Anime & Manga > No. 6
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Autore: Yajirushi    12/07/2013    1 recensioni
La sua vita tranquilla non era che un’illusione. Non avrebbe mai pensato che la sua serenità potesse sgretolarsi da un momento all’altro con così tanta facilità. Una sola parola bastò per farlo tremare. Una semplice, piccola parola pronunciata con enfasi snervante: Morto. E così era davvero tutto finito? “Le promesse vanno mantenute. Se non puoi vivere abbastanza per mantenerle, allora smettila di illudermi.!”
Genere: Generale, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nezumi, Shion, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non possiamo prevedere ogni cosa, nelle nostra vita.
Magari quello che oggi ci sembra favorevole, domani si trasformerà nella nostra rovina.
Ma forse siamo nati proprio per sperimentarlo : così come ad ogni mattino segue la notte,
così ad ogni gioia della vita, segue il dolore.
Dio, perché il tuo sguardo mi evita?



La casa era piombata nel silenzio, mentre una bolla d’aria calda vi si era abbattuta con persistenza. Per poter sentire un po’ di fresco, Nezumi fu costretto a riempire la vasca da bagno per ben tre volte in un giorno, con la speranza che almeno un po’ d’acqua fresca non potesse che fargli del bene. Era tutto tranquillo nella nuova casa: dopo la distruzione della No.6, il nuovo direttore del vecchio teatro di Lost Town aveva insistito talmente tante volte con quella sua offerta che l’attore fu costretto ad accettare, e anche parecchio volentieri. Quella struttura riservata al suo utilizzo personale doveva misurare all’incirca cento metri quadri, più che sufficienti alla vita serena di un uomo solo. Di sicuro la stanza che l’aveva più colpito sin dal primo giorno era la cucina: nonostante fosse la stanza più piccola, accoglieva perfettamente un tavolo enorme al centro, un camino nell’angolo a fianco della porta d’ingresso e due divani appoggiati alle preti posti ad angolo.  Al mattino percorreva il corridoio che dalla stanza da letto lo conduceva al bagno e alla cucina e subito dopo faceva una ricca colazione a base di latte caldo, cereali e biscotti. Adesso che in città si era affermato come ottimo attore, i proprietari di vari teatri tentavano di convincerlo a lavorare nella proprie strutture, invano. <<  Guadagno già abbastanza lavorando per questo direttore. Non saprei proprio che farmene di tutti quei soldi! >> Di solito era così che rifiutava i vari ingaggi. Il signor Mako gli aveva più volte domandato il perché di tale ostinazione, ma mai aveva ottenuto una risposta. Tanto valeva rassegnarsi che lui, il suo datore di lavoro, non avrebbe mai saputo il vero motivo di tanta stupidità. “Sembra che i soldi non facciano per lui!”
Quella mattina il sole già alto nel cielo illuminava i mobili della camera filtrando le pesanti tende color oro fino ad accecare il padrone di casa, che appena sedutosi sul materasso, si stropicciava gli occhi tra uno sbadiglio e l’altro. La giornata si presentava al meglio: niente lavoro, niente appuntamenti, niente rogne… niente di niente. Bastò poco a ricordargli quanto noiosa in realtà fosse la sua vita. Senza il lavoro e le rogne, sapeva a cosa andava realmente incontro: Depressione totale. Ma forse una soluzione c’era. Avrebbe letto un bel libro comodo sulla sua poltrona, avrebbe ordinato qualcosa di buono da sgranocchiare per l’ora di pranzo come faceva di solito, sarebbe uscito per fare una passeggiata al parco distante pochi isolati e sarebbe tornato a casa ripiombato sotto le coperte. “Ah.. un ratto si arrangia come può..vero?” Seduto al tavolo soffiava in una tazza colma di liquido bollente. Sollevò lo sguardo fissando un punto indefinito di fronte a sé, un punto in cui mai avrebbe voluto soffermarsi: il muso grigio di un piccolo topo-robot. Rimase in silenzio per qualche istante, studiando l’anatomia di quell’essere che egli stesso aveva creato anni prima. Allungò una mano per sottrargli una piccola capsula rossa dalle zampette. Ne estrasse un piccolo messaggio risalente a quattro anni prima: “Lo farò.” Di fronte a quelle parole non riuscì a batter ciglio. Avrebbe potuto piangere, sorridere, urlare… riflettere. Ma gli ingranaggi della sua mente sembrarono immobilizzati, quasi in tilt; non riusciva a pensare a nulla, proprio a nulla. Ormai non ricordava un nome a cui associare quel messaggio, né voleva ricordarlo. Per lui da cinque anni era cominciato un nuovo capitolo della sua vita, aveva voltato pagina una volta per tutte… aveva scelto di fare la cosa migliore per Entrambi. Scegliere di illuderlo non era stato facile, prendersi realmente gioco di lui, era sembrato impossibile. Ma doveva farlo se voleva lasciarlo libero di vivere la vita che si meritava, Lui, Shion, l’unico capace di farlo piangere su questa Terra. Adesso che quella piccola promessa non era stata mantenuta, adesso che erano passati quattro anni da quella bugia.. forse adesso anche Lui avrebbe finalmente voltato pagina. E avrebbe cominciato realmente a Vivere.
