Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: JaneD_Alexandra    16/07/2013    0 recensioni
Sequel di "An irish tale".
Giugno 2012, Dublino.
Anya è una promessa del tennis e molti dei suoi ammiratori, compreso il suo allenatore, sono pronti a scommettere sul match che la vedrà sfidarsi con la più giovane e famosa tennista inglese. Gli allenamenti si fanno duri, Mr. Harris, il mister, inizia a fare di tutto per vedere vincere la sua allieva, non sapendo in realtà che da un po' di giorni lei dorme male a causa di un sogno ricorrente: si rivede nelle campagne irlandesi di metà Ottocento, in una buia e uggiosa serata, mentre cammina verso una casetta al limitare di un villaggio. L'ambiente e le sensazioni sono così realistiche che decide di cominciare ad indagare.
Ancora una volta si ritroverà catapultata nel mondo della borghesia irlandese dell'Ottocento, due anni dopo gli eventi del 1856.
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
An irish tale - Parte seconda
 An
CAPITOLO III

 

 
Quando Anya si infuriava cominciava a parlare in gaelico. Era la lingua che aveva imparato per prima e che parlava poco, soprattutto in presenza di estranei; nel qual caso si costringeva perfino a pensare in inglese.
Aveva un forte accento irlandese che, se non odiato, divertiva chi la ascoltava. A differenza sua, Linda non si era mai impegnata tanto a imparare la lingua madre e padroneggiava l’inglese meglio della sorella, ragion per cui nei momenti in cui la sorella era molto arrabbiata era spesso in difficoltà e doveva prestare maggiore attenzione a quello che Anya diceva. La capiva, ma il gaelico le era estraneo abbastanza da non sapere come rispondere.
Gli unici a saper parlare fluentemente la lingua tradizionale irlandese erano Kate e Paride.
Il motivo che spinse la giovane a sfoderare il suo lato più patriota si riallacciava ancora una volta al torneo. Subito dopo il match non volle sentire nessun tipo di ragioni. L’insieme degli avvenimenti che quel giorno si erano susseguiti furono sufficienti a pizzicarla nel profondo  e a darle la sensazione di aver perduto la sua dignità di sportiva.
Kate e Linda non provarono a consolarla. Se si trattava di orgoglio non c’era parola che funzionasse.
Fu ancora una volta Paride a prendere in mano le redini della situazione. Alla fine del match, dagli spalti, aveva visto Anya lasciare il campo con un atteggiamento sostenuto che gli aveva dato subito dei sospetti. Appena possibile era andato negli spogliatoi, ma alcune ragazze gli dissero che se n’era andata da un pezzo. A quel punto non si diede la pena di cercarla ancora, nonostante fosse preoccupato. Tornò al bed&breakfast e con sorpresa la vide discutere in gaelico con la proprietaria con un misto di animosità e pacatezza. Ai suoi piedi c’erano due grandi borsoni.
- Meno male che sei tornato! – sbottò la giovane girandosi verso di lui. – Vuoi spiegare anche tu alla signora che ti conosco perfettamente e che non c’è ragione di non lasciarmi salire in camera?!
Paride fece un cenno affermativo alla proprietaria e quella chinò gli occhi su uno strano registro, appuntandovi con una punta di fastidio il nome completo di Anya.
Una volta in camera, Paride depositò uno dei due borsoni di Anya in un angolo e si mise a spiare i suoi movimenti senza farsi notare. La ragazza portava sul viso i segni del pianto e i capelli bagnati, che le si asciugavano in riccioli intorno al viso. Sulla tuta, nella zona della schiena e delle spalle, c’era un grosso alone di umidità e una delle tasche del pantalone della tuta era piena di fazzoletti usati. Anya si era seduta sul bordo del letto, fissando il vuoto come se fosse di nuovo sul punto di piangere. Pareva cercasse il momento propizio per parlare. Prendeva lunghi respiri, con un’espressione determinata che indicava la sua volontà di non ricominciare a singhiozzare, ma appena Paride le si sedette accanto e l’abbracciò scoppiò a piangere.
- Checché ne dica Mr. Harris, per me sei stata grandiosa.
Anya premette il viso contro la sua spalla e Paride batté la mano sulla schiena. Quando fu sicuro che Anya non aveva più lacrime da versare si lasciò scappare un sorriso.
- Ti va una birra?
 
I raggi del sole erano pressoché perpendicolari ai vetri delle finestre e la stanza riluceva di una calda tonalità giallo zafferano. Paride raccattò in fretta i documenti di identità e i soldi dal pantalone che aveva indossato prima e raggiunse Anya nel corridoio.
- Let’s go!
- Ehi – lo richiamò Anya quando furono in strada. – ma non senti freddo, così vestito?
Indossava una polo grigio scura con le maniche lunghe ed un jeans che oltre ad aver visto giorni migliori metteva in evidenza il recente dimagrimento di Paride a causa di un virus intestinale.
Paride arricciò il labbro. – No – borbottò scuotendo il capo. – Sarà l’effetto della Nuova Zelanda … lì è pieno inverno e quest’Estate per me è il tropico.
La ragazza gli strinse la mano. – E se iniziassi a sentire freddo? Faresti la danza Maori per riscaldarti?
- Certamente – rise lui, annuendo – Adesso so come si fa.
Camminarono fino al “Oak’s Shield”, un pub arredato alla maniera irlandese, con pareti e tetto di legno ed un bancone lucido anch’esso di legno dietro il quale c’era uno scaffale pieno d’ogni sorta di alcolici e boccali di vetro che portavano gli stemmi delle più famose marche di birra irlandese.
