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Autore: Nisi    28/01/2008    8 recensioni
Sud America, 1974. Pedro Carrillo è un semplice correttore di bozze al quotidiano nazionale.
All’improvviso, i colleghi del suo ufficio cominciano a scomparire in circostanze misteriose e contemporaneamente i suoi occhi iniziano ad accusare sintomi troppo inquietanti per essere ignorati.
Questa storia si è classificata al primo posto dell'ottava sfida del sito "Out Of Time"
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Si svegliò intirizzito e coperto di rugiada e la consapevolezza dell’incubo che stava vivendo lo raggiunse un secondo dopo aver aperto gli occhi. Mormorò una preghiera, sperando con tutte le forze che quell’inferno finisse presto.

Si guardò gli abiti stazzonati e stropicciati mentre apriva con cautela la porta che dava accesso alla cucina ed entrò con fare circospetto in casa sua.

I suoi occhi si posarono timorosi sulle parole crociate e, subito, le lettere gli schizzarono addosso componendo il nome di qualche disgraziato. Di scatto, si riparò dietro alla porta.

Si accasciò sulle ginocchia e nascose il viso nella lana del maglione che aveva tirato all’infuori per coprirsi, per nascondersi e rientrò con cautela.

Pensa, Pedro, pensa, ragiona, cosa avrebbe fatto tua madre, santa donna?

Cercava disperatamente una soluzione tra le sue meningi confuse.

Alberta Del Sol! Come aveva fatto a non pensarci prima? Quando succedeva qualcosa di storto, sua madre andava sempre a consultarsi con la cartomante che stava in fondo alla strada.

Senza curarsi né dell’ora, né dei suoi abiti stropicciati, uscì correndo, badando bene a tener gli occhi bassi e ad evitare come la peste qualsiasi pezzo di carta, stampata e non, che potesse attentare ancora alla sua già precaria sanità mentale.

Spalancò la porta e si trovò davanti una donna assonnata con i bigodini in testa ed una vestaglia sintetica di tessuto stampato a cerchi concentrici. Pedro ringraziò il cielo che la donna nella stanza non tenesse niente altro che i cuscini, il tavolo e la sfera di cristallo.

“Pedro, che fai qui tanto presto?”

“Ho bisogno di te, Alberta. Ma subito, non posso aspettare”

“Quanta fretta! Ma va bene, siediti qui” gli indicò un cuscino enorme che doveva essere stato di colore rosso e Pedro vi si lasciò cadere sopra, rischiando di caracollare all’indietro. Alberta lo imitò e si accese la prima sigaretta della giornata. “Allora, che succede?”

“Le lettere! Le lettere!” balbettò terrorizzato. “Ci sono le lettere che saltano fuori dai libri e dai giornali, arrivano sempre e mi scrivono chi è morto e dove si trova il cadavere.”

“Assurdo! Sei sicuro di non aver bevuto?” Alberta lo guardò di sottecchi con aria di sufficienza. “Io non bevo! E ti dico che è vero! E’ sparito Ernesto Santander, il mio vecchio responsabile e l’ho trovato morto a Cala Maldida…”

“Il tuo responsabile?” un’espressione smarrita ed impaurita le apparve in faccia. “Ti dico di sì.”

La donna si alzò di scatto e lo prese per la giacca. “Vattene, Pedro, non voglio aver guai, io non so niente e non ti posso aiutare. Con quelli del tuo ufficio non ci voglio aver niente a che fare!”.

Si ritrovò chiuso fuori, direttamente in strada.

Non si chinò abbastanza in fretta perché le lettere balzarono fuori da un manifesto che pubblicizzava le montagne di Araqueno

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“Basta! Smettetela!” urlò coprendosi gli occhi e correndo subito a casa, ma si ritrovò proprio davanti alla preghiera di San Francesco che prese a vomitare lettere minacciose che gli riempirono gli occhi; a furia di fendenti menati senza vedere assolutamente niente perché aveva chiuso ancora le palpebre, in pochi secondi buttò all’aria le vite dei santi che erano state di sua madre, i gialli tascabili e tutti i libri che aveva raccolto nel corso di una vita.

