Capitolo XIX: From the Truth of a Thousand Lies
«Un saint si distingue da un comune mortale per la sua forza, per la consapevolezza di avere un cosmo dentro di sé, da cui poterne trarre il proprio potere, e per la capacità di resistere a fatiche sovrumane.
Al suo pari, un’amazzone non ha eguali per l’ardore in battaglia:
erede degli antichi numi, prescelta dalle divinità della terra, non teme alcun
confronto.
Entrambi dediti alla guerra, al fragore delle battaglie, temprati
al combattimento sin dalla più tenera infanzia, più simili a fiere che ad
uomini, pronti ad uccidere in nome degli ideali a cui sono stati
votati.
Ma il loro cuore è pur sempre
umano.
E ci sono ferite da cui nemmeno il loro immenso potere è capace di
difenderli».
Il mare.
Il rumore della risacca, e le strida dei gabbiani, allarmati dal
maltempo che aveva funestato l’intera giornata.
Era tardo pomeriggio, quando il diluvio accennò a smettere, senza
che le nubi si diradassero nel cielo plumbeo: bubbolii lontani annunciavano
l’arrivo di una nuova tempesta.
Ruggiva il mare burrascoso, con le onde che si abbattevano
violente sulle pietre della rocca di Urano, in una delle spiagge nascoste del
Santuario.
Un luogo remoto, poco frequentato dagli apprendisti e dai saints,
specie se con un tempo del genere. La vecchia torre diroccata, che un tempo era
stata una delle prigioni per i traditori del Santuario, si ergeva spettrale su
di una bassa scogliera investita dalle
mareggiate.
I lampi che squarciavano le nuvole balenavano negli occhi verdi di
Kora, assisa su di una roccia, incurante della
tempesta.
La furia del tempo inclemente non scalfiva l’espressione gelida
suo viso: soltanto lo sguardo tradiva quell’apatia apparente, inquieto e volto
ad un orizzonte che andava oltre la linea scura delle acque agitate. Uno sguardo
triste, naufragato nei ricordi.
Non avrebbe saputo dire per quanto tempo fosse rimasto ad errare
senza meta sotto la pioggia, incurante delle persone che incrociavano il suo
cammino.
Aveva vagato per il Santuario, perso nei propri pensieri,
maledicendo il proprio essere, il proprio
destino.
Si era forse illuso che la sua vita fosse cambiata? Che potesse
considerarsi un uomo degno di vivere?
Aveva potuto espiare le proprie colpe, si era redento con il
sacrificio: questa era stata la concessione degli dei. Ma nessun nume gli aveva
mai promesso in cambio di ciò una vita
migliore.
Come l’antico marinaio della poesia, era stato condannato a
portare sempre su di sé i segni delle sue ree azioni, ed in eterno avrebbe
dovuto pagarne il fio.
«Life in Death», la vita nella morte. La condanna ad un’esistenza
maledetta, peggiore del più cupo degli Inferi.
Kanon levò gli occhi al cielo grigio: aveva sperato davvero che
Kora potesse essere quel raggio di sole che avrebbe rischiarato le tenebre della
sua anima?
Scosse la testa, scacciando il pensiero con amarezza:«Non esistono
tali sentimenti, per uno come me…»
Mu, Aldebaran, Doko…In quel momento, li odiava, dal primo
all’ultimo, tutti con la loro coscienza pulita, in pace con sé stessi per aver
mostrato a Kora e al mondo quanto lui fosse un bastardo immeritevole di
calpestare questa terra.
«Ma a che serve tanta rabbia, quando sai perfettamente che hanno
ragione?»
Maledetta voce, maledetta coscienza, maledetti sensi di
colpa.
Da quando si metteva a dar peso ai pensieri degli altri?Da quando
aveva cominciato a considerarsi un uomo come tutti gli altri? Da quando lui
provava emozioni?
Interrogativi futili, quando si conosce la risposta, ma non
la si vuole rivelare, per orgoglio o per
timore.
...Need
to understand
No need to forgive
No truth, no sense left to be
followed...
Si ritrovò a camminare lungo il sentiero sabbioso che portava alla
vecchia torre, un posto poco frequentato dai servitori del Grande Tempio, quasi
sconosciuto ai più. Lui era una delle poche
eccezioni.
