CAPITOLO 17
La
giornata volgeva al termine mentre Maya rimaneva seduta sul balcone dell’ufficio
di Tenpou, riflettendo. Ormai stavano aspettando Kazue da almeno due ore, ma
della donna non si era vista neanche l’ombra. Konzen aveva raggiunto la casa di
Tenpou per ultimo, ma neanche lui aveva idea di dove si trovasse la ragazza.
“Mi
piacerebbe proprio sapere che fine ha fatto quella spigolosa…” bofonchiò
Kenren, in preda ad un attacco di noia con i fiocchi.
Avevano
deciso di trovarsi tutti insieme quel pomeriggio e Kazue si era dimostrata
d’accordo.
“Ken…”
lo rimproverò Tenpou, guardando eloquentemente il generale: data la situazione,
non era certo il caso di fare dell’umorismo.
“Che
si sia dimenticata dell’appuntamento?” ipotizzò ancora il moro.
“Impossibile!
Non sarebbe da Kazue!” obiettò Maya. In effetti, un simile comportamento non
era proprio da lei.
“Potrebbe
aver avuto un contrattempo…” suggerì la donna, dubbiosa.
“Che
voi sappiate, doveva forse incontrare Nataku?” domandò Konzen, un po’
preoccupato.
“No…
me ne avrebbe accennato! E comunque, anche se fosse, sarebbe già dovuta
arrivare. Gli incontri con Nataku sono sempre brevi a causa di Li Touten.”
Sottolineò la ragazza.
“Già…”
affermò Kenren. Nonostante i continui battibecchi con la cugina di Nataku,
doveva ammettere che le era affezionato, senza contare che si divertiva troppo
a stuzzicare quell’indole così integerrima e rigorosa. “Però… tu, Konzen,
dovresti impegnarti un po’ di più…” insinuò il generale.
“Che
cosa stai cercando di insinuare?” sibilò il biondo.
“Beh…
alla fine dei conti… è sempre la tua fidanzata! Dovresti dedicarle molte più
attenzioni…” alluse l’altro maliziosamente.
“Tu…
razza di depravato! Fatti gli affari tuoi!” sbraitò Konzen.
“Ma
perché te la prendi tanto? È risaputo che le donne necessitano di attenzioni
costanti e non credo che Kazue faccia eccezione, per quanto mi sorprenda che
possa essersi innamorata di un tipo come te!”.
Il
nipote di Kanzeon Bosatzu stava già per afferrare il colletto della divisa del
militare impudente, quando Maya s’intromise tra i due e, guardandoli con aria
truce, disse: “La volete smettere voi due? Vi sembra il momento giusto per
azzuffarvi?”. I due litiganti smisero di colpo: in effetti, c’era ben poco su
cui scherzare; se Kazue non si faceva viva, poteva significare che fosse
accaduto qualcosa di grave.
Konzen
lasciò andare il moretto e si accostò alla finestra poco distante da lui; “Ma
dove può essere finita? Appena la vedo le sente! Che motivo ha di far
preoccupare le persone in questo modo? Quasi mi sembra di avere a che fare con
Goku!” pensò tra sé.
“Sentite…
è perfettamente inutile restare qui ad arrovellarci… non credete che sarebbe
meglio andare fino a casa sua? Magari la sua domestica saprà darci le
informazioni che cerchiamo.” Propose Tenpou, che continuava a restare
imperturbabile.
“Mi
sa che Ten ha ragione… non risolviamo nulla restando qui! Però… non possiamo
neanche presentarci tutti insieme a casa di Kazue! La domestica penserà ad
un’invasione!” obiettò Maya.
“Che
ne dite se io vado da lei mentre voi la cercate un po’ in giro?” propose
Kenren.
“Per
me…” borbottò Tenpou, facendo spallucce, “Io resterò qui… non si sa mai, magari
arriva!”.
“Io
andrò a vedere di Goku… potrebbe essere andata da lui, anche se non mi spiego
la ragione… inoltre, è meglio che tenga d’occhio quella piccola peste!” disse
Konzen.