I camerieri indossavano una divisa nera, costituita da una maglia a girocollo ed un pantalone lungo; l’unico colore era il verde scuro del grembiule, al centro del quale era stampato lo stemma con le iniziali del locale.
I tavoli erano quasi tutti vuoti. C’era solo una coppia di ragazze che Anya riconobbe come due tenniste inglesi. La cameriera che li accolse non nascose la sorpresa di avere dei clienti in un orario così pomeridiano e borbottò qualcosa al riguardo mentre li accompagnava ad uno dei tanti lunghi tavoli. Ne scelsero uno addossato alla parete e sedettero ad un angolo. La cameriera consegnò i menù, sfoggiando un gran sorriso in direzione del giovane.
Anya la guardò allontanarsi e scorse la lista di ordinazioni e prezzi con un sopracciglio sollevato, poi tornò indietro, lo lesse daccapo e lo buttò sul tavolo. Paride impiegò un po’ più di tempo, indeciso tra diversi tipi di birra. La cameriera lo guardò da lontano e bisbigliò qualcosa alla collega del bancone. Poco dopo si avvicinò per prendere le ordinazioni.
- Una Guinness e due portate di tramezzini – sentenziò Anya.
Paride levò gli occhi dal menù. – Prendo anch’io una Guinness, una fetta di torta e un bicchiere di acqua e limone.
La cameriera scrisse sul taccuino. Poi, con lo stesso sorriso di prima, disse – Un bicchiere di acqua e limone, dici?
Anya grattò via una scheggia dal tavolo.
- Sì …
- Vedrò cosa posso fare … in tal caso va bene anche un bicchiere d’acqua con limone a parte?
Il ragazzo sorrise con perplessità ed annuì. Non potendo inventarsi altro per stargli vicino, la cameriera si riprese i menù e si allontanò.
- Dunque … - fece lui riconcentrandosi su Anya. Gli venne in mente una domanda sulla giornata appena trascorsa, ma evitò di porla.
Anya gli sorrise. – Ma che ci vuoi fare con l’acqua e limone?
- Serve a non ubriacarci … in molti pensano che bevendo a stomaco pieno l’alcol fa meno effetto. È vero, ma c’è sempre la possibilità che l’alcol vada alla testa; quindi si usa il limone, che ha un forte potere antiossidante e attenua gli effetti dell’alcol.
Anya lo guardò con la fronte corrugata. – Guarda te … ora so come evitare che Linda si metta a sparare cavolate dopo un bicchierino …
- Povera Linda …
In quel momento, forse presi dalla vena musicale o semplicemente stufi del silenzio e del tintinnio dei bicchieri, i camerieri accesero la radio del pub. Il volume non era alto, anzi, faceva da piacevole sottofondo alle conversazioni, ma Anya impiegò un paio di secondi a capire che non fosse musica di una macchina di passaggio. I colpi di una batteria segnarono la conclusione di “Give it away” dei Red hot chili peppers e subito dopo cominciò “I want to take you higher” degli Sly and the family stone.
Le ordinazioni arrivarono circa cinque minuti dopo. Anya parlava con Paride quando con la coda dell’occhio vide avvicinarsi la cameriera. Aveva il sorriso civettuolo di prima e, se non avesse avuto la maglietta a girocollo del locale, era convinta che nell’atto di porgere il piatto di torta a Paride avrebbe badato a esporre la scollatura per quel che bastava ad attirarne l’attenzione. Si sentì avvampare di colpo e si tolse la giacca mentre i piatti di tramezzini e la birra le venivano sistemati davanti. Aveva indossato una maglia bianca, aderente, con lo scollo tondo e ampio, e le maniche a tre quarti. Non seppe se furono le braccia atletiche o più semplicemente l’aver finito di fare il proprio lavoro, ma la cameriera augurò loro buon appetito e si eclissò.
Anya attaccò immediatamente il primo piatto di tramezzini. Li scrutò uno per uno, sollevando le fettine di pane per vedere cosa contenessero e pregustandoli con un gran sorriso. Ce n’erano cinque per piatto e quasi tutti erano stati cotti sulla piastra. Divorò il primo senza sentirne il sapore e socchiudendo gli occhi,  preda dell’estati di chi mangia qualcosa dopo un lungo digiuno; mentre passava al secondo e poi al terzo, Paride spremette il mezzo limone in un lungo bicchiere di acqua fresca.
- Fame? – rise.
- Ci puoi giurare … - bofonchiò con un boccone nella guancia - … è da stamattina che non mangio!
Anya stava per addentare il quarto tramezzino, quando tra il ripieno riconobbe delle fette di cipolla. Rimise il tramezzino nel piatto e le rimosse.
- Sa, signor Langley – spiegò quando s’avvide che lui la stava osservando – il mio ragazzo non ama baciarmi quando il mio alito sa di cipolla …
Paride rise di nuovo e Anya prese la Guinness. Come al solito il sapore tendenzialmente amaro distorse la piega di occhi e labbra, ma bevve fino a svuotare per metà il boccale.
 
In meno di dieci minuti l’alcol aveva sortito il suo effetto. L’acqua con il limone di Paride ebbe il potere di attenuare i sintomi, ma nel giro di cinque minuti, da perfetta irlandese, Anya aveva messo in pancia mezzo litro di birra.
- Mi gira la testa … - si lamentò portandosi una mano agli occhi. Paride la scrutò, divertito e preoccupato.
- Ti avevo detto di non berla tutta insieme.