Ansimando penosamente, si fermò per riprendere fiato. Non aveva senso quel che stava facendo, perché le lettere non erano solo sui libri, erano dappertutto a perseguitarlo: sui tubetti del dentifricio, sulle etichette delle scatole dei vestiti e non poteva certo demolire la casa perché qualche maledetta sarebbe sempre sfuggita al suo controllo. Riprese la padronanza di se stesso con immensa fatica e ristette a meditare per qualche secondo sul da farsi; si avviò poi verso il telefono e cercò di comporre a tentoni il numero del Dottor Botero, contando con le dita i fori del disco di plastica e sempre impedendosi la visuale con il palmo della mano premuto sulle palpebre, troppo terrorizzato per rischiare, preferendo il buio all’orrore della conoscenza.

“Rispondi, per la miseria, rispondi Fernando” ringhiò mentre il telefono senza che dall’altra parte ci fossero cenni di vita.

Una volta, due volte, tre, quattro. Pedro cominciò a sentirsi sempre più smarrito e strinse convulsamente la cornetta, come se da essa dipendesse la sua intera vita.

Suona, maledetto aggeggio! Tira su la cornetta, medicastro da strapazzo!

“Pronto?” rispose una voce parecchio scocciata.

“Fernando, sono Pedro!”

“Ero con la mia signora, sangre de Dios! Cosa diavolo vuoi a quest’ora di mattina?”

“Fernando, ho bisogno…”

“Ti ho visitato ieri ed andava tutto bene, sei sano come un pesce.”

“Sì, lo so, ma…” respirò profondamente. “Ho bisogno di un permesso di malattia a tempo indeterminato.”

Dall’altra parte un sospiro, poi le parole: “Ed io cosa ci guadagno, Pedrito?” una voce dolce, insinuante. Allora quello che si diceva alle spalle di Botero era vero.

“Ti pagherò… giuro, ti pagherò!”

“Quanto, Pedrito?”

“Dimmi tu, Fernando, io non…”

“Un milione o non se ne fa niente.”

“Un milione? Va bene, va bene. Manda subito il permesso nel mio ufficio all’attenzione del signor Benitez. Subito, per il cielo!”

“Non ho capito che fr…”

“Subito, Fernando!” implorò Pedro e sbatté giù la cornetta con forza tale che rimbalzò sul gancio.

Dall’altra parte, Botero rimase perplesso davanti all’apparecchio. Strano, strano davvero: non aveva mai sentito Carillo tanto terrorizzato. Riappese, scrisse il permesso e ritornò dalla moglie.

Qualche ora dopo, Benitez lesse la missiva del medico con aria perplessa ed annuì. Anche lui si dimenticò di Pedro Carrillo forse due minuti dopo aver letto la lettera: dopotutto, il figlio di sua sorella aveva bisogno di lavorare.

§

Meno male, era riuscito a convincere Botero… ed ora era a posto.

Quasi a posto. Aveva sgombrato la cucina da tutti gli oggetti che potessero recare delle scritte, protetto da un berretto di alpaca che però lo aveva fatto sudare come un maiale. La situazione era di certo peggiorata, perché oltre al luogo, ora le lettere gli dicevano anche la causa di morte di quei disgraziati, che era anche peggio, perché Pedro era sempre stata una persona piuttosto impressionabile ed i gialli che leggeva erano quelli di tipo psicologico, quelli di Miss Marple ed Hercule Poirot, nei quali il sangue c’era, ma non si vedeva mai.

Doveva assolutamente uscire per procurarsi quanto gli necessitava per tirare avanti senza dover più lasciare casa sua, neanche per un attimo. Cercò di richiamare alla mente i percorsi che portavano ai vari negozi di alimentari della zona e ricordare quello più breve e sgombro da cartelli, edicole, librerie e quant’altro, ma la memoria lo tradì. Avrebbe potuto consultare una cartina, ma aveva troppa paura delle conseguenze: erano carta stampata, per cui pericolosa e lui non ne voleva più sapere di morti ammazzati. Non era cosa che lo riguardasse.

Decise di uscire verso il crepuscolo: forse il buio avrebbe fatto sparire quei sintomi pazzeschi.