“Bene!
Allora io farò un giro qui attorno… ci sono alcuni posti dove va sempre quando
vuole restare sola. Comincerò da quelli!” propose Maya.
“Perfetto!
Troviamoci qui tra un’ora. E speriamo di averla trovata!” affermò Kenren, che
stava già infilando la porta d’uscita.
Quando
Kenren raggiunse la casa di Kazue, la domestica lo accolse con aria a dir poco
inquieta.
“Sono
venuto a cercare la somma Kazue… è in casa?” domandò il generale, rimanendo
perplesso dall’accoglienza riservatagli; in effetti, la donna continuava a
guardarlo con apprensione e la cosa lo metteva vagamente a disagio. “Beh… che
cosa c’è?” sbottò il generale, “Ti ho chiesto se la somma Kazue è in casa…”.
“Sommo
Kenren… ecco… vede… non so come dirglielo…” farfugliò quella.
“Dirmi
cosa? Avanti donna, rispondimi e basta!”
“Il
fatto è che la mia signora non è ancora tornata.” Spiegò la domestica,
tormentandosi le mani, nervosa.
“Quindi
non è in casa… beh, ti ci voleva tanto per dirmelo?!” commentò Kenren, non
spiegandosi l’atteggiamento della donna.
“Sommo
Kenren… lei non capisce! Il fatto è che la mia signora è uscita questa mattina
molto presto, ma non si è più fatta vedere! Inoltre, sono scomparsi anche
l’arco e la faretra che teneva appesi al muro!”
“Non
capisco dove tu voglia andare a parare! Che cosa c’è di strano in tutto
questo?”
“Tutto
è cominciato ieri. È tornata a casa con un’aria così afflitta… non ha detto
neanche una parola e si è rinchiusa nel suo studio! Quando è uscita non ha
voluto neppure mangiare! E questa mattina, quando sono andata in camera sua,
lei non c’era già più e il suo arco era sparito…” spiegò la domestica.
“Un
momento… stai dicendo che non ha lasciato detto nulla? Non ha detto dove
andava?”
“Se
lo avesse detto forse non mi starei preoccupando tanto!” sbottò la donna,
sorprendendo il suo interlocutore.
“E
hai detto che è da ieri che va avanti…” precisò il generale, cupamente.
La
donna annuì.
“Dannazione!”
sibilò Kenren, stringendo i pugni, “Se è andata da sola a quell’appuntamento…
giuro che gliela faccio pagare!”.
“Come?!”
fece la domestica, con tanto d’occhi.
“Ah…
no, niente! Lascia perdere! Senti, ora io vado, ma se la tua signora dovesse
tornare, dille di venire subito alla casa del sommo Tenpou, d’accordo?”
“Come
volete…” mormorò quella, osservandolo sparire lungo il corridoio.
Non
troppo lontano da lì, Maya stava perlustrando uno dei tanti giardini del
palazzo, nella speranza di poter trovare l’amica. Era immersa nelle sue
preoccupazioni, quando si accorse della presenza di altre due persone che
discutevano piuttosto animatamente. La donna fece appena in tempo a nascondersi
dietro ad uno dei tanti alberi, quando si rese conto che uno di quei due aveva
un’aria spiacevolmente familiare.
“Dannato…”
sibilò con odio riconoscendo Li Touten nella sagoma che le dava le spalle. La
sola vista di quell’individuo le faceva venire il voltastomaco. Chissà di cosa
stavano parlando? Si appiattì contro il tronco dell’albero e cercò di afferrare
alcuni pezzi di conversazione, sperando di non essere notata.
“La
donna si è rivelata più tosta del previsto…” sussurrò il bieco individuo,
guardandosi attorno con inquietudine. Si fidava di quel Li Touten come avrebbe
potuto fidarsi di una serpe! Inoltre, nonostante tutte le precauzioni che aveva
preso, sapeva fin troppo bene che poteva essere scoperto da un momento all’altro.
