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Autore: Belarus    11/07/2013    3 recensioni
#cap02.
«Uno per la Regina!»
« …»
«E uno per me!»
«Igirisu-san voi siete ubriaco!»
«Not! What’s it to you? Nothing! You don’t give a rat’s ass about me stupid frog!»
«… credo sia meglio chiamare Furansu-san… »

[Prima classificata al contest “Il Consiglio spudoratamente ignorato” indetto da HopeGiugy sul forum di EFP]
{Ovviamente FrUk, perché il fandom ne ha bisogno, il mondo ne ha bisogno}.
Belarus.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Paralipomeni - During the meetings'
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Titolo: Most nights I hate you - #02. Maybe I Hate
Genere: Romantico; Comico{accenni d’obbligo}; Erotico{ovviamente, ma solo un pochino}.
Rating: Arancione.
Personaggi: Arthur Kirkland[England]; Francis Bonnefoy[France]; Kiku Honda[Japan – comparsa]; Un pò tutti.
Note: Capitolo conclusivo di questa piccolissima Fruk che ho scritto con tanto amore e che adesso mi ritrovo a pubblicare dalla medesima città in cui si svolge. Ne approfitto per fare l’ennesimo appello per questa coppia che non smetterò mai di adorare dal più profondo del mio cuoricino da ranocchia: il mondo ha bisogno della Francia Britannica o Britannia francese, mettetela un po’ come vi pare, ma mettetela, parce que è giusto, è decisamente soddisfacente e io ho deciso di condurre una battaglia in loro favore! Per quanto riguarda questo caso specifico, ringrazio chi mi ha lasciato un pensierino frukkoso e un po’ meno, chi l’ha aggiunta tra i preferiti, persino tra le ricordate e le tante persone che hanno letto e seguito in una muta approvazione. Merci, mes ami e che la Francia Britannica sia con voi.
{La storia è Prima classificata al contest de "Il Consiglio spudoratamente ignorato" indetto da HopeGiugy sul sito di EFP}.


Most nights I hate you


Cadde malamente sulla panchina in pietra di Leicester Street, la bottiglia stretta sotto il braccio, la vista offuscata dalla massa di capelli stopposi che gli ricadeva sugli occhi. Caramelle, c’era un palazzo di caramelle di fronte a lui, caramelle con occhi, bocche, mani e piedi che lo indicavano, l’ambasciata delle caramelle! Le salutò dondolando sul marmo freddo, continuò per una buona manciata di minuti seguitando l’ondeggiare della cravatta slacciata, ma sicuramente dovevano essersela presa a male perché non ricambiarono neanche per un istante. Le insultò con stizza, la poca gente ancora presente nella piazza lo fissò preoccupata, si chiese che avessero da guardare a quel modo. Era lui quello che doveva ritenersi offeso, quegli stupidi dolciumi non erano nemmeno lontanamente educati quanto lui e per di più continuavano a indicarlo con quei sorrisini. Odiava le caramelle che ridevano di lui, odiava la gente che si prendeva gioco della nobile Inghilterra, anni prima non lo avrebbe mai fatto nessuno e semmai a qualcuno fosse passato per la mente, lui li avrebbe appesi all’albero maestro dell’ammiraglia della sua flotta. Non ridevano mai quando li legava all’albero! Era stato un vero peccato non utilizzarla più, i tempi forse erano davvero cambiati, ma presentarsi con una flotta di migliaia di navi da guerra a un meeting era persino meglio di indossare lo smoking di James Bond. Si lasciò cadere di schiena contro la panchina, era così buio il mondo visto da quella posizione, non c’erano neanche due stelle da fissare o nuvole da seguire, solo oscurità e luci di aerei di passaggio. Batté i denti infreddolito rigirandosi sul marmo, la bottiglia che teneva stretta al petto lasciò gocciolare via parte del brandy che era rimasto, una piccola pozza di alcool bagnò la pavimentazione della piazza.
<< Ti avevo detto di non bere Angleterre… >> lo ammonì.
