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Autore: _Eriky_    12/07/2013    9 recensioni
Isabella è una ragazza cieca. E' discreta, accompagnata nella vita solo dalla sua unica amica Angela, nascosta dall'oscurità che sempre circonda la sua esistenza.
Edward fa parte di una prestigiosa famiglia ricca. E' famoso, circondato da ragazze, sempre incentrato sotto la luce dei riflettori.
Due destini così diversi, ma irreparabilmente uniti, come la luce e l'oscurità: divisi da quella invisibile linea che li legherà insieme per sempre.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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*Angolino del manicomio dell'autrice*
(voi mi vorreste all'obitorio, lo so)
 

Buonasera a tutti voi!
Lo so, mi dovrei rintanare nelle fogne per questo ritardo, ma per lo stato in cui l'influenza mi aveva messo, dovevo stare a distanza dal pc con le buone o con le cattive. Perciò, come farmi perdonare se non con un mio "bel" capitolo per voi? È qui, pronto per essere letto. È veramente scritto col cuore, ma penso che capirete andando avanti.
Vi devo ringraziare per aver avuto pazienza per questa mia assenza, stavo molto male al pensiero di non aver mantenuto la promessa e di non essere riuscita a rispondere alle vostre splendide recensioni!
Ancora un grande grazie, un bacio e un abbraccio!
Eriky
 

Capitolo 16
 
Il vento le soffiava contro, ma sarebbe stato troppo semplice se i suoi brividi fossero dovuti solo al freddo della notte. Isabella era seduta vicino alla finestra spalancata della sua camera, incurante della tempesta ormai imminente.
Le veniva quasi da ridere al pensiero che la natura, che era sicura la odiasse, sembrasse partecipare al suo dolore. Quando era uscita non si era accorta dell'umidità dell'aria, del silenzio che la circondava, troppo presa da una bugia fatta a persona.
 
Una goccia di pioggia le cadde sulla caviglia mentre un'altra, molto più salata, le scese dal viso. Si maledisse tante volte, era inutile che piangesse su ciò che era successo, alla fine se lo sarebbe dovuto aspettare. Quella felicità che aveva provato in quei pochi attimi, dove si sentiva viva dopo anni di semplice esistenza, era un piccolo regalo che la vita le aveva fatto, tanto per non farla decidere definitivamente di provare la sensazione di volare, buttandosi da una finestra o quant'altro. Non era bello pensare al suicidio, ne era ben cosciente, ma era un modo semplice per mettere la parola "fine" a quella fiaba uscita male, quella dove il lieto fine non era permesso.
Pensando alla morte non poté fare a meno di ricordare sua nonna, compagna di avventure immaginarie. Avrebbe pagato con qualsiasi cosa la possibilità di poterla riavere con se, anche solo per un giorno o per un'ora. Avrebbe potuto chiederle consiglio, implorare aiuto e probabilmente lei le avrebbe sorriso cominciando a parlare, facendola venir fuori da quella situazione. Ma quella era semplice fantasia, tutto ciò non era possibile. Lei viveva nella realtà, dove le verità venivano sbattute in faccia con poca gentilezza, dove non avevi il lusso di sbagliare ed uscirne illeso, dove ogni errore aveva un prezzo.
 
Appoggiò la testa contro il muro e cadde in una sorta di trans, mentre la pioggia ormai imperversava. Era destinata a durare tutta notte, ma lei non si mosse di un millimetro, ben cosciente di potersi ammalare. In verità si crogiolava nell'idea di poter stare a casa, nel suo letto caldo, al riparo dallo sguardo di quel ragazzo e soprattutto dai propri ricordi.
 
<< Isabella >> si sentì chiamare dalla voce di sua madre al di là della porta. Non avvertiva le forze necessarie per poter andare ad aprire e ancora meno per poterle rispondere.
<< Isabella? >> riprovò la madre, questa volta aprendo la porta della camera. << Sono venuta a vedere se avevi chiuso la.. >> ma non riuscì a finire la frase. La flebile luce della notte illuminava a mala pena il volto pallido della figlia ancora dormiente, con i vestiti fradici.
La madre le corse subito vicino, usando le ultime forze per portare al riparo della tempesta la giovane. Andò in bagno e recuperò un grosso telo di spugna, per poi coprirla, nel vano tentativo di scaldarla: nella peggiore delle ipotesi poteva già essere in ipotermia.
Attese che riprendesse un po' di calore prima di cercare risposte a quei mille quesiti che le attraversavano la mente. Era quasi sicura che si trattasse di quel ragazzo di cui era riuscita ad avere qualche misera informazione. In fondo che pretendeva di sapere da una persona che aveva abbandonato al proprio destino.. Perciò, in fin dei conti, anche quello era da associare ad una propria colpa, come tutto il resto che era capitato alla sua bambina.
 