<< Ehi! Nezumi! Aprimi, Nezumi! So che sei lì! >> fece un passo verso la porta d’ingresso per aprirla. << Eh? Perché mi disturbi a quest’ora? Non ho mica insultato tua madre.  >> La donna dai cortissimi capelli biondi  tremava ancora per l’affanno e la fatica di una corsa sfrenata dal centro del paese alla periferia. << Fammi entrare. >> Nezumi avrebbe voluto ricacciarla per la sua maledetta presunzione, ma poi dovette frenarsi. << Fammi entrare, Per favore. >> La sua voce si era fatta più bassa. Nezumi spalancò la porta facendola accomodare sul divano per poi sedervisi di fronte.  << Allora? Cosa ti porta qui, Inukashi? >> Attese una risposta per ben cinque minuti. L’ inukashi accavallò le gambe poggiando i gomiti sulle ginocchia, lasciò cadere il capo sulle mani nascondendo la piccola tortura cui sottoponeva le labbra. Dopo una lunga pausa, cominciò a parlare. << Riguarda Shion. >> La donna notò del liquido sul pavimento. Due parole erano bastate per far raggelare i muscoli del ragazzo che sorseggiava ancora un po’ di latte. << Non ricordo nessuno che abbia quel nome. >> Distese le gambe per rilassarle. L’inukashi insisteva: << E’ importante… altrimenti non avrei sprecato il mio tempo per farti una visita! >> Si drizzò a sedere cercando lo sguardo dell’altro, nascosto da una ciocca di capelli blu. << Non lo conosco. Perciò non venire a scocciarmi già al mattino. >> Si alzò facendo un gesto con la mano per farsi comprendere meglio: era meglio per la donna se avesse lasciato l’appartamento, e in fretta. Lei si sollevò stringendo i pugni. << Non te l’hanno ancora detto? Beh, chi sene frega se non l’hanno fatto! Poi non venire a piangere da me quando lo saprai! Io non volevo essere la prima a dirtelo solo che  Rikiga ha insistito! Tsk.. >> Lo raggiunse alla porta già spalancata. << Credevo quel ragazzo ti stesse più a cuore.  >> Nezumi carpì ogni parola pronunciata con un velo di malinconia. La porta si richiuse con un rumore quasi impercettibile. Steso sul divano, Nezumi non riuscì ad evitare di perdersi nei ricordi. Mille ferite gli riaprirono il cuore,  mentre un fuoco interno gli ardeva in gola. “Quei tempi sono finiti. In realtà… dispiace anche a me, Inukashi.”
Non riusciva a comprendere il perché di quell’atteggiamento da perfetto idiota. Insomma.. si era sempre comportato da idiota, cinico e a volte anche da strafottente. Ma adesso perché.. perché doveva far finta di nulla? Quel ragazzo non gli importava davvero più? Improbabile. l’inukashi non poteva credere che Shion, l’unico che un tempo era riuscito a fargli abbassare la guardia, l’unico che era riuscito a renderlo debole e fragile, ora non gli importasse più. Forse lei non lo aveva conosciuto abbastanza per conoscerlo bene, ma pur non essendo un genio, Inikashi aveva compreso l’importanza che entrambi attribuivano all’altro. Ma allora perché? Il motivo non riusciva proprio a capirlo. Se adesso sua madre fosse ancora in vita, lontana dalla sua casa, lei avrebbe fatto di tutto per ritrovarla. O almeno avrebbe desiderato sapere quanto bella fosse diventata la sua vita, quanto stesse bene e fosse felice anche senza di Lei. << Credevo ti stesse più a cuore, Nezumi. Ma infondo è meglio così. È meglio così… perché non dovrai soffrire quanto ho sofferto io. >> << Inukashi! >> La donna si voltò sorridendo. << Nezumi! >> Si morse un labbro. << Gliel’hai detto? Come ha reagito? >> Rikiga sembrava distrutto: gli tremavano le mani, le labbra, la voce. Forse avrebbe pianto da un momento all’altro, ma l’Inukashi preferì fissare la strada per non accorgersene. << Volevo dirglielo… ma non sono in grado di affrontarlo come si deve. Diglielo tu! >> Gli diede le spalle riprendendo a correre. Era arrabbiata con se stessa per aver rinunciato. Era arrabbiata con se stessa perché era una codarda. Era arrabbiata con se stessa… perché stava piangendo.
