che un piede sull’erba e già stava cercando nelle tasche quella che probabilmente era una Passaporta di pessima qualità.

Severus atterrò vicino all’uomo, rotolando nell’erba con un gemito soffocato, la mano stesa, le dita che si serrarono in un lampo attorno ad un lembo di quel mantello scuro.

Giusto il tempo di sentire il consueto strappo dietro l’ombelico…

…ed un pensiero.



‘Ah, le gioie di essere Severus Snape…’




Quando il nauseabondo effetto della Passaporta si fu esaurito Snape ebbe la spiacevole sensazione di non essere solo con il rapitore di Potter.
Un calcio ben assestato nello stomaco ed uno nella schiena, contemporaneamente, furono un’ottima prova scientifica per la sua teoria.
Tossendo e riparandosi il viso con le braccia Severus prese fiato, tentò in un secondo momento di spostarsi da quello che riteneva fosse il centro dell’azione, ma quattro mani robuste provvidero a tirarlo su, mentre un altro uomo incappucciato lo perquisiva e sequestrava la bacchetta che lui aveva, per l’appunto, sequestrato al signor Sorier. Con suo sommo disinteresse lo vide spezzarla e gettarla via.
Il silenzio era pesante come la pietra.
Immediatamente Severus si volse, cercando con gli occhi la piccola figura del figlio dei Potter.

Il bambino lo fissava intensamente da dietro la mano dell’uomo, un braccio saldamente premuto sul torace, i piedi ad almeno mezzo metro da terra. Severus ebbe il tempo di sorprendersi. Quegli occhi verdi non erano nemmeno bagnati di lacrime…

Rudemente uno degli uomini gli afferrò il mento, stringendo fastidiosamente e lo scrutò con attenzione.

“Sì, è Severus Snape”.

Il giovane professore sbuffò in pieno scherno.

“Cos’è successo, Wilkes?”

Oh, perfetto!
Possibile che ad avere a che fare con un Potter ci si doveva trovare, poi, indiscriminatamente circondati da un branco di asini imbecilli?
A che scopo il cappuccio se andavano tranquillamente in giro chiamandosi per nome?

“Si è attaccato al mio mantello mentre attivavo la Passaporta…”

“Perfetto! – Superfluo menzionare quanto Severus non fosse dello stesso parere, ovviamente… – Due al prezzo di uno, preparate la cella!”

“Ed il bambino?” chiese l’uomo con il piccolo Harry in braccio.

“Era solo un’esca che, a quanto pare, ha funzionato molto prima del previsto. Imprigionateli insieme, non ci serve”.

Le quattro mani che lo sostenevano presero a spingerlo verso un oscuro corridoio. La stanza in cui si trovavano sembrava il sotterraneo di un vecchio edificio, probabilmente una villa. Uno sguardo furtivo lo rassicurò del fatto che anche Potter stava venendo portato via con lui. Per il momento ritenne opportuno rimanere in silenzio. Aveva bisogno di riavere il bambino fra le mani prima di tentare qualsiasi tipo di fuga.

“Entra, bastardo!” gli venne gridato alle spalle ed in un attimo lui e Potter furono a terra, in una stanza semibuia e sporca come l’aula di Pozioni dopo due ore di irrimediabilmente maldestri Hufflepuff.


Severus si rialzò, imprecando.
Immediatamente si lasciò scivolare contro un muro.

La sua caviglia lanciò un’acuta fitta di protesta.
Snape analizzò freddamente la situazione.

Si trovavano nella prigione di una villa probabilmente sperduta all’altro capo del mondo, con Harry Potter da proteggere e la cui cicatrice sarebbe riapparsa in un tempo variabile fra le venti e le ventuno ore e la sua caviglia non era affatto contenta di appartenergli.
Il suo ‘volo’ nella radura gli era costato qualche legamento ed una sicura distorsione, se non peggio. Aveva perso la propria bacchetta e successivamente anche quella del suo studente ed anche se Dumbledore poteva trovarli non sarebbe comunque riuscito a raggiungerli in tempo prima che la cicatrice riapparisse sulla fronte di quello che, a detta di molti, era l’unica speranza del Mondo Magico. Inutile puntualizzare che per lui non fosse altro che un’enorme seccatura in formato ridotto…

Sospirò pesantemente.


