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Autore: JaneD_Alexandra    15/07/2013    0 recensioni
Sequel di "An irish tale".
Giugno 2012, Dublino.
Anya è una promessa del tennis e molti dei suoi ammiratori, compreso il suo allenatore, sono pronti a scommettere sul match che la vedrà sfidarsi con la più giovane e famosa tennista inglese. Gli allenamenti si fanno duri, Mr. Harris, il mister, inizia a fare di tutto per vedere vincere la sua allieva, non sapendo in realtà che da un po' di giorni lei dorme male a causa di un sogno ricorrente: si rivede nelle campagne irlandesi di metà Ottocento, in una buia e uggiosa serata, mentre cammina verso una casetta al limitare di un villaggio. L'ambiente e le sensazioni sono così realistiche che decide di cominciare ad indagare.
Ancora una volta si ritroverà catapultata nel mondo della borghesia irlandese dell'Ottocento, due anni dopo gli eventi del 1856.
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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An irish tale - Parte seconda
 An
CAPITOLO II
 


 
Tra le stradine la corrente fredda della sera spirava appena appena più forte.
La strada che stava percorrendo era stretta, piena di pozzanghere. Su entrambi i lati era costeggiata da una fila di basse casette, ma si interrompeva a circa una ventina di metri più in là. Le case erano piccole, con una finestra per ognuna. L’unico piano era condiviso da famiglie che raggiungevano anche i sette individui. Talvolta, con loro, dormiva anche un animale: un cane, un cavallo o un mulo. Questi ultimi erano preferiti per la quantità di calore che producevano, ma spesso mancavano i soldi per mantenerne uno. Gran parte delle famiglie erano povere; si trattava di contadini con uno spicchio di terreno da coltivare per conto di un signorotto locale che permetteva loro di tenere solo una piccola percentuale del raccolto. Troppo esigua in rapporto al lavoro e alle energie che vi dedicavano.
A quell’ora della sera erano tutti a casa, impegnati a cenare o a scervellarsi per dividere al meglio la parte più sostanziosa della cena ai figli in crescita e costantemente affamati. Le mogli tenevano a bada i piccoli e controllavano che la zuppa sul camino fosse ben calda; l’avrebbero accompagnata con del pane e una fetta di lardo.
Dalla strada si udivano gli schiamazzi dei bambini nelle case. Gridavano per un nonnulla, si accapigliavano e piangevano. Il più delle volte i padri, sfiniti dal lavoro nei campi, non potendo più sopportare nulla che non si mettesse in pancia, li percuotevano con un cucchiaio di legno. Quando accadeva, Anya chiudeva gli occhi e affrettava il passo.
La sua casa si trovava fuori dal villaggio, a mezzo miglio. Si trattava di un’abitazione di mattoni scuri a un piano, con il tetto spiovente. Dava sulla strada che dalla campagna portava al villaggio ed era dotata di un giardinetto incolto. Da quando si era trasferita, Anya non si era mai data la pena di coltivarlo.
Quando arrivò a casa il vento era aumentato. Posò i libri sul tavolo e ravvivò il fuoco del camino con l’attizzatoio poggiato al muro. Aggiunse qualche piccolo ceppo e avvicinò alla fiamma una candela che posò poi sul bordo di pietra del camino, rischiarando ulteriormente la stanza.
Sulla strada passò un pesante cocchio trainato da un robusto cavallo in corsa. Sentendolo arrivare Anya si era avvicinata alla finestra, ma non aveva fatto in tempo a vederlo che quello era sparito rapidamente nell’oscurità della sera. Ne approfittò, comunque, per guardare il cielo. Un lampo lontano, tra le montagne, preannunciava mal tempo. Si allontanò dalla finestra con un sospiro sconsolato e lasciò l’infisso socchiuso per mitigare il calore del camino. Tagliò una cipolla e delle patate e le mise a lessare nella pentola sul fuoco del camino. Sperava che quella sera non avrebbe piovuto e che la minestra sarebbe bastata a combattere il freddo. Restò per alcuni minuti di fronte il focolare, girando la zuppa; poi prese un libro dal tavolo e lo aprì ad una pagina a caso. Glielo aveva regalato la madre di un bambino al quale faceva delle lezioni private. Fece frusciare lentamente le pagine. All’improvviso, però, la candela si spense con un soffio e l’odore acre di bruciato invase le sue narici. Si fece buio: anche la fiamma del camino si era spenta. Il terrore la paralizzò. La finestra si chiuse con un pesante rumore.
