Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: ValeryJackson    09/07/2013    2 recensioni
La vita di Valeri Hart è sempre stata una vita abbastanza normale, con la scuola, una mamma che le vuole bene e la sua immancabile fantasia.
Già, normale, se si escludono ovviamente i mille trasferimenti da una città ad un'altra, gli atteggiamenti insoliti di sua madre (che poi sua madre vera non è) e quelle strane cicatrici che le marchiano la caviglia, mandandola in bestia. Non sa perchè ce le ha. Non ricorda come se l'è fatte. Non ricorda di aver provato dolore. Ricorda solo di essersi risvegliata, un giorno, e di essersele ritrovate addosso. Sua madre le ha sempre dato mille spiegazioni, attribuendo più volte la colpa alla sua sbadataggine, ma Valeri sa che non è così.
A complicare le cose, poi, arriva John, un ragazzo tanto bello quanto misterioso, che farà breccia nel cuore di Valeri e che, scoprirà, è strettamente collegato alla sua vera identità.
**
Cap. 6:
Mary mi guarda negli occhi. Poi il suo sguardo si addolcisce, e mi fissa in modo molto tenero, come si guarda una bambina quando ti dice che ti vuole bene.
"Oh, Valeri", dice, con dolcezza. "Tu non hai idea di che cosa sei capace".
**
Questa é la mia nuova storia! Spero vi piaccia! :)
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Angolo Scrittrice. ATTENZIONE!
Salve! Questo è un piccolissimo angolo scrittrice prima di farvi leggere, per spiegarvi una cosa. Avrei voluto che fosse una sorpresa, ma poi mi sono resa conto che, forse, non ci avreste capito niente, così ve lo spiego prima. Nel brano qui seguente ci sarà il testo di una canzone. Questa canzone sarà cantata da Mia e Valeri. Dunque, per distinguere le parti che canta una da quelle che canta l'altra, ho usato il seguente schema:
- Le parti scritte in corsivo le canta Valeri.
- Le parti scritte in grassetto le canta Mia
- Le parti scritte normali le canta il coro.
- Le parte sottolineate le cantano sia Valeri che Mia.

Grazie per la vostra attenzione e buona lettura ;)

Sono in piedi davanti allo specchio.
Una volta ho letto su una rivista che l’aspetto di una persona può cambiare molo in tre mesi.
Il mio è cambiato in tre settimane.
Già, sono passate tre settimane da quella notte di Halloween, tre settimane da quando John mi ha baciato.
Dopo quell’appuntamento a casa sua siamo usciti praticamente tutti i giorni, diventando inseparabili. È strano quanto una persona possa cambiarti. Prima ero trasandata, insicura, sempre alla ricerca di un’ombra dove nascondermi. Ora non più. Sono più forte, più consapevole, e non ricordo di essermi mai preoccupata del mio aspetto fisico prima d’ora. È strano. Se mi incontrassi, credo che neanche io mi riconoscerei. Forse mi volterei anche a guardarmi, per una volta.
È questo l’effetto che John mi fa. Mi fa sentire importante, mi fa sentire speciale. Mi fa sentire… degna di considerazione.
So che è stupido pensarlo, ma è così.
Comunque, non siamo gli unici a stare sempre insieme. Mia e Matt, ormai, vivono praticamente in simbiosi. Escono quasi ogni giorno, e una volta, dopo scuola, lui le ha anche portato dei fiori. Non serve che vi dica la sua reazione.
Sono carini insieme. È bellissimo vederli mano nella mano, abbracciarsi, ed è dolcissimo il modo in cui si guardano. Hanno entrambi uno strano luccichio negli occhi. Sembrano… felici. Mi chiedo se anche io e John ci guardiamo così.
Anche Mary, comunque, si è data da fare.
Lei e Harry sono usciti altre volte, in questi giorni, e ogni volta che tornava a casa, Mary aveva sempre un sorriso ebete stampato in faccia. Credo che si siano anche baciati, una sera, ma Mary ovviamente non ha voluto dirmelo. E dubito fortemente che me lo dirà.
Comunque, tutte le volte che uscivano, io e John facevamo lo stesso, a volte anche pedinandoli. Credo sia carino, per gli altri, pensare che ci preoccupavamo per loro. In realtà io volevo semplicemente vedere con i miei occhi se si baciavano. Ma, giustamente, non sono mai riuscita a beccarli.
Solitamente, dopo un pedinamento, io e John ci stancavamo, così andavamo a farci un giro.
È successo anche tre giorni fa.
Eravamo davanti al McDonalds, nascosti dietro un cespuglio per non farci vedere da quei due. Io continuavo a lamentarmi del fatto che lui l’avesse portata in una paninoteca, per giunta, poi, con le mie scarpe buone. John non faceva che ripetere che se restavamo ancora lì davanti gli sarebbe venuta fame. Così ce ne andammo.
Decidemmo di fare una passeggiata per le vie di New York. Siamo sotto il periodo invernale, ma la gente non si rassegna, e imperterrita ad uscire, per una passeggiata o semplicemente per andare a comprare qualcosa, creava un gran trambusto. Ora, so che può sembrare strano, ma io adoravo quel trambusto. Sembrava… Sembrava quasi una melodia, una melodia che faceva da sottofondo alla mia chiacchierata con John. Sembrava quasi che ogni minimo rumore si plasmasse, rendendosi perfetto apposta per noi.
Mentre camminavamo mano nella mano per le vie di Central Park, un gruppo di ragazzine ha attirato la nostra attenzione. Erano, considerando le divise che indossavano, delle scout, e avevano allestito una piccola bancarella vendendo dei piccoli cupcake per pochi spiccioli.
John si è fermato e ne ha comprati due. Poi, dopo averle salutate, ci siamo guardati e, sorridenti, abbiamo iniziato a mangiarli, riprendendo la nostra passeggiata.
Devo ammettere che erano davvero buoni.
Quando ho finito il mio ho guardato John. Mi resi conto solo in quel momento che aveva qualcosa sul naso. Sembrava… panna.
Risi. Lui si accorse che lo fissavo e inarcò un sopracciglio. << Che c’è? Cos’ho?>> chiese, fra il preoccupato e il divertito.
<< Hai della… >> Risi ancora. << … Della panna sul naso.>>
Rise anche lui, tastandosi le tasche per cercare un fazzoletto. Giurerei di averlo visto arrossire, per giunta.