La giornata passò lenta, Pedro in preda alla crescente paura che il momento di fare acquisti arrivasse. Ogni secondo, ogni attimo ed ogni respiro erano concentrati sui minuti che scorrevano incessantemente – sempre troppo veloci o troppo lenti -, sui rintocchi del pendolo che gli ricordava che era quasi ora, che avrebbe dovuto rituffarsi nel mondo rischiando un altro attacco, senza poter far niente per impedirlo. Non sapeva se sperare che il tempo si fermasse o che passasse più in fretta, in uno stato di incertezza sconvolgente.

E venne il crepuscolo, mentre Pedro pensava: “Ancora un secondo. Esco, certamente, ma non subito. Non è ancora il momento giusto. Devo attendere l’ora più adatta.”

Ma non poteva più rimandare. Si alzò stancamente dalla sedia e cercò di vincere la sua paura. Non ce la fece e ricadde seduto, nascose il volto tra le mani e pianse tutto il suo scoramento.

Se solo ci fosse stata sua madre! Ma era solo e non c’era proprio nessuno che potesse aiutarlo.

Si addormentò ancora una volta fuori dal suo letto, la testa appoggiata alle braccia incrociate sul tavolo della cucina.

* * *

Pedro si trovava ancora a Cala Maldida, il cadavere di Ernesto Santander ancora accanto a lui e non c’erano vie di fuga: i massi erano troppo alti e scoscesi perché lui potesse andarsene. Sì, era in trappola! Il cielo era di un colore nero, minaccioso, e la risacca del mare stranamente non faceva alcun rumore. Sembrava il mondo si fosse fermato e stesse guardando lui e quei poveri resti. Un ronzio, dapprima flebile, poi sempre più distinto e vicino. Ora il cielo si stava oscurando e Pedro non capiva, non capiva quel rumore, quell’orizzonte che si ottenebrava sempre di più.

Ora il ronzio era diventato assordante e, sgomento, vide milioni di enormi mosche posarsi sul cadavere di Santander.

Lo fecero a pezzi, senza che potesse impedirlo. Pedro, invaso dal terrore, si era nascosto dietro ad un masso ed osservava quella macabra scena da poco lontano. Il mare aveva ricominciato a sciabordare rumorosamente sugli scogli, ma non copriva il frastuono del festino delle mosche.

Di Ernesto Santander non ne rimasero che i vestiti e l’anello e Pedro sperò che quelle bestiacce se ne andassero in fretta.

Ma il suo desiderio non venne esaudito perché lentamente, quasi con indolenza, le mosche lo circondarono. Erano ancora sporche del sangue del suo ex principale. In un attimo furono su di lui e…

“Ahhhhhh!”

Si svegliò di soprassalto urlando, in un bagno di sudore, il collo indolenzito per la posizione innaturale, le pulsazioni impazzite e la paura folle ancora addosso.

Cosa poteva fare? Quando si fu calmato un po’ e si ricordò cosa avesse stabilito di fare la sera prima, decise che non poteva più rimandare. Sbirciò fuori dalla finestra: il cielo era ancora scuro.

Poteva andare al mercato: là cominciavano prestissimo.

Uscì correndo, senza curarsi del suo aspetto stravolto e degli abiti spiegazzati e macchiati di sudore.

Era ancora buio, ma non volle rischiare: corse con gli occhi puntati a terra, sbattendo contro le poche persone già in strada, contro i lampioni, contro i bidoni della spazzatura e finendo a terra un paio di volte. Ma non importava, non importava.

Arrivò al mercato semideserto. Senza far caso a quello che raccattava perché teneva gli occhi al suolo, infilò bracciate di cibo nelle borse che si era portato appresso.

Fece in fretta, il portafoglio più leggero e le sporte molto più pesanti. Faticosamente tornò sui suoi passi, felice di essere riuscito ad evitare le lettere e le notizie di morti violente che esse recavano.

Sentì accanto a sé la presenza di altra gente, persone che bisbigliavano, emettendo un ronzio che gli ricordava tanto, troppo quello delle mosche che aveva visto in sogno.

Il ronzio sempre più vicino, lo udiva avvicinarsi sempre di più.