Il piccolo Harry si rialzò con cautela, poggiando tutto il suo misero peso sul braccio destro e rimettendosi in piedi. Sentì l’uomo-Sevreus dire qualcuna delle cattive parole che Dudley imparava a scuola e gli cantilenava quando Zia Petunia non li sentiva e poi lo vide scivolare a terra, contro il muro e sospirare.
Non capiva perché era stato portato via dall’uomo tutto coperto attraverso una foresta e nemmeno sapeva cos’era stata quella bruttissima sensazione dentro la pancia quando tutti gli alberi erano spariti e si erano trovati in mezzo a tutti quei signori spaventosi. Aveva ancora male al viso, tanto l’uomo aveva pigiato forte sulla sua bocca. Ma almeno adesso era assieme all’uomo-Sevreus e forse le cose non sarebbero andate così male. In silenzio si avvicinò piano e sedette a terra, ad un braccio di distanza dal mago vestito di nero. Appoggiò il mento sulle ginocchia piegate al petto e sospirò anche lui.



Severus si sforzò di ricordare.
Il tradimento del suo studente lo aveva destabilizzato leggermente.
Il ragazzo aveva negli occhi un odio che non gli era sconosciuto.
L’odio del dolore e della perdita, la pena che ti consuma dentro nella ricerca della vendetta e della liberazione dal male, la pungente agonia dell’ineluttabilità di quello che è stato e che mai più potrà cambiare.
Oh sì, Severus Snape conosceva a fondo quei sentimenti.
Li aveva visti per anni nel fondo dei propri occhi, ogni terribile mattina davanti allo specchio nei suoi quartieri vuoti e silenziosi come tombe consumate dal tempo e dimenticate. La sua anima implosa e stracciata ne era stata il vessillo e da anni giaceva immobile, esangue, come morta nella ragnatela di ‘ma’ e ‘se’.

Ma tutto questo non rispondeva ai suoi interrogativi.
Il ragazzo aveva detto di chiamarsi Rosier.
Un’anagramma dunque.
Un tempo Severus conosceva un certo Rosier, Evan Rosier, uno dei seguaci più fedeli del Signore Oscuro, morto nella Prima Guerra.
Benché il collegamento effettivo gli sfuggisse Severus sapeva che il ragazzo lo riteneva responsabile della morte del fratello e probabilmente anche gli uomini che li avevano gettati lì dentro erano coinvolti in una sorta di personale crociata contro gli infedeli traditori. Anche Wilkes era un cognome familiare…
Severus non dimenticava mai un nome, un volto o una voce.
Non aveva sentito parlare tutti i loro nemici, ma per quanto riguardava l’uomo che aveva rapito Potter e l’altro, quello in comando, poteva affermare con certezza di non averli avuti come compagni nel circolo privato di Lord Voldemort. Non riusciva ad afferrare il senso pratico di tutta la vicenda e questo lo teneva in allarme. Dovevano fuggire prima che la cicatrice ricomparisse, prima che la vita del bambino corresse seri pericoli. Aveva come l’impressione che presto i veri DeathEater sarebbero arrivati e nessun fedele servo dell’Oscuro Signore avrebbe mostrato clemenza verso il diretto responsabile della scomparsa del loro venerato Lord.
Potter doveva essere portato fuori di lì entro venti ore al massimo.

Snape provò a muovere il piede. Ricompensato generosamente da un tremendo dolore che s’irradiò verso la gamba, decise saggiamente di evitare ulteriori sperimentazioni. In quelle condizioni non sarebbe andato lontano. Chiuse gli occhi e cercò di espandere la sua innata magia. Con i bordi della sua aura magica tastò il luogo alla ricerca di barriere anti-apparizione. Ovviamente ne trovò. Non potenti come quelle di Hogwarts, ma comunque d’impedimento.