 
Con un sussulto riaprì gli occhi. Il buio era pesto. Si sentì mancare il fiato.
Sedette sul letto in preda allo spavento, con il ritmo cardiaco sfalsato. Istintivamente si guardò intorno e allungò le mani alla ricerca di qualcosa. Tastò ciò che aveva davanti: stoffa, stoffa, stoffa. Mormorò con tono supplice qualcosa che non comprese, continuando a muovere le mani. Quando toccò una superficie liscia e tiepida, una luce si accese.
- Anya …
Ancora disconnessa da quanto riguardasse la realtà, la ragazza si voltò di scatto e trasse le mani a sé. Paride si sforzò di riaversi dal sonno e batté le palpebre, confuso e preoccupato. Guardò brevemente il punto dell’avambraccio che gli aveva sfiorato e si mise a sedere.
- Anya? Cos’è successo? Perché sei così pallida?
Anya tentò di fare mente locale per rispondere. Cos’era successo?
- Io …
- Ti senti male? – riprese Paride, ancora più preoccupato. – Vuoi che chiami un dottore?
Aveva già messo mano alle lenzuola per scostarle e scendere dal letto, quando Anya lo bloccò, posandogli una mano sulla spalla. Lui la guardò e Anya fece di no con la testa.
- Non … non sto male … ho fatto di nuovo quel sogno … - Con fare tra lo stanco e il rassegnato, Paride si portò una mano alla fronte, sospirando. – Che c’è? Non mi credi, forse?
- Sì che ti credo … ma mi hai fatto prendere un colpo.
- Mi dispiace … - mormorò, cercando di nascondere la propria perplessità. – È che faccio lo stesso sogno da due settimane …
- Che sogno è?
Con qualche titubanza, Anya glielo raccontò. Quando finì di parlare, Paride era più turbato di lei.
- Facevo anch’io sogni del genere prima dell’incidente.
Anya lo guardò, sorpresa.
- Sognavo di essere un nobile di metà Ottocento … mi sembra di avertene parlato, però.
- Non sapevo che li facessi prima di …
Paride trattenne il fiato. Distolse lo sguardo e disse - Non mi capitava spesso come a te.
La mano della giovane si strinse intorno al lenzuolo. Serrò la mascella. Paride se ne accorse e le poggiò una mano sul braccio. – Potrebbe sempre essere lo stress … è naturale che in periodi del genere si facciano sogni strani … ti stai allenando molto per questo torneo, o sbaglio?
- No …
- Hai parlato con Mr. Harris …
Anya scosse il capo.
- Potresti farlo.
- Non posso ridurre gli allenamenti, né tantomeno chiedere che vengano annullati. C’è di mezzo la mia reputazione e …
Paride volse stancamente i palmi al cielo, corrugando le sopracciglia. – D’accordo. Quanto durerà ancora il torneo?
- Una settimana. Credo di avere ancora cinque match … se riesco a vincere contro Sonja.
Paride fece per parlare. Dalla sua espressione, Anya colse l’interrogativo.
- Domani mancherò tutto il giorno. Dopo questo pomeriggio Mr. Harris mi farà sudare tutta la giornata. Tanto più che c’è il match decisivo.
Paride avrebbe potuto essere deluso, ma fortunatamente aveva una tolleranza dei problemi molto alta. Represse il suo malcontento voltandosi da un’altra parte e sospirò silenziosamente. Anya aprì la bocca per parlare, ma nessuna frase fu formulata. Guardare Paride a volte le bastava per rispondere agli interrogativi che la crucciavano, anche se quella sera, dentro di sé, sentiva che molti dubbi sarebbero rimasti irrisolti.
 
Rimase sveglia per il resto della notte. Per un po’ lasciò che Paride la tenesse stretta mentre dormiva, ma quando, per il sonno o per i sogni, la presa divenne più debole, sgusciò via. Pensava di farsi un giro per il bed&breakfast in attesa che arrivasse il giorno, e si accingeva ad alzarsi, quando ricordò il portatile che Paride aveva posato sul tavolo. Avrebbe optato per quello.
Nel frattempo, seduta sul bordo del letto, cercava di abituare gli occhi all’oscurità; la luce non filtrava neppure dalla finestra, poiché in strada la maggior parte dei lampioni erano spenti.