Arthur si voltò malamente, la panchina svanì subdolamente da sotto di lui, si ritrovò con il sedere schiacciato su un cespuglio di chissà quale pianta odiosa dai rami ormai rotti. La bottiglia gli sfuggì di mano, ma riuscì ad acciuffarla facilmente dopo un paio di tentativi, la puntò con astio contro la figura dalla parte opposta della panchina. Bastard! Gli faceva persino i rimproveri, lui osava fare dei rimproveri a una persona che aveva fatto dell’essere impeccabile il suo biglietto da visita! Se fosse stato giudicato dalla commissione reale, sarebbe passato a pieni voti, i suoi problemi di alcolismo – inesistenti e del tutto inventati per calunniarlo – erano superati da secoli.
<< E chi se ne importa di quello che dici french frog! >> borbottò isterico, dondolando la bottiglia.
Provò ad alzarsi per andare a prenderlo a pugni, ma le sue mani si rifiutavano di collaborare. Continuavano ostinatamente ad affondare nel vuoto, senza permettergli di trovare un qualsiasi appiglio capace di risollevarlo. Nel disperato tentativo di vendicare quella maldicenza messa in giro dalla rana, riuscì persino a battere la fronte contro la lastra in pietra della panchina, dolore lo costrinse a rimettersi seduto per terra, gli occhi gli si riempirono di lacrime.
<< Juste ciel! >> Francis sgranò i propri preoccupato.
Aggirò in fretta il sedile, entrando nell’aiuola dove Arthur se ne stava accasciato tenendosi la testa, si accovacciò lì accanto poggiandogli una mano fra i capelli biondi. Si sporse per osservare meglio la fronte dell’inglese che adirato continuava a lanciargli occhiatacce, sospirò avvilito aiutandolo a sedersi nuovamente su quella panchina sovversiva che aveva minacciato la sua incolumità mentre l’interessato gli piantava le mani sul viso per allontanarlo. Si ritrovò a litigare come un bambino nel bel mezzo della piazza, sotto lo sguardo dubbioso di gente che, dai locali della strada opposta, si domandava perché continuassero a tirarsi i capelli e prendersi a calci. Quando finalmente riuscì ad afferrargli entrambi i polsi, Arthur cominciò a lamentarsi con insistenza agitando la bottiglia che reggeva ancora in una mano.
<< Credo sia il caso di riaccompagnarti a casa… >> mormorò sconfortato.
<< Ce la faccio da solo e vado a casa quando mi pare per tua informazione! >> ringhiò nevrotico, cercando di colpirlo con una parte qualsiasi del proprio corpo.
Francis evitò accuratamente la testata indirizzata al suo addome, lasciò una delle mani di Arthur per affondare la propria tra i suoi capelli. Lo accarezzò con supponenza.
<< Non sai alzarti da un’aiuola, figurarsi se ritrovi casa tua Angleterre! >> lo beffeggiò.
<< I kill you idiot! >> strillò alzandosi in preda alla collera.
Il francese esplose in una risata divertita spostandosi indietro di qualche passo, mentre il britannico barcollava per la piazza cercando di acciuffarlo, un’espressione di odio profondo dipinta a chiare lettere sul volto arrossato dall’alcool. Quando ruzzolò a terra per l’ennesima volta, Francis smise di ridere e tornò ad avvicinarsi piano, si piegò sulle ginocchia scrutando gli occhi verdi dell’altro. Aveva le sopracciglia aggrottate, le spalle rannicchiate su se stesso come se in quel preciso istante stesse sperando di scomparire nel nulla grazie ad una di quelle sue irrealizzabili magie. Sorrise intenerito quando gli sentì bofonchiare maledizioni di ogni sorta, si voltò di spalle dopo avergli afferrato le braccia, lo costrinse a poggiarsi alla sua schiena tornando ad alzarsi.
<< Che diavolo s-stai facendo?! >> domandò allarmato, staccando i piedi da terra.
Arthur si ritrovò in groppa prima di rendersene conto, terrorizzato cercò di dimenarsi per quanto gli fosse possibile, ma la minaccia di battere nuovamente il didietro sull’asfalto della piazza lo convinse ad ammorbidirsi almeno per quell’occasione. Non mancò ciò nonostante di lamentarsi, per lui quello era un affronto in piena regola che in anni di vita non aveva mai subito da nessuno, non poteva di certo farsi trasportare in giro per Londra come se fosse un pacco, non da quello stupido francese depravato che continuava a palpargli le gambe. Strinse le braccia attorno al collo dell’altro, continuò con un’espressione di profonda crudeltà finché Francis non emise un rantolo soffocato rischiando di cadere dal marciapiede.
