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Autore: Caleido    12/07/2013    1 recensioni
Ed eccomi qui. Mi chiamo Hana. No, non "Hannah" o "Hanna" o simili. Hana. In giapponese vuol dire "fiore". E mia madre ha una passione per il Giappone. E' lì che lei e mio padre si sono conosciuti. Nessuno dei due è giapponese, se ve lo steste chiedendo. (...) Comunque, questo non ci interessa. Io mi chiamo Hana e ho sedici anni. Quest'anno io e la mia famiglia, che oltre a me e ai miei sopra citati genitori comprende mio fratello minore Peter (niente nome giapponese per lui), un gatto di nome Toulouse e due criceti dagli originalissimi nomi di Cricio e Criceta, ci siamo trasferiti nell'Ohio. E oggi è stato il mio primo giorno al liceo McKinley. Per essere stato un primo giorno non è stato poi così male. Io non sono una delle persone più espansive del mondo, capiamoci. Non rivolgo la parola e se mi viene rivolta rispondo a monosillabi. (...) Non trovavo la mia classe di storia, così ho chiesto indicazioni a una ragazza. E' stata molto carina. Si chiama Marley. Mi ha accompagnata alla classe, e abbiamo chiacchierato un po'. Mi ha chiesto se vorrei far parte del Glee club.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Ryder Lynn, Ryder Lynn, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Well... This should kinda be me - capitolo 14

Giorno 23: Il mio gatto è un ottimo psicanalista

Gelato quando si ha mal di cuore? Ma proprio no. Non mangiavo così poco da così tanto tempo che non ricordavo nemmeno se fosse mai successo. Qualche fettina di pollo arrostito quasi trasparente era il mio unico cibo. La tisana al tiglio era la mia unica bevanda. Poiché il tiglio ha effetti calmanti, pensavo che mi avrebbe tranquillizzata. Invece non succedeva niente. Le possibilità erano due: o bisognava iniettarsela in vena per farla funzionare, o l’effetto non era immediato, e quando mi sarei addormentata sarei finita in coma per tre giorni consecutivi. Ma andiamo con ordine.

Arrivata a casa ero corsa nella mia stanza. Mi ero appoggiata alla porta ed ero scivolata a terra senza battere ciglio. Avevo il fiato corto e mi pulsavano svariati organi interni, oltre alle tempie. Non riuscivo più a piangere. A casa non c’era nessuno. Ero rimasta così, seduta per terra a fissare il vuoto, per una quantità di tempo indefinita. Probabilmente sarei stata ancora lì dopo molte ore, se Toulouse, il mio empatico gatto, non avesse iniziato a miagolare fuori dalla porta. Così mi ero alzata per aprirgli e lui, camminando con estrema lentezza, era entrato nella stanza e con un atletico salto si era trovato una posizione comoda sul letto, da dove mi fissava in attesa di risposte.

- Lo so! – ho sbottato, non riuscendo a sostenere lo sguardo indagatore del mio felino da compagnia. – Lo so che non dovrei essere sorpresa. In fondo ho sempre saputo che tenevo a lui molto più di quanto lui non tenesse a me. Ma pensavo che almeno un po’ ci tenesse! Perché arrivare a fare questo? Non poteva semplicemente non mettersi con me? A quest’ora io sarei stata com’ero prima: una zitella sulla via dell’acidità caustica, che già pensava ai nomi dei suoi futuri 27 gatti. Avevo anche la lista dei primi 18!

Toulouse aveva scosso la testa con quello che mi era parso un lieve disappunto.

- Non ti preoccupare, tu saresti sempre stato il mio preferito. – l’avevo rassicurato, e lui aveva steso una zampetta come per dirmi che aveva capito, ed ero perdonata. – Be’, i tuoi fratelli adottivi ti sarebbero piaciuti. E avresti avuto un’intensa storia d’amore con una gattina bianca di nome Margot. Sai, come la regina, la figlia di Caterina de Medici.

Lui aveva rizzato le orecchie fissandomi con attenzione, e si era leccato i baffi.

- Ti garba l’idea, non è vero? Be’, adesso possiamo mettere in atto questo piano. Considerando che sono di nuovo zitella. Oppure no? Non so nemmeno se ci siamo lasciati. C’è bisogno di una comunicazione ufficiale, secondo te? Oppure si dà per scontato che se mi ha… tradita non stiamo più insieme?

Toulouse ha piegato la testa di lato.

- Sì, hai ragione. – gli ho detto. – E’ ovvio che non stiamo più insieme. Oh, Toulouse! Cosa mi consigli di fare?

Lui si è girato in direzione del mio bagno. Poi è tornato a guardarmi.

- Hai ragione. Farò un lungo bagno caldo fino a raggrinzirmi tutta, ascoltando Adele, Taylor Swift e.. mmh.. Coldplay, sì, anche loro fanno canzoni tristi… ecco, fino a che non mi scioglierò del tutto nell’acqua. Sei un ottimo gatto, Toulouse. Dai ottimi consigli.

Così mi ero alzata, gli avevo fatto un grattino dietro le orecchie, e mi ero messa a mollo.