Improvvisamente le sue accurate riflessioni vennero interrotte da un cigolio sinistro. La porta ruotò sui suoi robusti, poco oliati cardini ed un uomo incappucciato entrò, sorreggendo un vassoio. Senza una parola posò a terra ciò che aveva in mano e si richiuse la porta alle spalle.

Snape pensò fosse ora di cena.
Si volse verso il bambino-Potter.

“Vai a prenderlo, ma non mangiarne” ordinò.

Subito il bambino scattò in piedi e dopo un paio di inefficaci tentativi riuscì a sollevare il vassoio di ferro e portarlo all’uomo.

Il piccolo Harry non si era affatto stupito per quelle parole. Sapeva che i signori coperti che li tenevano lì probabilmente erano cattivi, forse anche più cattivi di Dudley, ma certamente non più cattivi di Zio Vernon, e che li avrebbero tenuti lì dentro per diverso tempo. Era ovvio che l’uomo non volesse dividere il cibo, Harry non lo meritava e non gli era permesso toglierlo ai grandi.

Snape annusò cautamente il cibo. Il suo naso di esperto pozionista poteva fare la differenza. Il pane non sembrava adulterato ed i due piatti di brodosa minestra non sembravano avvelenati. Ancor più cautamente Snape ne mangiò un cucchiaio. Lentamente ne assaporò la consistenza ed il retrogusto.
Finalmente soddisfatto la classificò semplicemente come una zuppa di pessima qualità.
Si volse alla sua sinistra.
Il bambino si era seduto di nuovo a terra, a debita distanza e non aveva nemmeno chiesto se poteva avere del cibo, eppure avrebbe dovuto avere fame dopo tutte le attività, più o meno consone, del pomeriggio.
Snape sollevò un sopracciglio. Con attenzione travasò metà del suo piatto di minestra in quello accanto e spostò di lato i due piccoli panini. Prese soltanto il piatto mezzo vuoto e spostò il vassoio verso il bambino.

“Adesso mangia”.

Due occhi verdi lo scrutarono un istante, prima che una mano tremante tirasse più vicino il piatto.

Il piccolo Harry pensò che quella zuppa fosse cattiva visto che l’uomo-Sevreus gliene aveva data metà in più. Nessuno dava mai niente di buono al piccolo Harry, perché il piccolo Harry non meritava niente e questa cosa non sarebbe mai cambiata. Lentamente ne assaggiò un cucchiaio. Non sapeva di cenere o di detersivo e nemmeno di polvere. Era tiepida, ma più buona delle ossa o delle briciole che Harry era abituato a mangiare. Il bimbo la inghiottì lentamente, chiedendosi perché gli fosse stata data, visto che era buona.


Nella stanza faceva freddo. L’umidità aveva coperto i muri di una sottile patina di condensa. Il respiro pareva, a tratti, doversi trasformare in candide nuvole ad ogni istante. Severus posò lontano da sé il piatto ormai vuoto. Il bambino-Potter stava ancora mangiando la sua minestra. Appariva così piccolo e minuto contro il grigio della pietra, nei suoi abiti nuovi già sporchi di terra e foglie e polvere.
Sentiva che qualcosa non era… al suo posto.
E la fastidiosa sensazione non era affatto recente. Non fece in tempo a ricordare altri, anormali particolari che vide il bambino alzarsi e correre sgraziatamente verso il lato opposto della loro prigione. Un attimo dopo la zuppa, che così lentamente Potter aveva ingoiato, giaceva sul pavimento in una piccola pozza informe. Snape sospirò un’altra volta.

“Posso capire che la cucina di questo posto non sia nemmeno lontanamente paragonabile a quella di Hogwarts, ma non mi sembrava necessaria questa dimostrazione melodrammatica…”

Il bambino si volse di scatto, sussultando.
“Mi dispiace, signore. Mi scusi, signore”.

