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Autore: Earine    29/01/2008    5 recensioni
Trovatemi un motivo valido per far mettere la Cuddy in jeans senza che House commenti troppo, e avrete questa.
Storia partecipante al concorso "La Cuddy in jeans", indetto dal forum "We ship House/Cuddy".
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, Lisa Cuddy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Cuddling the Boss



C'era qualcosa di magico nella neve. Lo pensava da quando era piccola e, negli anni, questa convinzione non era cambiata. Nonostante ora la neve significasse per lei soprattutto ambulatori affollati da nasi colanti e distorsioni; non poteva non sorridere, mentre camminava attraverso il parcheggio, verso la porta dell'ospedale. Il suo ospedale.

Non si era neppure coperta molto, in effetti, per sentire il freddo accarezzarla.

E poi aveva un meeting con un grosso finanziatore, quel pomeriggio e sapeva per esperienza che due gambe appena velate, spesso, funzionano più di qualsiasi lucido illustrativo.


I fiocchi disegnavano piccoli ricami subito sciolti sul suo soprabito rosso e contrastavano piacevolmente con i suoi capelli scuri. Non che ci fosse alcun bisogno di farglielo sapere, si disse lui, appoggiato alla portiera della sua auto, mentre l' aspettava. Non avrebbe perso per nessun motivo al mondo l'opportunità di stuzzicarla, doveva cominciare bene la giornata.

Quando fu quasi giunta alla sua altezza, esitò solo per un momento, perché lei stava sorridendo e molto, anche. Probabilmente il sorriso più ampio che le avesse mai visto, una di quelle cose che gli ricordava con precisione come fosse arrivato a chiamarla “raggio di sole”. Sorriso che si chiuse all'istante, quando lo notò.

Lisa si ricompose.

Lui increspò le labbra in una smorfia scettica: “Guarda che se te ne vai in giro a gennaio senza ombrello e quella gonna indecentemente corta ti prenderai qualcosa. Non che io ti preferisca vestita da madre badessa, ma non mi va di trovarti fuori dalla porta del mio ambulatorio...”

“Come se tu lo facessi davvero, il turno in ambulatorio... sai, una volta un dottore mi aveva parlato di influenza, o qualcosa di simile, ma era così antipatico che ho preferito non ascoltarlo.”

House non replicò, mentre le loro strade si dividevano davanti alla porta del suo ufficio.

Lisa appese il cappotto bagnato accanto al calorifero, ed uscì di nuovo a prendere un caffè scuro.

Per un momento si vide riflessa nella grande vetrata di fronte, con le guance colorate dal freddo e gli occhi brillanti, e si rifiutò di credere che House che si preoccupava per lei tentando di non darlo a vedere, ne fosse la causa.


Il caffè sembrava non averle dato la carica, quella mattina. Aveva sistemato i documenti per il pomeriggio, aveva controllato le ultime richieste di esame, ed ora sarebbe toccate al consueto giro di controllo per l'ospedale. Ma non le andava di alzarsi, si sentiva stanca, e la testa le pulsava debolmente.

Si passò una mano sulla fronte, cercando di ignorare i brividi che le correvano lungo il corpo.

Non poteva avere ragione lui, dopotutto.

Non poteva, giusto?

Frugò nel terzo cassetto della scrivania, cercando un termometro. Si concesse il lusso di chiudere gli occhi ed appoggiarsi allo schienale della sedia, mentre attendeva paziente che la colonnina di mercurio si fermasse.

La tacchetta che segnava il 99.5 F (* equivalente a 37.5 C) della sua temperatura corporea si meritò un'occhiataccia.

Ma, tutto sommato, non era così grave. Sarebbe passato da solo nel corso della mattinata stando al caldo, senza dubbio.

Tentò di riprendere il lavoro, ma sapeva già che non sarebbe riuscita a concentrarsi molto. Aveva intuito una sagoma famigliare avvicinarsi alla porta del suo studio.