Una mano sulla spalla lo fece trasalire.

Odio essere toccato.

“Signore… mi ha detto Alberta che mi può aiutare a trovare dove hanno portato mio figlio”.

Vecchia pettegola, mai che tenga chiuso il becco.

“Mi spiace, signora, io non so niente.”

Le dita si contrassero sul suo braccio, la voce della donna si fece stridula: “Non è vero! Alberta non mente mai. Dimmelo dove lo hanno portato!”

A tentoni, Pedro raggiunse le dita della donna e le staccò da sé con un’espressione schifata.

“Signora, le ho detto che non posso far niente per lei.”

Un’altra donna si accostò a quella che aveva parlato.

“Rosita, te lo aveva detto Alberta che questo è un bastardo. Lavora alla censura, lo sai”

Scalpiccii di passi frettolosi che si avvicinavano velocemente.

In un attimo, Pedro venne circondato, proprio come avevano fatto le mosche in sogno.

Si sentì come un animale braccato da luridi esseri inferiori.

Dalle voci, Pedro capì che erano donne, donne arrabbiate che urlavano come delle ossesse, ma non capiva cosa stessero dicendo. Il terrore lo ghermì come una morsa: lo avrebbero forse fatto a pezzi, come nel sogno? Inchiodato al suolo dalla paura ed incapace di reagire.

“Dimmelo! Dimmelo dove hanno nascosto mio figlio! Dove lo hanno portato, cosa gli hanno fatto!”

Pedro teneva gli occhi ostinatamente serrati. Le borse si erano aperte ed il loro contenuto si era sparso sull’asfalto. “Dove lo hanno portato! Dimmelo!”

“E’ ancora vivo? Devo saperlo!”

“Diglielo! E dimmi dov’è la mia Margarita!” un altro strillo ad uccidergli i timpani.

Non aveva spazio per respirare, le Madri erano troppo vicine.

Avvertiva il puzzo del loro sudore provocato dagli abiti di nylon, i loro capelli gli piovevano sul viso.

“Voglio saperlo! Cosa è successo al mio povero ragazzo?”

Pedro aveva preso a singhiozzare, mentre le Madri, non sapeva quante fossero, lo spintonavano avanti ed indietro e cercavano di fargli aprire gli occhi. “Signore, vi prego, vi scongiuro! Io non lo so, non ve lo posso dire!”

Non toccatemi, non toccatemi, non tocc…

“Menti! Tu menti! Tu sai se è successo qualcosa ai nostri figli! Ce lo devi dire!”

E pugni, calci, mentre lui si lamentava debolmente e cercava di portare le mani alle palpebre.

“Mio figlio si chiama Malachia De la Rocha! Dov’è?”

“Non lo so, signora, la scongiuro, io…”

“Piangi come un vitello mentre mia figlia è nascosta chissà dove! Parla!”

“Dove hanno portato Estrella Bernal? E’ incinta di sette mesi! Dimmi se hanno fatto qualcosa al bambino! Apri quegli occhi, vigliacco!”

Qualcuno lo prese per i capelli e lo costrinse a sollevare le palpebre, mentre qualcun altro gli schiacciava in viso una rivista qualunque ed il suo campo visivo ancora una volta si riempiva di alfabeti che schizzavano da ogni parte.

Lui piangeva, le Madri piangevano: lui di paura, loro di rabbia. Finalmente, Pedro trovò la forza di alzarsi e riuscì a liberarsi a furia di pugni, calci e graffi e morsi, correndo via, incespicando in ogni passo come fosse ubriaco. Le lettere avevano cominciato a cadergli addosso, quasi come se tutte quelle che era riuscito ad evitare si fossero tenute da parte per azzannarlo al momento giusto e vomitare su di lui tutto il loro orrore.

Nomi, nomi, morti, sangue, violenza, scariche elettriche, torture inimmaginabili, trattamenti disumani, cadaveri scaricati in mare, cause di morte spaventose si mescolarono in un groviglio inestricabile e macabro che dalle sue pupille corse fulmineo al suo cervello.

Pedro si fermò in mezzo alla strada, cominciando ad urlare come un ossesso e stringendosi la testa fra le mani, come se quel gesto potesse far finire quel macello.