“Che
ti aspettavi? Te lo avevo detto che era una guerriera!” rispose l’altro, con
aria di sufficienza.
“Ma
ha fatto fuori tutti i demoni che avevo assoldato prima di crepare! Quella
maledetta!”
“Se
l’hai sottovalutata… è un problema che non mi riguarda! Inoltre, non dovresti
sentirti in colpa per quei demoni! Mi auguro solo che tu non ti sia fatto
vedere!”.
“Ovviamente
no! Per chi mi ha preso?!”
“Lasciamo
perdere questo discorso… piuttosto, sei sicuro che sia morta?”
“Certo…
nessuno sarebbe potuto sopravvivere a quell’incendio… tra l’altro, è stata
proprio lei ad innescarlo! Una mossa degna di un lottatore formidabile, ma che
le è costata un caro prezzo!”
“Bene.
Me ne compiaccio! Sono sicuro che abbia apprezzato la fine che avevo scelto per
lei!” sogghignò Li Touten, “A proposito, non devi darmi nulla?”.
L’altro
lo squadrò con fare interrogativo, poi capì ed estrasse dalla tasca del proprio
mantello un gingillo dorato.
“Ma
che diavolo…” bisbigliò Li Touten, vedendosi mostrare sotto il naso una catenina
a forma di serpente. “Che cosa significa questo…?” chiese al suo interlocutore,
riconoscendo all’istante il gioiello. Già, che cosa ci faceva la catenina di
Nataku nelle mani di quell’individuo?
“Lei
mi aveva chiesto una prova… ma il fuoco aveva distrutto tutto! Dell’arco non
era rimasto nulla…” si giustificò quello, ricordando come Li Touten si fosse
raccomandato di poter avere l’arma della vittima come prova del successo
dell’operazione.
“Arco,
hai detto? Ma la donna in questione avrebbe dovuto portare con sé una katana,
non un arco!” eccepì il dio, corrugando la fronte.
“Le
posso assicurare che la donna non aveva con sé alcuna katana. Però con l’arco
se la cavava decisamente bene!”.
Li
Touten scosse vistosamente la testa: c’era qualcosa che non gli tornava in
tutto quello! Poi, ad un tratto, il suo sguardo s’illuminò, come se avesse
scoperto il segreto della vita eterna e cominciò a ridere sommessamente.
“Sommo
Li Touten…”
“Taci,
idiota! Ti ho già detto che non devi mai pronunciare il mio nome quando siamo
soli!” sibilò quello, guardandolo con odio puro, “Quella che hai fatto
ammazzare non era la somma Maya…”
“Ma,
signore… come può essere? Nessun’altro sapeva dell’incontro!” obiettò.
“E
invece sì… a questo avevo provveduto io! Anche se non mi aspettavo una simile
risoluzione al problema…”.
“Ma
se non era la somma Maya… allora chi era la donna che si è presentata
all’appuntamento?”
“Niente
meno che la mia adorata nipotina… la somma Kazue!” rispose Li Touten, il cui
sorriso si stava allargando sempre più. “Non ti preoccupare… se pensi che sia
addolorato per questo insperato scambio di persone, ti sbagli! In realtà, stavo
giusto pensando ad un modo per rendere innocua quella stupida femmina!”.
“Ma,
signore…” intervenne l’altro, fattosi mortalmente pallido.
“Adesso
smettila! Ti ho detto che va tutto bene! Va’ ora, lasciami in pace. Quando avrò
bisogno di te, ti contatterò. Per ora non farti più vedere, è chiaro?”.
Il
losco individuo si allontanò, annuendo.
“E
così… cara Kazue, ti sei tolta di mezzo da sola! Mai il destino fu tanto
provvidenziale! Adesso dovrò solo pensare a come togliere di mezzo la tua degna
amica…”.