Sorrisi. << Lascia, faccio io >> gli proposi. Ci fermammo e io gli afferrai il viso fra le mani, baciandogli il naso e togliendogli tutta la panna.
Lui sorrise divertito. << Grazie >> mormorò, guardandomi negli occhi. Tra il suo sorriso e i suoi occhi, non so dire quale dei due per me sia stato più micidiale.
Non so esattamente cosa feci. Forse cercai di abbozzare un sorriso anch’io, ma devo essere sembrata una scema. Fortunatamente, lui non sembrò notarlo. Anzi, mi mise una mano dietro la schiena e, continuando a sorridere, mi attirò a se.
Fu in quel momento che successe.
Le mie gambe diventarono molli e il mio corpo cominciò a surriscaldarsi. Ma non un surriscaldamento normale, come quando fuori ci sono 40° oppure come quando sei in imbarazzo per qualcosa. No, questo era proprio... calore. Troppo. Come se improvvisamente, dentro di me, si fosse acceso un fuoco. Un fuoco che bruciava dritto in mezzo al mio petto.
Non so esattamente come spiegare il modo in cui mi sentivo. Mi sentivo accaldata, e stranamente stanca, ma i miei occhi erano fissi in quelli di John, come una calamità. Lui sembrava non essersi accorto di quel mio sbalzo di calore improvviso, perché mi fissava con la stessa intensità, come se non riuscisse a staccarsi. E in effetti, neanch’io ci riuscivo. Era come se avessi una calamita giusto al centro dell’esofago, e John fosse una sbarra di metallo. Ero attratta da lui da una forza che non riuscivo a contrastare. Perché c’era, ed io la sentivo. Una forza, come se qualcuno, dietro di me, mi stesse premendo con forza le mani dietro la schiena, nel tentativo di farmi muovere, e qualcun altro, davanti a me, tentasse di tirarmi con una corda, che in realtà non esisteva, ma che mi opprimeva.
Mi sentivo debole contro quella forza e mi faceva male il collo. Capii troppo tardi il perché. Era il medaglione. Il mio medaglione che, nascosto accuratamente sotto la camicia per non essere visto da nessuno, era diventato stranamente più pesante. Molto più pesante del solito.
In altre circostanze l’avrei cacciato fuori per esaminarlo, ma in quel momento i miei occhi non riuscivano a staccarsi da quelli di John.
Mi chiedo se anche lui si sentisse strano, in quel momento. Mi chiedo se anche lui si sentisse come me.
Molto probabilmente no, eppure, quando provò a sorridere, il suo era un sorriso forzato, come se non avesse la forza necessaria per compiere quel semplicissimo gesto.
Ci vollero alcuni secondi, prima che lui mi baciasse, dolcemente.
È stato fantastico. Non so come spiegarlo. È come se quel momento fosse stato programmato. Come se le nostre labbra fossero state create e plasmate per combaciare perfettamente, per stare unite, come due pezzi di un puzzle. Unite in modo perfetto.   
Approfondimmo quel bacio, non perché ne avessimo realmente bisogno, ma perché era giusto così, perché sentivamo di doverlo fare. Sapevo che molto probabilmente quello era un bacio come un altro, eppure, in quel momento, avevo un disperato bisogno di lui, del suo calore, delle sue labbra. Di sentire le sue labbra muoversi lentamente sulle mie.
Quando ci staccammo, avevamo entrambi gli occhi lucidi, il fiato corto. Aspettai qualche secondo, prima di sorridere insieme a lui.
John fece finta di pensare a qualcosa, aggrottando teatralmente le sopracciglia. << Mmh…>> mormorò. << Dovrei sporcarmi di panna più spesso >> affermò.
Risi, dandogli un’amichevole pugno sul braccio. << Scemo…>>
Lui sorrise, stavolta con un sorriso più naturale, con un sorriso bellissimo. Sorrise con il suo sorriso. Mi cinse un po’ di più i fianchi e mi baciò di nuovo, dolcemente. Io sorrisi, contro le sue labbra, e mi accorsi solo in quel momento che quella sensazione di elettricità che stava iniziando a stancarmi se n’era andata. Che ero tornata normale. Non ero più stanca e non mi sentivo più accaldata. Stavo… bene.
Continuai a sorridere mentre lo abbracciavo, stringendogli le braccia attorno al collo e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, per inalare quel profumo che mi rassicurava tanto. Non so esattamente perché, ma sentivo che c’era qualcosa che non andava. Quella… quella cosa… non poteva essere una reazione normale. Insomma, avevo sentito parlare della cosiddetta “elettricità statica” che lega due persone e che si forma non appena queste si toccano. Ma quella… quella non era semplice elettricità. Mi sono sentita… strana.
Strinsi gli occhi, tirando un sospiro tremante, e senza accorgermene strinsi di più le braccia attorno al collo di John, stringendogli le spalle per far si che non si accorgesse del tremolio delle mie mani.
Non era… normale.
Lui, d’altronde, affondò il viso fra i miei capelli, sfiorandomi leggermente il collo con le labbra. Riuscivo a sentire il suo respiro caldo sulla pelle, e, nonostante questo mi provocasse dei leggeri brividi lungo la schiena, mi sentivo al sicuro, protetta fra le sue braccia.
Non so per quanto tempo siamo rimasti così. Minuti, forse ore.
Quando abbiamo ripreso a comminare era tutto così confuso nella mie testa che a malapena riuscivo a capire dove andavo.
Ricordo solo di essere tornata a casa, e che sono arrivata lì stringendo la mano di John. Considerando anche come la mia fosse sudata, credo che siamo rimasti mano nella mano per parecchio tempo, se non per tutto.
Non abbiamo più parlato di ciò che è successo. Anzi, non ne abbiamo mai parlato. In realtà è come se non fosse successo niente. Ma qualcosa è successo, io lo so. Ho provato più volte a spiegare in parole ciò che avevo provato, ma gli unici aggettivi che sono riuscita a formulare sono stati forte e strano. E anche bizzarro. Anche se non so esattamente da dove io l’abbia tirato fuori.
Comunque, ora sono in piedi davanti allo specchio.
Indosso un abito corto senza spalline, con la gonna che mi arriva poco sopra il ginocchio. È di taffettà, con il busto leggermente drappeggiato. Su un lato, una piccola ghirlanda di fiori mantiene su un angolo della gonna, così che si possa intravederne un’altra, di velo. Indosso un paio di scarpe col tacco e porto i capelli sciolti, leggermente mossi grazie a dei bigodini che Mary mi ha tolto pochi minuti fa. Il trucco che si vede appena. Ah, il vestito è completamente turchese, come le scarpe.