<< Come mai ti è saltata in mente di fare una cosa del genere? >> le chiese, provando a reprimere la rabbia per non essersi accorta della situazione in cui versava la sua piccola quando l'aveva vista nel salotto, dopo il suo rientro. L'aveva seguita con lo sguardo mentre scappava in camera sua, eppure come avrebbe potuto immaginare cosa stesse tramando. "È ovvio che non potevi saperlo" parlò una vocina nella sua testa, con timbro più acido e malvagio del solito "tu non la conosci nemmeno come la conoscerebbe normalmente un'amica". Parole non furono mai così veritiere e funeste per Renèe.
<< Lasciami stare >> le chiese rudemente, addolcendosi poi << ti prego mamma.. >>
<< Non puoi stare sotto la pioggia battente e poi liquidarmi così, pretendo delle immediate spiegazioni >> le impose con decisione, aiutata dalla stanchezza portata dal giorno che era passato.
<< Ah.. >> sospirò Isabella, faticando a tenere nascoste quelle parole di cui si sarebbe pentita una volta lucida, ma che avevano trovato una via di fuga nella stanchezza che quell'ultimo colpo al cuore le aveva provocato. << Sarebbe bello se potessi avere anch'io delle spiegazioni.. Sai, di quelle che possono farmi capire perché da quando non ci vedo più, è scomparsa anche la vostra presenza, insieme alla vostra immagine. >>
Nell'intimo sapeva di aver arrecato un grande colpo a sua madre, la donna che le aveva donato la vita, seppur non l'aiuto per viverla. Un rudimentale sistema di sopravvivenza era scattato in lei, portandola finalmente a mettersi davanti agli altri, forse anche solo per una sera. Nessuno si era mai preoccupato per lei per più di una rapida, fugace occasione, neppure Isabella stessa. Ciò che la mandava avanti era l'istinto perché della volontà di resistere era restato ben poco, consumata da anni di colpi, cicatrici ed insulti, da anni di solitudine e depressione; un solo e singolo individuo le aveva definitivamente consumato le scorse, illudendola e facendola ricredere nei sogni, per poi portarle via tutto e lasciandola povera di speranze.
<< Cosa intendi? >> domandò la madre, intimamente sapendo che cosa volesse venire a conoscenza la figlia, ma sperando che si riferisse ad altro, qualsiasi argomento tranne a quello di cui si vergognava di più, dove i risentimenti più profondi avevano messo radici.
<< Lo sai benissimo cosa intendo. Intendo la cosa che forse ha dato l'inizio alla decadenza della mia esistenza, che mi ha fatto crescere presto, troppo, facendomi affrontare un mondo che non mi accetta e che non mi appartiene, mamma. >> la voce cominciò a diventare più acuta, mentre i primi singhiozzi ripresero a scuoterle il corpo. Era la prima volta che si sfogava davanti a qualcuno in generale. Avrebbe tanto voluto, in un sprazzo di lucidità, poter controllare le sue parole per ferire il meno possibile la donna che le era seduta davanti, sul letto. Era silenziosa, forse troppo, ed era così arrendevole che non poté fare a meno di immaginarla a capo chino, come  un condannato colpevole pronto a saggiare la lama del boia. << Un mondo dove ogni bambino veniva obbligato dalla madre a starmi vicino e loro trovavano mille altre ragioni per non dover subire la mia vicinanza. Mi dicevano che ero brutta, che puzzavo, che ero antipatica e che ero così cattiva da meritarmi la mia solitudine: da quando essere ciechi e bisognosi d'affetto è una cattiveria, mamma? >> ripeté ancora l'appellativo di Renèe, quasi ad usarlo come un'ancora di salvezza da quel disperato mare di ricordi costantemente in tempesta. << Poi tornavo a casa, felice di poter finalmente incontrare braccia che mi volevano, braccia calde in  cui rifugiarmi. Ogni tanto, quando il tempo lo permetteva e tu non eri impegnata al lavoro, mi portavi a prendere una cioccolata con tanta panna montata e la granella colorata. Quando ci vedevo ancora lasciavo fuori sempre i pezzetti rossi perché dicevo che li avrebbe voluti la nonna. Tu sorridevi e mi accarezzavi la testa, prendendo un fazzoletto e mettendoli via, promettendo di portaglieli in cielo. >> prese un respiro prima di concludere il più grande dialogo che avesse mai avuto con sua madre << Ma poi, col passare del tempo, il tuo spazio per me venne sempre meno, lasciando di quei nostri pomeriggi solo un vago ricordo. Anche papà smise di occuparsi  di me e cominciò a starti sempre dietro, badando a te come se fossi tu la vera bambina da crescere. Ah, mamma, che figlia ingrata che ti ritrovi. Mi hai dato vita, cibo e casa, e io ti rinfaccio di avermi lasciata da sola contro il mondo, che tra l'altro mi detesta. Ma ora veramente basta, dimmi cosa ti dovrei spiegare.. Perché mi sarei dovuta mettere seduta davanti alla finestra aperta, in attesa della tempesta, mentre un altro tassello delle mie sventure aumentava il peso sulle mie spalle? Perché mai cercare di ammalarmi così da poter restare a casa, al sicuro, dove teoricamente nessuno sconosciuto può entrare.. Anche se, in realtà, mi trattate quasi come tale. Perché c'è una sconosciuta in casa, mamma? >> 
  
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