Il tentativo di vedere al buio riuscì per metà e i contorni degli oggetti divennero poco a poco più distinguibili. Sedette al tavolino e girò il portatile in modo che la luce dello schermo non svegliasse Paride; quindi lo accese. Non era chiaro cosa volesse farci. Tenne lo sguardo basso fino a che il pc non ebbe finito di caricarsi e quando lo rialzò le sfuggì un sorriso. Sul desktop c’era una foto sua con Paride. Il suo volto sorridente la distrasse momentaneamente dall’angoscia del sogno. Controllò che la chiavetta fosse inserita e aprì la finestra di Internet. Su Google cercò Sonja McKintoschk. Trovò pochi risultati, gran parte dei quali erano articoli di cronaca sportiva che descrivevano i suoi successi, così passò alle foto. Anche in questo caso ce n’erano tante inutili, che non le permettevano di vedere Sonja in faccia, impegnata in perfette battute e rovesci. Una, però, nonostante fosse piccola e sembrasse la foto di un pass, la aiutò nel suo intento. Sonja era totalmente diversa dall’idea che se n’era sempre fatta: era una graziosa ragazza con i capelli biondi e il viso ovale su cui spiccavano due grandi occhi di un azzurro molto chiaro. Non vantava lineamenti sottili, ma qualcosa in lei faceva pensare alla Russia.
Anya chiuse la finestra di Internet e pensò a quello che le sarebbe toccato fare il giorno seguente. Prima di tutto doveva scusarsi con Mr. Harris per aver mancato all’allenamento; poi avrebbe dovuto telefonare a sua madre e a Linda che sarebbero arrivate alle undici per vederla. Dopodiché doveva trasferire le sue cose dal campeggio in un albergo vicino.
Costruì una lista su un pezzo di carta e alla fine mosse la penna con indecisione. Ciò che temeva maggiormente era incontrare il suo allenatore e riprendere la preparazione per il torneo. Era sicura che Mr. Harris avrebbe capito che c’era di mezzo Paride e si sarebbe infuriato; non l’aveva mai visto di buon occhio. Subito dopo, però, ricordò la nostalgia di quelle ultime settimane e mandò al diavolo ogni timore, per evitare di pensarla come Mr. Harris. Il solo pensiero le avrebbe dato i brividi.
Le riflessioni furono interrotte da un fruscio alle sue spalle. Paride si mosse nel sonno. Si voltò verso di lui e grazie alla luce emessa dal computer lo vide muovere il braccio nel suo lato.
- Anya …
- Shh … sono qui. Sto arrivando.
Spense il computer e tornò a letto. Si stese sul fianco dandogli le spalle e si lasciò abbracciare.
 
 
- Non transigo! Ti sei comportata da irresponsabile! Una perfetta idiota! Cosa pensavi, che saltando un allenamento ti sarebbe stato possibile recuperare tutto in una mattina?! Questo torneo ti ha fatto montare la testa, te lo dico io! Non ti rendi conto che la tua tecnica è piena di errori e che questo pomeriggio, e non domani … che questo pomeriggio hai uno dei più importanti match della tua carriera!
Le labbra di Anya si muovevano in una muta balbuzie. Non osava guardare l’allenatore in viso. Sapeva quanto fosse infuriato.
- Mi auguro – continuò abbassando leggermente la voce – che questo pomeriggio Sonja ti batta alla grande, che ti surclassi, così impari un po’ di umiltà!
- Mr. Harris …
- Non fiatare!
Le puntò il dito contro, come aveva fatto con il giovane tennista della mattina precedente. Uno scatto impercettibile delle sopracciglia fu l’unico segno del nervosismo che Anya cercava di celare.
- Trascorrere il pomeriggio con il fidanzato quando sai che ci sono degli impegni seri da assolvere … Puah!
Anya scattò. – Non ci vedevamo da un sacco di tempo!
- Stai zitta! – le urlò di nuovo contro. – Io non vedo i miei figli da una settimana e mezza e non me ne lamento. Avrei potuto incontrarli lo scorso pomeriggio, ma ci ho rinunciato per stare appresso a te!
La giovane storse la mascella. Mr. Harris prese fiato guardandola negli occhi.
- Se oggi pomeriggio vedo il tuo ragazzo in giro, giuro che gliene dico quattro!