Vi starete chiedendo perché sono vestita così.
Beh, la verità è che devo andare ad una festa. Già, oggi la mia scuola ne ha organizzata un’altra, che però non si terrà nella nostra palestra, bensì in un piccolo locale affittato apposta per l’evento, che si trova alla fine di Houston Street. E poi questa volta è per beneficenza. Non so esattamente a chi andrà il ricavato della serata, ma a scuola vendevano i biglietti, e Mia ci ha costretto a comprarli.
È stata lei, ovviamente, a consigliarmi il vestito. Mi ha detto che questa è una di quelle tipiche “feste a tema”, ma non mi ha detto quale, e sinceramente, guardando questo vestito, non mi sembra che abbia qualcosa a tema, per così dire.
Fisso il mio volto allo specchio per un po’, finché non sento dei passi dietro di me. Non mi giro, comunque. Guardo la figura di Mary direttamente dallo specchio. È ferma vicino allo stipite della porta.
Lei mi sorride, guardandomi. << Sei pronta?>> chiede.
Abbozzo un sorriso anch’io e annuisco. << Bene >> fa lei. << Vado a prenderti un cappotto, allora.>> E si dilegua giù per le scale.
Torno a guardare il mio riflesso. Respiro profondamente, come per infondermi coraggio, e faccio per andarmene, quando la mia attenzione si sofferma su qualcosa. La mia collana.
Mi ero quasi scordata che era lì. Sono abituata a non vederla, dato che la nascondo sempre dentro le maglie o sotto il colletto della camicia, ma ora non ho niente a proteggermi, per questo è in bella vista.
La fisso, senza muovermi. Non voglio che si veda. Per quanto stia bene con il contesto e potrebbe farmi fare una bella figura, non voglio che venga vista.
<< Valeri, sei pronta?>> urla Mary da in fondo alle scale.
Sospiro e nascondo velocemente il ciondolo nell’interno del decolté. Non voglio che si veda, ma non a tal punto da separarmene. Lì starà bene.
Mi guardo di sfuggita un’ultima volta, poi corro giù per le scale, per quanto le scarpe col tacco possano permettermelo.
Una volta scesa, Mary mi aspetta davanti alla porta con un cappotto di pelliccia azzurro in mano. Mi avvicino sorridente e lei mi aiuta ad indossarlo. Poi mi guarda. Non so esattamente decifrare il suo sguardo. È uno sguardo triste, malinconico, ma anche fiero.
Sospira e mi accarezza i capelli. << Ripetimi ancora perché non posso accompagnarti con la macchina.>>
<< Mamma, per favore!>> esclamo. << Non farò la figura della bambina che si fa ancora accompagnare dai genitori! Prenderò l’autobus. La fermata è giusto davanti al locale.>>
Lei mi squadra da capo a piedi. << Mh-mh… e tu credi che ti farò andare in autobus vestita così?>>
Faccio roteare gli occhi, sbuffando esasperata. << Mamma, me la caverò! Perché non ti fidi di me per una volta? So benissimo come difendermi.>>
Lei mi guarda negli occhi. << Ma io mi fido di te. È degli altri che non mi fido.>> Mi fissa un attimo. Poi mi abbraccia. << Oh, vieni qui >> mormora, attirandomi a se. Io poggio il viso sul suo petto e mi lascio cullare dalle sue mani che mi accarezzano i capelli. << La mia bambina… >> le sento mormorare, mentre prende dei grandi respiri. Sorrido.
Lei si stacca da me e si allontana di un passo. << Ok, ora va, prima che cambi idea.>>
Sorrido ed esco di casa, dirigendomi verso la fermata del pullman più vicina. Mary mi segue con lo sguardo.
<< E non aver paura di tirare dei calci!>> esclama, urlando per farsi sentire.
Mi lascio scappare un risolino e continuo a camminare. << Ok!>> urlo, di rimando.
 
Salgo sul pullman e mi siedo nell’ultimo posto in fondo, vicino il finestrino.
Mi aspettavo delle occhiatine sospettose dai presenti, vedendo una ragazza così elegante salire su un autobus di linea, ma a quanto pare questa città è così abituata a cose strane, che la gente non batterebbe ciglio neanche se salisse un uomo con due teste e sei braccia.
Poggio la testa contro il finestrino e faccio perdere lo sguardo fuori, facendo fluire i pensieri.
Mi piace vedere le cose muoversi velocemente accanto a me. Mi aiuta a pensare. È come se il mondo fosse pieno di persone sfigurate, persone così deboli moralmente, che è difficile distinguerle dagli altri. Sono solo poche quelle che si distinguono. Quelle che riesci a vedere e a ricordare nonostante l’autobus si muova così veloce. Sono solo poche le persone che riescono a distinguersi dagli altri.
Mi lascio sopraffare così tanto dai miei pensieri, che perdo totalmente la cognizione del tempo, e mi accorgo appena in tempo di dover scendere a questa fermata.
Scendo dall’autobus e aspetto che riparta.
Sono esattamente dall’altro lato della strada, quindi riesco a malapena a scorgere la figura del locale sopra i lineamenti del bus.
Quando anche l’ultimo anziano è sceso, il pullman riparte, liberandomi la visuale.
Lo vedo quasi subito. John, appoggiato con una spalla contro una colonna di marmo che mi sta aspettando.
Lo osservo, sorridente. Indossa un semplicissimo smoking bianco panna, che però risalta alla grande i suoi capelli color miele e gli occhi blu.
Lui mi vede e mi sorride, venendomi incontro. Io corro verso di lui.
A metà strada ci troviamo e lui mi avvolge i fianchi.
<< Sei bellissima >> mi dice.
Io sorrido e gli allaccio le braccia attorno al collo. << Anche tu non sei niente male >> affermo, mostrando indifferenza. Ridiamo insieme e poi ci baciamo.
<< Sarà meglio che ci togliamo dalla strada, però >> fa John, prendendomi la mano e trascinandomi verso l’entrata.
Saliamo una scalinata e poi ci mettiamo in fila. Da fuori il locale non sembra molto grande, e, considerando tutte le persone che aspettano di entrare qui fuori e quelle che molto probabilmente sono già entrate, mi chiedo dove ci metteremmo.
