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Autore: Moonage Daydreamer    11/07/2013    3 recensioni
Ero l'emarginata più emarginata dell'intera Liverpool: fin da quando era bambina, infatti, le altre persone mi tenevano alla larga, i miei coetanei mi escludevano dai loro giochi e persino i professori sembravano preferire avere a che fare con me il meno possibile, come se potessi, in uno scatto di follia, replicare ciò che aveva fatto mia madre.
(PRECEDENTE VERSIONE DELLA STORIA ERA Lucy in the Sky with Diamonds, ALLA QUALE SONO STATE APPORTATE ALCUNE MODIFICHE.)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Lennon , Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Rock n Roll Music.

 

1960.

 
L'aria fresca che tirava sul mare faceva agitare le onde. Sospirai appoggiandomi al parapetto del traghetto e guardai l'orizzonte. Non ero mai stata così lontano da casa, né mi ero mai trovata in mare tanto aperto, e ne ero affascinata. Eravamo a metà della traversata della Manica e non si vedeva niente, se non acqua, da qualsiasi parte si guardasse. Non ci sarebbe voluto ancora molto prima che sbarcassimo e cercavo di godermi la tranquillità del mare finché potevo.
Ero un po' preoccupata riguardo al fatto che non avevo idea di cosa mi aspettasse una volta arrivati a destinazione, dal momento che nessuno mi aveva dato dettagli precisi.
Ancora non sapevo in che modo mi fossi fatta trascinare in quel viaggio, ma probabilmente la cosa era da imputarsi agli occhi dolci di Paul, a una decina di biscotti della mamma di George, e al solito stronzo di John che mi aveva sfidato ad andare con loro. Non altrettanto facile era stato convincere James ed Elisabeth a lasciarmi partire.
- Conoscete i ragazzi, lo sapete che sono tipi a posto. - avevo replicato ai loro dubbi - Io starò bene, e vi telefonerò tutte le settimane! -
I miei genitori erano stati alquanto scettici, così avevo dovuto insistere per oltre un mese.
- E poi la mamma di George ha detto che se non vado io non lo lascia andare, e il gruppo non può fare a meno del chitarrista solista. - avevo aggiunto. Infatti, anche se mi illudevo che mi avessero proposto di andare con loro perché apprezzavano la mia compagnia e volevano rendermi partecipe di questa importante esperienza, lo scopo della mia presenza era essenzialmente quello di fare da babysitter.
Alla fine, avevo lavorato sodo per settimane, fatto un sacco di straordinari e risparmiato ogni centesimo, così da potermi pagare il viaggio e avere un po' di soldi da portarmi dietro per ogni evenienza.
- La tua anima romantica non può fare a meno di godersi lo spettacolo, non è vero? - chiese Stu affiancandomi e spostando anche lui lo sguardo sull'orizzonte.
- Ti sei preparato mentalmente? Tra poche ore saremo a destinazione. -
Stu sorrise:- Ho dei buoni presentimenti riguardo a questo viaggio. -
- Sono contenta che ci sia anche tu. - gli rivelai con sincerità.
Nei due anni precedenti Stuart ed io avevamo avuto modo di riavvicinarci nuovamente, e ora il nostro rapporto era stretto come lo era stato all'inizio della nostra amicizia. Ne erano successe di cose, in quei due anni, e il fatto che ci stavamo dirigendo praticamente al buio nella tana del nemico (come diceva sempre John) ne era la prova. Il gruppo aveva subito molte trasformazioni, perso quasi tutti i membri e per un certo periodo si era ridotto ai solo John, George e Paul; poi, poco prima di partire, i ragazzi avevano preso Stuart come bassista e un certo Pete Best come batterista. Quest'ultimo era l'unico membro della band che non conoscessi bene e per quanto cercassi di essere gentile con lui, non si poteva certo dire che stessimo legando.
La mia storia con John era tanto instabile come quella del gruppo: entrambi avevamo un carattere forte e pieno di orgoglio ed era a causa di questo che litigavamo:  la nostra relazione non era certo una di quelle tutte cuoricini rosa e zuccherini; io e John passavamo il tempo assieme a punzecchiarci a vicenda e a scherzare, ma qualche volta uno di noi, punto sul vivo e con l'orgoglio ferito, si offendeva a morte con l'altro. Quando ciò accadeva né io né lui volevamo abbassarci a chiedere scusa, anche se quasi sempre, alla fine, uno dei due cedeva e ci riappacificavamo. Un paio volte avevamo litigato davvero e avevamo serbato rancore l'uno per l'altra per mesi, e ne eravamo venuti fuori a stento.
- Raggiungiamo gli altri? - propose Stu.
- Volentieri. - risposi.
Meno di un'ora dopo sbarcammo e cominciammo il viaggio sul furgoncino scassato che il nuovo manager dei ragazzi (Allan Williams)  aveva fornito loro, con destinazione Amburgo.