Con uno scatto Anya alzò lo sguardo su di lui e aprì la bocca con un ringhio per gridargli contro; ma conosceva il carattere del suo allenatore e per evitare ulteriori discussioni preferì mordersi la lingua fino a farsi spuntare lacrime di dolore.
- Lui non c’entra niente – sibilò con rabbia.
Mr. Harris le voltò le spalle per allontanarsi. Mosse pochi passi, ma poi, come se c’avesse ripensato, tornò indietro. – Tu sei la mia migliore tennista. Non puoi permetterti tanto facilmente lussi simili … non posso permettertelo.
La giovane si sentiva già tremare il labbro inferiore e inghiottì forzatamente quegli avvertimenti. Mr. Harris si allontanò di nuovo. – Tra dieci minuti esatti iniziamo l’allenamento. Fatti trovare in campo.
 
Anya preferì non aver mai trascorso una mattinata ad allenarsi insieme a Mr. Harris e desiderò tornare indietro di un giorno per rispettare l’impegno al campo da tennis. Tra una battuta e l’altra trovò modo di pentirsene amaramente. L’allenatore sputò una critica dietro l’altra, ignorando le suppliche della giovane di fermarsi per fare una pausa e bere dell’acqua.
- Ti fermerai quando avremo finito – rispondeva ogni volta. Anya, il viso contratto in una smorfia di fatica, lo guardava: l’incontro con Sonja gli aveva dato alla testa. Era impazzito.
Alle dodici si sentiva così stanca da non riuscire a smettere di pensare a sedersi. Aveva la bocca così asciutta che deglutiva con fatica. Mr. Harris, però, non accennava a smettere. Si era procurato una macchina che sparava una palla dietro l’altra e con il passare dei minuti aveva aumentato la velocità. Anya non sentiva più le braccia. I muscoli delle spalle bruciavano da morire. Vedendo che continuava a colpirne una buona percentuale, Mr. Harris mise ancora una volta mano al pulsante della velocità. Anya fece uno sforzo sulla propria gola per gridargli di fermarsi. Al suo cenno negativo tirò la racchetta in un angolo e uscì.
Non camminò a lungo.  C’era il via vai di addetti e tennisti e rispose al tremolio supplice dei muscoli delle gambe sedendo alla prima panca che vide. Respirò profondamente da naso e bocca e si poggiò all’acciaio della panchina con entrambe le mani. Viso, collo, petto e spalle erano in fiamme. Toccandosi si accorse di essere in un bagno di sudore. Sospirò e fece forza sulle braccia per alzarsi. Mr. Harris fortunatamente non l’aveva seguita. Si trascinò fino al chiosco di bibite sotto il quale il pomeriggio precedente aveva fatto nascondere Paride e indicò alla banconista una bottiglietta d’acqua a temperatura ambiente. Non appena la donna la vide in viso sollevò le sopracciglia.
- Mio dio … ti senti bene?
La ragazza assentì stancamente, cercando d’istinto i soldi per pagare. Ma nei pantaloni non c’erano tasche e aveva dimenticato il portamonete nel borsone.
- Oh tranquilla … - fece la banconista con un sorriso rassicurante. – Per stavolta offre la casa …
Anya la ringraziò con il labiale e svitò febbrilmente il tappo della bottiglietta. Bevve come un poppante affamato, ignorando le gocce lungo il mento, inghiottendo con gioia ogni sorso d’acqua.
Nel frattempo al chiosco giunse un’altra ragazza, della quale inizialmente Anya non si accorse, ma che scrutò con uno sguardo sbilenco non appena si avvicinò. Nel riconoscerla un sorso d’acqua le andò di traverso. La giovane le si appressò.
- Mannaggia alla miseria! Anya!
- L … Lind … - tossì.
Linda sorrise. – Respira, su! Non avere fretta di parlare!
Anya alzò le braccia, come più di una volta le aveva raccomandato sua madre e, sforzandosi di non tossire, respirò profondamente. Sua sorella la guardò in viso.
- Hai la faccia tutta congestionata … ma che hai combinato? Ti sei presa a schiaffi con qualcuno?
Anya sorrise. – Sì, con Mr. Harris!
Linda inarcò un sopracciglio. – Capisco … brutta storia. Da quanto tempo ti alleni?
- Non so … che ore sono? – lanciò un’occhiata al quadrante dell’orologio. – Mezzogiorno e cinque … beh, da due ore tonde tonde. Quando siete arrivate?
