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Autore: KiarettaScrittrice92    15/07/2013    6 recensioni
Questa è stata la mia prima fanfiction in assoluto e ho deciso di pubblicarla, ovviamente correggendola e rendendola più leggibile e apprezzabile...
La mia storia comincia con Shinichi di nuovo adulto. Ai gli ha dato l'antidoto e ha raccontato a Ran il segreto di Conan Edogawa. Shinichi è riuscito a far arrestre i pezzi grossi dell'organizzazione con molte difficoltà, ma scopre con enorme dispiacere che deve lasciare Beika e tutti i suoi amici perchè suo padre ha bisogno del suo aiuto a Sendai! Due giorni dopo la sua partenza quelli dell'organizzazione evadono dalla prigione, quella stessa sera succederà ciò che meno vi aspettate...
La nostra storia inizia due anni dopo la partenza di Shinichi per Sendai sopra un treno che va a Beika...Tenetevi forte alle sedie perchè questa volta il detective liceale non riuscirà da solo a vincere la battaglia...
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei ricordi'
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Ritorno a Tokyo

Il treno correva sui binari di metallo sferragliando e sfrecciando vicino alla campagna verde. Shinichi stava leggendo l’ultimo libro di suo padre, ma era distratto. Ogni fine frase guardava, malinconico, gli alberi che passavano velocemente. Tutto gli sembrava vuoto e inutile. Non capiva il senso di quel viaggio e non riusciva a rilassarsi. A quell’ora poteva essere a Sendai, a casa sua, stravaccato sul letto a rilassarsi.
Ad un certo punto si accorse di aver riletto la stessa frase quattro volte. Stufo di stare ancora sul libro e di stare seduto, si alzò ed uscì dal suo comparto. Nel corridoio del vagone c’era qualche passeggero che chiacchierava e altri che guardavano il paesaggio dai finestrini. Anche lui si avvicinò a uno dei tanti rettangoli di vetro che percorrevano il lungo mostro d’acciaio. Il paesaggio da quel lato, però, non era molto diverso da quello che si vedeva dal suo scompartimento. Il suo sguardo malinconico si era posato su quella distesa verde che schizzava velocemente sotto i suoi occhi azzurri.
Ad un certo punto una vocina lo distrasse.
«Perché sei triste?»
Sentite quelle parole il ragazzo si voltò e vide il bambino che gli aveva fatto quella domanda. Aveva i capelli biondo cenere, corti ai lati e lunghi sopra e lo guardava con due innocenti occhi verdi, evidenziati da un paio di spessi occhiali. Non poteva aver più di dieci anni, forse otto.
Shinichi cambiò espressione, mostrando uno dei suoi soliti sorrisi e accovacciandosi salutò il bambino:
«Ciao piccolo, come ti chiami?»
«Conan, Conan Otaki!»
Il ragazzo ebbe un sussulto. Ciò che aveva appena detto il bambino, quel tono di voce, quell'espressione innocente dietro agli occhiali. Qualcosa di tutto ciò gli aveva ricordato un flash che gli attraversò la mente, veloce e prepotente come un lampo seguito dal tuono.

«Mi chiamo Shin…no io volevo dire…ecco…ecco…Conan… Conan Edogawa.»

Proprio in quell’istante il treno iniziò a rallentare e una voce maschile risuonò nel corridoio, richiamando il bambino:
«Conan sbrigati, stiamo per scendere!»
Solo in quell’istante Shinichi si accorse che il treno si stava avvicinando proprio alla stazione in cui doveva scendere. Tornò nel suo scompartimento e prese dalla retina in alto i due bagagli che si era portato: un borsone, che si mise subito a tracolla, e un trolley. Uscito dallo scompartimento vide dal finestrino del corridoio il grosso cartello che annunciava il nome della stazione Beika-Tokyo
Scese dal treno e, per l’ennesima volta, si chiese per quale arcano motivo fosse lì. Suo padre, ma soprattutto sua madre avevano insistito tanto perché lui partisse, ma lui non ne aveva ancora capito il motivo. Il giorno prima gli avevano dato il biglietto del treno, 70.000 yen e un mazzo di chiavi con un foglietto dove vi era scritto un indirizzo. Quando lui per l’ennesima volta provò a chiedere spiegazioni, l’uomo aveva risposto:
«Vedrai che capirai…»
Eppure lui ancora non capiva, anche se ormai era lì e di certo non poteva tornare indietro. Anzi, forse, non voleva tornare indietro: più camminava per le strade di Tokyo, più la sua testardaggine lo spingeva a cercare di capire cosa c’era dietro a quel mistero.
Ci mise circa un quarto d’ora ad arrivare all’indirizzo segnato sul biglietto. Quando fu davanti al cancello iniziò a suonare al citofono, sperando che qualcuno rispondesse. Eppure guardando l’enorme villa, oltre quelle sbarre di metallo, sembrava che quella residenza fosse disabitata ormai da qualche anno.
«È inutile che continui a provare, lì non ci abita nessuno da ormai due anni.»
Shinichi si girò e vide una ragazzina di dodici anni. I capelli corti e ramati e gli occhi di un verde acqua misterioso, come se ci si potesse perdere dentro. La bambina era seria, forse un po’ troppo seria per la sua età e lo stava guardando fisso negli occhi, come se avesse voluto frugargli all’interno dell’anima.
«Proprio tu…» disse con un filo di voce.
«Che c’è?» domandò il ragazzo, non avendo capito quell’affermazione.
«Proprio tu a suonare a questa porta…» completò la frase lei, sempre con voce pacata.
«Ma cosa stai dicendo?» chiese ancora il ragazzo, sempre più confuso.
«Perché non guardi la targhetta appesa lì…Shinichi Kudo…» rispose lei, indicando con il dito la colonna del cancello e dando enfasi al nome del ragazzo.
Il ragazzo si voltò, proprio mentre lei pronunciava il suo nome e mentre sentiva la voce della bambina dire anche il suo cognome, lui contemporaneamente lo lesse sulla targhetta e gli si gelò il sangue nelle vene. Quella villa era sua? Sua o di suo padre, s’intende. Eppure lui non ricordava minimamente di essere mai vissuto a Tokyo.
Poi si ricordò della bambina alle sue spalle e di ciò che aveva detto. Si voltò verso di lei, con ancora quell’aria sconvolta in volto.
«Come fai a sapere il mio nome?»
«Perché noi ci conosciamo Shinichi… mi chiamo Ai Haibara.»
Il ragazzo ebbe di nuovo quella strana sensazione e un’altro ricordo gli attraversò veloce la mente.