Eravamo in auto da parecchio tempo e l'iniziale euforia cominciava a diminuire lentamente. Stu guidava mentre Pete, che gli era accanto, reggeva la cartina. Io e John, Paul e George eravamo dietro, seduti per terra fra gli strumenti perché il furgone non aveva i sedili.
- Sei preparata per quello che ci aspetta? - chiese John.
Corrucciai le sopracciglia:- In che senso? -
- Non staremo esattamente nel quartiere più lussuoso di tutta Amburgo.-
- E...?- domandai,cercando di capire dalla sua espressione che cosa intendesse dire, anche se probabilmente non avrei voluto saperlo davvero.
- Staremo nel quartiere a luci rosse. - disse Paul come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Una risata incredula uscì dalle mie labbra:- Avreste potuto aspettare ancora un po' a dirmelo! Questo James non dovrà venire a saperlo. -
- Non vuoi che scopra che ragazzaccia è sua figlia? - mormorò John al mio orecchio.
- No, è meglio che non sappia che mi stai traviando in questo modo, o dovrai cominciare a guardarti le spalle. -
- Oh, Geo, sei proprio un cattivo ragazzo: finirai per rovinarmi la reputazione! - esclamò Paul in falsetto, abbracciando l'altro con gesti teatrali.
- Paulie, non preoccuparti! Affronterei ogni pericolo per te, anche una banda di crucchi inferociti. - continuò George sulla stessa falsariga.
- Che bambini... - commentai fra l'ilarità generale cercando di dissimulare l'imbarazzo. John, ridendo, mi circondò le spalle con un braccio e mi strinse a sé.
Il viaggio procedette tranquillo, tanto che dopo un po' quasi tutti si addormentarono.Mi appoggiai al finestrino e guardai il panorama scorrere velocemente intorno a me.                                                       
Giungemmo ad Amburgo che era notte. L'asfalto era bagnato e la luce dei lampioni e dei fari delle auto si rifletteva sulla strada creando un'atmosfera irreale. C'erano ancora parecchie persone per strada e man mano che ci avvicinavamo alla nostra meta il loro numero aumentava sempre di più; nella nostra fantasia d'inglesi, ci immaginavamo la Germania come un paese di edifici tristi e squadrati con soldati ad ogni angolo della strada, mentre Amburgo -per lo meno alla prima occhiata- sembrava pulsare di vita. Entrammo in una strada illuminata a giorno, il cuore del quartiere a luci rosse, ma svoltammo subito in una traversa e poco dopo Stu si fermò davanti ad un locale chiuso.
- Secondo le indicazioni del signor Williams dovrebbe essere questo il locale. - disse Stu.
- Non mi aspettavo di certo una festa di benvenuto, ma almeno un tizio ad aspettarci... - commentò George.
- Andiamo a cercare il crucco, allora. - sentenziò John, poi si rivolse a me - Tu che fai, vieni con noi o resti qui? -
- Rimango qui di fianco al furgone. - risposi scendendo dal veicolo.
 John mi diede un bacio sulla guancia, poi lui e gli altri cominciarono a studiare il locale. Avendo appurato che dentro non c'era nessuno, sparirono nel locale affianco.
Sospirai e mi guardai intorno. La via, il cui nome avevo rinunciato a pronunciare , era affollata da ogni genere di individui: c'erano quelli che sembravano marinai in licenza, con la pelle bruciata dal sole e le mani segnate dal duro lavoro nei cantieri navali, alcuni dei quali potevano persino essere inglesi; gruppi di tedeschi ubriachi venivano respinti all'entrata dei locali da giganteschi buttafuori, uomini che aderivano perfettamente alla nostra idea di crucchi. In mezzo alla strada drappelli di giovani che non potevano avere più di trent'anni camminavano fra facce losche, travestiti e puttane. La folla, il rumore e le luci facevano sì che guardassi quella scena senza prendervi parte: era come osservare i pesci di un acquario tropicale pieno di coralli e rocce colorate.