Oh, era stato di nuovo cattivo. Nonostante l’uomo-Sevreus lo avesse lasciato persino mangiare, Harry non era riuscito a trattenersi. Aveva cercato di ingoiare ancora ed ancora, di non respirare, di portarsi una mano alla bocca, ma semplicemente qualsiasi cosa si rifiutava di restargli troppo a lungo nello stomaco. E adesso aveva di nuovo male alla pancia. Non sapeva proprio che altro fare, tranne scusarsi.
Sentì l’uomo sospirare una terza volta.

“Vieni qui. Mangia questo adesso” disse Snape, porgendogli uno dei due panini.

Con circospezione il bambino-Potter lo prese e lo sbocconcellò con la stessa lentezza della minestra.
Pochi minuti dopo anche i resti del povero panino si unirono a quelli della zuppa sul pavimento.
Snape corrugò la fronte.
Un’altra di quelle stranezze.
Ora come non mai non si sentì più in grado di ignorarle.
Aprì le labbra per domandare spiegazioni, molte spiegazioni, ma il rumore dei cardini lo interruppe nuovamente.

Pareva lo stesso uomo che aveva portato il vassoio. Seguito da un altro che portò via i resti della loro misera cena.
‘Dannazione! – pensò Severus. – Il bambino in fin dei conti non è riuscito a mangiare niente…’

I due uomini presero a parlare a bassa voce fra di loro, Snape cercò di ascoltare. Distinse soltanto le parole ‘guardia’, ‘legarli’ e ‘notte’.
Quando li vide avvicinarsi seppe con precisione cosa intendevano fare.
Con la coda dell’occhio poteva vedere il sinistro brillare della luce delle fiaccole sui ceppi di ferro che pendevano dalle pareti di fianco.

L’uomo più vicino si spostò alla loro sinistra e senza preavviso afferrò il bambino-Potter.
Con un paio di rudi spinte lo trascinò in piedi e poi contro il muro. I ceppi erano qualche spanna sopra i suoi occhi verdi e spaventati.
Bruscamente l’uomo incappucciato gli sollevò le braccia.
Non appena il sinistro raggiunse l’altezza del petto Harry non riuscì a soffocare un urlo di dolore.
L’uomo, che intanto lo teneva saldamente per il braccio destro, imprecò, tentando di forzare l’altro a sollevarsi verso i ceppi.
Il bimbo prese a divincolarsi con le sue misere forze ed il suo piccolo corpicino, gridando in pura agonia.
Il viso completamente rigato di lacrime e gli occhi pieni di selvaggio terrore si soffermarono sull’uomo-Sevreus.

Senza sapere come aveva fatto a trovare la forza di contrastare il proprio dolore alla caviglia, Snape era scattato in piedi e si era avventato sull’uomo per strappare il giovane Potter dalle sue mani.
La lotta fu breve. Il bambino scivolò a terra mentre l’uomo riceveva un pugno.
Un istante dopo anche l’altro uomo era intervenuto e Severus si ritrovò contro il muro, appena graziato da un calcio allo stomaco e due pugni alla mandibola. Si portò una mano alla caviglia, stringendo forte i denti.

Il rapido attimo di silenzio, pieno dei loro respiri affannati, si dissolse alle parole di un terzo uomo, entrato nella stanza allarmato dal rumore.

“Lasciate stare, l’uomo sembra ferito ed il bambino non può fare niente da solo, tornate ai vostri posti”.

Dopo un altro, violento colpo allo stomaco Snape venne abbandonato e la porta si chiuse con il consueto, stridente suono.

Scuotendo la testa, Severus parve recuperare lucidità. Subito cercò con gli occhi il bambino-Potter, mentre tentava di tirarsi a sedere senza impazzire di dolore.
Il bimbo era ancora a terra, là dove era stato lasciato, una manina sulla spalla in questione e gli occhi verdi dilatati, liquidi, rossi e gonfi.
Severus lo vide iniziare a tremare e rifugiarsi strisciando nell’angolo più vicino, le ginocchia raccolte contro il petto, il corpicino fragile spezzato da singulti talmente silenziosi da sembrare respiri lasciati a metà, la testa nascosta dietro il gomito destro.