Che, regolarmente, si spalancò, lasciando entrare i suoi passi irregolari. Lisa non alzò gli occhi dai documenti sulla scrivania.

“Sei in ritardo. A quest'ora avresti dovuto venire a controllare se stavo visitando i signori Naso Colante in qualche ambulatorio dimenticato da Dio.”

“Mi sembrava superfluo, dato che, se sei qui a scocciare me, è evidente che non stai facendo quello che dovresti.”

La voce risultò un po' arrochita, nonostante avesse cercato di metterci tutta l'energia che aveva.

“Ah, ma scocciare te è esattamente quello che io devo fare. E' terapeutico, secondo il mio analista. E chi sono io per confutare gli ordini della scienza?”

Lei preferì un dignitoso silenzio, così gli diede il tempo di avvicinarsi di qualche passo e sedersi sulla poltroncina che fronteggiava la sua.

“Non stai bene.”

“E tu non stai lavorando. Non ho assolutamente nulla, House.” Non poteva dargliela vinta di nuovo...

“Vediamo: occhi lucidi, guance rosse, respiro affannoso... O hai la febbre o io ti eccito.”

Suo malgrado spostò la sua attenzione verso di lui, tanto per riservargli uno sguardo al vetriolo.

“Stai tremando.”

“Sto bene.”

“E allora dimostramelo! Provati la febbre.”

L'omino sadico nella sua testa si fregò le mani. Fregata, fregata...

“House...”

“Cos'è, non dirmi che hai paura di un innocente termometro! Guarda che non parlavo di misurazione rettale!”

“Ho solo preso un po' di freddo. Ora mi copro, prendo del paracetamolo e poi passerà tutto.”

“Essenzialmente sono d'accordo con te. Due soli punti non mi vedono favorevole. Innanzi tutto, con cosa diavolo credi di coprirti? Hai una pigiama di pile in quella borsetta da Mary Poppins? E poi, dopo aver preso il paracetamolo, ti sdraierai nel tuo letto. A casa tua. E domani sarai sufficientemente in forma per lamentarti di quanto le cose vadano male in quest'ospedale quando tu non ci sei per mezza giornata.”

“Non posso. Oggi pomeriggio ho un incontro con un multimilardario il cui padre è stato curato in quest'ospedale e che ha intenzione di donarci abbastanza fondi da pagare gli avvocati necessari a difenderci nelle cause intentate contro di te.”

“Oh, adesso non cercare di instillarmi un malsano senso di colpa facendomi credere che lo fai per me...”

“Non preoccuparti, so che il gene del senso di colpa ti si è atrofizzato molti anni fa.”

“Va' a casa, Cuddy. Le tue battute peggiorano, quando stai male...”

Lisa scosse la testa, ostinata, e tentò di riprendere a a lavorare. House fece un sospiro di ostentata esasperazione, si alzò ed uscì dal suo ufficio, ma solo per farvi capolino cinque minuti più tardi, con un flaconcino azzurro, una bottiglia d'acqua ed un termometro.


“No.” fece lei, senza nemmeno alzare gli occhi dal computer.

“Ed invece sì.”

“Sono ancora io il capo, qui dentro, o no?!”

Lui contorse la faccia in una smorfia comica.

“Come?! Il capo è una donna?! Oddio!”

Vedendo che lei non reagiva alle sue provocazioni, le si piazzò di fronte.

“Se un paziente si rifiutasse di essere visitato, tu cosa faresti?”

“Io non sono tua paziente, chiaro?”

Hose fece finta di pensarci.

“Mmh... No.” E si sporse oltre il su braccio, spense il monitor del pc e le mise in mano il termometro.

“Su.”

Controvoglia, Lisa misurò la febbre, attendendo nel più completo silenzio che passassero i tre minuti.

Quando lesse 102.2 F (*¹39 C), si spaventò un poco. Non credeva fosse salita così tanto.