Socchiusi gli occhi; alla lunga quella confusione stordiva.
Forse era quella la fonte del fascino del quartiere: era una sorta di limbo al neon, un vortice di luci e donne mezze nude, un parco divertimenti per mangiatori di loto.
Passarono parecchi minuti prima che i miei amici tornassero, preceduti da un tedesco basso e dalla mascella squadrata, che aveva dipinta sul volto un'espressione molto seccata, che si fece ancora più evidente quando si accorse di me.
- Quella chi è?- chiese con un forte accento.
- Un'amica. - rispose sbrigativamente John, la cui espressione non era meno truce di quella dell'uomo. Questi sollevò un sopracciglio e borbottò qualcosa in tedesco, poi aprì il locale e ci fece entrare. Guardai confusa Paul, il quale mi bisbigliò che avremmo passato la notte lì.
- Che meraviglia... - mormorai sarcastica quando vidi lo squallido interno del locale.
Di fronte a noi c'era un piccolo palco, davanti al quale erano sparsi in modo confuso una decina di tavolini; da un lato, invece, c'era il bancone del bar, dietro cui erano attaccate al muro numerose mensole con sopra delle bottiglie, mentre alla parete opposta erano addossati dei divanetti con il rivestimento di pelle logora laccata di rosso. Non erano niente di speciale, ma almeno erano qualcosa su cui sedersi.
Il padrone del locale uscì e ci chiuse dentro.
- Che mostro di simpatia. - osservai ironica.
- Che mostro e basta! - ribatté George.
- Voleva essere filologico e darci un vero benvenuto crucco. - aggiunse Paul lasciandosi cadere su uno dei divanetti.
- E pensare che ha un nome così simpatico...- disse John.
- Perché, come si chiama? - chiesi incuriosita.
- Bruno! - rispose il ragazzo facendo una vocina effemminata
- Non è che sia così simpatico, come nome... - replicò Stu. 
Ridemmo tutti insieme, e perfino Pete si unì a noi nel prendere in giro il crucco, nonostante dovesse essere molto dura inserirsi in un gruppo di amici tanto legati come lo erano George, Paul, John e Stu.
Sparammo qualche altra cavolata, poi, stravolti, ci accasciammo sui divanetti.
Non so bene quello che sognai né quello che successe, sta di fatto che quando mi svegliai sentivo male al collo e alla schiena. Aprii gli occhi e mi accorsi che senz'alcun dubbio non ero più sul divanetto.
- Ma dove...- mormorai ancora assonnata.
Feci per tastare con una mano il pavimento che mi era intorno, ma ad un certo punto incontrai il vuoto. Mi sbilanciai da un lato e, impegnata com'ero a cercare di non cadere, non mi accorsi di Paul, che dall'altra parte del locale annunciava a tutti che mi ero svegliata. Il rischio di precipitare mi svegliò definitivamente, e finalmente presi coscienza del fatto che mi trovavo sopra il bancone del bar.
- Ah, ah... la nostra Anna è una sonnambula e ha approfittato della notte per svaligiare la fornitura di alcolici del bar... - mi prese in giro Stu.
- Certo, come no. - dissi.
- E' inutile che neghi la verità, ti abbiamo colta in flagrante. - continuò George.
Scrollai le spalle e scesi dal bancone, stiracchiandomi.
- Vorrei sapere come sono finita lì sopra. - borbottai.
Tutti guardarono da un'altra parte, tranne George che non riuscì a trattenersi dal lanciare una fugace occhiata a John.
 Mi rivolsi verso il mio ragazzo:- Sei stato tu! -
- E Paul. - si affrettò a precisare  mentre gli tiravo un pugno indispettito contro la spalla.
- Volevamo vedere se ti saresti svegliata. - spiegò il più giovane dei due, poi fece una pausa molto enfatica. - Non ti sei svegliata. -
- Avete l'età mentale di due bambini di due anni! - esclamai.
- Tu invece sei molto più matura!- replicò John con ironia. In risposta gli feci una linguaccia.