Anya scoppiò a ridere, coprendosi il volto con le mani.
- Odio sentirmi così! – sghignazzò – Mi sento una merda! Non guardarmi, ti prego …
- Sarebbe meglio se ti andassi a sciacquare il viso con dell’acqua fredda.
- Sì, certo – disse lei allontanando le mani dal volto – così quella ne approfitta …
- “Quella”?
La giovane fece correre lo sguardo da un punto all’altro del locale, il quale nel frattempo si era riempito di altra gente che aveva preso posto in tavoli lontani l’uno dall’altro. I camerieri in sala adesso erano due.
- Anya? “Quella” chi?
- Eccola – fece lei indicando con un cenno del capo un punto alle sue spalle. Paride si voltò con discrezione.
- Oh Anya, smettila … è solo una cameriera …
- L’ho vista con i miei occhi. Ti guardava e sorrideva come se avesse appena incontrato il suo idolo.
Il ragazzo tornò alla torta. – Me ne sono accorto anch’io, ma è una ragazzina e le …
- Vuoi dire – lo interruppe lei – che se non fosse una ragazzina ricambieresti i suoi sorrisini?
Paride posò la forchetta sul bordo del piatto. – Adesso vuoi farmi una scenata di gelosia?
- I-io … no!
- Bene, allora piantala.
Si guardarono negli occhi. L’espressione seria, vagamente dispiaciuta di Paride corresse impercettibilmente i lineamenti di lei, che presero una piega più desolata e confusa. A quel mutamento Paride sospirò.
- Forse è meglio se ti bagni il viso e il collo con un po’ di acqua fresca – disse sfiorandole una mano – Ti sentirai meglio.
Anya fece piano di sì con la testa e si alzò. Il bagno era in fondo alla sala, accanto a quella che doveva essere la porta della dispensa. Quando entrò le narici furono invase da una delicata essenza floreale. La porta si richiuse da sola, separandola tutta in una volta dal brusio della sala. Si avvicinò al lavandino e aprì il rubinetto.
Scoppiò a piangere ancor prima di bagnarsi la faccia.
 
- Mr. Harris ha scommesso sulla vittoria di Sonja.
Erano seduti su un muretto, fuori dal pub. Avevano deciso di uscire poco dopo che Anya era tornata dal bagno. Erano stati in silenzio a lungo. Paride aveva continuato a mangiare la sua torta biscottata ai frutti di bosco, ignaro della distrazione di Anya, e lei era riuscita a sfoggiare un sorriso talmente convincente da non destare alcun sospetto; ma poco dopo, come si conviene ad una donna in preda al turbamento, la situazione era precipitata e la battaglia contro le lacrime era stata persa. A quell’improvviso cambio d’umore Paride non aveva saputo come reagire. Credendo che scherzasse l'aveva guardata senza capire con un boccone di torta fra i denti; ma quando fu chiaro che diceva sul serio aveva chiesto il conto e nel giro di pochi minuti erano usciti.
- Cosa?!
- Mr. Harris – ripeté lei asciugandosi le guance con un fazzoletto - ha scommesso contro di me. Naturalmente ha vinto …
- Che bastardo!
- … e ha voluto condividere con me la vincita …
Anya insinuò una mano nella tasca del jeans. Paride chinò gli occhi sulla banconota che gli tendeva e la prese con incredulità, presto sostituita dal disgusto.
- Quindi – mormorò – è per questo che piangi da una giornata?
- Non lo so …
Paride tacque. Era sera, una sera placida e pregna delle essenze estive. La via era deserta, a parte i piccoli gruppi di giovani e non, che entravano e uscivano dal pub e producevano schiamazzi più o meno rumorosi. La porta del locale si chiudeva tutte le volte con un cigolio ed un tonfo ligneo. Il muretto sul quale erano seduti dava sul rigoglioso giardino di una villetta e le pietre grigie erano scivolose per l’umidità della notte, fredde come metallo al tocco. Paride serrava nervosamente le dita sulle piccole sporgenze di calce.
- Andiamo a casa, Paride … al bed&breakfast?
Acconsentì e insieme si incamminarono lungo il viale.
- Mi sento uno schifo … ho rovinato la serata … perdonami.
- Eravamo solo andati a prenderci una birra – la rassicurò prendendola sottobraccio - … non fa niente.
 
 
La mattina seguente, di comune accordo, Anya, Kate e Linda tornarono a Dublino. Paride si separò da loro per andare a salutare la sua famiglia a Waterford city, ma promise che le avrebbe raggiunte meno di una settimana dopo per una breve vacanza.
Anya era così di cattivo umore che quell’attesa ebbe il potere di infuriarla. Lasciò Paride con i più bendisposti sentimenti e non proferì parola durante il viaggio verso Dublino. Approfittando della temperatura mite, ancor prima di darsi la pena di disfare i bagagli, si cambiò e andò al mare. Soffiava un vento che increspava le onde e rendeva l’acqua più bluastra e inquietante del solito. Nubi grigie avanzavano in direzione del sole, ma erano lontane abbastanza da non far temere un acquazzone imminente. Pur tuttavia, una coppia di genitori, in vista dei primi mutamenti dell’intensità del vento e dell’imbiancarsi della luce rivestirono i propri bambini e fecero armi e bagagli. Come loro altre persone decisero di andar via. Non fosse stato per il cattivo tempo, Anya avrebbe pensato che la gente la credeva affetta da una malattia contagiosissima: proprio quando lei arrivava, la spiaggia, già semideserta, si svuotava completamente.