“E
così… cara Kazue, ti sei tolta di mezzo da sola! Mai il destino fu tanto
provvidenziale! Adesso dovrò solo pensare a come togliere di mezzo la tua degna
amica…” mormorò Li Touten, giocherellando con la catenina di Nataku tra le
dita. Era talmente assorto nei suoi pensieri da non accorgersi affatto della
presenza di Maya.
La
donna lo stava guardando con una tale intensità da togliere il fiato. Era
pallida, incredibilmente pallida e le sue mani sembravano tremare mentre le
teneva appoggiate all’elsa della sua spada. Non aveva afferrato che
un’infinitesima parte dell’oscuro discorso tra Li Touten e l’individuo
sconosciuto, ma aveva riconosciuto all’istante la catenella d’oro con la quale
Li Touten stava giocando tanto languidamente: era la stessa che Kazue le aveva
mostrato la sera prima; era il regalo fattole da Nataku in occasione del loro
incontro. Ed ora splendeva nelle mani di quel miserabile!
“Somma
Maya…” fece il dio, riconoscendo la donna nonostante la luce del sole stesse
già sparendo all’orizzonte. Un lampo di inquietudine attraversò gli occhi
gelidi del padre di Nataku: lo aveva visto in compagnia di quell’individuo? O
peggio, l’aveva sentito? Non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma era chiaro
che aveva capito qualcosa, perché la ragazza continuava ad osservare la
collanina che teneva in mano.
“Qual
buon vento…” continuò, come se nulla fosse.
“Voi…
voi… quella catenina…” balbettò la dea, incapace di aggiungere altro.
“Oh,
questa? Appartiene a mio figlio Nataku, deve averla smarrita giocando. Per
fortuna, qualcuno l’ha ritrovata…” affermò il dio, ritrovando la sua
proverbiale imperturbabilità.
Maya
non riuscì a proferire parola: se quel verme di Li Touten era in possesso di
quel gioiello, non poteva significare che una cosa… All’improvviso, capì che
era del tutto vano continuare a cercare l’amica e un senso di impotenza
s’impadronì del cuore della donna.
Kazue
era andata all’appuntamento da sola e non avrebbe più fatto ritorno. Quella era
la tragica verità. Purtroppo, non esistevano altre ipotesi, perché la cugina di
Nataku non si sarebbe mai privata di un oggetto tanto caro, né lo avrebbe
consegnato a Li Touten di sua volontà.
I
due rimasero in silenzio, mentre il dio continuava ad osservare la giovane. Ad
un tratto, la chiusura della catenina sembrò allentarsi e il sottile filo
dorato scivolò via, riflettendo un’ultima volta il suo vivo luccichio.
“Dannazione!”
imprecò Li Touten, guardandosi attorno. Con la scarsa visibilità che c’era a
quell’ora, ritrovare quell’oggetto sottile sarebbe stato come cercare un ago in
un pagliaio! Tanto più che il giardino era ricoperto di erba e di fiori
rigogliosi. Il dio cominciò a cercare con determinazione, ma con scarsi
risultati: della collanina neanche una traccia.
Maya
rimase per qualche istante immobile, come stordita, a guardare la scena, poi
qualcosa attirò la sua attenzione. Se si fosse trovata in un’altra posizione,
non avrebbe potuto notare il luccichio che il gioiello produceva, riflettendo
gli ultimi raggi di sole tra l’erba fitta. Tentando di non farsi notare da Li
Touten, che cercava in altra direzione, si avvicinò e raccolse il sottile filo
dorato, facendolo rapidamente scomparire nella tasca della sua divisa.
Senza
dire una parola, si allontanò dirigendosi verso la casa di Tenpou. Come avrebbe
fatto a dirlo agli altri? Ma soprattutto, come avrebbe fatto a dirlo a Konzen?
Li
Touten la osservò con la coda dell’occhio mentre la giovane si allontanava:
doveva trovare un modo efficace di sbarazzarsi di quella donna, perché era
quanto mai evidente che doveva aver capito qualcosa.