House si fece passare il termometro, e le piazzò davanti le pastiglie con un bicchiere pieno d'acqua. “Prendine due, mettiti qualcosa di caldo e sdraiati.”

Di nuovo, stranamente docile, Lisa mandò giù la medicina.

“Non ho nulla da mettermi, però.”

“Santo cielo, te ne vai in giro con una borsa che potrebbe contenere un elefante e non hai un paio di pantaloni di scorta?! E va bene” Concesse, in tono rassegnato: “Puoi mettere i miei jeans.”

“E tu cosa fai, metti la mia gonna? Oppure preferisci uscire dal mio ufficio in mutande? Secondo me girano già abbastanza storie strane su di noi...”

“Ti assicuro che sono lieto di averne messo in giro la maggior parte. Ma non preoccuparti, ho un paio di pantaloni più comodi per quando fa così freddo e la gamba fa male.”

Non voglio andare in giro con i tuoi jeans addosso...” Protestò debolmente.

“Non essere ridicola. Non saresti comunque in grado di andare da nessuna parte.”

Lisa mormorò una protesta, ma era davvero troppo debole per rifiutare qualsiasi cosa. Confusamente, vide House uscire dalla stanza e farvi ritorno dopo quelle che potevano essere anche ore, con indosso i pantaloni di una tuta ed in mano quelli che indossava poco prima.

Glieli prese, senza alzarsi dalla sedia. “Adesso esci, così mi cambio.”

“No, voglio restare a sorreggerti nel caso ti sentissi troppo male!” Professò lui, solenne “E poi, cosa vedrei che non ho già visto?”

L'occhiataccia che seguì risultò meno efficace di quanto avesse voluto.

“Esci di qui.”

Lui sorrise, serafico: “Costringimi.”

Se solo il mondo non si fosse messo a girare a quella velocità l'avrebbe senz'altro fatto, ma così riuscì solo a farlo voltare, mentre sfilava la gonna e le autoreggenti e metteva i jeans. Le stavano tremendamente larghi, aveva l'impressione che con un movimento troppo brusco sarebbero caduti rovinosamente. Per fortuna riusciva a mala pena a stare in piedi.

House non commentò, mentre le passava un braccio attorno alle spalle, e l'aiutava a sdraiarsi sul divanetto dell'ufficio. Si sarebbe stupita della mancanza di battutine da parte sua, se ne avesse avuto la forza, ma così si limitò a sistemarsi rabbrividendo, e chiuse gli occhi, mentre lui usciva di nuovo dalla stanza senza una parola. Sperava che non la lasciasse lì. Era un pensiero sciocco, lo sapeva, lui doveva tornare a lavorare, ma, in un modo contorto, lo voleva vicino. Si stava assopendo, quando sentì qualcosa di morbido posarsi su di lei. Una coperta.

“Perché stai facendo questo?” Le parole uscirono con fatica sorprendente.

Greg le parve a disagio, ma il tono della sua voce rimase arrogante. “Perché tu sei malata, ed io sono un dottore. Ed è questo che fanno, i dottori, sai? Curano i malati.”

Abbozzò un sorriso, anche se lei non poteva vederlo: “E' il mio dovere.”

Lei non riuscì nemmeno a rispondergli per le rime, perché il sonno stava prendendo il sopravvento ed era molto bello, nonostante tutto, sentire la sua voce che si dissolveva, mentre, per un folle attimo, aveva l'impressione che lui le stesse rimboccando la coperta.


Greg non era sicuro di quello che stava facendo. Si rendeva conto che, ad un osservatore casuale, avrebbe potuto apparire un bel gesto, una cosa persino romantica.