Mi guardo intorno. È tutto, rigorosamente, bianco. Dalle pareti alle colonne di marmo, alla cornice della porta di vetro. Ai lati di quest’ultima, ci sono due buttafuori. Uno controlla i biglietti, mentre l’altro resta imbalsamato con le mani incrociate, squadrando tutti e non guadando nessuno. Indossano entrambi il classico vestito nero da guardia del corpo.
Sposto lo sguardo su tutti i ragazzi che ci sono qui fuori, cercando Mia. Non la vedo, quindi molto probabilmente sarà già entrata.
Sto per lasciar perdere, quando qualcosa mi salta all’occhio. Tutte le persone intorno a me sono vestite con abiti o bianchi, o neri. Ragazzi, ragazze, bidelli, professori. Tutti degli stessi colori. Nessuno escluso.
Aggrotto la fronte. << Perché sono vestiti tutti o bianchi o neri?>> chiedo a John, sussurrando per non farmi sentire dagli altri.
John fa un mezzo sorriso, prima di rispondere. << Beh, è il tema della festa >> dice. Si volta leggermente per vedere la mia reazione, ma io sono già pietrificata.
Il tema della festa? Il tema della festa è il “bianco e nero”? E allora perché sono vestita di blu?
La risposta mi arriva chiara e tonda. Chiudo gli occhi, affranta.
Mia…
Mi stringo leggermente contro la spalle di John, sperando di riuscire a mimetizzarmi. Spero tanto che gli altri non mi notino, in modo da poter passare inosservata.
Oh, andiamo! Ma chi voglio prendere in giro?! Non passa inosservata una ragazza vestita di celeste in mezzo a un gruppo di “juventini”. Sembra di stare allo stadio e di aver sbagliato corsia dei tifosi. È imbarazzante.
Come se non bastasse, poi, arriva qualcun altro ad infierire.
<< Ehi, puffetta >> esclama una voce alle mie spalle. Chiudo gli occhi. Oh, no. Ci mancava…
<< Non ti hanno detto il tema della serata? Mi sa che hai sbagliato festa >> continua quella. Stringo forte la mano di John. << Perché non torni da Gargamella?>>
Risatine generali.
Ora basta, mi sono stancata. Mi volto di scatto, furiosa. Jessica è proprio dietro di me, a circa un metro di distanza. Ha le mani posate sui fianchi, e mi guarda con tono di sfida. Indossa un completino bianco corto fin sopra il ginocchio. La gonna è a balze, che si alternano fra veli e taffetà. Il bustino è rigido, a tal punto da togliere il fiato, e ricamato con una moltitudine di perline e paiet. Ha i polsi ha un sacco di rumorosissimi bracciali, e i capelli sono cotonati come quelli degli anni ’70. Ma la cosa più ridicola, secondo me, è il decolté, ornato da tante, troppe piume che le coprono completamente tutto il petto fino alla clavicola.
Riderei, vedendola così, se ora non fossi così furiosa.
La incenerisco con lo sguardo. << Beh, almeno io non sembro un cigno spennacchiato!>> esclamo, non riuscendo a fermare le parole. << Che c’è? Non trovi più la strada del lago?>>
Jessica spalanca la bocca. Non capisco se è più sorpresa o indignata.
Ad ogni modo, non faccio in tempo a scoprirlo, che John mi afferra per le spalle. << Su, andiamo dentro >> mormora, dando i nostri biglietti al buttafuori e poi trascinandomi attraverso la porta.
Quando entro, sono sorpresa. La sala è molto più grande di quello che mi aspettassi. Sulla destra c’è un lungo tavolo da buffet, pieno di bibite e di roba da mangiare, mentre la sinistra è libera, occupata solo dalle porte che conducono ai bagni. In fondo alla sala, poi, è stato allestito un piccolo palchetto, dove un gruppo sta suonando della musica a caso. Un tizio si avvicina a noi e prende gentilmente il mio cappotto.
Mi sale un nodo in gola quando noto che, oltre ai presenti, anche le pareti della sala sono completamente bianche, addobbate con qualche festone nero.
Prendo la mano di John e intreccio le mie dita con le sue. Almeno così mi sento un po’ più sicura. Quando mi volto verso di lui, però, noto che mi sta già guardando. E anche con un’aria di disapprovazione.
<< Che c’è?>> chiedo, inarcando un sopracciglio.
<< Hai deciso di organizzare un incontro di wrestling?>> esclama, con rimprovero. << Se non ti avessi portato via le avresti staccato i capelli.>>
<< E avrei fatto bene >> ribatto. << Hai visto come mi ha trattato? Non potevo non cantargliene quattro!>>
<< Lo so, ma avresti potuto anche evitare commenti acidi. Ora ti prenderà solo più di mira.>>
Lo guardo negli occhi, offesa. Voleva davvero che stessi zitta mentre lei mi prendeva in giro? << Oh, scusami tanto, signor “penso a tutto io”. Cos’è, tu puoi ribellarti e menare a destra e a manca un’intera squadra di football e io non posso neanche rispondere ad una frecciatina della mia peggior nemica?>>
Lui non risponde. Si limita a guardarmi, scrutandomi il volto, ed io mi pento subito di ciò che ho appena detto.
Apro la bocca per scusarmi, quando lui sospira. << Hai ragione >> dice, prendendomi delicatamente il volto fra le mani. << È solo che non voglio che ti rovinino la festa. Non pensare a loro, ok?>>
Lo guardo negli occhi e annuisco lentamente. << Ok…>>
Lui sorride e mi bacia la fronte.
In quel momento, una voce si leva dal centro della sala.  << Valeri!>>
Mi volto. Mia ci sta venendo incontro, facendosi largo fra la folla a suon di gomiti. Quando ci raggiunge, noto che con lei c’è anche Matt. Non so come abbia fatto ad imbucarsi, ma ormai da Mia mi aspetto di tutto.
La guardo, fulminandola con lo sguardo. << Allora, che ve ne pare?>> ci chiede, indicando con un cenno della mano la sala.
John si guarda intorno. << Carina >> commenta, sorridendo.
<< Mia, posso parlarti un attimo?>> le chiedo. Non aspetto risposta, la afferro per un braccio e la trascino verso i tavoli del buffet.
<< Si può sapere che cosa ti è saltato in mente?!>> sbraito, quando mi accorgo che nessuno ci ascolta.