- Chi?
- Tu e la mamma.
- Ah … circa un’ora fa. Lei sta seguendo il match del figlio della signora McCarthy … te lo ricordi, John … quello che non vuole parenti in giro …
Anya assentì. Continuava a sudare e si sentiva il collo bruciare.
- Paride è qui?
- È arrivato ieri mattina con l’aereo di Londra. Se non l’avete visto in giro sarà sicuramente in albergo …
Si incamminarono in direzione del campo dove Kate stava seguendo il match. Linda aveva comprato una bottiglia di tè fresco alla pesca e ne aveva versato un po’ in un bicchiere di plastica. Anya trascinava le punte dei piedi, bevendo l’acqua fino a che non finì. Linda le parlò delle strane persone che aveva incontrato sul pullman, ma già da un po’ Anya non la ascoltava più. continuò a svitare ed avvitare il tappo della bottiglietta.
- Anya? Sì … Buonanotte!
Anya serrò le labbra, fissando il vuoto. Sbadigliò.
- Oh, ma ci sei?
La giovane annuì distrattamente, guardandosi indietro. Forse avrebbe dovuto tornare all’allenamento.
- Mancano tre ore e mezza al match … - disse – siete sicure di volere venire a vedermi?
Linda arricciò leggermente un labbro con perplessità. – Certo … certo che sì. Perché?
- Non lo so … ci vediamo dopo, Linda. Torno ad allenarmi.
Le girò le spalle e si allontanò. Linda corrugò la fronte, indecisa se chiamarla indietro o no. Alla fine si allontanò anche lei, consapevole che intavolare una conversazione con lei in un momento simile equivaleva a voler trovare un ago in un pagliaio.
 
Alle quattro nessun muscolo era freddo. Tremavano tutti di fatica e tensione. La follia di Mr. Harris non le aveva dato tregua. Non capiva se il suo intento era punirla, farle tenere i muscoli caldi o affaticarla per indurla a perdere. Con ogni probabilità la faceva riscaldare per permetterle di disputare un match che avrebbe perso per la stanchezza.
Sbadigliò.
Chissà se anche lui stava scommettendo sull’esito dei set. Si grattò una gamba, schiacciò un ciuffo ribelle sulla nuca. Sospirò.
Molta gente sedeva sulle gradinate. Molta ne arrivava ancora. Un singolo mormorio diventava un collettivo brusio e un’esclamazione, generale schiamazzo. Uno schiamazzo crescente. Si pentì di aver deciso di aspettare Sonja in campo, seduta sul bordo del campo; ma, pensandoci, altro non avrebbe potuto fare e in ogni caso alle quattro meno dieci avrebbe dovuto lasciare gli spogliatoi per andarsi a sedere lì. Guardò l’orario. La sua avversaria era in ritardo di cinque minuti. Si girò dall’entrata dalla quale sarebbe comparsa e scosse il capo con rassegnazione, socchiudendo le palpebre a causa del sole e del sonno. Sonja si stava facendo aspettare e, non si sarebbe detto, picchiava un sole forte che asciugava rapidamente le superfici bagnate di pioggia. Il caldo era opprimente oppure era solo una sua impressione, in quanto nessuno sugli spalti si faceva aria con un ventaglio. Si portò la bottiglietta alle labbra per bagnare la bocca e scrutò le tre gradinate che aveva davanti; di guardarsi dietro non ne voleva sapere. Non vide Paride, né sua madre, né Linda e per un brevissimo istante pensò che le avessero dato ascolto e fossero rimasti tutti e tre in albergo, ma nessuno dei tre dava l’impressione di essere disposto a rinunciare al suo match. Probabilmente erano nella gradinata alle sue spalle.
Si era rassegnata all’idea di dover attendere Sonja, giochicchiando con la racchetta, quando un’improvvisa ovazione della folla ne introdusse l’entrata. Anya si voltò. La sua avversaria era stranamente diversa dalla foto che aveva trovato su Internet, a partire di capelli, raccolti in minuscole treccioline francesi legate in un codino alla base della nuca. L’espressione era esageratamente concentrata. Capì poi che era nervosismo, quando la vide sbottare rabbiosamente qualcosa in direzione di un raccattapalle. Anya sperò senza troppa convinzione di poter sfruttare quell’agitazione a proprio favore.