«Ragazzi vi presento Ai Haibara, che a partire da oggi farà parte della nostra classe…»

Conosceva davvero quella ragazzina? E come mai aveva quello strano ricordo di lei? Insomma, era più piccola di almeno dieci anni, come era possibile che andassero nella stessa classe? Decise però che non era il momento di scoprirlo. Ciò che davvero gli interessava di più era entrare in quella villa per capire che intenzioni avevano avuto i suoi nel mandarlo lì, a Tokyo. Perciò prese dalla tasca il mazzo di chiavi che gli aveva lasciato suo padre, si voltò verso il cancello e cercò di trovare la chiave giusta per quella serratura. Fece un paio di tentativi, poi finalmente trovò quella giusta ed entrò, senza rivolgere più la parola a quella strana bambina che ancora lo stava guardando con aria seria attraverso le sbarre del cancello. 
«È permesso?» chiese, quando dopo qualche altro tentativo per la serratura del portone, entrò nella villa. Non rispose nessuno: proprio come aveva sospettato quella residenza era disabitata da un po’, anche se era stranamente pulita e profumata. Come se qualcuno fosse andato qualche giorno prima a pulirla. Quell’odore in un certo senso lo rassicurò, dando anche a quell’immenso ingresso un’aria tremendamente familiare.
Le pareti del corridoio laterale, che passava proprio vicino alla scala, erano tappezzate di riconoscimenti a Yasaku Kudo, suo padre. 
Decise di andare a vedere il piano di sopra, per trovare una camera da letto in cui sistemare i bagagli e poter dormire la notte. Eppure appena entrò nella prima stanza del corridoio del piano superiore rimase scioccato. 
La stanza aveva le pareti azzurre e su una di esse c’era un’enorme poster di lui che tirava un calcio al pallone. Ormai da due anni giocava nella squadra di calcio di Fukushima, una città abbastanza vicina a Sendai, ma non ricordava quella scena e oltretutto non era quella l’uniforme della squadra. Scosse la testa, cercando di ricordare, ma questa volta nessun ricordo gli sfiorò la mente.
Posò le valige vicino alla scrivania, decidendo che avrebbe sistemato gli abiti e il resto in un altro momento. Proprio sulla scrivania, vicino ad un portapenne in metallo, notò una foto che ritraeva lui assieme ad una ragazza, con sullo sfondo un castello bianco dai tetti rossi, ebbe di nuovo quella sensazione questa volta più forte. Quella ragazza l’aveva già vista. Ne era sicuro. Eppure non riusciva a ricordare né dove né quando.
Aprì uno dei cassetti della scrivania, sempre più curioso e sempre più intenzionato a capirci qualcosa. Ne tirò fuori dei ritagli di giornali. I titoli riguardavano tutti lui: Shinichi risolve il caso a villa Kanue, Il detective liceale colpisce ancora e così via. Ce n’erano almeno una ventina, eppure lui non ricordava assolutamente niente.
Si sdraiò sul letto. Era parecchio comodo e gli ricordava molto quello di casa sua. Rimase lì a fissare il soffitto, cercando di capire quale mistero si celasse in quella casa e per quale motivo non ricordava nulla della sua vita vissuta a Tokyo. Però era stanco per il viaggio e, tra un pensiero e l’altro, le palpebre divennero pensanti e finì per addormentarsi, cadendo tra le braccia di Morfeo.

  
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