Lei mi guarda, senza capire. << Perché, che ho fatto?>>
<< Ehm… Mi hai fatto mettere un vestito blu ad una festa dove il tema era il “bianco e nero”?>> domando, con finto sarcasmo.
<< Oh, per quello… >> mormora lei, nascondendo un sorriso. << Non preoccuparti, stai benissimo >> dice, sventolando la mano in un gesto di noncuranza.
<< Non preoccuparti? Non preoccuparti?! Sembro un lampione a led in una scena di un film muto e tu mi dici di non preoccuparmi?>> sbraito. Poi, notando che lei non mi risponde, continuo. << Posso capire perché l’hai fatto?>>
<< Per farti fare colpo!>> esclama lei. << Per farti notare!>>
<< Io non voglio farmi notare >> sibillo a denti stretti.
Lei sorride, alzando gli occhi al cielo e scuotendo leggermente la testa. << Valeri, ma non capisci. Qui nessuno si accorgerà di te se continui a stare nell’ombra. Sei una bellissima ragazza, gentile, intelligente. Ti manca solo quel pizzico in più per apparire perfetta. Non puoi continuamente restare nascosta in un angolo. Così nessuno si accorgerà mai di quanto sei speciale!>>
La guardo, in silenzio. Sono attonita. Non so davvero cosa rispondere. Mi aspettavo che l’avesse fatto per un motivo ben preciso, come ha fatto quella sera all’altra festa della scuola, ma non mi aspettavo una risposta del genere.
Sospiro. << Oh, e va bene!>> esclamo, facendo roteare gli occhi. << Ma ricordami di non chiederti più consigli sui vestiti!>> aggiungo, puntandole un dito contro.
Lei ride e annuisce. << Ok >> mormora. << Sei fortunata, comunque. Avrebbe potuto essere rosso!>> aggiunge poi.
Sorrido, e mi concedo un secondo per guardare il suo, di vestito. È più semplice di quanto immaginassi. È un normalissimo vestito con gonna a tubino a metà coscia, aderente, completamente nero. C’è una leggera scollatura non troppo evidente, e solo le maniche sono diverse, perché interamente di pizzo. Mia, poi, è leggermente truccata e ha i capelli raccolti in uno chignon perfetto, con qualche brillantino qua e là. Non indossa collane. Sono un paio di orecchini pendenti neri e qualche bracciale.
Inarco un sopracciglio, scettica. << E tu?>> chiedo, guardandola. << Come mai così sobria?>>
Lei fa un mezzo sorriso, girando lentamente su se stessa. Quando è di spalle, mi accorgo che ha la schiena completamente scoperta, dato che la scollatura del vestito le arriva fino alla fine della colonna vertebrale.
<< Non so di cosa tu stia parlando >> dice, fingendo non calanche.
Io rido. Questa si che è la mia amica Mia! Lei ride con me, poi mi prende per mano e torniamo dai ragazzi.
Restiamo tutti insieme per un po’ al centro della sala, poi decidiamo di spostarci su un lato, dove c’è meno confusione.
Una volta lì, ci fermiamo e osserviamo gli altri ballare. Io scruto i presenti nel vano tentativo di trovare qualcun altro che non sia vestito di bianco o di nero, ma niente. Sono l’unica su circa mille persone!
<< Io vado un attimo in bagno >> annuncia Mia, dopo un po’. << E quando torno mi aspetto che tu mi faccia ballare >> aggiunge, puntando un dito contro il petto di Matt.
Lui sorride, malandrino. << Non ti prometto niente.>>
Lei ride, poi gli prende il mento con una mano e gli da un bacio veloce, prima di dirigersi verso i bagni.
Sorrido. Sono così carini!
John mi avvolge i fianchi con un braccio. << Volete qualcosa da bere?>> domanda.
Io scrollo le spalle. << Un po’ di punch, magari >> acconsento.
John annuisce, poi guarda Matt. << Matt?>> chiede.
<< Anche per me, grazie >> esclama lui, sorridendo.
John sorride e va verso i tavoli del buffet a prendere il nostro punch.
Rimaniamo solo io e Matt, qui. È imbarazzante. E anche il silenzio che è calato tra noi lo è. Decido di rompere il ghiaccio.
<< Tu e Mia state davvero benissimo insieme >> dico, tanto per dire qualcosa.
Lui sorride, con sguardo sognante. << Già… Mia… Mia è una ragazza fantastica. È dolce, è gentile, è divertente, eppure credo che non si farebbe mettere i piedi in testa da nessuno, qui dentro. Sa il fatto suo, insomma. Ce ne sono davvero poche così.>>
Annuisco, sorridendo per le sue belle parole. << Mia è speciale >> concludo.
<< Già, lo è. Sono stato davvero fortunato ad averla incontrata. E tutto grazie a te.>>
Inarco un sopracciglio, non capendo. << A me? Che c’entro io?>>
<< Beh, è grazie a te se io e Mia ci siamo incontrati >> risponde, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. << Tu… tu hai un dono speciale, Valeri: capisci le persone. Avevi capito che io e Mia eravamo fatti l’uno per l’altra e ci hai fatto incontrare. Come quel giorno al bar. Hai capito che tra noi poteva nascere qualcosa, e te ne sei andata, lasciandoci soli per permettere che quel qualcosa sbocciasse.>> Si volta e si accorge che lo sto fissando. Continuo a non capire. << Tu osservi le cose da lontano, e le comprendi, senza metterti mai in mostra >> spiega. Poi sorride. << Sei una ragazza da parete.>>
Rimango in silenzio, pensando alle sue ultime parole. Sono una ragazza da parete? Wow. Nessuno mi aveva mai chiamata così. È vero, osservo le cose, gli ambienti, le persone. Ma perché mi piace farlo. Perché credo che, se capisco i loro sentimenti, le loro emozioni, forse posso aiutarli a controllarle. Non mi ero mai accorta di esserci riuscita.
Non credevo… non credevo che qualcuno potesse notarmi.
Prima che io possa dire qualcosa, John ritorna con due bicchieri di punch. << Scusate, c’era fila >> si giustifica, porgendo ad entrambi un bicchiere. Io bevo distrattamente il mio, ripensando alle parole di Matt.
Sono ancora stupita. No, non stupita. Sono… colpita.