<< S-se mi soffochi non ci torni a casa! >> annaspò, cercando di prendere l’equilibrio.
<< Non ho bisogno di te, te l’ho già detto! E non toccarmi il sedere! >> abbaiò contro il suo orecchio.
Francis chiuse un occhio stringendo i denti, era certo di aver perso l’udito almeno dalla parte sinistra, con un po’ di fortuna forse sarebbe tornato nel giro di qualche giorno, sempre che la main de Dieu fosse stata su di lui. Emise un borbottio d’intolleranza, quando Arthur gli versò frustrato sul capo ciò che restava del brandy preso al pub. I capelli gli si afflosciarono sulla fronte, rivoli di alcool colarono sulle sue labbra sparendo sotto la camicia, la pelle divenne appiccicosa, si fermò di colpo quando era ormai possibile intravedere Irving Street. Una foglia secca scivolò sul capo di Arthur quando Francis lo rimise sul marciapiede, si fissarono per qualche istante prima che la mano del francese si alzasse di colpo e il taxi dalla carrozzeria scura accostasse a pochi metri da loro. Lo afferrò per il polso spingendolo dentro l’auto, l’autista domandò immediatamente l’indirizzo, ma Arthur fece fatica a seguire ogni parola detta con sofferenza dal francese in una lingua che non gli apparteneva. Scivolò stanco sul sedile di pelle, le luci di Londra cominciarono a susseguirsi oltre il finestrino, auto, insegne, taxi e cabine telefoniche si mescolarono in un’unica grande massa che gli diede la nausea. Percepì lo stomaco rigirarsi su se stesso, portò la mano all’addome come se quello potesse giovare, spostò la schiena sul sedile, il capo si poggiò sulla spalla del francese mentre il whisky risaliva la sua gola.
<< Non vomitarmi addosso, siamo quasi arrivati… >> sussurrò piano con le labbra a pochi centimetri dalla sua fronte.
Arthur aggrottò le sopracciglia, no che non gli vomitava addosso, anche se sarebbe stato divertente vedere la sua espressione quando i suoi dannati pantaloni blu si sarebbero rovinati, era pur sempre su un taxi guidato da un suo connazionale. Chiuse gli occhi sperando che tutte quelle curve, rotatorie e frenate terminassero il prima possibile, la stanchezza lo colse all’improvviso. I rumori si attenuarono, la strada smise di essere un problema, il profumo di Francis gli annebbiò la mente quasi più dell’alcool mentre il taxi imboccava alcune scorciatoie per evitare il traffico di Trafalgar Square. Riuscì a identificare gli incroci di ogni singola via, il vociare dei turisti in visita ai luoghi più caratteristici della sua amata città, il rintocco cupo e solenne del Big Ben a indicare l’ennesima ora di vita come Nazione. Il taxi rallentò sino a fermarsi, Francis si mosse costringendo Arthur a scendere dall’auto, poggiare nuovamente i piedi sull’asfalto lo fece sentire in estasi. Gettò un’occhiata a Great George Street, la piccola piazzetta a pochi metri dal suo appartamento era piena di stranieri che scattavano photo notturne, dalla parte opposta un’auto rossa si allontanava verso il Tamigi. Barcollò sino ai piccoli gradini bianchi della sua casa, Francis lo scrutò preoccupato pagando l’autista. Non ricordava neanche perché avesse deciso di abitare lì, nel pieno centro di Londra, senza un giardino in cui prendere il tè con i suoi amici, senza nessun cottage e nessuna collina verde. Non aveva quasi più memoria delle scelte fatte per la sua vita privata, ricordava solo di aver trovato adorabile e fiabesco quell’appartamento dalla porta nera con i vasi ai balconcini e le finestrelle vittoriane. Era come un grande portale per un mondo che Londra molti anni addietro era stata, ma che adesso non avrebbe più visto un’altra alba. Accarezzò il gradino con affetto, Francis in piedi di fronte a lui si abbassò infilandogli una mano nei pantaloni, Arthur smise di prestare attenzione alla pietra fredda e lo fissò sconvolto.