Snape avvertì una fitta dentro di sé che non era la sua caviglia, né il suo stomaco né la sua mandibola.
Il pensiero di un Potter in trappola in un angolo non lo rendeva felice tanto quanto pensava di essere in diritto di sentirsi…
Lentamente si avvicinò.

“Ragazzo, guardami, stai bene?”
Non poteva rischiare e chiamarlo Potter.

Niente.

“Guardami, alza la testa”.

Niente.

“Dannazione, ragazzo, ubbidisci!”

Il bambino venne scosso da un altro, feroce brivido e finalmente alzò gli occhi.
Così verdi, così disperati.

Anche se non li aveva visti lo sapeva, lo sentiva.
Maledizione, così simili agli occhi di Lily Potter la notte che era stata uccisa…

“M-mi dispiace, signore. Mi d-d-dispi-iace…”

“Vieni qui, avvicinati”.

Il bambino scosse la testa, ma sembrò ripensarci e smise.
“Per f-favore, non mi picchiare, signore. Non lo farò più, per favore, per favore…”

Gli occhi neri del maestro di Pozioni si sgranarono un istante, prima di incupirsi.

“Non ho nessuna intenzione di picchiarti, bambino – preferì chiamarlo così, sembrava che la parola ‘ragazzo’ lo innervosisse. – Voglio solo esaminare la tua spalla, senti dolore?”

“Sì, signore. Cioè no, signore… oh, mi dispiace, signore”.

Una strana sorta di agitazione lo afferrò al cuore. Snape si avvicinò un altro po’.
Si fissarono negli occhi.

“Posso toccare la tua spalla?”

Tutto in quelle polle d’erba bagnata diceva di no, ma il bambino-Potter annuì, quasi stoicamente.

Con estrema delicatezza Severus passò una mano lungo il bordo laterale dell’osso, dal gomito alla sommità della spalla. La sua fronte si aggrottò. Aveva visto per giorni il bambino usare preferibilmente il braccio destro, anche mentre lavava i calderoni. Pensava fosse una delle tante fissazioni infantili che prima o poi tutti i bambini manifestavano, come il darsi un altro nome o immaginare di essere Merlino. Ma adesso, sotto le dita, sentiva la prova di tutta un’altra evidenza. L’osso pareva spostato, innaturalmente basso rispetto all’altro, come fuori asse, duro al tatto, ma non gonfio. Le punte delle sue dita si insinuarono in una specie di fosso che non ci sarebbe dovuto essere.
Snape provò delicatamente a sollevarlo, il bambino avrebbe voluto ritrarsi, ma con uno sguardo l’uomo lo dissuase.
Riprese a muoverlo e dopo due spanne e mezzo neanche lo sentì bloccarsi. Riprovò, senza usare forza. Il contatto era rigido, come due superfici saldate.
Snape aveva abbastanza conoscenze generali da sapere di trovarsi, ad occhio e croce, davanti ad una spalla totalmente lussata, calcificata in una posizione anomala.
Il lavoro di uno di quegli incompetenti medici Muggle?
Casi simili non erano rari negli studenti cresciuti lontano dal Mondo Magico…

“Il tuo braccio è sempre stato così?” chiese, benché sapesse la risposta.

“No, signore”.

“Cosa ti è successo?”

“Sono caduto, signore”.

Snape non lo metteva in dubbio, ma quello che gli premeva era sapere perché era ridotto in quelle condizioni adesso, evidentemente a distanza di tempo dal trauma d’origine.
Lo osservò attentamente.
Pareva stremato e sicuramente lo era.
Severus non poteva ignorare il fatto che non avesse nemmeno mangiato.
Un’ulteriore evidenza.
Magari la minestra, ma il pane da solo non sarebbe stato capace di provocare un rigetto. Era semplice pane. Il bambino era malato, dunque?

Troppe domande.

“Riposati” disse semplicemente.


