Giorno 23: Il mio gatto è un ottimo psicanalista
Gelato quando si
ha mal di cuore? Ma proprio no. Non mangiavo così poco da così tanto tempo che
non ricordavo nemmeno se fosse mai successo. Qualche fettina di pollo arrostito
quasi trasparente era il mio unico cibo. La tisana al tiglio era la mia unica
bevanda. Poiché il tiglio ha effetti calmanti, pensavo che mi avrebbe
tranquillizzata. Invece non succedeva niente. Le possibilità erano due: o
bisognava iniettarsela in vena per farla funzionare, o l’effetto non era
immediato, e quando mi sarei addormentata sarei finita in coma per tre giorni
consecutivi. Ma andiamo con ordine.
Arrivata a casa
ero corsa nella mia stanza. Mi ero appoggiata alla porta ed ero scivolata a
terra senza battere ciglio. Avevo il fiato corto e mi pulsavano svariati organi
interni, oltre alle tempie. Non riuscivo più a piangere. A casa non c’era
nessuno. Ero rimasta così, seduta per terra a fissare il vuoto, per una
quantità di tempo indefinita. Probabilmente sarei stata ancora lì dopo molte
ore, se Toulouse, il mio empatico gatto, non avesse iniziato a miagolare fuori
dalla porta. Così mi ero alzata per aprirgli e lui, camminando con estrema
lentezza, era entrato nella stanza e con un atletico salto si era trovato una
posizione comoda sul letto, da dove mi fissava in attesa di risposte.
- Lo so! – ho
sbottato, non riuscendo a sostenere lo sguardo indagatore del mio felino da
compagnia. – Lo so che non dovrei essere sorpresa. In fondo ho sempre saputo
che tenevo a lui molto più di quanto lui non tenesse a me. Ma pensavo che
almeno un po’ ci tenesse! Perché arrivare a fare questo? Non poteva
semplicemente non mettersi con me? A quest’ora io sarei stata com’ero prima:
una zitella sulla via dell’acidità caustica, che già pensava ai nomi dei suoi
futuri 27 gatti. Avevo anche la lista dei primi 18!
Toulouse aveva
scosso la testa con quello che mi era parso un lieve disappunto.
- Non ti
preoccupare, tu saresti sempre stato il mio preferito. – l’avevo rassicurato, e
lui aveva steso una zampetta come per dirmi che aveva capito, ed ero perdonata.
– Be’, i tuoi fratelli adottivi ti sarebbero piaciuti. E avresti avuto
un’intensa storia d’amore con una gattina bianca di nome Margot. Sai, come la
regina, la figlia di Caterina de Medici.
Lui aveva
rizzato le orecchie fissandomi con attenzione, e si era leccato i baffi.
- Ti garba
l’idea, non è vero? Be’, adesso possiamo mettere in atto questo piano.
Considerando che sono di nuovo zitella. Oppure no? Non so nemmeno se ci siamo
lasciati. C’è bisogno di una comunicazione ufficiale, secondo te? Oppure si dà
per scontato che se mi ha… tradita
non stiamo più insieme?
Toulouse ha
piegato la testa di lato.
- Sì, hai
ragione. – gli ho detto. – E’ ovvio che non stiamo più insieme. Oh, Toulouse!
Cosa mi consigli di fare?
Lui si è girato
in direzione del mio bagno. Poi è tornato a guardarmi.
- Hai ragione.
Farò un lungo bagno caldo fino a raggrinzirmi tutta, ascoltando Adele, Taylor
Swift e.. mmh.. Coldplay, sì, anche loro fanno canzoni tristi… ecco, fino a che
non mi scioglierò del tutto nell’acqua. Sei un ottimo gatto, Toulouse. Dai
ottimi consigli.
Così mi ero
alzata, gli avevo fatto un grattino dietro le orecchie, e mi ero messa a mollo.
Nella vasca da
bagno, con le cuffie dell’ipod nelle orecchie, avevo ascoltato le canzoni che
mi ero riproposta di ascoltare, ma una in particolare mi aveva fatta piangere
di nuovo, e con voce singhiozzante l’avevo anche cantata: Skinny Love. Avevo
diverse versioni nell’ipod, ma dovevo concordare con Skyler nell’affermare che
quella di Birdy era di gran lunga la migliore.
Dopo due ore,
con gli occhi gonfi e rossi, mi ero messa un pigiama e mi ero buttata sul
letto.