Mi ritrovo a sorridere, senza accorgermene. Non pensavo che qualcuno si fosse accorto di me, che fosse andato oltre la ragazza timida e impacciata che scatta fotografie a tutto ciò che vede. Non pensavo che qualcuno si fosse reso conto che, dietro quella ragazza, c’è una persona, con delle emozioni, che non ama mettersi in mostra e che adora osservare le cose, cercare di capirle.
Non pensavo che qualcuno si fosse accorto della… Ragazza da Parete.
Mia torna dal bagno e, dopo un po’, lei e Matt si buttano in mezzo alla pista, decisi a ballare. Aguzzo l’orecchio. Stanno suonando un lento. Mi guardo intorno. La sala e cosparsa di coppiette, che si tengono strette e che ballano guardandosi negli occhi. È tutto molto romantico. 
Il mio sguardo si sofferma su due ragazze, dall’altra parte della sala. Sono sole, evidentemente perché non hanno un accompagnatore, e mi stanno squadrando da capo a piedi, sorridendo sotto i baffi. Non capisco perché, poi mi ricordo. Il mio vestito…
John mi prende la mano, intrecciando le mie dita con le sue. << Ti va di ballare?>> mi chiede, con un sorriso.
Scuoto leggermente la testa. Non voglio ballare. Non voglio andare al centro della sala per rendermi ridicola davanti a tutti.
Vedo con la coda dell’occhio che ha aggrottato le sopracciglia. << Perché?>> fa, non capendo.
Scuoto di nuovo il capo e sento le lacrime salirmi agli occhi. Ma non voglio piangere, non qui, così mi copro il viso con le mani. << Perché sono ridicola!>> singhiozzo, stringendomi contro il petto di John. << E perché tutti mi prenderebbero in giro solo perché sono vestita di blu…>>
John mi avvolge fra le sue braccia. Forse sta sorridendo, ritenendo i miei comportamenti degni di una bambina, ma io non posso vederlo, perché ho ancora il viso nascosto nelle mani.
<< Ehi, sei bellissima >> mormora John, in tono rassicurante. << E chi dice il contrario è solo invidioso, chiaro?>>
Resto in silenzio, confortata dalle sue parole. Poi, quando sono sicura che le lacrime non minacciano più di scendere, alzo lo sguardo e guardo John, accennando un sorriso e annuendo leggermente.
<< Bene >> mormora lui, sorridendomi. << E adesso andiamo a ballare.>>
Mi prende per mano e mi trascina al centro della pista. Mi guardo intorno, contando le persone che sono intorno a me. << Non credo di farcela… >> mormoro, preoccupata.
<< Ehi, è semplice >> esclama John. Si avvicina a me e mi avvolge i fianchi con un braccio, mentre con quello libero afferra la mia mano. Sorride, dolcemente. << Se tu non vedi loro, loro non possono vedere te.>>
Sorrido, perché capisco cosa vuole dire. Mi avvicino ancora di più, fino a far scontrare i nostri corpi, e affondo il viso nell’incavo del collo di John, come faccio sempre, quando voglio un posto sicuro in cui nessuno può farmi del male.
Iniziamo a muoverci lentamente, non seguendo veramente un suono preciso. Solo i battiti dei nostri cuori, che sembrano battere contemporaneamente.
Dopo un po’, sento John sorridere contro la mia tempia.
Alzo lo sguardo e lo guardo, sorridendo. << Che c’è?>>
Lui continua a sorridere, ma scuote leggermente la testa. << Niente…>> mormora.
Inarco un sopracciglio. << Non starai mica ridendo di me, vero?>> domando, fingendomi offesa.
<< No, no >> fa lui ridendo. << È solo che… stavo… pensando, ecco.>>
<< E non si può sapere a cosa?>>
Lui resta un po’ in silenzio, poi sospira. << A quanto è strana la vita >> risponde. << Sai, io… io ho visto tanti posti, ho incontrato tanta gente, ma purtroppo non sono mai riuscito a creare dei rapporti, non sono mai riuscito a fidarmi davvero delle persone. Ma con te… con te è stato diverso. Sapevo che eri una ragazza speciale, perché dal primo giorno che ti ho incontrata, a scuola, mi sono sentito diverso. Ho sentito in me un senso di… completezza. Capisci?>> Annuisco leggermente e lui continua: << Ho provato più volte a pensare che tutto questo fosse sbagliato, perché sarei potuto ripartire da un momento all’altro, e perché poi avrei sofferto. Ma, per quanto ci provassi, ogni volta che pensavo a te sentivo un fuoco dentro, alla bocca dello stomaco, e capivo che tutto questo non era normale, perché non avevo mai provato una cosa del genere. All’inizio ero spaventato, poi, ho realizzato che quella sensazione era piacevole. Anzi, bellissima. Provavo a non pensare a te, a quello che mi facevi provare, ed ero riuscito quasi a convincermi di non provare niente per te, niente di importante. Potevo farcela. Il problema, però, arrivava quando ti abbracciavo, e sentivo il tuo profumo. Il tuo respiro. E capivo che non potevo fare a meno di te.>>
Mi guarda intensamente negli occhi, poi abbassa lo sguardo, fissando la mia spalla. Arrossisce leggermente, e sorride, in imbarazzo.  << Sai, forse sono innamorato di te >> dice. Mi guarda di nuovo negli occhi, sorridendo un po’. << Aspetto di esserne sicuro per dirtelo, comunque.>>
Lo guardo senza dire una parola. Ho sentito male, oppure ha davvero detto che forse può essere innamorato di me? Di me?!
Perché non gli rispondi?, mi rimprovero mentalmente per il mio stupido silenzio. Coraggio, dì qualcosa! Digli che anche tu gli vuoi bene. Anzi no, digli che lo ami! Si, perché è così, lo ami. Lo ami con tutto il cuore. So che è strano da dire ma è così. È così e basta. Ami il suo sorriso, ami i suoi capelli, ami il suo profumo. Ami il modo in cui ti guarda con quei suoi occhi blu. Ami sentire il suo sguardo addosso, perché ami le farfalle nello stomaco che senti quando ti guarda. Ami le sensazioni che il suo profumo ti stimola. Ami quanto forte ti batta il cuore quando ti bacia. Lo ami, e lo sai. E allora perché non dici niente? Di qualcosa, stupida!
Apro la bocca, ma non ne esce alcun suono. Di almeno una parola!
La musica finisce e tutti si fermano per applaudire. Un componente della band si avvicina al microfono e si sgranchisce la voce.