Proprio quando cominciavo a credere che saremmo stati segregati in quel locale in eterno, arrivò il tedesco della sera ad aprirci; era di umore un pochino migliore e ci salutò persino.
- Da questa sera alloggerete al Bambi Kino. - ci annunciò, poi diede a John un foglietto. - Questo è l'indirizzo.-
Quando il crucco se ne fu andato decidemmo di fare un giro per la città. Ora che c'era il sole riuscii a leggere sui cartelli il nome della via; di giorno la  Reepherbann era completamente diversa: sembrava una semplice via cittadina, non diversa da tutte le altre. La percorremmo per intero come se stessimo passeggiando per le vie di Liverpool, poi cominciammo ad andare a zonzo per la città. Alla prima cabina telefonica che vidi mi fermai, suscitando le lamentele di George e Paul, che volevano andare direttamente a fare colazione, ma ricordai loro che i miei genitori mi avevano permesso di andare ad Amburgo solo con la promessa che li avrei chiamati molto spesso. Dopo che ebbi assicurato James di stare bene ed essermi scusata per non averli chiamati la sera prima, ci precipitammo in una panetteria per comprarci qualcosa da metterci sotto i denti, quindi per mangiare ci sedemmo in una panchina in un parco.
Mentre eravamo lì al sole sembrava di essere in una gita scolastica, anche se avevo la sensazione che non sarebbe durata ancora a lungo in quella maniera. I ragazzi erano venuti lì per lavorare, e anche io avevo intenzione di trovare un impiego temporaneo. Inoltre, ero curiosa a quel Bambi Kino.
- Non mi suona bene. - osservai.
- Anche se non è un albergo extra lusso, che importanza ha? - disse John.
- Giusto, tanto dovremmo solo passarci una manciata di mesi! - sembrava che fossi l'unica a preoccuparsi del posto nel quale avremmo alloggiato.
- Tanto passeremo la maggior parte del tempo all'Indra. - era la loro giustificazione.
Passammo buona parte del pomeriggio a zonzo, ma quando cominciò ad avvicinarsi l'ora in cui i ragazzi avrebbero dovuto iniziare a suonare ci accorgemmo di esserci completamente persi. 
Tutte le indicazioni erano in tedesco, quindi erano totalmente inutili per noi.
- Qualcuno sa per caso utilizzare le stelle per orientarsi? - chiese Stu con ironia.
- Non credo, ma comunque ora che venisse notte saremmo in ritardo e il signor Koshmider si vendicherebbe. - osservò George.
- Conoscendolo potrebbe far sedere uno dei sui crucchi “tutti muscoli-niente cervello” su di noi fino a farci rompere le ossa. - disse John con un'ostentata enfasi.
- E' un peccato che tu l'abbia incontrato per la prima volta meno di ventiquattro ore fa e non possa dire che lo conosci. - lo stuzzicai. - Chiediamo a qualcuno. -
Mi guardai intorno, ma ovviamente eravamo finiti in una stradina solitaria e deserta, in cui l'unica presenza umana erano due anziane signore sedute su due seggiole a ricamare e a spettegolare.
John e Paul si guardarono se sogghignarono. Insieme si avvicinarono alle due vecchie e le salutarono.
- Non voglio vedere... - mormorai coprendomi gli occhi con una mano mentre cercavo di trattenere le risate.
- Tranquilla, ti faccio la radiocronaca in tempo reale. - mi rassicurò George. - I due esemplari di cazzoni inglesi si avvicinano alle vecchie autoctone, e il McCartney sfodera il suo sorriso scogli-ghiaccio, mentre il Lennon colpisce con la sua parlantina stordente. -
- Smettila... - gli sussurrai con una gomitata.
- Ma lo sai che avrei voluto fare il cronista da grande... -
In quel momento i due ragazzi tornarono dalla loro missione ridacchiando spudoratamente.
- Allora? - chiese Pete.
- Dicono che si rammaricano molto... - iniziò Paul.
- … ma temono di non poterci aiutare. - concluse John.
- Troveremo un altro essere umano. - disse ancora Pete.
- Di sicuro non se rimaniamo in questa strada. - commentai.
Ce ne andammo ridendo, accompagnati dagli sguardi feroci delle due vecchie, ma alla fine della strada sbucammo in un viale molto trafficato. Era strano come in due passi fossimo passati dal silenzio alla totale confusione. Trovammo un gruppo di ragazzi che gentilmente ci diedero le informazioni che ci servivano, grazie alle quali riuscimmo ad arrivare all'Indra due minuti esatti prima dell'orario stabilito.