Se Sunio era il ricordo della prigionia, quelle rovine antiche
rappresentavano l’inizio di tutto; perché la sua caduta nell’oblio aveva avuto
la genesi in quel luogo.
Parole da lui stesso pronunciate sembravano ancora risuonare tra
le roccie e le colonne miliari, nell’aria uggiosa e fra gli arbusti spinosi di
ginestra selvatica e cardo.
Parole che erano pura empietà e
condanna.
Parole che nemmeno il tempo era riuscito a lavare
via.
Poi, improvvisamente, si fermò.
Occhi azzurri, gelide lame di ghiaccio, lo trapassarono
nell’intensità di uno sguardo.
«Kora…»
Innanzi a lui, con un’espressione che tradiva tante, troppe
emozioni. Non era lo sguardo di una fiera guerriera ferita nell’orgoglio, ma
quello di una persona che ha appena ricevuto una pugnalata nella schiena: gli
occhi di chi ha appena veduto la propria fiducia tradita ed ingannata, un’altra
volta.
“Che cosa fai qui?”
Una domanda diretta e aperta alla quale Kanon vacillò: s’era
aspettato di trovarla, se mai l’avesse trovata, in lacrime, arrabbiata,
disperata, pronta a gridargli contro quanto lo
odiasse…
Ma l’atteggiamento di Kora era totalmente diverso: quello di chi
ha già superato la soglia del dolore, ed ha lasciato spazio solo a rabbia e
rancore.
Non sapeva cosa dirle. In fondo, niente che non potesse avvalorare
ed aggravare le idee nei suoi riguardi…
“T’ho fatto una domanda”
“Ho sentito” replicò lui.
Lo sguardo di Kora dardeggiò al balenare di un lampo
lontano.
“Perché sei venuto qui?” ripetè con durezza
l’amazzone.
Kanon non rispose.
“Se sei qui per dirmi di tornare alle dodici Case, puoi anche
andartene. Non ci torno. Mi sono fidata di voi, ho scelto di crederci ancora una
volta…Adesso basta, me ne tiro fuori. Me ne vado, d’ora in poi conterò solo su
me stessa. Al diavolo Atena, il Santuario, i Saints…Al diavolo
tutti”
“Non dire idiozie! La questione riguarda me, non puoi mettere a
rischio una situazione ben più grande di te solo per…”
”Solo per cosa,
Kanon? Una quisquilia? Una banalissima menzogna? Una verità fatta di mille
bugie? Taci, ti sei già sputtanato abbastanza, per quanto mi riguarda!” lo
interruppe l’amazzone, caustica.
Il ragazzo strinse i pugni:”Parli come se sapessi tutto!Credevi di conoscere Saga, sei rimasta sconvolta da ciò che ha fatto mio fratello quando ti è stato detto, ma ti ostini a volerlo difendere!”
“La colpa è solo TUA!”
“Smettila di parlare come una bambina, e cresci, per una dannata
volta!Tu non sei nessuno per poter giudicare, non ne hai alcun diritto!Hai
cercato in Saga qualcuno che potesse alleviare il dolore della tua solitudine,
ma lo sai meglio di me, quel legame per lui non aveva alcun
valore!”
La diga che improvvisamente s’infrange, liberando la furia del
torrente in piena.
Kora si scagliò contro Kanon con un grido di rabbia, incurante del
fatto che lui fosse molto più forte, che fosse un gold saint; in quel momento,
desiderava solo ucciderlo, sentirlo morire sotto i suoi colpi, vendicare il solo
essere vivente che l’avesse considerata come una persona e non come un oggetto
da tenere nascosto.
Uccidere, per nascondere una verità scomoda, che annientava quelle
poche, mere illusioni che l’avevano aiutata a sopravvivere in quegli anni di
abbandono.
Il ragazzo venne totalmente colto alla sprovvista: s’era aspettato
qualsiasi reazione, tranne quella. In condizioni normali, lei non l’avrebbe mai
colpito, non con quella furia omicida. Aveva perduto ogni
controllo.
“Kora, fermati!”
Evitò un calcio, balzando di lato, ma la guerriera gli fu subito
addosso, e lui fu costretto a riparare sopra di uno scoglio con un
salto.