In realtà, ovviamente, si trovava lì perché era un posto caldo e tranquillo, e poteva fare quello che gli pareva. E non aveva pranzato con Wilson perché aveva già controllato il suo pranzo, e sembrava perfino meno allettante dei pasti della mensa. E poi, sai che soddisfazione poter dire di essere stato nell'ufficio del capo a fare di tutto mentre lei dormiva... Non che stesse facendo molto, in effetti. Se ne stava solo seduto, di fronte a lei, a guardare il suo profilo che si alzava e abbassava lentamente al ritmo regolare del respiro. E non era una cosa tanto comune, per lui. Soprattutto se pensava a cosa gli sarebbe piaciuto farle su quel divano...

Anche con i suoi jeans di almeno tre taglie più grandi, che la infagottavano completamente, nascondendo tutto quello che veniva accuratamente mostrato dalle suo solite gonnelline insignificanti, che, per inciso, adorava. Non si ricordava di preciso cosa fosse, la tenerezza, ma se fosse stato appena più stupido, avrebbe giurato che fosse quel qualcosa che l'aveva invaso mentre l'aiutava a sistemarsi. Mentre la guardava, così insospettabilmente fragile, al di là di tutto.

Oh, insomma. Qualsiasi cosa stesse facendo, un fatto era certo: non stava aspettando che si svegliasse per vedere come stava. Non voleva proprio sentirla strepitare che era in ritardo per qualsiasi dannata cosa dovesse fare. In effetti, non ci sarebbe stata nessun'altra ragione plausibile, se non quella di lasciarla dormire, perché lui appoggiasse le sue labbra sulla sua fronte, per provare la febbre.

Gli restavano solo le ragioni non-plausibili, ma quelle era meglio riservarle alle notti in cui non riusciva a dormire.

Lisa era fresca, e il profumo dei suoi capelli gli invase le narici, suo malgrado. E poi il cervello, e tutto il resto. Lo lasciò fare, per un attimo, glielo lasciava sempre fare, prima di riprendere il controllo. Poi, beh, c'era la consistenza della sua pelle sotto le sue labbra. House sorrise, e fu un sorriso vero, perché non ricordava nessuna sensazione più bella di quella, ma riuscì comunque a staccarsi prima che il tutto iniziasse ad assomigliare ad un bacio vero.

Lisa si mosse, e gli angoli delle labbra le si piegarono all'insu.

Non si concesse di indugiare ancora, e scivolò fuori dalla stanza, mentre lei si svegliava.


La testa non pulsava più così crudelmente, ma si sentiva un po' intontita. Le tapparelle erano socchiuse, e una luce azzurra illuminava la coperta che la copriva. La coperta. Lisa chiuse gli occhi, e cercò di ricostruire con precisione cosa fosse successo, e cosa, invece, fosse frutto della sua immaginazione.

Con ordine. Si era sentita male, e House l'aveva costretta a prendere dell'aspirina e a sdraiarsi. E poi? Blackout-out. Si era certamente addormentata, ma quanto aveva dormito? Oddio, la riunione!

Lisa scattò in piedi, oscillando a causa della testa ancora un po' offuscata, e tentò di svegliarsi del tutto. L'orologio... ancora un'ora. Grazie al cielo, aveva ancora un'ora per sistemarsi.

Per fortuna era già quasi pronta... un ultimo controllo trucco e calze, alla ricerca di eventuali sm...

Jeans.

Indossava dei jeans.

Dei jeans enormi, evidentemente non suoi, e non aveva la più pallida idea di chi appart...

House!

House... le aveva prestato i suoi jeans. Le aveva messo addosso una coperta. Ed era stata con lei, mentre dormiva. Ma, probabilmente, anzi, sicuramente, questo l'aveva solo sognato.

Si cambiò e piegò i pantaloni sulla spalliera della sedia, lisciandoli con un sorriso.

Il telefono squillò, facendola trasalire.

“Pronto? Ah, salve... Sì, certo, tra un'ora... Come? Mi spiace veramente molto! No, certo che non sono troppo impegnata, se desidera possiamo fissare un appuntamento per settimana prossima... Sempre che il clima ci arrida! D'accordo, arrivederla.”