Tutti e cinque salirono sul palco e cominciarono a suonare. Sebbene non ci fosse praticamente nessuno ci diedero dentro come se fossero stati davanti ad una grande folla e tirarono fuori i loro pezzi migliori. Quando cominciarono a rallentare si fecero due o tre giri di birra. Io li guardai per tutta la serata e non bevvi granché, poiché ero troppo presa dalla musica per fare altro; anche il signor Koshmider sembrava contento della loro performance. Alla fine della serata erano tutti un po' brilli, ma troppo stanchi per desiderare altro se non di andare a dormire.
- Come siamo andati? - mi chiese Stu appena ebbero finito la serata.
- Molto bene, peccato che non ci fosse molta gente.
- Aspetta che giri la voce che siamo qui. - disse Paul mentre metteva la chitarra nella custodia.
- Andiamo a cercare questo Bambi Kino. - proposi con gli occhi le lacrimavano per la stanchezza.
Percorremmo la Reepherbann in lungo e in largo alla ricerca dell'indirizzo segnato dal tedesco finché ci ritrovammo di fronte ad un vecchio cinema a luci rosse. Entrammo e nell'ingresso semi vuoto vedemmo solo quella che doveva essere la bigliettaia, che stava leggendo una rivista di moda.
- Voi dovete essere i ragazzi del signor Koshmider. - disse senza nemmeno alzare gli occhi. - In fondo al corridoio, le ultime tre stanze a sinistra prima dei bagni.-
Accennai un ringraziamento, ma lei non sentì; seguimmo le sue indicazioni e ci ritrovammo in un corridoio stretto e poco illuminato che sembrava non dover finire mai.
-Ho un brutto presentimento. - mormorai con un nodo alla gola. John mi prese una mano e Paul l'altra.
- Forza e coraggio che la vita è un massaggio. - mormorò il secondo; lo guardai per chiedere una spiegazione, ma lui si limitò a fare un sorrisetto.
- La tizia ha detto che ci sono tre stanze: una è per Anna, quindi nelle altre due dovremmo in qualche modo starci in cinque. - osservò Stu quando ci fermammo di fronte a tre porte chiuse.
- Benvenuti nelle suite reali. - commentò John aprendo la porta della stanza centrale, che era la più grande di tutte e aveva un letto singolo, un letto a castello e un divano semi-distrutto.
- Questi tedeschi non badano a spese. - aggiunse Pete entrando nella prima delle due stanzette rimanenti.
Con un sospiro mi accinsi all'ultima porta, la aprii ed essa si aprì cigolando, rivelando un cubicolo tanto piccolo che a malapena c'era lo spazio per muoversi; le pareti spoglie erano macchiate dall'alone lasciato da vecchie locandine ormai scomparse, se se ne escludeva una raffigurante una donna seminuda, posizionata nel punto in cui in una camera normale ci sarebbe stata una finestra. Una luce fredda e tremolante rendeva il tutto troppo simile ad una cantina.
Mi si gelò il sangue nelle vene e mi si fermò il respiro. Mi voltai di scatto, ma mi ritrovai davanti John.
- Cosa c'è? - chiese,ma non gli risposi. Mi scostai e mossi qualche passo nella direzione del corridoio, quando il ragazzo mi prese una mano e mi fermò.
- Non puoi andartene fuori. - disse.
- Tu non capisci! - esclamai al limite dell'isteria. – Io non posso andare lì dentro! -
- E dove vorresti stare? - ribatté John. - Sotto un ponte? -
- Sarebbe comunque un miglioramento.  - sbottai stizzita nell'accorgermi che aveva ragione lui.
John entrò nella stanza e allargò le braccia:- Vedi, non succede niente. - Si sdraiò sul letto reggendosi su un braccio, mentre io, esitante, provavo a raggiungerlo.
Mi sedetti al suo fianco, tesa come una corda di violino, con i pugni stretti e il cuore che batteva in gola.
- Frency sarà triste che te ne stai lontana per così tanto tempo. - esordì il ragazzo.
- Sì. - risposi, confusa da quell'inattesa osservazione.
Accorgendosi che non avevo niente da aggiungere, John cercò un altro argomento: - Ti sei portata dietro tanti libri?-
- No, non molti. Solo quelli cui non ho potuto rinunciare. -
- Il che vorrebbe dire più o meno tutti. - replicò John.
Ridacchiai:- No, questa volta davvero solo quelli che mi piacciono di più. -
- Parlamene. - mi invitò lui. Cominciai a raccontargli dei miei romanzi preferiti, e delle poesie che amavo di più, e mano a mano che discorrevamo su quell'argomento mi rilassavo sempre di più, finché mi sdraiai anche io, appoggiando la testa contro il suo petto.
Continuammo a parlare, fino a che, mentre ormai il sole si stava alzando, chiusi gli occhi e mi addormentai.

