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Autore: Altariah    13/07/2013    3 recensioni
Kolyat riuscì solo a vedere le labbra di questo muoversi, ma il suono fu sostituito dall’insopportabile gracchio del campanello, che lo trascinò fuori da quella falsa realtà che lo aveva sollevato per un momento da tutti i suoi problemi.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Folie à Deux

 

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I went to your house, 
walked up the stairs,
I opened your door without ringing the bell”


Dall’esterno dell’edificio si intravedeva appena una luce blu, che filtrava tra le veneziane della finestra di un piccolo bilocale.
Un olofilm d’azione sopravvalutato illuminava a scatti la stanza buia, il volume era alto, forse troppo per quell’ora... ma Kolyat non riusciva a seguire la trama. Non capiva, e l’unico tentativo che faceva di tanto in tanto era quello di alzare un paio di tacche il volume, ma la sua mente gridava sempre più forte delle casse del televisore.
Gli occhi del drell seguirono i contorni del corpo di un animale mai visto, probabilmente terrestre. Trovava strano che la maggior parte di ciò che proveniva dalla Terra fosse ricoperto di peli.
Le scene mano a mano presero velocità, divennero più consistenti, e lentamente lui si abbandonò alla visione che i pixel componevano di fronte a lui, sprofondando nel divano. Ecco, ora senza nemmeno rendersene conto aveva iniziato a guardare davvero l’olofilm. Non ricordava nemmeno da quanto non si concedeva una serata per non fare nulla, sempre troppo schiavo di pensieri altalenanti e ricordi crudeli, i suoi sbalzi d’umore sembravano non lasciarlo mai in pace.  
Un turian sparava con un fucile a pompa ridicolmente grande e luminoso che forse doveva imitare uno scimitar. Questo stava coprendo due alleati senza più munizioni accovacciati dietro degli scaffali caduti. La bocca di Kolyat si curvò in un sorriso rilassato, mentre un umano ferito si avvicinava ad un’asari e tutta la sala era invasa da spari e cartucce che cadevano a terra. L’inquadratura si restrinse e l’uomo le andò ancora più vicino se possibile, e fece per sussurrarle qualcosa…

 

“Walked down the hall into your room, 
where I could smell you 
And I shouldn't be here 
without permission”


Kolyat riuscì solo a vedere le labbra di questo muoversi, ma il suono fu sostituito dall’insopportabile gracchio del campanello, che lo trascinò fuori da quella falsa realtà che lo aveva sollevato per un momento da tutti i suoi problemi. Ritornò seduto sul divano, nel suo salotto buio ricolmo di aria viziata, dentro quattro pareti che avevano assorbito troppo rimpianto e troppa rabbia. Drizzò la schiena e guardò il pavimento, cercando di contenere il nervosismo che si stava facendo strada dentro di lui.
“Fanculo…” Kolyat si alzò, stringendo i denti. Si diresse verso la porta d’ingresso, contrariato. Lui sapeva già chi fosse venuto ad importunarlo, non voleva che qualcuno in quel momento entrasse nel suo spazio, non quella sera.
Ma contro se stesso aprì la porta senza osservare dallo spioncino e si scostò di lato, allungando un braccio per indicare di entrare.
“Hai davvero degli occhi tristi oggi…” Sussurrò la ragazza, osservandolo dal basso, piegando la testa di lato. “Non mi aspettavo certo che mi avresti aperto saltellando, ma nemmeno di vederti così giù… maledizione, tu sei sempre giù di morale!”
“Per lo meno entra e non farmi restare qui come un idiota a tenerti la porta, è il minimo, no? O sei venuta solo per criticare tutto quello che vedi, come al solito?”
Lei sospirò, roteando gli occhi e accettando anche questa volta le sue parole, avendo ormai imparato a non replicare quando lui aveva quell’umore. Avanzò, storcendo il naso appena venne investita dall’odore di chiuso e si diresse istintivamente verso la finestra, aprendola e osservando fuori per qualche istante.
Non voleva cercare nulla da dirgli, avrebbe aspettato che parlasse lui per primo: ogni cosa avrebbe detto non l’avrebbe gradita, di questo era certa. Così si limitò ad osservare gli altri palazzi degli agglomerati sprofondati nel buio della notte simulata, pensando ad una sorella troppo lontana che avrebbe voluto al suo fianco di nuovo, il prima possibile.
“Vuoi qualcosa da bere?”
La ragazza si voltò, guardando il drell appoggiato con gli avambracci al ripiano della piccola cucina. Lei fece di no con la testa, posando poi gli occhi sulla televisione. “Folie a deux? E’ ovvio che sei triste, se guardi questi olofilm pessimi.” Sorrise, cercando di avvicinarlo con cautela, farlo aprire, ma senza riuscirci.
Kolyat silenziosamente afferrò un bicchiere per sé, lo riempì di tè freddo e tornò a sedersi sul divano, senza degnarla di uno sguardo.
Le emozioni che lei provava non erano definite. Avrebbe dovuto provare fastidio, ma in lei c’era tanta comprensione, macchiata appena di una goccia di disappunto. Lei provava ad aiutarlo, ma senza un piccolo sforzo anche da parte sua lui avrebbe finito per trascinarla nel baratro con sé. Cosa credeva? Che in quel mondo i problemi li conoscesse soltanto lui?
Dopo quello che le parve un’infinità di tempo ma che realmente fu soltanto un minuto, con un sospiro lei tentò di nuovo un approccio, dopodiché, si disse, avrebbe lasciato stare e girato i tacchi per tornare a casa sua. Che quella non sarebbe stata una serata facile si era capito già dal primo istante dopo aver varcato la soglia.
La ragazza lo affiancò sul divano, guardando il televisore distrattamente, senza la minima voglia di seguire l’olofilm.
“Non credevo ti piacesse il tè” Indicò con il mento la bevanda che lui stringeva tra le mani, sulla bocca disegnato il suo solito sorriso lieve nel tentativo di rassicurarlo. Gli osservò le labbra mentre tremavano come se stesse decidendo le giuste parole, parole che in realtà non arrivarono affatto, e questo la spinse a prendere l’iniziativa di parlare di nuovo. “So che tenevi le bustine per tuo padre, a lui piaceva, almeno così mi dicesti una volta…” Abbassò gli occhi, senza timore. “ma aggiungesti che tu ne odiavi sia l’odore sia il sapore.”
Kolyat fece schioccare la lingua. “Devo pur finirle, non credi?”
Quelle parole le sembrarono una sferzata di vento gelido. Erano talmente piatte e prive di spessore che sembravano pronunciate quasi con cattiveria. Per la prima volta ebbe paura che lui avrebbe soltanto potuto creare negativismo e distruzione. Per un attimo perse di vista la luce che aveva sempre ritrovato dentro di lui, un piccolo spiraglio di speranza che lo avrebbe condotto ad un’esistenza migliore con se stesso. Come qualcuno che si avvicina troppo ad una fonte di calore intenso lei si ritrasse, abbandonando il sorriso e sostituendolo con una smorfia che non cercò di nascondere.
Il drell deglutì, lo sapeva che quella non sarebbe la serata giusta per parlare, lo sapeva che avrebbe fatto disastri… ma lei era entrata nel suo spazio in modo così irruento da non lasciargli alcuna via d’uscita. Lui stava cercando un modo di uscire da quella conversazione, di cancellare quanto detto, ma ogni parola che affiancava mentalmente ad un'altra poi cadeva e con essa le altre posizionate prima, come se stesse cercando di costruire un castello di carte in mezzo ad una bufera.
 