Raggiunsero le rispettive postazioni dopo qualche minuto. Si strinsero sbrigativamente la mano. Anya batté per prima. Sonja rispose con un dritto energico che fece correre Anya sul lato sinistro del campo. Colpì la palla con un rovescio altrettanto forte e Sonja ricambiò dirigendola sul lato destro. Il colpo fu inaspettatamente scagliato con poca foga e la palla rimbalzò due volte prima che Anya la raggiungesse vicino alla rete. Sonja fece punto.
Tra l’ovazione della folla, inglese per grande parte, Anya mimò un’espressione di sportivo compiacimento. Si trattene dallo scrutare nuovamente il pubblico. Mr. Harris doveva essere anche lui là in mezzo. Non volle immaginare le sue imprecazioni.
La tecnica di Sonja era imprevedibile. Colpi così energici da somigliare a cannonate si susseguivano a tiri deboli che sfalsavano il passo dell’avversaria irlandese, donandogli un’agitazione che a stento la ragazza tratteneva.
A dieci minuti dall’inizio Sonja era in grande vantaggio. Era una giocatrice professionista. Anya era certa di aver sentito la voce di Mr. Harris, ma per quanto scrutasse il pubblico o per il sole che le feriva gli occhi o per la fretta di tornare al gioco o per la stanchezza non lo vedeva. Con sbuffi sempre più lunghi ricercava la concentrazione del gioco e si incoraggiava ad ogni punto guadagnato da Sonja, guardandola bene in viso e cercando sempre più disperatamente un accenno alle sue intenzioni.
Corse da un lato all’altro quasi senza mai fermarsi. Colpiva la palla in modo da donargli un’angolazione che potesse in qualche maniera mettere Sonja in difficoltà; ma quella, fresca come una rosa, si manteneva al centro e faceva buon uso dei piedi per zampettare dove si aspettava che Anya la portasse.
Quel match somigliava sempre più ad una partita di scacchi. Quando Anya capì la subdola logica matematica tentò di rispondere a tono, ma era ormai talmente esausta da riuscire a sfruttare le energie solo per il gioco. Gli alfieri irlandesi caddero l’uno dietro l’altro, le torri crollarono, i cavalli furono spazzati via. I pedoni proseguivano il cammino sul campo minato nel disperato tentativo di fare scacco al re nero.
Anya fece miracolosamente punto. Non trattenne un sorriso trionfante. Se lo meritava. Guardò Sonja dall’altra parte della rete. Batteva la mano sulla rete della racchetta, ma era tranquilla come prima. Anya batté. Sonja rispose prontamente con un dritto che quasi non la scompose. La palla ebbe un tiro lungo e spostò Anya leggermente a destra. La giovane colpì con poca forza, in modo da costringere Sonja a smuoversi dalla sua postazione. La palla tornò indietro con un tiro altrettanto corto e Anya scattò vicino alla rete. Sonja tirò ancora debolmente, Anya si avvicinò ancora di più alla rete. Si accorse presto di doversi allontanare verso il fondo campo, ma l’avversaria continuava a tenerla vicina. Anya previde il prossimo colpo e con un astuto sorriso appena accennato, Sonja spedì la palla un paio di metri dietro Anya. La ragazza corse, allungò la racchetta e perse l’equilibrio, cadendo distesa sul fianco sinistro. La racchetta finì a pochi centimetri dalla sua mano e la palla vi cadde vicino.
La folla applaudì: Sonja aveva di nuovo fatto punto.
Anya si rialzò con lentezza e la spalla dolorante. Represse una smorfia di dolore e si rimise in gioco, pensando che aveva solo l’ultimo set da giocare.
 
La folla esplose nell’applauso più rumoroso di tutto il match. Sonja era tutta un sorriso e alzò le braccia al cielo in segno di vittoria. Anya era di nuovo caduta sotto il potente attacco dell’avversaria; ma stavolta era troppo stanca per rialzarsi. Poco importava se il pubblico la guardava e ghignava. Era seduta, ma avvertiva l’impulso di lasciarsi cadere distesa e addormentarsi.
Negli spogliatoi prese l’occorrente per lavarsi e si fece una doccia calda. Non c’era nessuno. Quando ebbe finito di cambiarsi ed era china sul borsone per posare le sue cose, la luce che entrava dalla porta fu coperta da una figura. Anya non si diede la pena di vedere chi fosse.
- Hai fatto schifo.