Sospirò. L’aria profumava di salsedine. Le onde si infrangevano sulla battigia con un’energia crescente. Stese l’asciugamano sulla sabbia compatta e cosparsa qua e là di alghe verdi, e corse verso il mare. Un’onda percorse con velocità la lunga battigia e lambì i piedi. L’acqua era più fredda di quello che aveva immaginato. Camminò fino a che non le arrivò all’ombelico e rabbrividì, trattenendo il fiato. Si bagnò brevemente il resto del busto e le braccia per evitare uno sbalzo termico e si tuffò. Nel buio i lunghi capelli fluttuarono intorno al viso, sfiorarono le spalle. Un’onda la spinse all’indietro.
L’acqua la depose sulla battigia ed Anya provò ancora un leggero senso di rifiuto. Ci rise su, si alzò e si tuffò nuovamente.
Al primo tuono l’odore di salsedine si intensificò. Invase naso e polmoni, purificò la mente, si depositò sulla pelle. Anya si sdraiò sull’asciugamano per godere degli ultimi raggi del sole, ma dovette desistere da tale proposito meno di mezz’ora dopo, quando le prime, minuscole goccioline di pioggia vennero giù. Come se qualcuno dal cielo avesse potuto vederla e renderle un favore, guardò in alto con l’espressione più corrucciata e irritata che riuscì a tirar fuori e si alzò. Mise a posto le proprie cose e arrangiò i capelli in uno chiffon.
Una volta in strada, a poca distanza dalla macchina, si chiese se quella di tornare a casa fosse una buona idea, o perlomeno se le andasse. La risposta gliela suggerì lo stomaco, che gorgogliando, la portò a scrutare l’altro capo del marciapiede con cipiglio. Adocchiò un bar e vi si recò. La porta si aprì con un tintinnio, ma si sentiva di un umore talmente pessimo che non scomodò il collo per alzare lo sguardo alla serie di campanellini che a stento si udivano con la televisione accesa. Si chiese solo per quale razza di motivo fossero stati piantati sopra la porta.
Dietro il bancone si muoveva una barista che lucidava dei bicchieri con una tovaglietta bianca. Fece appena un cenno di saluto in direzione di Anya e reindirizzò lo sguardo alla televisione. La giovane si sistemò su uno sgabello al banco e si guardò attorno alla ricerca del menù. La barista parve vederla nonostante la testa girata e indicò con in braccio un grande cartello con scritte in gessetto bianco.
- Prendo un frappé di lamponi – sbottò Anya di malavoglia. Con altrettanto scarso entusiasmo la barista si mise al lavoro, non smettendo di lanciare occhiate alla televisione. Trasmettevano un programma di candid camera che produceva risate finte con un ritmo regolare. Anya stette un po’ a guardarlo, ma la gente che veniva coinvolta negli scherzi, con reazioni più o meno esilaranti, non la divertì neanche un po’.
A parte lei nel bar non c’era nessun cliente. Era un locale spazioso, con una fila di tre tavoli vicino alla grande finestra dalla quale si vedeva il mare, e con inserti metallici e rossi sul bancone e sugli angoli del tetto. Dalla stanza adiacente, sicuramente il laboratorio, il profumo di burro, zucchero, frittura e glassa, si amalgamava e poi diffondeva attraverso la porta che metteva in comunicazione i due ambienti. Con ogni probabilità le prelibatezze in cottura sarebbero servite a riempire la metà del bancone vuota.
La barista le mise davanti il frappé di lamponi, ma già Anya aveva voglia di qualcosa di più goloso, perché no, anche grasso e succulento. L’odore di dolci la investì un’altra volta e abbatté con un diabolico sorriso le difese approntate dalla forza di volontà. Anya strizzò le palpebre. Non doveva, non poteva. I denti morsero un labbro, pizzicarono la pelle, si serrarono e si mostrarono lentamente mentre le labbra si schiudevano in un sorriso preannunciativo.
- Senta …
Ci fu l’ennesimo coro di risate alla televisione, poi la pubblicità. La barista mise da parte i bicchieri lucidati e andò da lei.
Sì, con i comodi …
- Potrebbe domandare al pasticcere cosa sta preparando?
Non poteva chiedere niente di peggio. La contrarietà si manifestò nel volto passivo della barista con una semichiusura delle palpebre ed un movimento appena percettibile della mandibola. La donna tornò indietro e senza nemmeno entrare nel laboratorio del pasticcere si mise a confabulare con lui.
Anya riprese a sorseggiare il frappé. Quando stava per prendere uno dei lamponi surgelati usati come guarnizione, la porta si aprì con il solito tintinnio. Si accingeva a girarsi, ma una voce conoscente la bloccò. Lo riconobbe subito: il tono calmo, giovanile, rassicurante, che tanto aveva apprezzato nell’adolescenza e che da meno di un anno aveva imparato suo malgrado ad odiare. La risata spontanea e allegra che ancora suscitava un’istintiva risposta agli angoli delle sue labbra, colmava ora il suo cuore di tristezza e nostalgia dei tempi passati. Abbassò gli occhi sul frappé, tentando di nascondere il viso, ma un dettaglio particolarmente lucido del bancone rifletté con qualche distorsione il volto di colui che preferiva non vedere.
Prima ancora di chiedersi che cosa ci facesse lì Philip, si domandò se l’avesse riconosciuta o se intendesse avvicinarsi. Nel dubbio, ficcò una mano nella borsa ed indossò frettolosamente gli occhiali da sole, sperando che almeno la tonalità vermiglia dei suoi capelli gli facesse venire un dubbio sulla sua identità.