Rikiga non aveva altra scelta: riferirgli la notizia spettava unicamente a lui. Prima di farlo, però, si diresse in un bar lì vicino per distendere i nervi. Si accomodò ad un piccolo tavolo, prese un giornale tra le mani, lo scrutò per bene, lesse i titoli dei vari articoli con noncuranza finchè non lo scaraventò sulla superficie liscia del tavolo con violenza. “Trovato!” << Il signore desidera? >> Prima di parlare tossì asciugandosi qualche lacrima. << Una camomilla, grazie. >> La cameriera gli sorrise amichevolmente. Nell’attesa, Rikiga provò a riflettere su quello che davvero lo legava al ragazzo: all’inizio gli era interessato solo per essere il figlio di Karan, gli voleva bene perché le somigliava e perché in qualche modo lo faceva sentire bene. Ma col tempo si era affezionato sempre più a quel viso d’angelo, a quella innocenza e a quell’incredibile intelligenza che lo caratterizzavano. Probabilmente l’avrebbe amato come un figlio, anche se con Karan non avesse avuto nulla a che fare. << Ecco. >> La cameriera lo riscosse dai suoi pensieri. Rikiga fu felice di scoprire un biglietto sotto la tazza con su scritto l’augurio di una buona giornata.
Nezumi era ancora immerso nella vasca. Dopo la breve chiacchierata con l’inukashi aveva sentito un forte bisogno di fare un bagno. “Ma che diavolo pensi di fare? Perché fai finta di niente? Chissà cosa gli è successo…”  Il ragazzo si sollevò uscendo dalla stanza senza neanche rivestirsi. Sembrava non rendersi conto di quello che lo circondava: non sentiva più alcun rumore, non vedeva più nulla che potesse essere importante, non percepiva il fresco della superficie del pavimento, il caldo dell’aria costretta in quel corridoio lungo e stretto. Mentre camminava lasciava una scia d’acqua sulle mattonelle, ma neanche il rumore dell’acqua sembrò attirare la sua attenzione. Bagnò un tappeto, un libro, un topo finto che scorrazzava per la casa.. ma continuò comunque a camminare verso la stanza da letto. Si lasciò cadere sul materasso, ricordando quante volte aveva sognato di riabbracciare Shion, di parlargli, di baciarlo.. di farlo suo proprio su quel letto. Affondò il volto nel cuscino che, in quel momento, sembrava quasi fungere da spugna, mentre il campanello suonava ad intervalli regolari e snervanti. Nezumi avrebbe voluto che quel momento di abbandono ai ricordi fosse interminabile, avrebbe desiderato tornare indietro nel tempo e fare scelte diverse, a partire dalla scelta di allontanarsi dal ragazzo albino. Era stato uno stupido a lasciarlo così, senza una spiegazione, ma in cuor suo sapeva di non essere pronto a vivere una vita ‘normale’ al suo fianco. “Inadatto…”
Il campanello continuava a disturbarlo. Quello che fin ora gli era sembrato il fastidioso ronzio era davvero il suono assordante del suo campanello. Sobbalzò sgranando gli occhi: com’era arrivato fin lì senza nulla addosso? “Devo essere impazzito.” Si stropicciò gli occhi rivestendosi in tutta fretta. Aprendo la porta non rimase sorpreso nel ritrovare dinanzi a sé la figura seriosa di Rikiga, fasciato in una abito nero piuttosto elegante. << Non serve che mi intrattenga a lungo, Nezumi. Shion è morto. tutto qui. Sono venuto solo per dirti questo. Finalmente adesso sarà più felice, lassù con gli angeli… >> La calma con cui pronunciava quelle parole sembrava qualcosa di sovrumano. Lui che l’aveva amato sin dal primo istante come un figlio, lui che gli aveva donato vestiti e l’aveva trattato col dovuto rispetto, adesso sembrava un essere freddo, impenetrabile. Nezumi percepì quella notizia come una folata di vento: Morto. Shion non c’era più. Cosa poteva esserci di più stupido in questo? il ragazzo si accasciò al pavimento in silenzio, come addormentato. Ci volle un’intera giornata affinchè riuscisse a risollevare le palpebre.