Riattaccò, e si lasciò scappare un sospiro di sollievo. Certo, se avesse saputo prima che l'aereo del finanziatore sarebbe stato cancellato per maltempo, se ne sarebbe andata a casa, a godersi un'immeritata influenza, ma era comunque sollevata al pensiero di poterlo fare ora. Se se ne fosse andata prima, dopotutto, non avrebbe avuto l'occasione di vedere House comportarsi in quel modo.

Non si permise di arrossire, mentre riprendeva in mano i pantaloni e accarezzava la stoffa ruvida, che però l'aveva scaldata e protetta, a modo suo.

House aveva un modo brusco e impacciato di prendersi cura degli altri, lo sapeva da sempre, per questo i suoi rari gesti gentili erano tanto più preziosi...

Negli anni aveva saputo raccoglierli e custodirli in un angolino di sé che, a poco a poco, aveva iniziato ad occupare sempre maggiore spazio. Fino al punto di non poterlo più mandare via dalla sua mente, perché era sempre con lei, mentre lavorava, a casa, persino mentre sognava.

Non era facile essere innamorata di lui, ma non poteva farci niente, sebbene in passato ci avesse provato e con molta convinzione, anche. Era una cosa con la quale aveva imparato a convivere, e adesso faceva parte di lei. Non era certa che lui lo sapesse, lei di certo non gliel'aveva mai detto, ed era ancora meno sicura di cosa provasse lui, per questo preferiva far finta di niente: era molto più pratico per tutti. Le faceva paura leggere le implicazioni dei suoi gesti, quindi era meglio uscire dall'ospedale senza dir niente a nessuno, tornarsene a casa e dormirci sopra.


La mattina seguente non nevicava più, ma il mondo era coperto da una coltre bianca e soffice, oltre la finestra alle sue spalle.

Lisa odiava farlo, ma non riusciva proprio a concentrarsi, così faceva solo finta di lavorare, mentre aspettava e una sottile inquietudine si sistemava all'altezza del suo stomaco.

E il rumore di passi irregolari non si fece attendere, mentre la porta veniva spalancata senza tante cerimonie.

“Allora, come sta la mia paziente preferita?” Nonostante la gentilezza delle parole, il tono metteva bene in chiaro che si trattava di una frase ironica.

“Mi sembrava di averti già detto che io non sono una tua paziente.”

“No, è vero, ma resti la mia preferita.” Asserì, mentre le si sedeva di fronte. “Comunque, mi sembra che il livello della tua acidità sia tornato a livelli ottimali, quindi direi che stai bene.”

“Ottima diagnosi, House, ora mi ricordo perché ti pago tanto.”

“Ah, ma come siamo simpatiche questa mattina, Cuddles! Ed io che sono stato anche così gentile e mi sono preoccupato per te...”

Se lo fece sfuggire, e pregò che lei fosse abbastanza sensibile, o spaventata, a scelta, da non chiedergli il perché l'avesse fatto, dato che non ne aveva la più pallida idea nemmeno lui. O, se ce l'aveva, avrebbe preferito non avercela. Ed infatti lei incassò meravigliosamente lo stupore, e seppe far finta di nulla.

“Hai ragione...” Ammise infine, con un piccolo sorriso. “Ecco, questi sono tuoi, puliti e stirati.” Greg prese il sacchetto che gli porgeva, e che conteneva i suoi jeans lindi e piegati.

“Avrei preferito le tue autoreggenti in allegato, ma comunque...”

Lisa trasalì: “House! Mi hai spiato mentre mi spogliavo! Ed io che mi sono fidata di te... mi hai presa in giro...”

Gregory, esasperato, le tappò la bocca con una mano: “Stavo scherzando, capo. Non potrei mai approfittare di te...” Fece, fintamente innocente.

“E comunque, questo è per te.”

Fece cadere un pacchetto, che Lisa prima non aveva notato, sulla scrivania e guardò altrove, cercando di non apparire a disagio.