Ed ero stata lì
a riflettere su non si sa cosa per non si sa quanto tempo finché lo squillo del
telefono non mi aveva riportata alla realtà. Avevo aperto gli occhi ed ero stata
sorpresa di notare che era buio. Mi ero addormentata? Mi sentivo più stanca di
prima. Prima di arrivare a prendere il cordless, su cui avevo notato un numero
straniero, qualcuno in casa aveva risposto. Quindi erano tornati? Mi ero
affacciata dalla porta con fare circospetto. Anche Toulouse si era intrufolato
tra le mie gambe per guardare nel corridoio. Poi aveva deciso che strusciarsi
sui miei polpacci era più interessante che ascoltare la telefonata, che stava
avvenendo di sotto, in soggiorno. Era stata mia madre a rispondere. Avevo preso
in braccio – non senza qualche difficoltà, data la tendenza verso l’obesità –
il gatto, che stranamente si era fatto sollevare come un bebè, ed ero scesa di
sotto. Mio fratello era seduto sul divano, e aveva sgranato gli occhi quando mi
ero seduta a gambe incrociate accanto a lui. In effetti immaginavo il mio
delizioso aspetto: capelli pettinati dal cuscino, occhi pesti, incarnato
smorto, impronte del materasso sulla faccia e sul collo, Toulouse tra le
braccia come una vecchia psicopatica.
- Sono gli zii?
– avevo chiesto con una voce che aveva sorpreso anche me. Sembrava venire
dall’oltretomba.
- Sì. Ma a te
che è successo? Sei raffreddata? – mi aveva chiesto lui, sporgendosi per
toccarmi la fronte.
- No. – avevo
gracchiato. – Sto benissimo.
Lui aveva alzato
un sopracciglio, ma non aveva detto niente.
- Ma certo che
sono sicura, che sciocchezze! – aveva trillato mia madre. – Aspetta, ora ti
passo tuo fratello. D’accordo, vi abbraccio. A presto. – aveva detto poi. Si era
girata verso la cucina, dove evidentemente c’era mio padre. Gli aveva passato
il telefono ed era tornata nella stanza, dove il sorriso le si era congelato
sul viso quando mi aveva vista. Santo cielo, ma ero davvero messa così male?
- Hana, hai
l’influenza? – mi aveva chiesto preoccupata. – Ho visto che dormivi quando
siamo tornati. Non hai un bell’aspetto.
Il labbro
inferiore aveva preso a tremarmi prima che potessi fermarlo: - Oggi io e Ryder
ci siamo lasciati. – avevo detto. – Almeno credo. L’ho visto baciare Marley in
corridoio.
Una lacrima mi
aveva rigato la guancia.
- Che cosa?! –
mio fratello era saltato due metri in aria.
- Per favore,
ora non mi va di parlarne. – avevo detto, asciugandomi la lacrima.
- Tesoro,
qualunque cosa.. – aveva iniziato mia madre.
- No, davvero.
Non voglio parlarne, ora come ora. Dicci degli zii. Stanno bene? Non chiamano
mai a casa. Poi adesso da loro che ore sono? – “E da noi che ore saranno?” ho
pensato.
- E’ notte, molto tardi, ma non volevano
disturbarci. Si tratta di tuo cugino. Sai che l’anno scorso ha fatto un anno di
scuola negli Stati Uniti, no? E’ venuto fuori che l’ha fatto proprio nella tua
scuola, a Lima. Da quando è tornato non fa che parlare di come si è trovato bene
in America, così i tuoi zii gli hanno chiesto se gli piacerebbe tornare. Stando
a casa nostra gli verrebbe più facile ottenere i documenti. Ovviamente ho
accettato.
In quel momento
papà era uscito dalla cucina e, con un gran sorriso, mi aveva passato il
cordless.
- Hana, tuo
cugino vorrebbe salutarti.
Avevo preso il
telefono, ancora un po’ intontita, e l’avevo portato all’orecchio. In quel
momento mi ero completamente dimenticata di quanto di brutto mi era successo
quel giorno, e, aprendomi in un sorriso, avevo risposto:
- Rory Flanagan, mio irlandese cugino, a quanto pare saremo compagni di classe!
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Nota dell'autore: Eccomi qui con un altro
capitolo. Mi sono resa conto che nello scorso la mia nota dell'autore
è stata mangiata dal computer, perché è sparita
dalla circolazione o__o Quindi mi rifaccio. Come si può capire,
un vecchio personaggio torna a farci visita, mentre presto ne
introdurrò di nuovi. "Nuovi" se non avete mai seguito il Glee
Project. Altrimenti li riconoscerete tutti. Spero che il capitolo vi
piaccia e alla prossima settimana!