Invano.

Braccia misericordiose lo portarono sul marciapiede, voci pietose gli chiesero cosa stesse succedendo, ma lui si divincolò e scappò via, verso casa.

Entrò barcollando e si lasciò cadere sul divano, esausto. L’orrore era entrato nella sua vita, Pedro lo avvertiva quasi fosse una presenza fisica costante accanto a sé:

Aveva deciso: non sarebbe più uscito da lì e si sarebbe nutrito dei frutti del suo orto. Era troppo, la sua mente non avrebbe certamente retto ad un altro attacco del genere.

Si alzò e cominciò a frugare nel cassetto nel quale sua madre teneva i rimasugli delle stoffe. Trovò un quadrato di cotone di colore nero, lo ripiegò parecchie volte e si bendò gli occhi, mentre la tranquillità misericordiosa scese su di lui: dopo essersi sdraiato ancora sul divano, si addormentò.

Si svegliò di soprassalto qualche minuto dopo al suono impazzito del telefono.

Si alzò ancora tutto scombussolato dal sonno e raggiunse l’apparecchio a tentoni. Tenne la mano appoggiata alla cornetta per qualche secondo, indeciso se rispondere o meno. Poteva essere qualcuno dall’ufficio, per cui si portò il microfono alla bocca: “Pronto?”

“Dove è andato a finire mio fi…”

Pedro riattaccò con gesto violento, per poi ricominciare a tremare come una foglia, le ginocchia che lo reggevano a malapena. “Perché non mi lasciate in pace? Voglio stare tranquillo” chinandosi, raggiunse a tentoni l’attacco, lo strappò via dalla sua presa e gettò il telefono in un angolo un secondo dopo che questo aveva preso a trillare ancora. Stancamente, uscì nell’orto e si lasciò cadere su un gradino di pietra. Non aveva corso, ma aveva il fiato grosso. Si levò la benda e fissò il sole che era ormai alto nel cielo ed i suoi occhi lacrimarono per la troppa luce.

Non avrebbe più dovuto vedere nessuno, incontrare anima viva e scambiare convenevoli con altri esseri viventi. Se questo era il prezzo per non essere più disturbato da quelle maledette lettere, lo avrebbe pagato volentieri.

Aveva ancora il cuore che pulsava forte nel petto e respirò a fondo, grato del pericolo scampato, una mano sul torace per riportare il battito alla normalità.

I suoi sensi avvertirono qualcosa: un rumore.

Sobbalzò.

Qualcosa era caduto per terra.

Si rimise la benda sugli occhi e rientrò in casa.

Un altro rumore.

La sedia spostata.

“C’è…” paura… “C’è qualcuno?”

Muscoli irrigiditi, sensi all’erta, sensazione strana alla bocca dello stomaco.

Nessuna risposta, ma il suono di dita tamburellate sul tavolo.

Sangue gelato nelle vene.

Inchiodato sul posto, Pedro non si muoveva.

Un calcio sul polpaccio lo fece rovinare a terra.

“Chi siete? Cosa volete?” Pedro fece per rialzarsi, ma uno spintone lo rimandò sul pavimento.

Una voce di donna.

“Se vuoi saperlo, togliti quella benda”

L’aveva già sentita quella mattina, quella voce.

“Se ne vada, è reato entrare nelle case della gente.”

“Sapessi quante cose sono reato e non succede niente.”

La voce si avvicinò: “Lo sai che non succede niente?” urlò disperata, piena d’ira.

Pedro non capiva. Scosse il capo.

“Non succede niente perché ci sono i codardi come te che non si oppongono. Tu sai cosa hanno fatto a mio figlio!”

“No! Non lo so!”

“Se strappi via quella benda, lo saprai!”

Pedro avvertì le mani che si avvicinavano ai suoi occhi.

“NO!” scattò in piedi. “Non lo posso fare! E non serve a niente!”

“Io voglio poter seppellire un cadavere! Non lo capisci, idiota vigliacco?”

Ancora le dita di quella disgraziata su di sé. “Vattene! Toglimi le mani di dosso!”

Odiava che la gente lo toccasse!

