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Autore: KiarettaScrittrice92    16/07/2013    3 recensioni
Questa è stata la mia prima fanfiction in assoluto e ho deciso di pubblicarla, ovviamente correggendola e rendendola più leggibile e apprezzabile...
La mia storia comincia con Shinichi di nuovo adulto. Ai gli ha dato l'antidoto e ha raccontato a Ran il segreto di Conan Edogawa. Shinichi è riuscito a far arrestre i pezzi grossi dell'organizzazione con molte difficoltà, ma scopre con enorme dispiacere che deve lasciare Beika e tutti i suoi amici perchè suo padre ha bisogno del suo aiuto a Sendai! Due giorni dopo la sua partenza quelli dell'organizzazione evadono dalla prigione, quella stessa sera succederà ciò che meno vi aspettate...
La nostra storia inizia due anni dopo la partenza di Shinichi per Sendai sopra un treno che va a Beika...Tenetevi forte alle sedie perchè questa volta il detective liceale non riuscirà da solo a vincere la battaglia...
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei ricordi'
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Sorpresa!

Erano passati non più venti minuti da quando il ragazzo si era addormentato. Era in quello stato di dormiveglia che gli permetteva di riposarsi, ma allo stesso tempo lo lasciava vigile su tutto ciò che gli accadeva attorno. Forse fu anche per questo che sentì subito quello strano rumore vicino a lui, il tipico suono di qualcosa che si carica. Aprì gli occhi e per l’ennesima volta, in quella maledetta giornata, rimase sconvolto da ciò che vide. 
Accanto al letto, con un ginocchio poggiato sul materasso e l’altro piede a terra, c’era la ragazzina che aveva incontrato davanti al cancello che gli stava puntando una pistola. All’inizio il ragazzo non capì subito, poi ebbe un’altro di quegli strani ricordi, ma questa volta era solo una breva scena, nessuna parola. Ricordava perfettamente che tutto ciò era già accaduto, in quella che sembrava una stanza d’ospedale. Quella stessa ragazzina gli aveva puntato anche allora una pistola in testa, allo stesso identico modo.
Chiuse gli occhi. Sperando che fosse tutto un incubo. Anzi non lo sperava proprio, se lo continuava a ripetere in testa, come se solo il pensiero di non essere lì l’avrebbe riportato a casa, sdraiato sul suo vero letto, nella sua vera camera, a Sendai.
Quando riaprì gli occhi, però, era ancora lì, ma la ragazzina non era più vicino al letto. Si mise a sedere, passandosi irritato una mano sul volto e cercando di riprendersi. Si voltò verso dove si era diretta e la vide chinata vicino alla scrivania a rovistare nella sua valigia. 
«Ehi! Che fai?» chiese alzando il tono di voce.
La ragazzina sembrò non sentire le parole del ragazzo e quando trovò ciò che stava cercando glielo lanciò decisa. Per un attimo la vista di Shinichi fu oscurata dall’abito che la ragazzina gli aveva lanciato. Se lo tolse dal volto e vide che era il suo kimono blu, quello che solitamente indossava per le feste. Non si ricordava di averlo messo in valigia, ma probabilmente era stata sua madre a farlo.
«Indossalo! - disse la bambina - Passo a prenderti tra venti minuti!» proseguì, continuando a mantenere la sua aria seria.
«Cosa? E perché?» domandò lui sempre più confuso.
«Lo scoprirai…» rispose misteriosamente.
«Ma in realtà io volevo…»
«Verrai con me che tu lo voglia o no! - lo interruppe decisa la piccola - Ci vediamo tra venti minuti.» concluse, per poi uscire dalla camera e, probabilmente, anche dalla casa. Solo in quel momento si chiese come quella ragazzina fosse entrata in casa, dato che si ricordava perfettamente di aver chiuso a chiave il portone. 
Dopo qualche secondo capì che sarebbe stato inutile continuare a scervellarsi per una cosa del genere, perciò decise di fare ciò che diceva lei e andarsi a cambiare. In fondo, se voleva davvero capirci qualcosa, doveva assecondarsi a tutto ciò che gli accadeva attorno e, dato che quella bambina sembrava conoscerlo e lui aveva qualche vago ricordo di lei, forse era il caso di seguirla e vedere cosa sarebbe successo.