Severus stabilì che fosse il momento opportuno per prepararsi a fuggire.
Sarebbe occorso del tempo e la notte, che stava inesorabilmente scendendo, era l’occasione adatta.
Uno di quegli uomini era stato così acuto da notare la sua ferita, ma i loro rapitori rimanevano comunque degli ignoranti asini tronfi e patetici, del tutto ignari che un vero mago non era inerme o anche solo meno pericoloso semplicemente perché senza bacchetta.
Esisteva una pratica magica, complessa e difficile, dispendiosa e complessa, ma assolutamente utile.
Magia senza bacchetta.
Un semplice gesto della mano.
Soltanto i maghi potenti come Dumbledore e Grindelwald prima di lui ne avevano appreso quasi tutti i segreti. Chi si era impegnato ed aveva provato e studiato, come Snape, poteva dominare soltanto gli incantesimi più semplici ed alcuni altri per cui era particolarmente portato.

In realtà avrebbe potuto aprire la porta della loro prigione ore fa, ma non sarebbe servito a niente. Aveva prima bisogno di curarsi come poteva. Era certo che fuori di lì si sarebbe nuovamente trovato a correre per la loro vita.
Quindi, inspirando a fondo, accomodò la schiena contro il muro freddo.
Si concentrò un breve, intenso istante e a mezza voce pronunciò qualche parola.
La sua magia senza bacchetta non era così potente come quella di Albus. Richiedeva tempo per funzionare, ma era efficace.
Adesso doveva solo aspettare.


I minuti scivolavano via come quando il piccolo Harry si era trovato in quella stanza piena di orologi in attesa di qualcosa di incerto. Aveva chiuso gli occhi, per riposare come l’uomo-Sevreus gli aveva detto, ma non riusciva a dormire. La spalla sinistra gli faceva male tanto quanto la pancia, aveva paura che l’uomo tutto coperto tornasse e che provasse di nuovo a tirargli il braccio. Oh, quanto aveva sentito male. Era stato come tornare indietro, al giorni in cui era caduto e Zio Vernon lo aveva trascinato fuori. Lo stesso dolore insopportabile. Ma l’uomo-Sevreus non sembrava essersi arrabbiato, l’uomo-Sevreus lo aveva toccato piano e non gli aveva fatto male. Perché il suo uomo-Sevreus in fondo sembrava proprio un pinguino buono.
Lo aveva fatto mangiare e quando l’uomo tutto coperto era arrivato e gli aveva fatto del male l’uomo-Sevreus si era alzato e lo aveva aiutato. Nessuno aveva mai aiutato Harry prima. Non Zio Vernon, non Zia Petunia, non Dudley, non i suoi compagni a scuola, non le maestre e nemmeno la signora dei gatti. Neanche il nonnino e l’omone enorme.

Solo e soltanto il suo uomo-Sevreus.

E chiuse gli occhi e provò ad immaginare. Ed improvvisamente diventava alto e grande, grande. Grande come ‘Agrid’, più alto di tutti e tutto, alto come le montagne e fino ad avere il sole appoggiato sulla testa. Ed era così alto che nessuno poteva fargli male…

Piano piano si addormentò, ma ancora tremava ed anche se era alto e grande nel suo sogno aveva sempre paure mentre suo zio, tutto incappucciato, lo inseguiva fino alla sua stanza e gli voleva strappare il braccio e faceva così freddo nella stanza buia in cui era… così freddo…


Severus interruppe la sua concentrazione al suono di un sussulto. Con la coda dell’occhio vide il bambino svegliarsi e rabbrividire, un movimento scoordinato ed un lieve, ma presente, accenno a rifugiarsi nell’angolo. Si volse.
Erano passate alcune mezz’ore, non sapeva dire quante.
L’incantesimo per guarire stava lentamente funzionando, inutile dire che se fossero riusciti a tornare ad Hogwarts una visita da Madam Pomfrey era d’obbligo a questo punto.
E non solo per sé.