Il letto era spostato leggermente verso la porta. C’era qualcuno, di fronte a lui, qualcuno vestito di bianco, forse.. un angelo? Nezumi si sollevò sui gomiti per osservare meglio. Man mano che la luce aumentava nella stanza, così aumentava il suo senso di percezione visiva. << Solo un giramento di testa, niente di più. Adesso deve riposare. >> La porta si richiuse e Nezumi si lasciò cadere su quel materasso caldo e umido, mentre la leggera coperta che lo copriva emanava un profumo dolce, così confortante, così… familiare. Karan scese le scale con estrema lentezza. Ad ogni passo, i muscoli delle gambe si rifiutavano di proseguire: se fosse dipeso da loro, adesso si sarebbero voltate per tornare in quella stanza occupata dall’ospite arrivato all’improvviso. Karan non aveva mai visto quel ragazzo. Per molti anni aveva cercato di immaginarlo davanti a sé servendosi delle descrizioni talmente dettagliate di suo figlio, che a vederlo sembrava quasi identico alle sue aspettative. Shion ne aveva parlato spesso, ma sempre malvolentieri. Sua madre si era accorta del male che questo gli provocava, e per questo aveva deciso di non spingerlo a parlare contro la sua volontà. Ma un giorno d’estate, davanti ad un paesaggio di tramonto, Shion sembrò aprirsi per un attimo a sua madre. Le parlò di quanto era piacevole trascorrere il tempo con quel ragazzo pieno di coraggio e tante buone qualità, le spiegò quanto aveva appreso sul mondo semplicemente standogli vicino e anche quanto spazio gli avesse inconsapevolmente riservato nel suo cuore. E proprio allora, dopo tre anni che non lo vedeva, quello spazio non colmato gli provocava un dolore lancinante al petto, tanto da fargli tremare anche le gambe. Allora Karan non sapeva come fare per farlo sentire meglio. Shion le aveva vietato di cercare quel ragazzo sparito chissà dove, raccontandole della loro piccola promessa, del loro legame che mai si sarebbe spezzato. Ma adesso, mentre la donna percorreva la scalinata a ritroso, non poteva che accollarsi la colpa di quell’illusione che aveva perseguitato il suo bambino, perché sì, Shion era sempre stato il suo bambino e sempre lo sarebbe rimasto. E lei, donna estremamente fragile, non riusciva a perdonarsi quella perdita. Shion era morto senza provare dolore, o almeno così le avevano riferito i medici. La morte è sempre morte in ogni caso, con o senza dolore non è questo che fa la differenza. Il punto era che una parte di sé non c’era più. Di Shion non potevano rimanere che un vivido ricordo, una fotografia appesa su una lapide, il compito di recargli fiori freschi ogni giorno per non farlo sentire mai solo, ovunque egli fosse. Rikiga aveva tentato più volte di consolarla, di spegnere quella disperazione che le aveva fatto a pezzi l’anima e il corpo. Karan si era torturata come un’autolesionista, si era procurata ferite sugli avambracci solo per poter provare una minima parte di dolore che era spettata al suo bambino. Gli ospiti del rifugio erano stati allontanati settimana e accolti nel rifugio per cani randagi dell’Inukashi per qualche settimana, il tempo previsto perché Karan si fosse rassegnata a quell’idea. Perché in fondo era di questo che si trattava: Rassegnazione. Karan credeva che mai si sarebbe arresa, urlava che non avrebbe mai potuto dimenticare quanto radiosa era stata la sua vita fino a quel momento e quanto oscure sarebbero diventate d’ora in poi le sue giornate. << Karan, adesso però non piangere.. >> Rikiga mostrava una tranquillità invidiabile. Eppure Karan era convinta che anche lui stesse soffrendo. << S- sai, Rikiga.. non immagini quanto io ti invidi.. >> L’uomo annuì lentamente: << Lo so, Karan. Lo so. >>