Aprii lentamente gli occhi; di fianco a me John respirava piano. Gli accarezzai la guancia facendo attenzione a non svegliarlo.
- Anna. - un sussurro spezzò il silenzio totale e mi fece venire i brividi, come se fosse stato un alito di vento. Mi misi a sedere e la coperta scivolò di lato.
- Anna. -
Scesi dal letto, rabbrividendo quando i miei piedi nudi toccarono il pavimento gelato. Mossi qualche passo, un orologio ticchettava da qualche parte. Tic, tac.
- Anna. -
Tic, tac.
Aprii lentamente la porta della stanza. Il corridoio era deserto e buio.
- Anna. -
- Chi sei?- chiesi rivolta a nessuno. - Fatti a vedere! -
Avrei voluto fermarmi, ma qualcosa in quel sussurro mi attirava a sé costringendomi a seguirlo. Avanzai ancora e l'oscurità mi avvolse in un abbraccio rassicurante.
- Anna. - Ci fu un rumore violento come quello di una bomba che esplodesse. Mi ritrovai a terra tra le fiamme che mi bruciavano senza che riuscissi a vederle. Erano ovunque e non riuscivo a liberarmene. L'odore di carne bruciata riempì l'aria in pochi secondi. Ci fu un altro rumore che sovrastò i miei lamenti, uno stridio metallico. Mi spostai strisciando tentando di divincolarmi dalle lingue di fuoco che mi avvolgevano, ma  le mie mani incontrarono qualcosa di freddo: sbarre di metallo che ben presto divennero roventi. Improvvisamente riuscii a vedere le fiamme che mi divoravano, come se una lampada si fosse accesa al loro interno e mi resi conto di dove fossi. Ero intrappolata in una gabbia.
- Voglio proprio vedere come riuscirai a fuggire, questa volta! - esclamò la Voce, mentre le fiamme si facevano più incandescenti e tutto di nuovo sprofondava nell'oscurità.