La notte avanzava, cavalcando il freddo pungente e le nubi. L’umidità era quasi insopportabile.
Il silenzio era confortante e al tempo stesso deleterio.
Nei suoi quartieri Severus sapeva sempre come NON trovare il tempo per riflettere.
Una buona bottiglia di scotch, un buon libro, orrendi compiti di Hufflepuff, una meravigliosa e complessa nuova pozione… tutto funzionava perfettamente.
Ma adesso, nel silenzio, nel vuoto, nella penombra, nel freddo la sua mente era attiva e la coscienza sembrava guadagnare terreno sull’orgoglio, riaffermarsi e riprendersi prepotentemente il suo posto alla guida della ragione e dell’obiettività.

D’un tratto si sentì in dovere di dirlo:

“Mi dispiace molto che tu sia stato coinvolto in tutto questo…”

Il bambino lo guardò, come lo avrebbe guardato qualcuno che non sapeva assolutamente che le persone si potessero dispiacere per le altre persone. Era un pensiero strano, ma fastidioso e persistente.

Severus distolse lo sguardo da quegli occhi verdi.

“Ah, questo maledetto gelo…” mormorò più a se stesso.

Si sorprese enormemente quando una piccola, tremolante voce gli rispose.

“Se… se ha freddo, signore, può mettersi le mani così, vicino al sotto delle braccia…” disse il piccolo Potter.

Ed era qualcosa che il più delle volte funzionava e che il bimbo aveva imparato nelle lunghe, fredde notti fuori dalla porta della cucina dei Dursley.
Velocemente fece vedere all’uomo-Sevreus cosa intendeva e si portò le piccole manine sotto le ascelle, le ginocchia ancora contro il petto.
Perfettamente raggomitolato su di sé.

Snape sospirò l’ennesima volta.
Non riuscì ad impedirsi di chiedere a se stesso dove un bambino così piccolo aveva imparato un simile trucco.

Decise.
E ringraziò che almeno non ci fossero testimoni, una volta accusato avrebbe sempre potuto negare…

“Non c’è ragione di sentire entrambi freddo…” e si volse, scrutando attentamente il bambino.

Harry quasi sussultò.
Oh, in realtà lo immaginava. Faceva davvero freddo e Harry doveva sacrificarsi, come faceva sempre con Dudley al parco quando era inverno. Sicuramente pure l’uomo adesso voleva i suoi vestiti, anche se il piccolo non riusciva ad immaginare come potesse infilarseli visto quanto era alto e grande rispetto a lui. Lentamente afferrò il bordo della propria maglietta, prima che un fruscio vicino lo distogliesse dal suo compito.

L’uomo-Sevreus si stava togliendo il mantello nero che aveva sempre avuto addosso da quando Harry lo aveva conosciuto.

Snape lo chiamò vicino a sé.
Lo guardò accostarsi piano e con cautela.
Gli chiese di rimanere esattamente fermo, lì, al suo fianco, in piedi.

Con un movimento veloce dei polsi e delle mani Severus avvolse due volte il suo mantello di lana attorno al piccolo corpicino del bimbo, con cura, anche sopra la testa, fino a lasciare esposto al gelo e all’umido soltanto il suo viso.
Quegli occhi così verdi lo fissavano.
Ed erano talmente belli, sapevano così tanto di passato, di qualcosa di così dolce che si era bruciato fino a lasciare soltanto un ricordo ed un sapore acre nella sua anima che, senza pensare, le sue braccia circondarono quel minuto fagottino ed un attimo dopo Severus aveva sulle ginocchia e fra le mani il piccolo figlio di Lily. Il piccolo Harry.

E fu solo un pensiero fugace, presto rimosso, indesiderato fino in fondo, ma vero e violento, aspro.

Poteva essere suo figlio.
Poteva stringere fra le braccia suo figlio se tutto quello che era accaduto non lo fosse e se tutto quello che non lo era lo fosse.

Ma il passato era come l’acqua dei fiumi. Una volta scorsa mai più poteva tornare indietro.