 

Era sotto la doccia. L’acqua fredda gli bagnava i capelli castani e gli rigava il viso. Adorava quella sensazione: le piccole gocce fredde che gli picchiettavano il volto lo rilassavano in qualsiasi situazione. Anche quando era nervoso o confuso, come in quel momento, quella sensazione lo rilassava a tal punto che riusciva a pensare a tutto in modo più razionale. In quel momento infatti stava pensando alla bambina. Quel volto asciutto, sempre serio, anche troppo per la sua età. Poi, per qualche strano motivo, i suoi pensieri passarono dalla bambina a quella ragazza ritratta assieme a lui nella foto sulla scrivania e finalmente quella sensazione si fece vivida e un’altro ricordo gli attraverso furioso il cervello. Questa volta ancora più prepotente degli altri.

«Perché non riesci a capire che cosa provo? Questo vuol dire che non ti piaccio non è vero Shinichi?» diceva quella ragazza guardandolo negli occhi.
«Io…Ran…a dire il vero…vedi io…» balbettò, mentre lei tratteneva una risata.
«Sciocco, perché ti innervosisci? Io stavo solo scherzando… non sei affatto un bravo detective se ci sei cascato in questo modo!»

Ran. Era così che si chiamava quella ragazza.
Uscì dalla doccia e s’infilò l’accappatoio bianco che era appeso là vicino, avvolgendo per bene il suo corpo dentro quel morbido tessuto spugnoso. Profumava di pulito e per un po’ rimase lì, a farsi coccolare da quella sensazione. Poi si mise davanti allo specchio rimanendo per qualche momento a guardare il suo riflesso. I suoi capelli castani erano rimasti appiccicati sul viso, le piccole gocce che abbandonavano le punte rotolavano sul volto cadendo sul pavimento piastrellato e formando piccoli cerchi rotondi. Aveva provato quella sensazione un sacco di volte: insomma, sentire i capelli bagnati e l’acqua che scivola lungo il corpo è normale, eppure in quel momento di tensione, in quei ricordi strani che lo assillavano, ecco che un altro gli oltrepassò la mente.

«Serve per forza una ragione? Io non so che motivo abbia un uomo di uccidere un altro uomo, e nemmeno perché gli salvi la vita… A quanto pare una risposta logica non esiste!»

Quella era la sua voce, ne era sicuro. Eppure quella non era né Tokyo, né Sendai e quell’uomo con in mano la pistola chi era? Non stava capendo più niente, e più i ricordi diventavano numerosi più lui si sentiva stordito da essi. Possibile che non si ricordasse niente di tutti quei momenti?
Decise di lasciar perdere per l’ennesima volta quei pensieri, come se tanto fosse stato inutile affrontarli in un momento del genere. Iniziò ad indossare il suo kimono blu, l’ultima volta che se l’era messo era stato per il capodanno. Si guardò allo specchio: gli stava bene come al solito e lo faceva sembrare un po’ più adulto. Era un semplice kimono blu, tenuto in vita dalla fascia bianca e spessa, tipica di quell’abito. Ebbe appena il tempo di allacciarsi la fascia dietro la schiena che qualcuno suonò al campanello di casa. 
Shinichi andò ad aprire la porta e ovviamente, passati i venti minuti, si ritrovò davanti la ragazzina. Rimase stupito nel vederla. Si era cambiata anche lei: indossava un kimono rosso con una fascia nera, che sembrava finalmente risaltare quella maturità che la sua età non poteva dimostrare. Come se dentro quel copro da tredicenne ci fosse una donna. Il ragazzo notò anche che la bambina si era truccata: i suoi occhi risaltavano sul viso grazie a un leggero strato di ombretto azzurro e una sottile linea nera che le contornava gli occhi. Era bellissima e Shinichi era sicuro che quando sarebbe cresciuta sarebbe diventata una donna altrettanto bella e attraente.
«Sei pronto?» chiese la ragazzina con serietà.
«Sì… - rispose lui - ma dove andiamo?» chiese poi, non riuscendo a trattenere la curiosità, che ormai lo stava divorando.
«Lo vedrai!» rispose lei continuando a mantenere i suo sguardo serio, ma dal suo tono di voce si capiva che era divertita da quella situazione di mistero.