L’amazzone concentrò il proprio cosmo nella mano sinistra, e con
il Galaxian Explosion disintegrò la roccia come se fosse di
gesso.
«Merda»
Kanon atterrò nella sabbia bagnata e di riflesso recuperò
distanza. Non poteva attaccare Kora senza farle male, ma non poteva nemmeno
continuare a difendersi e sperare di prenderla per stanchezza: quello era tutto
fuorchè un allenamento.
La ragazza tornò ad incalzarlo, con colpi mirati e potenti: in
quella furia cieca vi era una lucidità disumana e
terribile.
Doveva fermarla, quello scontro futile non poteva andare
oltre.
“Che cosa ti prende?!Kora!”
La ragazza fu lenta nel ritirare una tecnica, ed il saint ne
approfittò per afferrarla ed immobilizzarla.
“Fermati adesso!”
La guerriera si divincolò come un gatto, graffiando e colpendolo
al viso con un pugno.
«Come fa ad essere così forte?!»
Kanon si asciugò il rivoletto di sangue che gli colò dalla bocca,
e soltanto allora se ne avvide: sotto gli stretti bendaggi, ormai logori dal
combattimento, lo strano tatuaggio sul braccio destro brillava vivido, come
marchiato a fuoco. E gli occhi della ragazza, parevano aver perso ogni traccia
d’umanità, accesi da bagliori scarlatti. Quelle iridi di sangue trasmettevano
tutto l’odio che la giovane provava nei suoi
confronti…
Nei confronti di chi aveva osato distruggere la sola certezza
rimastale.
Ma non aveva il tempo di porsi troppi quesiti, anche perché lei
era fermamente convinta nel non concedergliene
affatto.
I colpi si susseguirono serrati, con il cavaliere che da un lato
si imponeva di non reagire, mentre dall’altro tentava di trovare una soluzione
per porre fine a quella pazzia.
Stavano lottando sul bagnasciuga, tra le onde e la schiuma del
mare burrascoso, incuranti del tempo. Kanon non poteva abbassare la guardia un
istante: per quanto fosse sopraffatta dall’ira, gli attacchi dell’amazzone erano
perfetti e letali, come se vi fosse una ferrea volontà celata dietro quella
collera irrefrenabile.
Un’onda più violenta delle altre li colpì, ponendo momentaneamente
tregua alla lotta. Il saint di Gemini balzò agile su una roccia della scogliera,
deciso a non attendere oltre: era pronto a sopportare il rancore della ragazza
per il resto della vita, ma non poteva permettere che quella rabbia cieca la
distruggesse, non senza prima averle dato una
spiegazione…
Vide Kora scattare verso di lui, il cosmo attivo nella mano
sinistra. Chiuse gli occhi, richiamando ogni briciolo di concentrazione a sé.
E, senza alcuna incertezza, agì.
Il Galaxian Explosion s’infranse nella mano di Kanon, che avvertì
un dolore sordo percorrergli tutto l’arto sino alla spalla, i tendini e i
legamenti che ressero a stento quello sforzo enorme, mentre con l’altro braccio
l’agguantò, scagliandola contro la parete di roccia ed intrappolandola in una
morsa d’acciaio. Non le diede il tempo di reagire, s’impose di non udire il
gemito sfuggitole, di non vedere il suo sguardo. S’impose di non provare
nulla.
“GENRO MAO KEN!”
Un grido lacerante le rimbombò nelle orecchie. O forse, era stata
lei ad urlare…
Freddo, un gelo assoluto che le trapassava la pelle, giungendo a
ghermirle l’anima, ed il sentirsi annaspare in acque oscure, alla ricerca di
aria che le era stata negata. Lottò con ogni forza contro quella morsa tenace
che inesorabilmente la trascinava verso il
nulla.
Improvvisamente, il caldo rovente di una giornata estiva, con il
sole che le bruciava la pelle e la luce abbacinante che le feriva gli occhi. La
caligine opprimente che riempiva l’aria, mentre parole di morte risuonavano come
una funesta litania.
«Uccidili…Uccidili tutti…Uccidi Atena, Aiolos…Gioisci alla vista
della loro morte…»
Era lei che parlava, voleva tacere, ma non aveva alcun controllo
del suo corpo…
«Uccidili…UCCIDILI»
«Basta, sta’ zitta, sta’ zitta!»