John mi svegliò scuotendomi più volte. Aprii gli occhi e me lo ritrovai sdraiato di fianco, che mi guardava. Inspirai profondamente e mi misi a sedere, sfuggendo così il suo sguardo. Strinsi le braccia al petto, mentre il ragazzo mi abbracciava.
- Pensavo che non ne avessi più di incubi. - disse.
 - Lo pensavo anche io.- mormorai cercando disperatamente di calmarmi. Non volevo che lui mi vedesse ancora una volta in quello stato. Era da quasi un anno che le mie notti erano tranquille, e ad avermi angosciata non era tanto l'incubo in sé, quanto l'idea che forse non ne ero affatto uscita.
- Va tutto bene. - dissi a John. - Non è successo niente.-
Lui annuì, forse più per farmi contenta che perché ci credesse, poi sentimmo degli schiamazzi nella stanza vicina e delle risate, così mi imposi di bandire la paura e di raggiungere gli altri.


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Salve a tutti! Ebbene sì, sono tornata alla vita dopo mesi di assenza. Spero possiate perdonare il mio ritardo, anche se è talmente grande che non si può nemmeno definire un ritardo: è più un regalo di Natale anticipato (o forse no?) Comunque, onde evitare di cominciare a delirare, vi voglio dire quelle due o tre cose che ho da dirvi. Primo, avrei voluto aggiornare molto prima, ma ho passato questi mesi letteralmente a fissare una pagina vuota, senza che mi venisse nessuna idea brillante con cui continuare la storia (non che quelle che ho adesso siano definibili “brillanti”, ma almeno sono meglio di niente. ) Secondo, d’ora in poi mi impegnerò ad aggiornare con regolarità fino alla fine della storia, anche perché nel giro di una notte ho già praticamente finito tutta la parte di Amburgo.   Okay, altro dirvi non vo’, per cui: alla prossima.

Saradepp: Innanzitutto grazie mille per i complimenti, ma soprattutto per l’esortazione a continuare a scrivere, perché sono proprio recensioni come la tua che mi hanno sostenuta in questo periodaccio per la mia capacità di trovare nuove idee.

Quella che ama i Beatles: No, purtroppo niente di così eclatante (forse sono io che ho un concetto esageratamente piccolo per “grande”. - Sì, lo so che questa frase non ha un senso…-) Comunque, spero che questo piccolo… anzi, medio salto temporale non ti abbia deluso!

SlowDownLiz: Okay, mi sento troppo in colpa per aver aggiornato così tardi… Mi perdoni? *faccina cucciolosa che tenta di suscitare pietà. (Okay, forse sarebbe stato meglio se me la fossi risparmiata) Grazie, grazie mille volte per i complimenti!

Weasleywalrus93: Non sono certo la persona adatta per rimproverarti il ritardo, non credi? Non posso fare altro che dirti: grazie milleee!!!!!

 
Peace n Love.
  
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