Lei lo guardò, attonita: “Mi hai fatto... un regalo?”

“Se con 'regalo' intendi dire che sono andato a comprare una cosa senza metterla a carico delle spese dell'ospedale, l'ho messa in un sacchetto e la do a te, sì.”

Il suo tono era ancora più brusco, ed ora era palesemente imbarazzato. “Guarda che il sacchetto contiene anche qualche cosa, dovresti aprirlo, non fissarlo imbambolata...”

Il sorriso di Lisa fu ampio e incredibilmente luminoso, mentre scioglieva la chiusura ed estraeva della stoffa ruvida e azzurra...

E poi scoppiò a ridere, mentre spiegava i jeans e li voltava. House si sentì fastidiosamente sollevato nel constatare che le piacevano, come se davvero gliene importasse qualcosa.

Lisa passò le mani sui vistosi strappi nella stoffa, proprio sotto le natiche e sulle lettere che disegnavano la scritta: “BETTER ASS IN THE WORLD” e puntavano proprio lì, e scoppiò a ridere di nuovo, mentre lui la ascoltava con uno strano senso di piacere.

Lo guardò dritto negli occhi e lui seppe davvero perché lei sarebbe sempre rimasta un Raggio di Sole: per quel sorriso, mentre lo ringraziava.

“Grazie, House. Prendo la scritta come un complimento.”

“Lo è.”

“Lo so.”

E poi era decisamente ora di alzarsi e di andarsene, perché, altrimenti, lei lo avrebbe incantato del tutto e non lo voleva proprio. Anche se una parte di lui, perfino più insopportabile delle altre, che, grazie al cielo, di solito riusciva a tenere a bada, gli diceva di fermarsi ancora e di dirle altre parole inutili, Greg sapeva di non averne bisogno, perché lei lo avrebbe capito comunque.

Era così da sempre.

“Allora Cuddy” Fece, schiarendosi la voce ed alzandosi faticosamente “Conto che li indosserai per uno spettacolino privato, magari a casa mia questa sera, diciamo per le 21?”

Lisa inclinò leggermente la testa di lato, sempre sorridendo: “O magari il giorno in cui tu farai tutte le tue ore di ambulatorio con un camicie addosso.”

“Crudele.”

“Va' a lavorare!”

Era già sulla soglia, quando lo richiamò: “Di nuovo, grazie. Di tutto.”

Anche lui le sorrise, infine, con un espressione che raramente compariva sul suo viso.

“Anche tu l'avresti fatto, per me.” Ed era una delle sue poche certezze.

House aprì la porta ed uscì, ma, nel voltarsi per chiuderla, le rivolse un'ultima occhiata, piena di quello che avrebbe davvero potuto sembrarle... Ma House era House, quindi non era possibile. Ed infatti il momento svanì, improvviso com'era venuto e lui urlò, mentre si allontanava lungo il corridoio: “Non vedo l'ora di giocare di nuovo al dottore con te, Cuddy!”

E Lisa scoppiò a ridere ancora, felice.



Dall'autrice: Storia partecipante (e miracolosamente terza, dopo Vally e Gio, il che per me equivale ad un risultato a cui non avrei mai osato aspirare!) al concorso "La Cuddy in jeans" indetto dalla mia twin Mithril, sul forum "We ship House-Cuddy". (http://huddy.forumfree.net). E' stata buttata giù di corsa, (sì, per me tre mesi sono comunque pochi. T__T Lentezza cronica!) è stata corretta troppo poco, e qui, tanto per cambiare, mi rimetto al vostro buon cuore nella segnalazione degli errori... Ma mi ha divertito tantissimo scriverla, è stato liberatorio, soprattutto in zona esami.

Special thanks to: Mith, innanzi tutto, per il concorso. Le Huddies che mi hanno votata. :P Tutto l'adorato forummino in generale. Chi commentò le mie ultime su questi due. Grazie, ragazze!

  
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