- Siediti pure lì … chiamo la barista e arrivo.
Anya aggrottò le sopracciglia. Scrutò nuovamente il riflesso del bancone, ma bastò affidarsi ad uno sguardo obliquo per vedere che dietro di lei, in piedi accanto al tavolo addossato alla finestra, messa a tre quarti di spalle, c’era una ragazza con una lunga e ondulata chioma rossa. Fu meno di un attimo, poiché dovette girarsi, ma quella vista la spiazzò.
Lentamente, la barista tornò e le mise davanti un enorme vassoio con una quantità di dolci di cui elencò nomi e ingredienti. Anya la guardò, annuì, ascoltò, sorrise alle prelibatezze che aveva davanti, parlò con strafottenza, fece udire forte e chiara la sua voce, si tolse gli occhiali da sole.
Ma la barista smise di parlare, borbottò qualcosa con irritazione e la lasciò in asso.
Solo allora Anya si vide riflessa sulla superficie specchiante che faceva da sfondo allo scaffale degli alcolici, dietro il bancone, e capì che nulla di quello che aveva immaginato o pensato di fare era avvenuto.
Poco a poco riprese contatto con la realtà, riconobbe sé stessa e il volto che stava fissando.
Non si era accorta della barista che parlava, non aveva annuito, non aveva dato l’impressione di stare ascoltando. I suoi lineamenti erano rimasti immobili, dalla gola non era uscita neppure una sillaba. E gli occhiali da sole erano ancora al loro posto.
La sola cosa che aveva continuato a vedere erano quei capelli rossi, lungi come i suoi. Ondulati come i suoi.
Della stessa tonalità di rosso.
Quando tornò a guardare verso il tavolo abbandonò ogni discrezione. Si tolse gli occhiali e respirò senza il timore che Phil la vedesse o la sentisse. Inaspettatamente non lo vide, così che concentrò l’attenzione sulla ragazza che si era seduta al tavolo e scriveva qualcosa al cellulare. Il fatto che avesse spostato una ciocca dietro l’orecchio rese la sua osservazione più semplice, ma la sconvolse dentro, perché più la guardava, più si rendeva conto che le somigliava. Con il petto pesante, gonfio, carico di una strana angoscia, distolse gli occhi dalla giovane. Si vide di nuovo riflessa, ma stavolta con una sensazione diversa. Istintivamente spostò lo sguardo un po’ più a destra di quello specchio. Con un’espressione molto simile Philip la stava osservando. Anya si girò completamente verso di lui. Se avesse voluto comunicargli tutto l’odio represso fino a quel giorno, quel momento, se avesse voluto parlargli e chiedergli spiegazioni sulla ragazza dietro di loro, se avesse voluto semplicemente domandargli il perché di tutto e lasciare che si spiegasse, era troppo turbata per capirlo. Gli occhi di Phil parlarono chiaro e questo fu più che sufficiente perché il suo cuore rinnovasse il disprezzo e la compassione nei suoi confronti, gli stessi sentimenti che avevano dettato le ultime, dure parole che gli aveva rivolto.
Ficcò una mano nella borsa e prese il portafogli. Gettò una manciata di monete sul bancone e fece un cenno alla barista.
- Tenga pure il resto – mormorò raccogliendo le sue cose. Si conservò l’ultima occhiata per l’ignara giovane al tavolo e per i suoi capelli e uscì.
 
 
 
Dublino, Dicembre 2011.
 
Quel giorno una fitta nebbia gravava sulla città. Come previsto dai meteorologi, la visibilità era parecchio ridotta, ma era metà dicembre e la gente non poteva fare a meno di uscire a fare spese per le feste imminenti. Le strade erano piene di auto. Sui marciapiedi la gente si muoveva come formichine in ricognizione, mantenendo il più possibile la vicinanza ai muri dei palazzi e una certa distanza dal bordo del marciapiede. Gli automobilisti guidavano con prudenza e si piegavano frequentemente sul manubrio alla ricerca di un segnale stradale luminoso che indicasse loro il percorso da seguire o quantomeno un semaforo che segnalasse la presenza di un incrocio. Le luci non altro erano che aloni opachi in una massa di vapore e i più strizzavano gli occhi pensando che il problema risiedesse nella loro capacità di messa a fuoco.
Come se non bastasse cadeva una fitta pioggerellina che non era schiaffata da nessuna parte per assenza di vento, ma che rallentava ulteriormente il traffico, dato che i vetri si riempivano di goccioline e per il freddo si appannavano, mentre agli angoli delle strade si erano formate delle pozzanghere più o meno grosse. I piedi degli automobilisti correvano sempre più spesso su freno e frizione, mentre le dita scorrevano a memoria i pulsanti per il riscaldamento, metodo che avrebbe spannato il parabrezza.
In diverso modo e misura quello stesso atteggiamento donava ai movimenti di Philip un accento insolito ma sempre più usuale, un atteggiamento esperto e reso ancor più sicuro dalla ben celata voglia di farsi vedere dall’amica seduta alla sua sinistra, nel posto passeggeri. Non osava pensare che ad ella non interessasse vederlo cimentato nella guida in quelle difficoltose condizioni, poiché erano appena stati all’aeroporto per salutare il suo ragazzo, quel certo Langley che non gli aveva mai ispirato molta fiducia.