<< La chiave... >> sussurrò, dondolandola innanzi al suo volto arrossato.
Francis risalì i due gradini evitando accuratamente le piante dalla forma tondeggiante che giacevano sul pianerottolo, fece scattare la serratura con un unico giro, porse la mano verso l’inglese che ancora seduto sui gradini la allontanò con orgoglio. Entrò in casa con passo strascicato, confuso sul dove andare e cosa fare, la porta si richiuse alle sue spalle e Francis lo trascinò lungo lo stretto corridoio della casa sino al salottino. In un’altra occasione si sarebbe arrabbiato, lo avrebbe cacciato da casa sua con tutte le urla e gli insulti di cui era capace, ma quella volta non aveva proprio la forza per mettersi a litigare con lui. Aveva già subito abbastanza percosse quando aveva tentato di riempirlo di pugni a Leicester Street. Barcollò verso il divanetto vittoriano che riempiva la stanza, c’era ancora la tazza di tè che aveva mancato di finire prima della riunione, il libro di Conan Doyle riposto sul tavolo basso con su il promemoria dell’ennesima telefonata da fare alla Famiglia reale. Strinse gli occhi infastidito mentre il lampadario si accendeva e la stanza s’illuminava a giorno, Francis afferrò la tazza e sparì in corridoio come se quella fosse casa sua.
Arthur fu sul punto di urlare, ma avrebbe fatto più male a lui che alla rana, si rassegnò all’idea di sentirlo vagare per casa sperando che inciampasse in qualche tappeto indiano o battesse contro una parete. Si sdraiò sul divano, tirando a sé la coperta in filo di Scozia che teneva accanto alla pila di riviste politiche e ricamo, chiuse gli occhi, ma passi ripresero a tormentarlo. Si girò appena scoprendo Francis seduto sulla poltrona accanto al divano, una tovaglia a tamponare i capelli biondi, la photo del matrimonio di molti mesi prima alle spalle. Sentì l’esigenza di dire qualcosa, qualsiasi cosa per colmare quel silenzio inusuale fra loro.
<< Perché sei venuto a cercarmi? >> borbottò con voce smorta.
Il francese smise di tamponare i capelli, gli occhi di un blu intenso parvero per un istante confusi, ghignò poco dopo alzando le spalle, la gamba accavallata.
<< Ti sei ubriacato! >> lo schernì perfido agitando l’ultimo lavoro di ricamo dell’inglese.
Arthur afferrò il libro dal tavolo lanciandoglielo contro, lo mancò di parecchi centimetri, ma bastò per togliergli quel sorrisino idiota dalla stupida faccia che si ritrovava e fargli emettere uno squittio di terrore.
Alla fine lo avrebbe riempito così tanto di pugni da farlo diventare l’uomo più brutto di tutto il mondo, lo aveva giurato a se stesso quando ancora erano dei bambini e il maledetto si faceva beffa delle sue sopracciglia: “Hai i baffi nel posto sbagliato!” aveva sghignazzato la prima volta che si erano parlati e lui – dopo aver ovviamente tentato di riempirlo di lividi - aveva pianto, tanto, anche troppo.
Tornò a ruotarsi offeso verso lo schienale del divano, si rigirò dopo qualche secondo sentendo lo sguardo insistente di Francis su di se. Rimase a osservare il tetto della stanza per alcuni minuti, ma il silenzio era calato ancora e lui aveva bevuto troppo brandy per tenere a freno la lingua ed evitare di insultarlo senza mezzi termini dopo quella battuta. Doveva avere la sua vendetta per la serata d’inferno che aveva passato, per le sopracciglia, per le ramanzine e le raccomandazioni che gli rivolgeva ogni volta, per lo stupido mal di stomaco che si era fatto venire quando quel pervertito era uscito dal Grey Hound senza di lui.
<< Il tuo appuntamento? >> borbottò celando l’imbarazzo.
Francis sgranò gli occhi sorpreso, Arthur si costrinse a rimanere indifferente, sperò che il rossore delle guance passasse inosservato grazie al troppo alcool che aveva ingerito e che adesso lo faceva blaterare.