Dopo una passeggiata di qualche minuto arrivarono finalmente alla stazione della metro. Shinichi aveva notato che lì a Tokyo, anche nei giorni non di festa la gente che indossava un kimono non veniva neanche notata. La fretta degli abitanti di quella città e il loro poco interesse per chi gli passava accanto non permetteva loro di notare che due ragazzi, uno più grande e l'altra più piccola, indossassero degli elegantissimi abiti da festa e stessero prendendo la metro come tutti gli altri. 
La ragazzina guardò la bacheca in cui c'era la piantina e l’orario dei treni, dopo qualche minuto in cui rimase a consultarla si voltò di nuovo verso i binari.
«Bene, il nostro treno passa di qui per le dieci e mezza, perciò mancano più o meno dieci minuti.» concluse guardando il suo orologio da polso. 
Shinichi non rispose, in fondo non ce n’era bisogno. Inoltre, qualcos’altro stava occupando la mente del ragazzo in quel momento: un’altro ricordo, che gli attraversò la mente proprio nel guardare quei binari in acciaio e i vari treni della metro che vi sfrecciavano sopra.

La ragazza indifesa era vicino ai binari, il treno stava arrivando e una mano la spinse sui binari.
«Ran…» urlò lui buttandosi giù e trascinandola fuori dai binari prima che il treno prendesse tutti e due.

La ragazza era la stessa della foto e la stessa che stava dietro di lui su quel pianerottolo sotto la pioggia. Eppure quel ricordo non poteva essere suo. Perché nel momento in cui si era buttato e l’aveva trascinata via, pareva molto più piccolo di lei, come se fosse un bambino. Ora che ci pensava anche la voce che era uscita dalla sua bocca in quel ricordo sembrava quella di un bambino. 
Quei ricordi stavano diventando sempre più assurdi e incomprensibili. Eppure di una cosa era certo: quella ragazza la conosceva, ne era sicuro. Anche se non si ricordava in che modo l’aveva conosciuta o quando, quel volto aveva qualcosa di tremendamente familiare.
«Ai…» disse rivolgendosi alla bambina, forse lei avrebbe saputo rispondergli.
«Sì?» chiese la ragazzina col suo primo sorriso da quando l’aveva vista.
«Tu conosci una certa… Ran?»
La ragazza tornò seria, come se quel nome le avesse dato parecchio fastidio, poi rispose.
«Sì! - il tono della sua sua voce sembrava quasi deluso e offeso - E la conosci anche tu…»
«Lo so, ma…»
«…ma non te la ricordi!» fece la ragazzina completando la frase al posto suo, mentre lui rispondeva solamente con un cenno di testa.
«Stai tranquillo, ricorderai! - lo rassicurò lei - Vieni sta arrivando!» continuò, mentre il treno arrivò sfrecciando davanti a loro e si fermò, per poi aprire le porte e far entrare la fiumana di gente che senza un’automobile doveva andare da una parte all’altra di Tokyo.