Messaggiavano ancora. Lui doveva essere certamente molto spiritoso perché Anya sorridesse e arrossisse in quel modo; in questo proposito poteva (ma non osava neppure immaginare di farlo) dichiararsi sconfitto, in quanto Anya era diventata di un tratto distaccata e taciturna, lontana tanto nella realtà quanto nei pensieri, malgrado non peccasse di scarsa gentilezza. Langley poteva credere di averle ormai rubato il cuore, ma per Philip era tutto un gioco di attese. Paride era ormai un uomo maturo, molto prossimo alla trentina, mentre lui era più grande di Anya solo di qualche mese e vantava una differenza di giovinezza ragguardevole. Se non completamente certo, era almeno sicuro di poter avere diverse possibilità in più di Langley: prima fra tutte il fatto che conosceva Anya da quando avevano cominciato il liceo, il che era tutto dire, vista l’adolescenza trascorsa insieme; e poi Anya poteva stufarsi dell’aria intraprendente e da uomo maturo del suo ragazzo, e in caso di rottura, avrebbe trovato buona consolazione in lui, Phil. Il suo migliore amico.
Non doveva esserci cattiveria, no. Reprimeva tutte le volte ogni intento malvagio, si imponeva sempre la calma ed il rispetto nei confronti di Langley per amore dell’amica, tutto l’opposto di quel che, invece, faceva Langley stesso. Gli leggeva negli occhi una certa incostanza. Non era ben definibile, ma prescindibile già dal loro colore, uno strano miscuglio fra grigio e verde, sempre in mutamento. Cosa da poco, sì, cosa da niente, ma Phil non era uno di quelli che credevano al proverbio “L’abito non fa il monaco”.
- Ti andrebbe di fermarci da Starbucks? – le aveva detto d’un tratto, fermandosi ad un semaforo.
- Perché?
- Come “perché”? Per prenderci qualcosa …
- Uhm …
Phil si era girato verso di lei.
- No, grazie, Phil … ho da fare …
Pazienza. La guida era continuata per alcuni minuti sotto la pioggia incessante, frustrante, tediante. Il ticchettio delle dita di Anya sui tasti del cellulare riempiva il silenzio. Philip aveva acceso la radio.
- Phil, spegni quel maledetto aggeggio! Paride mi sta chiamando …
Il ragazzo l’aveva osservata per alcuni istanti con incredulità. Anya allora gli aveva mostrato la chiamata in arrivo e lui aveva obbedito. Qualche momento dopo non seppe se il suono più fastidioso era la pioggia sui vetri, il tergicristalli in funzione, il clacson delle altre macchine al semaforo o la voce di Anya che infarciva ogni frase con un “amore”. Purtroppo per lui la chiamata si concluse a cinquanta metri dall’abitazione dell’amica. Quando si fermarono e Anya stava per scendere, Phil le allungò un ombrellino, ma Anya non lo vide e corse verso il portoncino di casa. Come di consueto, scese anche lui per salutare la madre e la sorella di lei, alle quali era molto affezionato.
- Credo che nessuna delle due sia in casa, in questo momento – aveva borbottato Anya estraendo dalla borsa le chiavi di casa. L’ipotesi trovò conferma nel buio dell’appartamento, in parte illuminato a intermittenza dalle luci di natale.
- Le regole le conosci: fa’ come se fossi a casa tua.
Anya si era tolta sciarpa e cappotto ed era sparita oltre la cucina. Philip aveva annuito a vuoto, pensando a come poteva sentirsi a casa, se mancava il fuoco che la riscaldava. Pur tuttavia, facendo ancora leva sulla sua pazienza, era entrato in soggiorno e si era seduto sul divano, poggiando il cappello ed il giubbotto sullo schienale di una delle due poltrone. Aveva guardato l’albero addobbato per alcuni minuti, in tralice.
- Vuoi il tè? – aveva gridato Anya dalla cucina, prima che il silenzio venisse rotto da un forte clangore di pentole e stoviglie. Philip stava per rispondere di sì, ma si era tirato su e l’aveva raggiunta in cucina.
- Anya?
La ragazza era seduta a terra, poggiata sui polpacci, e stringeva le dita della mano sinistra con l’altra mano, mugolando imprecazioni una dietro l’altra. Intorno a lei c’era una grossa pentola d’acciaio, delle posate ed un pentolino più piccolo. Alla sua destra, e questo preoccupò maggiormente Phil, c’erano i resti di un coperchio di vetro traforato per la cottura a vapore. Uno di questi era sporco di sangue e con orrore si accorse che tra le dita della mano destra di Anya colavano gocce scarlatte.
- Anya? Cielo … ma che ti sei fatta? Fa’ vedere …
Non senza insistenza aveva ottenuto di vedere la ferita e aveva scoperto un taglio non molto ampio, ma profondo, appena sotto l’indice della mano sinistra. Doveva aver toccato qualche vena particolare visto il modo in cui sanguinava. Erano andati in bagno e Phil aveva spinto la mano tremante di Anya sotto il getto d’acqua tiepida. Le aveva detto di rimanere così e aveva rovistato febbrilmente nell’armadietto alla ricerca di un disinfettante; quando l’ebbe trovato inzuppò un grosso batuffolo e lo pose sulla ferita.
- Maledetto idiota! – era saltata su lei con un grido di dolore, spingendolo da parte. Phil era finito quasi sull’armadietto dei medicinali, mentre Anya era corsa fuori dal bagno. Preoccupato e confuso, lui l’aveva seguita in cucina, poi in soggiorno.
- Perché mi vieni dietro? – aveva urlato la ragazza, voltandosi d’improvviso.  Phil aveva guardato alternativamente lei e la mano, sollevando le spalle. Anya si era girata e si era stretta la mano al petto.