Perché effettivamente non c’era un motivo per cui aveva fatto quella domanda, o meglio, pretendeva una giustificazione adatta a spiegare perché quel maledetto depravato fosse sparito da un momento all’altro con una ragazza inglese che neanche conosceva e con cui aveva scambiato all’incirca dieci parole, ma niente di più. In fondo il problema non esisteva, Francis era fatto a quel modo da sempre e mai sarebbe stato diverso. Il mal di stomaco che aveva provato era stato causato dalla mancata cena, dal cibo che Alfred si era premurato di sputargli addosso, dal nervosismo per la serata andata male e per quei loro stupidi litigi insensati. Aveva sempre dolore allo stomaco, era normale.
<< Oh très bien! >> rispose stucchevole, accarezzando il bracciolo.
Si tirò a sedere non appena l’altro ebbe terminato la frase, la nausea lo colse ancora, ma anche quella volta il whisky si limitò a restare nella sua gola. Il biondo accanto a lui lo fissò scuotendo la testa, si alzò dalla poltroncina aggirando il tavolinetto da tè.
<< Peccato che io sia stato interrotto, era una ragazza adorabile! >> cianciò prima di sparire in corridoio.
Arthur si passò una mano tra i capelli sudati, comprese ciò che l’altro aveva detto solo quando udì il suono della ceramica della teiera sul vassoio che aveva riposto in cucina, sorrise compiaciuto mentre la stanza attorno a lui continuava a ruotare. Attese che Francis fosse di ritorno e gli porgesse la sua tazza, prima di borbottare tra i fumi del tè caldo macchiato che avrebbe di certo fatto sparire la nausea insistente.
<< Ti ha dato buca?! >> ghignò compiaciuto, assaporandone un po’.
Il calore gli annebbiò la vista, ma la mente si fece appena più lucida a ogni sorso che beveva. Certo, non era tè fatto da un inglese, non era il suo tè, ma per quella volta poteva anche passarci sopra considerata la soddisfazione che lentamente si allargava nel suo petto. Francis alzò un sopracciglio indispettito, prese anche lui una tazza rigirando il cucchiaino all’interno, una goccia di miele colò sulla sua lingua quando lo portò alle labbra e Arthur sentì lo stomaco ingarbugliarsi ancora.
<< Ho ricevuto una telefonata da parte di Kiku… >> blaterò, leccando lascivo i residui di miele.
<< Kiku Honda? Giappone? >> domandò con difficoltà.
Non aveva idea del perché Kiku avesse telefonato a Francis durante un appuntamento, non era da lui, ma persino più inspiegabile era la sensazione di profonda agitazione che lui stava provando in quell’istante vedendo il francese alle prese con quel dannato miele. Non poteva utilizzare lo zucchero? O bere il tè come tutti i bravi inglesi, senza niente tranne latte o limone?!
<< Oui, eri ubriaco e lui profondamente turbato così ha deciso di chiamare moi… >>


<< Uno per il mio popolo! >>
<< Igirisu-san perdonate l’impudenza, ma… >>
<< Uno per i miei scones! >>
<< ... Igirisu-san… >>
<< Uno per la Regina! >>
<< … >>
<< E uno per me! >>
<< Igirisu-san voi siete ubriaco! >>
<< Not! What’s it to you? Nothing! You don’t give a rat’s ass about me stupid frog! >>
<< … credo sia meglio chiamare Furansu-san… >>



Qualcosa forse ricordava. Gettò giù imbarazzato un immenso sorso di tè incurante del vapore che gli bruciava il volto, non solo aveva dato spettacolo quando le altre Nazioni lo guardavano, ma aveva persino urlato addosso a Kiku scambiandolo per quel maledetto francese che come una dannata balia era andato a recuperarlo.
<< Pauvre Kiku, quando sono arrivato era quasi in lacrime… >> agitò il cucchiaino accanto al viso.