Lei si morse le labbra, indecisa su cosa fare. Parole dure spingevano contro la sua bocca, ma lei cercava di resistere, sapendo che non lo avrebbe affatto aiutato se avesse permesso loro di uscire. Così spense la televisione ed iniziò ad intonare una vecchia canzone che adorava, arrendendosi alla speranza che fosse l’unica opzione disponibile, che quelle parole cantate in quella cadenza avrebbero avuto il potere di tranquillizzarlo, proprio come facevano con lei. Lei amava cantare, era una delle poche cose di cui era certa.
Vivevano su due livelli divisi da una frattura troppo vasta, qualche volta riuscivano a sfiorarsi, ad avvicinarsi all’anello di congiunzione che avrebbe abbattuto le loro barriere per permettere loro di comunicare sulla stessa lunghezza d’onda.
Ma la sincronia non c’era, non per Kolyat, non quella sera. Era successo tutto in fretta, ogni nota suonata da lei, ogni mossa sulla scacchiera gli sembrò sbagliata, e durante il ritornello la fermò, scuotendo la testa. “Vattene.” Sospirò lui, infastidito più da se stesso che da lei. Quando lei gli poggiò una mano sulla spalla, come per cercare una spiegazione, lui si alzò in piedi, allontanandola e aprendo la porta d’ingresso con un gesto secco.
“Ma Kolyat…” balbettò lei, senza capire, trattenendo lacrime di frustrazione. “Io volevo solo…”
“Vattene!” Lui alzò troppo la voce, e la parola gli uscì distorta e rauca, come fosse un grido di pura ira. Osservò la ragazza allontanarsi e svanire nell’oscurità del corridoio fuori dall’appartamento, immaginandola con gli occhi ancora sbarrati, sconvolta.
Quanto tempo gli ci sarebbe voluto per rimpiangere ogni singola azione compiuta quella sera?
Quando avrebbe capito che non ci sarebbe stato nulla di male nel confidarle che in realtà il tè lo adorava, ma solo quando era freddo e addolcito con un sacco di zucchero? Kolyat si sdraiò sul divano, perdendosi nei ricordi scatenati dal dolore. E prima di scivolare in un sonno terribile pensò alla canzone che lei aveva cantato per lui, capendo quanto fosse bello quel gesto e maledicendo la disarmonia che lo allontanava da una vita normale… che lo allontanava così crudelmente da lei.

 

 

 
 










Se è la prima volta che aprite questa storia... che dire. Calcolatela come One-Shot e non prendetevi neppure la briga di continuare con i capitoli.

 
 
  
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