- Vuoi che ti porti in ospedale? – aveva detto, poggiandole una mano sulla spalla. Anya continuava a lamentarsi e Phil temeva che la ferita avesse interessato anche un nervo. – Ti prendo il cappotto …
- Lasciami stare!
Philip l’aveva guardata. Il viso di Anya esprimeva un dolore così intenso da nascondere ogni altra emozione ad un occhio estraneo, ma lui, che la conosceva da un sacco di tempo, colse un baleno si aggressività. Fu come se all’improvviso la parte più buona di lui fosse crollata, fuggita via, e avvertì nettamente l’irrazionalità prendere il sopravvento, con una lieve vertigine.
- E va bene! – aveva gridato. – Va bene, ti lascio in pace!
Anya non sembrò aspettarsi una reazione simile. In momenti più lucidi, a quell’espressione dell’amica, Phil avrebbe subito corretto il proprio comportamento, ma in quell’istante non sapeva trovare una ragione valida per calmarsi.
- E adesso cosa ti succede? – aveva detto Anya.
- Cosa mi succede? – aveva risposto Phil allargando le braccia – Cosa mi succede, mi chiedi?! Sono stufo di starti a sentire quando fai così!
- Com … cosa?!
- Non fare così!
- Così, come?
- Smettila!
Ad una nuova fitta, Anya si era avvicinata nuovamente la mano al petto, macchiando la felpa di sangue. Phil si era portato le mani alle tempie, come se in questo modo si sarebbe liberato dei pensieri più opprimenti. L’espressione che assunse era tale da farlo credere in preda ad una rabbia crescente che a stento si sforzava di contenere.
- Si può sapere che ti prende?!
Quando Phil aveva rialzato lo sguardo su di lei, aveva gli occhi lucidi.
- Forse è meglio se me ne vado … - aveva detto tendendo una mano verso il cappotto sulla poltrona.
- No! Non vai da nessuna parte, invece!
- Anya …
- Voglio sapere che cosa ti prende! È da stamattina che sei strano!
Phil aveva corrugato la fronte e il mento con finta sorpresa. Fosse durata solo una mattinata quella smania …
- Phil!
Si era così voltato verso di lei, evitando di guardarla negli occhi, e d’impulso aveva detto – Ti amo! Ti amo, ecco che mi prende! – aveva annuito.
Seppure conoscesse già i suoi sentimenti, Anya rimase di stucco.
- Mi piaci da morire … non so da quanto, ma non riesco a pensarti come semplice amica …
Fu la volta che appuntò gli occhi sul suo viso e le lacrime vennero dolorosamente giù. Si nascose gli occhi dietro le mani, tentando di frenare i singhiozzi con dei respiri profondi. Pochi istanti dopo era di nuovo padrone di sé e, con una breve indagine sulla gola, capì di poter parlare senza il rischio di rimettersi a piangere come un bambino. Aveva abbassato le mani e deglutito. Sul volto di lei avrebbe desiderato trovare tenerezza e compassione, invece rimase sbalordito quando vi aveva colto un piglio di fastidio.
- Perché me lo stai dicendo di nuovo?
- Cosa?
Anya aveva sottointeso la risposta chinando il capo di lato. La domanda che gli aveva posto era retorica. In quell’attimo Phil capì di stare per mettere a repentaglio l’amicizia che li legava, di perdere per sempre quell’affetto di cui si era sempre accontentato e che aveva ricambiato con un amore che sfiorava l’adorazione. Avrebbe potuto non rispondere, rimanere in silenzio e lasciare che il loro legame fosse piuttosto incrinato momentaneamente da un dubbio, da un germe di sospetto; avrebbe anche lasciato che Anya lo evitasse per un periodo, piuttosto che rompere definitivamente con lei. Avrebbe preferito essere torturato, picchiato, calpestato. Nessuno lo avrebbe convinto a tirare finalmente fuori ciò che provava da tempo. Avrebbe lasciato che trionfasse il suo egoismo e avere quindi Anya per sé ancora per un po’, pure se da semplice amica.
Ma non era nelle condizioni giuste per attuare i buoni propositi. Preda di un tormento già grande, lo sguardo indagatore di Anya gli aveva di nuovo aizzato qualcosa dentro, le barriere di cortesia che la razionalità aveva ripreso a innalzare in quel breve frangente crollarono e un impulso irrazionale lo aveva agitato.
- Non ce la faccio a vederti con lui! – aveva gridato – La sua presenza è irritante, indisponente. Non lo sopporto, perdonami. Odio doverti dividere con lui!
- Dovermi dividere con lui?! Dividere? Ma quando mai mi hai divisa?!
- Ogni giorno!
Anya aveva guardato altrove con un misto di incredulità e risentimento, stringendo maggiormente la presa sulla mano ferita e pressandovi il batuffolo con il disinfettante. – Sei patetico – aveva detto scuotendo il capo – Patetico.
- Perché? – aveva allora gridato lui dandosi uno schiaffo sulla fronte. – Perché non capisci?
- L’unica cosa che c’è da capire è che devi smetterla … ti ho detto mille volte, più o meno gentilmente, che non ricambio i tuoi sentimenti come … come si dovrebbe. Te l’ho già detto! Sei tu che non capisci!
- Anya io ti amo!
- Io no!