Lo guardò accigliato leccare via dalle labbra un po’ di miele, gli occhi socchiusi in un’espressione dispiaciuta, una ciocca bionda ad accarezzargli la guancia. Ebbe voglia di strappargli quel maledettissimo pezzo d’argenteria dalle mani e leccare via ogni traccia di miele rimasto, si protese verso di lui con impazienza. Si fermò quando stava ormai per alzarsi rendendosi conto di quello che aveva appena pensato, la mano si schiantò contro il volto strofinando gli occhi verdi come se quello potesse servire a cancellare tutto.
<< Lacrime? >> domandò confuso scrutando ancora quella fastidiosissima lingua.
Francis abbassò il cucchiaino, gli rivolse un ghigno malizioso allargando la cravatta rossa.
<< Sei scappato dal pub con la bottiglia in mano, non è abituato al tuo lato ribelle mon chéri! >>
Arthur lo fissò accigliato, il sorrisino che si era stampato sul viso nel dargli del ribelle avrebbe fatto notare l’allusione a chiunque, quel depravato si era accorto di tutto, si stava prendendo gioco di lui. Chiuse gli occhi cercando di concentrarsi per evitare inutili stragi in pieno centro, non avrebbe avuto tempo per liberarsi del cadavere della rana e ripulire tutto. Fece finta di nulla, ma l’idea di aver fatto una tale figura lo stava torturando, senza contare che da quanto aveva detto quel maniaco microcefalo, si era dato alla fuga costringendolo a cercarlo per la città come se fosse un bambino. Non riusciva a sopportare l’umiliazione del francese che se ne andava in giro, solo per riportarlo a casa.
Gli aveva persino rovinato l’appuntamento, ma di quello era stranamente entusiasta, nonostante qualcosa lo spingesse a chiedersi perché Francis si fosse premurato di mollare una donna per andare a zonzo per Londra a cercare lui. Certo quello stupido quando voleva sapeva essere premuroso, ma quella era un’altra storia che nonostante tutto lasciava ad Arthur un groppo allo stomaco. Poggiò la tazza sul tavolinetto, la mente un po’ più lucida di quando aveva messo piede in casa, abbassò il capo fissando l’ultimo residuo di tè sul fondo dentro cui il biondo aveva gettato il cucchiaino ripulito dal miele. Non seppe perché, ma le parole vennero fuori senza che lui potesse fermarle, senza che l’orgoglio – o il senno - interferisse con il senso di colpa. Doveva rimediare in qualche modo e l’alcool lo rendeva loquace. Anche troppo.
<< Mi spiace per averti rovinato la serata, mi spiace per averla rovinata a tutti… >> bisbigliò contrito.
Francis lo scrutò in silenzio, intontito da scuse che Arthur non gli aveva mai rivolto neanche durante secoli di guerre e morti. Erano sempre stati rari i momenti in cui quelle parole avevano attraversato La Manica per cacciare via pesi troppo ardui da tollerare, persino più sporadici quelli in cui erano state dette a così poca distanza. La sua schiena si mosse allontanandosi dalla poltrona, fu sul punto di alzarsi, la mano protesa verso l’orgoglioso ragazzino britannico che lo aveva tormentato da sempre.
<< Angleterre… >> sussurrò.
Arthur si alzò di colpo, la mente che vorticava in preda a ciò che restava dell’alcool. Non si accorse neanche di aver perso una delle scarpe, mentre cercava di evitare il tavolinetto da tè e provava a raggiungere il corridoio per salire al piano superiore. Aveva bisogno di stendersi, di riposare e dimenticare quello stupido gioco inventato da Alfred! Se non fosse stato per quel bigliettino, lui sarebbe rimasto a casa, non avrebbe bevuto e non si sarebbe arrabbiato tanto per uno stupidissimo appuntamento di Francis.
C’erano state notti, in cui i suoi sogni erano stati abitati da ricordi di gioventù in cui lui e il francese passavano le giornate a litigare per sciocchezze, notti in cui lo aveva fatto piangere rovinandogli qualche presunta creazione artistica, notti in cui era rimasto a fissarlo da dietro a un albero mentre giocava con Spagna. Eppure a ogni risveglio aveva provato un tacito senso d’intolleranza nel sapere che quei tempi erano passati da secoli, che loro non erano più dei bambini, che non erano più soli. Li aveva rimossi tutti quei sogni, a ogni incontro con Francis erano andati via esattamente come arrivavano, svanendo con una parola di troppo, con un insulto, con l’ennesimo litigio. Con la semplice consapevolezza di quanto Arthur in realtà lo odiasse per ogni stupida cosa che facesse o dicesse!