Nel pomeriggio il rifugio fu letteralmente preso d’assalto da amici e parenti del ragazzo. Ognuno di essi portava con sé un piccolo dono, per la maggior parte fiori e piccoli profumi per il corpo. << Avrà una degna sepoltura. Condoglianze, figlia mia. >> Sua madre tentava di consolare Karan, perfettamente in preda ad una crisi di pianto. Il corpo di Shion era conservato in chiesa, posto in una elegante bara in legno di ciliegio, vestito accuratamente con abiti eleganti ma non visibili perché completamente ricoperti di fiori bianchi e rosa. Il funerale si sarebbe celebrato nei giorni successivi, e intanto gran parte degli abitanti della città si riunivano nello stesso dolore per la morte di colui che li aveva salvati dall’ignoranza e dall’incoscienza che per anni li aveva resi schiavi. Alle cinque del pomeriggio, tutti i parenti si erano riuniti in soggiorno attorno ad un piccolo tavolo per pregare, mentre Karan aveva insistito di poter vedere Nezumi, ancora confinato nella stanza di suo figlio. << Voglio salire. Ti prego, fammi salire. >> Rikiga si piazzò sulle scale. << Non posso lasciarti passare se prima non ne sei convinta. >> Karan annuì. << Prometto che non piangerò. >> Nella stanza da letto, Nezumi aveva provveduto ad aprire le tende e a mettersi comodo sul materasso. Quando aveva preso fra le mani il cuscino su cui ore prima poggiava inconsapevole, aveva riconosciuto il Suo profumo. Non poteva negarlo, quel profumo inebriante non l’avrebbe mai scordato anche dopo secoli. Ripensò più volte alle parole di quel bugiardo. Come si era permesso di dire una simile sciocchezza? “Shion non può morire così. Shion NON è morto. io l’avrei… io avrei..” Il ragazzo sobbalzò sotto le coperte. Karan entrò nella stanza con le fattezze di un fantasma: il suo passo era impercettibile, i suo movimenti lenti quasi inquietanti. Nezumi osservò per qualche istante i suoi abiti scuri. Quando la donna si sedette accanto a lui sul materasso, i loro sguardi si incontrarono. I grandi occhi marroni di lei s’incastrarono a quelli bluastri e penetranti di lui. Si fissarono per minuti interi senza parlare, finchè Nezumi abbassò lo sguardo. Sostenere quello carico di determinazione di Karan sembrava un’impresa impossibile.  << Dimmelo.. Shion.. non è morto. >> Il ragazzo tremò a quelle parole. << Io non ti conosco, davvero.. ma promettimi che lo porterai sempre nel tuo cuore.. dimmi che per te lui non è mai morto.. io.. ti prego. >> Karan continuava a parlare imperterrita. << Lui non ti ha mai dimenticato. Lui.. non avrebbe mai dimenticato. Perciò tu non ha il diritto di farlo. >> Quando si sollevò, il ragazzo la prese per un polso stringendolo con violenza. << … Come? Come sarebbe.. morto? >> Karan si strinse nelle spalle.  << Malviventi. Il coprifuoco serve ad evitare tutto questo.. Shion.. si era intrattenuto da quella donna e.. non so cosa sia davvero successo tre giorni fa.. ma dopo averla minacciata, i malviventi  hanno rapito mio figlio e l’hanno ammazzato per divertimento. È stata una bambina a ritrovarlo, due giorni fa. Era… >> Respirò profondamente. << ..Era steso sul parabrezza di un’auto, riverso.. il petto che colava.. sembra sia morto senza provare dolore fisico: solo due pallottole al cuore. >> Nezumi osservò quegli occhi marroni a lungo. Il suo sguardo era così simile a quello di Shion… solo, così..vuoto. karan si asciugò in fretta una lacrima traditrice. << Shion non è morto. >> La donna annuì come per ringraziarlo. << Sì,io.. lo so. >> mentre camminava verso la porta, quella voce la richiamò ancora una volta: << Forse non mi sono spiegato bene. Shion NON E’ MORTO. Shion è qui, non ha mai abbandonato questa Terra, né tantomeno è con gli angeli in paradiso in questo momento. Shion è.. Shion  è VIVO! >> Karan fece un passo indietro, non riuscendo a nascondere ulteriormente una lacrima. << Sono una stupida.. non dovrei dirtelo ma.. Nezumi, accetta la realtà. >> Il ragazzo, ora in piedi di fronte a lei, la prese per le spalle in una stretta violenta, cominciando a scuoterla senza una ragione. << Basta! >> Trattenne il fiato per un momento. << SE I MORTI NON PARLANO, ALLORA PERCHE’ CONTINUO A SENTIRE LA SUA VOCE?! >> Urlò stringendo i denti, mentre una lacrima solcava anche il suo viso marmoreo.

   “Shion…  dimmi la verità o c’è il rischio che io diventi pazzo..”
  
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