<< Bene!>> esclama, facendomi uscire da quello stato di trance. Non mi ero neanche accorta di guardare ancora negli occhi John, e che i nostri volti fossero così vicini. << È il momento del karaoke!>>
Tutti nella sala esclamano, entusiasti, e John mi afferra per mano e mi trascina via, lontano da tutto quel trambusto. Raggiungiamo Mia e Matt. Lei mi sorride.
<< Allora >> continua il ragazzo sul palco. << Chi vuole cantare?>>
<< Io!>> esclama una voce al centro della sala. La riconosco subito. << Canto io!>> Jessica si avvicina a passo svelto verso il palco.
Inaspettatamente, un coro di buh si leva per tutta la sala, accompagnato da alcuni fischi.
<< Non vogliamo te!>> esclama qualcuno.
<< Vogliamo sentire qualcun altro!>> grida un altro.
<< Ah, si?!>> urla Jessica, che ora è salita sul palco e ha preso il microfono. È visibilmente infastidita. << E chi vorreste, sentiamo?>>
<< Fate cantare Valeri!>> esclama una ragazza.
<< Si!>> urlano tutti gli altri. Mi unisco al coro di si, ma… Oh, aspetta. Cosa?!
Prima che io possa replicare, un coro invade la sala. << Valeri! Valeri!>> urlano, tutti insieme.
Il ragazzo del gruppo scansa Jessica e prende il microfono. << Ehm, Valeri?... Ci sei?>>
Mia mi da una leggera spintarella. Mi volto a guardarla. << Coraggio, va!>> esclama.
<< Io… io non voglio andare!>> ribatto.
<< Oh, andiamo, non sarà mica la fine del mondo, no?>>
<< Se la pensi così vacci tu!>>
<< Oh, andiamo! Va!>>
Guardo John, in cerca di supporto. Lui sorride e annuisce. << Va >> mormora, incitandomi con un cenno del capo.
Faccio un bel respiro e ci penso. In fondo, l’ho già fatto una volta, ed è piaciuto. E poi, sono loro che stano urlando il mio nome. Con passo incerto, mi dirigo verso il palco.
Quando mi vedono, iniziano tutti a gridare e ad applaudire. Salgo sul palco e mi posiziono davanti al microfono. Jessica è ancora lì. La guardo, scettica. << Ti dispiace?>>
Lei spalanca la bocca, offesa e sorpresa allo stesso tempo, e scende dal palco, i pugni serrati, le braccia strette contro il corpo.
Quando se ne va, guardo il pubblico che ho in sala. Da qui sembrano molti di più. Un groppo mi sale in gola e sento mancare la salivazione.
Guardo il ragazzo di prima, che scopro essere il chitarrista della band. Lui mi fa cenno di parlare.
Mi sgranchisco la voce e mi avvicino al microfono. << Salve >> esclamo. Tutti applaudono. << Io… ehm… non… non mi spettavo di cantare, stasera >> spiego. << Beh, ecco… >> Mi guardo intorno, cercando con lo sguardo il volto dei miei amici. Quando li trovo, Mia mi sorride, divertita. Ed io ho un’idea.
<< Ma, se proprio devo farlo >> esclamo. << Voglio farlo con la mia migliore amica. Un bell’applauso per Mia!>>
Tutti applaudono, entusiasti. Mia mi guarda, spaesata, così scendo dal palco e vado a prenderla per mano, trascinandola con me. All’inizio fa un po’ di resistenza, cercando di opporsi, ma poi, quando due ragazze mi aiutano a trascinarla, lei si arrende e si fa portare. Saliamo insieme sul palco.
<< Bene!>> esclama il chitarrista. << Scegliete cosa cantare.>>
Mia mi guarda, fulminandomi con lo sguardo. << Questa me la paghi >> mormora a denti stretti.
<< Così impari a darmi un vestito blu >> ribatto, facendole l’occhiolino.
Lei sbuffa, frustrata. Iniziamo a pensare ad una canzone. È difficile, perché quando una ne propone una, si accorge subito che non è nelle corde dell’altra e viceversa. Dopo l’ennesimo tentativo andato male, mi viene un’idea.
Cerco Matt con lo sguardo e lo trovo quasi subito. Gli faccio cenno con la mano di venire e lui ci raggiunge, senza esitazioni.
Spiego a entrambi la mia idea, e loro, dopo un po’ acconsentono.
Così, mentre io e Mia ci posizioniamo davanti ai microfoni, Matt afferra una chitarra elettrica e spiega ai componenti del gruppo le note da fare.
Dopo un po’, sento le bacchette del batterista segnare il tempo. E uno, e due. E un, due, tre, quattro. La musica inizia. E il coro parte.
<< Oh yeah yeah
Oh yeah yeah yeah yeah
Ooh!>>
Sorrido e canto anch’io.
<< Oh yeah yeah
Oh yeah yeah yeah yeah
Ooh!>>
Ci siamo, è il mio momento.
<< Never had much faith in love or miracles.>>
Il coro mi segue. << Miracles, Ooh!>>
<< Never wanna put my heart on the line>>
 << Ooh!>>  
<< Swimming in your world is something spiritual >>
 << Spiritual, Ooh!>>
<< I'm born again every time you spend the night >>
<< Ooh!>>
<< Cause your sex takes me to paradise >>
Incito Mia con il capo a seguirmi. Lei fa roteare gli occhi ma inizia a cantare con me.
<< Yeah your sex takes me to paradise
And it shows, yeah, yeah, yeah >>
È il momento del ritornello, che cantiamo insieme, mentre il coro ci segue.
<<Cause you make feel like (feel like), I've been locked out of heaven (heaven)
For too long (long), for too long (long)
Yeah you make feel like (feel like), I've been locked out of heaven (heaven)
For too long (long), for too long (ooooh)>>
<< Oh yeah yeah yeah >>
<< Ooh!>>
<< Oh yeah yeah
Oh yeah yeah yeah
Ooh!>>
Guardo Mia e le sorrido. È il suo momento.
<< You bring me to my knees
You make me testify >>
<< Testify!>>
Rimango a bocca aperta. La sua volce è calda e suadente, ma anche molto… potente. È la classica… voce nera, ecco.
<< Oh, Whoa!
You can make a sinner change his ways >>
Mi unisco a lei.