La mano ferrea di Francis lo trattenne prima ancora che potesse raggiungere la porta del piccolo salotto in cui avevano preso il tè, si girò a osservarla come se quello fosse frutto dell’alcool ancora nelle sue vene, come se fosse ancora all’interno di uno dei suoi stupidissimi sogni. Sentì i polpastrelli del francese risalire il suo volto, confuso osservò Francis mentre si piegava su di lui e lo baciava. Sgranò gli occhi senza sapere cosa fare, rimase immobile con il sapore del miele a impastargli la bocca e la mano del francese ad accarezzargli la guancia. Quello era persino peggio del vedergli leccare un cucchiaino da tè.
<< Sai perché sono venuto a cercarti e ho preferito te a lei? >> lo sentì sussurrare contro le sue labbra << … parce que tu sei un piccolo, odioso, adorabile rebelle mon chéri! >>
Annaspò per un istante ancora, prima che la lingua di Francis gli solleticasse il collo languida e s’insinuasse nuovamente tra le sue labbra. Era così fastidiosa e calda da mandarlo in estasi, non avrebbe dovuto bere tanto, l’alcool lo rendeva instabile. Percepì le ginocchia cedere e la mente appannarsi ancora una volta, fu costretto ad accasciarsi sul divanetto quando il biondo lo prese per la nuca mordendogli la bocca. Emise un rantolo allarmato avvertendo il corpo del francese premere sul proprio, scivolò impreparato tra i cuscini, una delle ginocchia di Francis si spinse sotto la sua gamba. Prese ad affannarsi senza che quelle mani sottili si allontanassero dal suo collo, la camicia si aprì in pochi tocchi costringendolo a sollevare la zona lombare quando uno dei polpastrelli del biondo gli sfiorò il fianco. Non aveva idea del perché stesse accadendo, del perché impotente non riuscisse a spingerlo via nonostante le sue mani lo stessero reggendo per la camicia. Forse era l’alcool, forse era qualcosa che in quel momento non avrebbe saputo riconoscere neanche se gli fosse capitata innanzi agli occhi, ma l’unico colpevole che riusciva a individuare in quegli attimi era Francia. Colpevole per tutti i problemi che aveva sempre avuto nella sua vita di Nazione, nella sua vita privata e per quella subdola tortura che gli stava infliggendo con le sue mani. Perché non si sbrigava?!
<< A-aspetta! >> borbottò incoerente dimenandosi bianco in volto.
<< Tranquille, mollo… >> sussurrò con voce roca.
Francis ostinato lasciò scivolare la mano verso la cintura dei suoi pantaloni, si piegò a baciarlo ancora una volta, prima che i polpastrelli aprissero la cinghia e s’insinuassero sapienti ad accarezzare la sua erezione. Si sentì fremere al primo tocco, impacciato e imbarazzato si dimenò, non poteva fare una figura del genere con la Regina che lo guardava dalla photo, ma l’unica cosa che riuscì ad ottenere furono carezze più decise e il respiro caldo dell’altro a solleticargli la virilità. Soffocò un gemito tirandosi indietro, non riuscì a muoversi oltre – non volle -, a differenza della mano del francese che gli impediva di pensare a qualsiasi altra cosa esistesse a quel mondo. Sentì il viso avvampare, la gola farsi secca, strinse gli occhi verdi quando
Francis aumentò la velocità del tocco, l’addome si contrasse facendogli gettare il capo indietro. Si morse le labbra consapevole di quanto debole potesse apparire in quell’istante, di quanto Francis sapesse renderlo folle con così poco facendogliene desiderare sempre di più, sangue gli macchiò la lingua. Non era più un dannato ragazzino, eppure il cuore non faceva che martellargli in gola come a volerlo soffocare.
<< Fran-cis! S-smetti… ah! >> si lamentò.
Faceva male, terribilmente male, persino più del ricevere un richiamo dal proprio superiore, del sentirsi perennemente arrabbiato per un motivo a lui sconosciuto, del vedere affondare una sua nave.