Il calore esplose attorno al piccolo. Oh, le lacrime volevano uscire, ma Harry non capiva perché. Non aveva male più del solito, non stava per essere picchiato (almeno sperava), non stava facendo niente, eppure il suo uomo-Sevreus era così vicino e c’era così tanto caldo attorno a lui ed era così bello, così meraviglioso e fantastico. Oh, sentiva un sacco di brividi là dove la mano dell’uomo premeva sulla sua schiena, piano, senza fare male ed era sempre più bello… Oh, quanto adorava il suo uomo-Sevreus…

Il bambino era così leggero sulle sue gambe, un braccio attorno a quel corpicino, lente, per sostenerlo, l’altro a terra, al freddo.
Severus in un gesto quasi incosciente si ritrovò a passare una mano su quella piccola schiena tutta avvolta nel suo mantello e sollevò un sopracciglio. Lo sentiva tremare. Perché, si chiese? E poi vide anche un bagliore, un lucore, dove la poca luce si tuffava e veniva riflessa. Una singola lacrima. Perché, si chiese di nuovo?

Lo guardò.
Non poteva tacere oltre.

“Perché piangi, perché tremi? Hai freddo?”

“No, signore”.

Quiete.
La lacrima morì solitaria vicino alla piccola bocca rosea.

“Signore… signore Sevreus… ”
I suoi occhi neri come il carbone quasi si stupirono. Signore Sevreus??

“Sì?”

“Io… oh… non so… è sempre così… bello, signore Sevreus?”
Doveva sapere, pensò Harry.

“Che cosa è bello?”

“Questo così… vicini, sulle gambe del signore Sevreus…”

“Non ritenevo fosse niente di speciale – stupido, lieve imbarazzo. – Sicuramente non è la prima volta, no? I tuoi zii…”

Il piccolo inclinò la sua testolina tutta coperta.
“Oh, non mi era permesso, signore, mai”.

Snape non gli credeva affatto.
“Perché non era permesso?”

Il visino del bimbo si illuminò un poco, come se stesse per dare la risposta giusta ad una domanda importantissima, quasi sorrideva mentre recitava perfettamente a memoria:

“Perché Harry è inutile e cattivo e no normale e toccarlo fa schifo e non merita nulla se non le botte quando Zio Vernon torna a casa”.

Il silenzio tetro della notte cadde su quelle parole, come un sipario sulla scena dell’efferato delitto.
Severus inspirò bruscamente.

Non trovò le parole, non ne trovò nessuna.

Il bambino inclinò la testa, di nuovo.




“Ma adesso, signore Sevreus, è permesso, vero?”




Le labbra pallide, esangui dell’uomo si aprirono. Nessun suono né la prima, né la seconda volta. Sperò che la terza fosse quella buona…

“Chi… ti ha detto quelle… cose di prima?”

“Zia Petunia”.

Le mani dell’uomo tremarono mentre si posavano leggere a stringere piano le spalle del bambino.
Un sussurro nella tremenda, soffocante quiete. Oltre il rumore dei pezzi che si incastravano perfettamente nella sua testa.

“Mi stai dicendo la verità?”

L’orrore crebbe mentre il bambino annuiva. I suoi occhi erano lo specchio della sincerità.
Oh, Dio. Possibile?
Ingannato proprio fin dall’inizio?
Caduto nella trappola di tutti i suoi radicati pregiudizi.
Preda del laccio delle sue inaccurate deduzioni.
Ingannato, pateticamente ostinato, frodato. Possibile?
Oh, Dio, possibile?
Le sue mani lo strinsero più forte.

“Harry… Harry ascoltami attentamente, adesso farò qualcosa che non ti farà male, ma che non è giusto e quando capirai, un giorno, ti spiegherò perché l’ho fatto. Va bene?”

Harry annuì, la bocca socchiusa.

“Guardami, guardami tutto il tempo”.

E lo guardò e venne guardato in cambio.
E si guardarono.

E poi Severus sussurrò nel silenzio:


“Legilimens”.

 

 

 

 




Continua…

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.

 

Note capitolo: Protego è un incanto che permette di difendersi e deviare gli incantesimi che vengono lanciati contro chi lo usa. Ascendio è un incanto che permette di ascendere rapidamente, per l’appunto. Grindelwald era il potente mago oscuro sconfitto da Dumbledore nel 1945.

 

   

   
 
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