Arricciò un labbro. Con pochi movimenti, eseguiti prevalentemente con il braccio destro, chiuse la zip e mise il cellulare in tasca.
- Mi hai sentito?
La giovane annuì.
- Dunque? Non rispondi niente?
- Se dovessi rispondere lo farei per essere assai poco educata.
Mr. Harris contrasse i muscoli delle guance in un’espressione di disprezzo. Si tolse dalla soglia della porta e le si avvicinò.
- Gli allenatori della McKintoschk hanno riso di me. Ridono di me. A causa tua.
Anya alzò il mento. L’allenatore le sbarrava la strada per uscire. Tirò su col naso con strafottenza e si dispose all’ascolto senza guardarlo.
- Mi hai fatto fare la figura dell’incapace. Hai giocato da schifo. Ma che avevi per la testa?! – gridò all’improvviso. – Pensavi ancora al tuo ragazzo, per caso?
Il petto della giovane si gonfiò di risentimento. Chiuse gli occhi. Paride era l’unico a renderla veramente felice. Desiderò averlo vicino e fargli sentire le infamità di Mr. Harris … ma … no! Schiuse le palpebre pregando perché quel desiderio venisse presto cancellato.
- Possiamo parlarne domani, Mr. Harris?
- Forse – riprese lui senza ascoltarla – non hai capito che il torneo per te è finito.
Anya abbassò lo sguardo alle scarpe. – L’ho capito invece.
- E quindi?
- Quindi cosa?!
Mr. Harris le si avventò contro. – Lo vedi che del tennis non ti importa un cazzo?! Basta che arrivi il tuo ragazzo e vai in solluchero! – Gridò. - Non è questo lo spirito del tennis, Anya! Speravo l’avessi imparato!
- Non è Paride il problema! Oggi …
- Non è lui? Paride ti distrae dal gioco! Ti fa perdere la concentrazione! Quante volte ti ho detto di evitare gli incontri amorosi durante una competizione? Quante volte? Perché non mi ascolti mai?
L’unica risposta che poteva dargli era che amava Paride come lui non aveva mai saputo fare con sua moglie. Lo sguardo che gli scoccò fu probabilmente più eloquente di qualsiasi parola, perché Mr. Harris cambiò espressione, anche se continuava a tenerle puntato il dito contro. Quando riprese a parlare, però, le dimostrò di essersi sbagliata.
- Ho voluto scommettere sul match, oggi. Sarei stato felice di perdere … - disse mettendo mano alla tasca ed estraendo poche banconote ripiegate. Anya aggrottò le sopracciglia in un’espressione di triste curiosità. - … ma ho vinto. – Continuò luì.
Afferrò la sua mano sinistra. Non avendo ancora capito, o non volendo accettare, ciò che Mr. Harris stava facendo, Anya ritrasse debolmente la mano, ma il movimento le costò una fitta alla spalla. L’allenatore ficcò una banconota da venti euro nel suo palmo.
- Questo perché tu ricorda cosa non fare.
Uscì senza aggiungere altro. Anya aggrottò ancora di più le sopracciglia, aprendo la bocca per chiamare Mr. Harris indietro. In gola, però, aveva un nodo talmente stretto che nulla uscì se non uno strano mugolio. Batté rapidamente le palpebre e guardò la banconota mezzo stropicciata nel palmo. In quel momento entrarono due ragazze. Solo allora si accorse di stare singhiozzando e si voltò per non essere vista. Il petto fu silenziosamente scosso e si poggiò ad una parete per cercare di calmarsi. Aveva la vista annebbiata, le guance bagnate da lacrime calde. Si strofinò rabbiosamente il viso con il dorso della manica e scappò fuori.
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
Salve a tutti!
Torno a pubblicare a così breve distanza dal primo capitolo perché ho già parecchi capitoli pronti e anche perché cerco di approfittare di questi ultimi giorni con il computer prima di partire per una breve vacanza post-esami! Ce voleva … =)
La storia vien giù copiosa come la pioggia di Dublino, pertanto pubblicherò fino ad esaurimento scorte … purtroppo quando tornerò a pubblicare non lo farò più così assiduamente, ma spero di poter completare almeno un capitolo a settimana …
Vi ringrazio per aver letto il primo capitolo e ancor di più per essere arrivate anche alla fine del secondo. Chi scrive, in fondo, lo fa perché le sue parole vengano lette, no? ;) Fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto!
Ik

  
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