Perse ogni contatto con la realtà, incatenato a quel semplice, demoniaco tocco di mano che impietoso gli strappava via ogni briciola di senno, rischiando di strangolarlo. Smise di trattenere qualsiasi gemito, strinse il petto del francese con la nausea allo stomaco, i muscoli che bruciavano come se lo avessero messo al rogo mentre era ancora cosciente. Percepì l’impazienza di Francis strofinarsi prepotente contro la sua gamba, con le lacrime agli occhi e un unico colpo di reni si tirò a sedere. Il capo piegato sulla spalla del biondo che continuava a sfregare la sua erezione. Avrebbe voluto ucciderlo per tutto quello.
<< A-ah Damn it! >> urlò furioso con il viso contratto.
Avrebbe voluto controllarsi, trattenersi, ma lo sguardo di Francis poggiato al suo collo fu abbastanza per farlo cedere a quella follia. Una sensazione di estasi e frustrazione lo colse sciogliendo qualsiasi nodo del suo corpo. Francis diede un ultimo tocco, le mani e i pantaloni blu si macchiarono di bianco mentre i suoi muscoli si contraevano per l’ennesimo spasmo. Annaspò appagato reggendo Arthur con la mano nuovamente libera, le dita s’insinuarono tra i capelli fradici dell’inglese, sfiorarono la nuca, lo strinsero come se quella fosse l’unica occasione concessa loro. Lo baciò piano sulla fronte, senza nessuna foga, senza alcuna fretta.
<< Encore mon mignon? >>
Arthur sgranò gli occhi confuso, imbarazzo mosse il suo corpo prima ancora che potesse rendersi conto di quella battaglia appena combattuta. Cercò di allontanarsi con difficoltà, senza alcuna grazia si riaccasciò sul divano vittoriano cercando di sfuggire alla presa salda delle gambe di Francis, fu sul punto di battere la testa sul pavimento bianco e nero del suo appartamento. Sentì le mani dell’altro arpionarlo ancora una volta, le sue labbra torturare il collo, mordergli la pelle, leccarla, l’erezione rianimarsi con fatica. Gli gettò un’occhiataccia mentre Francis sorrideva intenerito. Lo odiava più di ogni altra cosa a quel mondo! Più della gente che si prendeva gioco di lui, più del sentirsi stupido da ubriaco dopo una ramanzina, più del desiderare quelle attenzioni costantemente!
<< … credo di odiarti! >> si morse il labbro irritato, non era proprio l’insulto che immaginava.
Francis si abbandonò a una risata liberatoria, ciocche bionde gli scivolarono sul viso mentre lo attirava a se per le gambe, profumavano ancora del brandy preso al pub e tè inglese.
<< Angleterre se tu non credessi di odiarmi non sarebbe così divertente fra noi e io mi sarei già annoiato! >>




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Note dell’autrice:
L’accenno all’ambasciata delle caramelle è un chiaro, non troppo, riferimento ad un notissimo negozio di dolciumi che si trova nella suddetta piazza. Se avete avuto il fegato o l’amour di leggere sino a qui sotto, allora vi meritate almeno delle traduzioni decenti, senza dubbio:
- “Juste ciel!”: Santo cielo!
- “I kill you idiot!”: Ti uccido idiota!
- “Main de Dieu”: La mano di Dio, espressione comunemente utilizzata in Francia per indicare qualcuno fortunato.
- “Oh trés bien!”: Oh davvero bene!
- “Not! What’s is to you?! Nothing! You don’t give a rat’s ass about me stupid frog!”: No! Cosa sono per te?! Nulla! Non te ne importa proprio nulla di me stupida rana!” [l’ultima parte non rappresenta traduzione letterale, alquanto raccapricciante se si segue il nesso logico, ma una coloritissima espressione britannica].
- “Pauvre”: Povero.
- “parce que… rebelle mon chéri!”: Perchè… sei un ribelle mio caro !
- “Tranquille, mollo”: Tranquillo, sta calmo.
- “Damn it!”: Dannazione!
- “Encore mon mignon?”: Ancora, piccolino ?


  
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