Quell’urlo l’aveva spiazzato. Anche lei adesso aveva le lacrime agli occhi e volle credere che fosse per merito suo, piuttosto che per la ferita e per il nervosismo. Aveva appuntato ancora una volta quel suo sguardo sprezzante su di lui, gli aveva gridato con un fremito delle spalle, stringendo la mano e aumentando leggermente la fuoriuscita di sangue attraverso le dita. Qualche goccia precipitò fino al pavimento, ma Phil non la seguì. Nuove lacrime sorsero ai suoi occhi azzurri e la vista si annebbiò.
- Non possiamo andare avanti così – aveva ripreso lei qualche istante dopo con un tono di voce più basso. – È evidente che non possiamo andare avanti così – aveva scandito.
- C-che vuoi dire?
- Che devi uscire dalla mia vita o rimanerci ai miei patti.
- No …
- Io non posso rinunciare a Paride per stare con te. Ti voglio bene, ma non ti amo … io amo lui, Phil.
Il ragazzo serrò la mascella. L’odio per Langley raggiunse l’apice: gliel’aveva portata via. Gliela stava portando via. Scie calde si disegnarono sulle gote, sulle guance, colarono lungo il collo.
- Dici di amarmi – aveva continuato lei con severità – e pretendi che io ti ricambi. Dici di amarmi e mi urli contro che ti dà fastidio vedermi con l’uomo che amo più di me stessa. Dici di amarmi e mi chiedi di separarmi da lui, di essere solo tua … come puoi definirlo Amore se ti comporti da egoista?
In quel momento pensarono la stessa cosa, sebbene le reazioni furono diverse: la loro amicizia era giunta al termine. Per Phil non poteva esserci niente senza di lei; per Anya quella decisione sarebbe costata più di quello che lui immaginava, ma non poteva farlo soffrire in quel modo. Era chiaro che quei pensieri lo assillavano ininterrottamente da molto tempo.
Philip non aveva risposto nulla. Aveva chinato lo sguardo sul pavimento, serrato la mascella, cercato di contenere un singhiozzo inghiottendo saliva.
Anya aveva studiato i suoi movimenti con un timore appena percepibile. Che gli avesse spezzato il cuore era evidente dal modo in cui piangeva, e anche che Phil avesse preso la sua decisione. Le si era avvicinato lentamente e lei con la coda dell’occhio l’aveva seguito. Aveva depositato un bacio sulla sua guancia e poi aveva fatto dei passi indietro. Aveva preso le sue cose dallo schienale della giacca, continuando a guardarla, come se all’ultimo Anya potesse cambiare idea, o come se il tempo potesse tornare miracolosamente indietro. Ma lei era rimasta immobile, con uno strano dolore all’addome, gli occhi bassi.
- Stammi bene – gli aveva sentito mormorare, poco prima che sparisse oltre la porta del soggiorno.
 
Non poté fare a meno di aprire la mano e guardare la cicatrice.
L’idea della strada che aveva percorso era ben lungi dalla sua mente. Il ricordo di quella mattina non l’aveva lasciata neppure un attimo. Camminava con il borsone in spalla, le cuffiette del suo vecchio lettore mp3 appese al collo. I capelli che sulla fronte e sulle tempie si erano asciugati, ora la pioggia tornava a bagnarli e incollarli alla nivea pelle del viso. Aveva dimenticato l’ombrello in macchina.
A meno di venti metri da un incrocio, nonostante l’agitazione, si guardò alla vetrina di un negozio d’elettrodomestici. Dall’interno un commesso si mosse, intenzionato ad accoglierla con un caloroso “Buongiorno” ed elencarle i nuovi arrivi. La giovane si allontanò prima che quello cominciasse a coltivare altre speranze. Camminò fino all’incrocio e si poggiò al semaforo in attesa che diventasse verde.
- Oh, mi scusi! – sentì dire ad una signora. Anya si girò. Probabilmente l’aveva urtata con il suo ombrello. Lo osservò: era grande abbastanza da riparare anche quattro persone.
- Non si preoccupi …
- Ha fatto il bagno a mare con questo tempaccio?
Anya si girò di nuovo e fece mente locale. – Sì …
- Cattiva idea …
Le labbra della giovane si sollevarono leggermente da un angolo. Controllò il semaforo: rosso.
- Vuole ripararsi sotto il mio ombrello, signorina?
- Grazie, ma sto bene così.
Prima che la signora replicasse, ricevette il segnale che il semaforo aveva cambiato colore e attraversò rapidamente la strada di fronte a qualche macchina ferma. Continuò a camminare fino a imbattersi in una parruccheria che non aveva mai visto. La ragazza di Phil le tornò in mente, lei con tutti i suoi lunghi e ondulati capelli rossi.
Entrò. C’era solo una signora con i bigodini sotto il casco, così che il parrucchiere le andò subito incontro.
- Shampoo e lisciatura, grazie.
 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
Bentornate!
Ritorno con un aggiornamento veloce (non ho volute aspettare neppure il pomeriggio!) … mi fervono i preparativi e, purtroppo, non so se domani potrò pubblicare. Il quarto capitolo slitterà di qualche giorno, anche perché è in revisione, ma cercherò di non deludere le aspettative di chi mi segue!
Ringrazio di tutto cuore chi ha letto anche questo capitolo. Vedere come aumenta il numero delle visite mi rende felice, ma soprattutto mi dà l’ispirazione per continuare a scrivere … molti colpi di scena mi sono già venuti in mente e ho preso rapidamente appunto per non perderli!
Un ringraziamento speciale va a chi vorrà questa storia tra le preferite/seguite/ricordate e a chi commenterà. Siete la mia linfa creativa.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Ik

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: JaneD_Alexandra