“Lo farò quando…”

Un colpo sulle mani per allontanarla.

Un altro.

Ed un altro ancora: “Ho detto che te ne devi andare!”

Non poteva scappare, non poteva farlo, bendato com’era.

O lei o le lettere. Lei era il meno peggio.

“Te lo scordi!”

“Toglimi le mani di dosso, ho detto!” si divincolò e cercò di afferrare la donna per un braccio per buttarla fuori. Ce la fece, ma lei con la mano libera gli strappò la benda dagli occhi.

E fu la fine: tutte le lettere che aveva evitato, gli caddero addosso come una pioggia battente, con la violenza di un uragano.

Ramon

“Puttana! Che hai fatto!”

Rua de la Concha.

“Cosa è gli è successo?”

Torturato a morte

La testa gli scoppiava.

Honorio Lacanta

Dolore lancinante

Bar della Escuela

“Dimmelo! Devo saperlo!”

Flussi di lettere ininterrotti si univano nella sua testa.

Morti, morti ammazzati, violentati, torturati, uccisi senza pietà.

“Che ti prende ora?”

Pedro era finito sul pavimento, piangeva disperatamente e cercava di difendersi.

Le parole, non erano più rassicuranti: erano diventate portatrici di morte e di terrore tremendo.

“No, lasciatemi in pace, io non c’entro” si lamentava.

“Alzati, non fare il bambino!”

Lei lo prese per un braccio.

Rosita Riu

“Me lo dirai, come è vero che mi chiamo Rosita Riu!” Uno strattone, una spinta e la donna cadde a terra battendo la testa contro uno spigolo e rimase immobile.

E’ stato Pedro

Cosa aveva fatto?

Le aveva fatto battere la testa.

Pedro è un assassino!

Ed il flusso continuava.

Ernestina, Paula, Roberto, Rinaldo, José, Floriano.

E peggiorava sempre di più, unendosi al dolore lancinante che sentiva dentro di sé per essere diventato un assassino.

Fucilato, accoltellato, gettato in mare, mutilato, dissanguato, stuprato, finito.

Doveva finire, quella tortura.

Anche tu sei un assassino!

Ora piangeva, nella cucina che era stata di sua madre, le mani appoggiate al banco di lavoro, la testa incassata tra le spalle mentre sudava di una traspirazione innaturale, che puzzava di puro terrore.

Il suo sguardo si posò su un oggetto a lui familiare.

Il coltello da cucina di sua madre.

Un’idea…

Un’idea folle, ma forse poteva funzionare.

Dopotutto, è necessario fare qualche sacrificio. Per un bene più grande.

Erano le parole che sua madre gli aveva ripetuto per tutta la sua infanzia.

Sì!

”Un sacrificio, per un bene più grande.” Canterellò, ormai impazzito.

Una risata stridula strozzata in gola e di scatto afferrò il coltello, studiando il metallo lucente, Lo sollevò e lo puntò contro la pupilla.

Se non avesse più avuto la vista, forse…

Per un bene più grande, Pedro…

E la sua mano scese e con essa la lama.

Spinta in profondità, un urlo lancinante e sangue, sangue dappertutto.

Ancora la lama calò e fu ancora dolore, rosso e vivido, da spaccargli il cranio.

Urla come quelle dei maiali al macello.

L’ultima cosa che Pedrò fu in grado di vedere furono, ancora, quelle lettere:

Pedro Carrillo. Arteria recis…

Fine

* * *

Mille ringraziamenti a MaxTM per il beta, a Lele e a tutti coloro che hanno letto ed apprezzato questa storia.

Ma in particolare:

IceWarrior: Caspita, mi hai beccata anche in questa sezione… Ti ringrazio tantissimo per i tuoi complimenti. Sono felice che anche questo esperimento ti sia piaciuto.

Elfie cara: Amore mio caro, non ti dico niente, ma solo aspetta tre settimane che ti strapazzo come meriti. Baciotto.

Bradamante: Eh, cara, dovevo pur ovviare con qualcosa alla mia clamorosa ignoranza sul genere horror. E’ vero, comunque, il vero orrore è quello che si compie su un proprio simile… ed anche il peggiore. Grazie!

   
 
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