Di nuovo il freddo e l’oscurità, l’ombra della morte che la
cingeva, cullandola con parole suadenti, invitandola ad abbandonarsi a quella
quiete maledetta…
Bagliori di fuoco che lambivano le sue carni coperte di cinabro
sangue, mentre le urla strazianti di migliaia di voci coprivano la sua, mentre
precipitava nell’oblio della dannazione.
«Basta…Voglio andarmene…Voglio morire…Non voglio più
esistere…»
Lacrime calde scendevano lungo il suo viso, mischiandosi al sangue
di ferite recenti. Piangeva, rannicchiata in un angolo di quella stanza gelida e
buia, il corpo distrutto dal dolore.
«Non sei nessuno, non meriti di esistere!Tua madre è morta per
causa tua!»
«Io non ho fatto nulla, non è vero!»
La voce che moriva, prima ancora di poter
uscire.
Colpi, violenti e devastanti. Voleva
morire.
«La tua esistenza è inutile, sei solo un ostacolo per tuo
fratello, sei solo un errore da dover nascondere, sei solo una vergogna per
questa casata che onora il Santuario da
secoli!»
Parole come pugnali roventi nella
carne.
«Che questa tortura finisca…Voglio
morire…»
L’acqua che attanagliava di nuovo il suo corpo, strappandole ogni
vana resistenza, levandole l’ultimo respiro, trascinandola nell’abisso. Vide una
luce fioca in quella gelida oscurità…
Poi più nulla…
Kora riaprì gli occhi, umidi di
lacrime.
Si sentiva distrutta, accasciata terra, coperta di sabbia e
polvere.
E le sembrò che il suo cuore si lacerasse, quando incontrò lo
sguardo di Kanon, in piedi, a qualche passo da
lei.
Come in un incubo, rammentò ogni singolo istante di ciò che aveva
fatto, e desiderò di morire.
Perché?
Kanon non parlava, si limitava a fissarla
impassibile.
La ragazza si coprì gli occhi: era stata lei?Perché aveva fatto
così?
Il saint la guardò, incapace di agire: temeva che il solo parlarle
avrebbe fatto precipitare di nuovo la situazione. Dentro di sé, comprendeva Kora
più di quanto non avrebbe mai ammesso.
E non poteva tollerare di vederla in quello
stato…
Si mosse verso di lei, chiamandola lentamente, ma la giovane si
ritrasse impaurita, scattando in piedi. Prima Kanon che potesse fermarla, Kora
corse via, piangendo.
Che cosa aveva fatto, che cosa aveva
fatto?!
Lo aveva attaccato! Era impazzita completamente, aveva perso ogni
contatto con la realtà. E passato ogni limite.
«Kanon…»
Stavolta era davvero arrivata al punto di non
ritorno.
Non poteva chiudere gli occhi, perché quelle immagini, quei
ricordi non suoi erano pronti a ghermirla ed a trascinarla nuovamente nel
nulla.
Avrebbe voluto urlare, ma ormai non le restava che la forza di
piangere.
E non aveva il coraggio di rientrare alle dodici
Case.
Non poteva, non dopo ciò che aveva
fatto.
Ora come ora, perire per mano di uno di quei dannati angeli neri,
non le pareva una prospettiva così orrenda…Avrebbe dato qualsiasi cosa, pur di
smettere di pensare.
Qualsiasi. Anche la vita.
Udì una voce che la chiamava, ma non voleva parlare con
nessuno.
«Lasciatemi in pace…Non voglio vedere nessuno…Non lo
merito…Dimenticatemi…»
Fu solo quando l’abbraccio fraterno di Mu la strinse a sé, quasi
volesse proteggerla da tutta la sofferenza che l’avvolgeva, che Kora sentì
finalmente un po’ di requie.
...When you're down and troubled and you need a helping hand
and nothing, whoa, nothing is going right...
Close your eyes, and think
of me and soon I will be there
to brighten up even your darkest nights.
You just call out my name, and you know where ever I am
I'll come
running to see you again.
Winter, spring, summer, or fall, all you have to
do is call and I'll be there,
you've got a friend...