Nella vasca da bagno, con le cuffie dell’ipod nelle orecchie, avevo ascoltato le canzoni che mi ero riproposta di ascoltare, ma una in particolare mi aveva fatta piangere di nuovo, e con voce singhiozzante l’avevo anche cantata: Skinny Love. Avevo diverse versioni nell’ipod, ma dovevo concordare con Skyler nell’affermare che quella di Birdy era di gran lunga la migliore.

Dopo due ore, con gli occhi gonfi e rossi, mi ero messa un pigiama e mi ero buttata sul letto.

Ed ero stata lì a riflettere su non si sa cosa per non si sa quanto tempo finché lo squillo del telefono non mi aveva riportata alla realtà. Avevo aperto gli occhi ed ero stata sorpresa di notare che era buio. Mi ero addormentata? Mi sentivo più stanca di prima. Prima di arrivare a prendere il cordless, su cui avevo notato un numero straniero, qualcuno in casa aveva risposto. Quindi erano tornati? Mi ero affacciata dalla porta con fare circospetto. Anche Toulouse si era intrufolato tra le mie gambe per guardare nel corridoio. Poi aveva deciso che strusciarsi sui miei polpacci era più interessante che ascoltare la telefonata, che stava avvenendo di sotto, in soggiorno. Era stata mia madre a rispondere. Avevo preso in braccio – non senza qualche difficoltà, data la tendenza verso l’obesità – il gatto, che stranamente si era fatto sollevare come un bebè, ed ero scesa di sotto. Mio fratello era seduto sul divano, e aveva sgranato gli occhi quando mi ero seduta a gambe incrociate accanto a lui. In effetti immaginavo il mio delizioso aspetto: capelli pettinati dal cuscino, occhi pesti, incarnato smorto, impronte del materasso sulla faccia e sul collo, Toulouse tra le braccia come una vecchia psicopatica.

- Sono gli zii? – avevo chiesto con una voce che aveva sorpreso anche me. Sembrava venire dall’oltretomba.

- Sì. Ma a te che è successo? Sei raffreddata? – mi aveva chiesto lui, sporgendosi per toccarmi la fronte.

- No. – avevo gracchiato. – Sto benissimo.

Lui aveva alzato un sopracciglio, ma non aveva detto niente.

- Ma certo che sono sicura, che sciocchezze! – aveva trillato mia madre. – Aspetta, ora ti passo tuo fratello. D’accordo, vi abbraccio. A presto. – aveva detto poi. Si era girata verso la cucina, dove evidentemente c’era mio padre. Gli aveva passato il telefono ed era tornata nella stanza, dove il sorriso le si era congelato sul viso quando mi aveva vista. Santo cielo, ma ero davvero messa così male?

- Hana, hai l’influenza? – mi aveva chiesto preoccupata. – Ho visto che dormivi quando siamo tornati. Non hai un bell’aspetto.

Il labbro inferiore aveva preso a tremarmi prima che potessi fermarlo: - Oggi io e Ryder ci siamo lasciati. – avevo detto. – Almeno credo. L’ho visto baciare Marley in corridoio.

Una lacrima mi aveva rigato la guancia.

- Che cosa?! – mio fratello era saltato due metri in aria.

- Per favore, ora non mi va di parlarne. – avevo detto, asciugandomi la lacrima.

- Tesoro, qualunque cosa.. – aveva iniziato mia madre.

- No, davvero. Non voglio parlarne, ora come ora. Dicci degli zii. Stanno bene? Non chiamano mai a casa. Poi adesso da loro che ore sono? – “E da noi che ore saranno?” ho pensato.

 - E’ notte, molto tardi, ma non volevano disturbarci. Si tratta di tuo cugino. Sai che l’anno scorso ha fatto un anno di scuola negli Stati Uniti, no? E’ venuto fuori che l’ha fatto proprio nella tua scuola, a Lima. Da quando è tornato non fa che parlare di come si è trovato bene in America, così i tuoi zii gli hanno chiesto se gli piacerebbe tornare. Stando a casa nostra gli verrebbe più facile ottenere i documenti. Ovviamente ho accettato.

In quel momento papà era uscito dalla cucina e, con un gran sorriso, mi aveva passato il cordless.

- Hana, tuo cugino vorrebbe salutarti.

Avevo preso il telefono, ancora un po’ intontita, e l’avevo portato all’orecchio. In quel momento mi ero completamente dimenticata di quanto di brutto mi era successo quel giorno, e, aprendomi in un sorriso, avevo risposto:

- Rory Flanagan, mio irlandese cugino, a quanto pare saremo compagni di classe!

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Nota dell'autore: Eccomi qui con un altro capitolo. Mi sono resa conto che nello scorso la mia nota dell'autore è stata mangiata dal computer, perché è sparita dalla circolazione o__o Quindi mi rifaccio. Come si può capire, un vecchio personaggio torna a farci visita, mentre presto ne introdurrò di nuovi. "Nuovi" se non avete mai seguito il Glee Project. Altrimenti li riconoscerete tutti. Spero che il capitolo vi piaccia e alla prossima settimana!

   
 
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