Il treno ci mise davvero poco a portarli alla loro destinazione e, quando risalirono dal sottosuolo, per uscire dalla stazione della metro, Shinichi notò immediatamente l’ingresso di un parco divertimenti dove spiccava subito un castello bianco con i tetti rossi, anzi a vederli meglio sembravano rosa. Ma questa volta era sicuro di aver già visto quel castello: era lo stesso che c’era sulla foto sopra la scrivania.
«Bentornato al Tropical Land, Shinichi!» disse la ragazzina.
«Questo parco…»
«L’hai già visto?»
«Beh sì, sulla foto della scrivania c’è lo stesso castello, quindi vuol dire che ci son già stato.»
La ragazzina sorrise compiaciuta, come se quell’affermazione del ragazzo le avesse reso migliore la giornata.
«Vieni, tra venti minuti abbiamo l’appuntamento al pala ghiaccio con gli altri!» disse, incamminandosi verso l’ingresso del parco, seguita dal ragazzo.
All’entrata la ragazzina fece vedere un foglio, come un documento, che aveva estratto dalla sacca nera che portava appesa al polso. La guardiola quindi li fece passare senza nessun problema. 
Attraversarono il parco camminando velocemente, ma il ragazzo voleva godersi appieno quel luogo. In fondo aveva ancora diciannove anni e non gli sarebbe dispiaciuto fare un giro su quelle numerose giostre. Anzi si stupiva che la ragazzina non facesse nessuna piega davanti a quello che sarebbe dovuto essere il paradiso per qualsiasi bambino.
Ad un tratto, mentre continuava a camminare notò una bella piazza, attorniata da delle cascate e tutt’a un tratto una fontana iniziò a zampillare, proprio in mezzo alla piazza. Appena vide quegli zampilli, furono due i ricordi che gli attraversarono la mente.

«Cos’è un luogo di ritrovo?» chiese lei, sempre la stessa ragazza.
«Vedrai…dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno!» concluse e la fontana iniziò a zampillare intorno a loro, isolandoli dal resto del mondo, mentre un meraviglioso sorriso di stupore si dipingeva sul viso della ragazza.

L’uomo armato di pistola si stava avvicinando sempre di più a lui e alla ragazza, che erano chinati in mezzo alla piazza.
«Bene…come si dice: prima le donne...» disse in tono maligno.
Sorrise e iniziò a contare:
«Dieci, nove, otto, sette, sei…»
«Una specie di preghiera...» disse l’uomo armato, alzando la pistola verso di loro e avvicinandosi sempre di più, ma nel conto alla rovescia, assieme a lui, si aggiunse anche la ragazza.
«…cinque, quattro, tre, due, uno…»
La fontana iniziò a zampillare nuovamente, proteggendoli dall’uomo armato.

Era assurdo, altri ricordi, e nel secondo di nuovo quella sensazione di essere un bambino. Era più basso e più piccolo della ragazza, che con le mani gli circondava le spalle. Anche la sua voce, nel conto alla rovescia, era ancora quella infantile. Shinichi s’iniziò a chiedere se quelli non fossero stati i ricordi di qualcun altro. Però anche in quel modo, la faccenda sarebbe rimasta comunque strana, anzi forse sarebbe diventata ancora più strana. Scosse la testa, cacciando quei pensieri contorti da essa e riprese a camminare veloce per star dietro al passo svelto della ragazzina.
Arrivati al pala ghiaccio entrarono. Dentro faceva freddo. L’edificio, come tutti quelli del suo genere, era ovale. La ragazzina, appena entrata, salì subito per una scaletta laterale, arrivando così al punto più alto delle tribune. Dovettero attraversare tutta la tribuna sinistra, finché non arrivarono davanti ad una porta gialla. La ragazzina la aprì, ma oltre ad essa era tutto buio.
Fu un attimo. Il tempo che il ragazzo entrò nella stanza e sentì dietro di sé la porta gialla chiudersi. Poi le luci si accesero di botto, accecandolo per qualche secondo.
«Sorpresa!»

  
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