<< Open up your gates cause I can't wait to see the light >>
<< See the light >>
<< And right there is where I wanna stay
Cause your sex takes me to paradise
Yeah your sex takes me to paradise
And it shows, yeah, yeah, yeah >>
<< Yeah, yeah, yeah >>
È di nuovo il momento del ritornello.
<< Cause you make feel like (feel like), I've been locked out of heaven (heaven)
For too long (long), for too long (long)
Yeah you make feel like (feel like), I've been locked out of heaven (heaven)
For too long (long), for too long
Oh oh oh oh, yeah, yeah, yeah >>
<< Can't I just stay here
Spend the rest of my days here >>
<< Oh oh oh oh, yeah, yeah, yeah >>
Cantiamo solo noi due, ora. O meglio, canta lei, mentre io le faccio da sfondo con qualche acuto. Sorridiamo e ci mettiamo una contro la schiena dell’altra.
<< Can't I just stay here (Can't I just stay here)
Spend the rest of my days here (Oooh!)>>
Ci mettiamo una di fronte all’altra e ci prendiamo per mano.
<< Cause you make feel like (You make me feel like),
I've been locked out of heaven (Whoa)
For too long, for too long >>
Prendiamo entrambe l’asta del nostro microfono e la battiamo a tempo a terra, mentre tutti gli altri, nella sala, battono le mani.
<< Yeah you make feel like, I've been locked out of heaven (Yeah!)
For too long (For too long!), for too long!>>
È il momento del gran finale.
<< Oh yeah yeah yeah. Yeah, yeah, yeah >>
<< Ooh!>>
<< Oh yeah yeah
Oh yeah yeah yeah >>
<< Yeah, yeah, yeah!>>
Concludiamo tutti insieme.
<< Ooh!>>
È fatta, la canzone è finita. Aspettiamo qualche secondo in silenzio, guardandoci, prima che il pubblico esploda in un’enorme applauso.
Mia ride e mi abbraccia, entusiasta. Rido anch’io.
Non posso crederci. L’ho fatto, l’ho fatto di nuovo! Ho cantato davanti a tutte queste persone e sono stata brava. Mi sono piaciuta.
Tutti esclamano i nostri nomi a gran voce, in fibrillazione. Anche la band applaude. Matt ci corre incontro e ci abbraccia, saltando e urlando elettrizzato.
Guardo gli altri. Sorridono tutti, applaudendo. Tra tutti, il mio sguardo si sofferma su John.
Brava”, mi mima con le labbra, in modo che solo io possa sentirlo.
Sorrido e gli mando un bacio con la mano. Lui ride.
Mentre scendiamo dal palco, i miei occhi incontrano quelli di Jessica. Lei mi fissa, con sguardo truce, pieno di odio. Osservo le sue labbra, sta mimando qualcosa. “Me la pagherai cara”.
Rabbrividisco. Non so perché abbia detto così. Perché le ho risposto prima? Perché le ho rubato la scena? Molto probabilmente per entrambe le cose. Lei mi odia, e questo è certo. Ma non so se davvero me ne importa.
Raggiungo John e lui mi abbraccia, sollevandomi da terra e facendomi volteggiare. Ridiamo insieme.
<< Sei stata grande!>> esclama, sorridendo.
Sorrido anch’io e lo abbraccio di nuovo. Poi gli prendo il viso fra le mani e lo bacio.
Il resto della festa va a gonfie vele. Beviamo, mangiamo, balliamo, e insieme ci divertiamo come non mai.
Cerco di non pensare molto alle parole di Jessica. Mi hanno un po’ scosso, ma non ho paura di lei. Non mi interessa se mi odia, quindi cerco di non pensarci.
Non avrei mai potuto immaginare che quelle quattro parole avessero dato il via ad una guerra.
Una guerra senza esclusione di colpi.

Angolo Scrittrice
Bonjur! Sono sempre io, e sono sempre qui per rompervi un po'! ^^
No, vabbè, dai, scherzi a parte. Sono qui per scusarmi.
lo so che sono imperdonabile, perchè ho postato questo capitolo con un eeeenooorme ritardo. Ma ho delle motivazioni più che valide. Il fatto è che questo non è stato un periodo grandioso. Prima c'è stato il battesimo di mia cugina, poi c'è stato un lutto in famiglia per cui ho sofferto tanto, poi è arrivata la depressione per non essere riuscita a prenotare i posti per i M&G con il mio idolo (nel caso ve lo stesse chiedendo sto parlando di Logan Lerman, il mio amore proebito **), poi il 3 è stato il mio compleanno, e il sabato dopo ho festeggiato, poi è stato il compleanno di mio padre e... aargh! Non ho avuto tempo! D: il capitolo era già pronto da un pò, ma non ho avuto proprio un briciolo di tempo per pubblicarlo. Però, sono riuscita a pubblicarlo pelo pelo, dato che domani vado al concerto di Jovanotti e sto via per due giorni. Che bello! ^^
Anyway, bando alle ciance, parliamo del capitolo. Vi è piaciuto? *sguardo che conquista*
So che forse non è il massimo, ma è il meglio che sono riuscita a partorire in questo periodo "no", quindi spero che vi piaccia. Scusate se forse è un pò troppo lungo, ma non potevo fare altrimenti.
By the way, vi è piaciuto? ** me lo lasciate un commentino, o con questo enorme ritardo e questo schifo di capitolo sono anche riuscita a perdere quel poco di lettori che avevo? :'(
Pleeasee! Perdono! *occhi da cucciolo* Dai, se mi perdonate e mi lasciate un commentino, nel prossimo capitolo vi faccio una sorpresa. ;D
Vabbè, ora è meglio che vada, prima che mi lanciate i pomodori.
Però, prima di andare, voglio lasciarvi le foto di come immagino i vestiti, nel caso io non li abbia descritti bene:
- Quello di Valeri: file:///C:/Users/U16G/Desktop/IMG_6461.JPG
- Quello di Mia:
file:///C:/Users/U16G/Desktop/IMG_5649.JPG
- Quello di Jessica: file:///C:/Users/U16G/Desktop/IMG_5640.JPG
Bacioni e peace and love a tutti quanti. Aspetto con ansia i vostri commenti
Love ValeryJackson
P.s. Ogni riferimento al film e/o libro "Noi siamo infinito- Ragazzo da parete" è puramente intenzionale, trovando io quel film bellissimo e il mio Logan perfetto.
Baci! :* <3

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: ValeryJackson