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Autore: becca25    18/07/2013    5 recensioni
“Ma che diamine significa?”ansimò John, accasciandosi al suolo “perché…cosa…che facevamo lì?”
“Oh, solo per passare il tempo” tossì Sherlock, rivolgendo uno sguardo veloce all'amico “e per dimostrare una cosa”
“Che cosa?”
“Tu”
[Hogwarts!/Jonhlock!]
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buona sera a tutti!
Eccoci “all’inizio della fine”! (Suona malvagio!XD)
No, in realtà, escluso questo, ci saranno altri due capitoli, ma l’ultimo è semplicemente un “extra”, un epilogo, quindi, effettivamente la storia vera e propria si concluderà con la seconda parte di questo capitolo, che pubblicherò lunedì!
Come sempre voglio ringraziare Naiko, Maya98, LucyBerry e Starkie per aver recensito e per il loro continuo sostegno, ringrazio tutti coloro che continuano ad inserire la storia tra le preferite, seguite e ricordate e chi la sta’ solo leggendo!
Ed ora vi lascio al capitolo!
Con tanto, tanto affetto,
Becki
 
AVVISO! In questo capitolo, come vedrete, Sherlock è assolutamente e totalmente (almeno in alcune scene) OOC! Mi dispiace molto, ma non sono riuscita a fare diversamente! Inizialmente avevo anche pensato di limitare alcune parti, ma poi mi sono detta che dopo nove capitoli di tira e molla, non potevo farmi certi problemi!XD
E poi, diciamocelo, dopo tutto quello che ho fatto passare a John, si meritava un po’ di coccole!u.u
 
 
 Capitolo 6.1 Le cascate della fonte della buona sorte       
 
John osservò con aria incuriosita l’ufficio del preside, rendendosi conto che si trattava della prima volta in cinque anni che vi entrava. Fece scorrere lo sguardo sulla scrivania lucida, ingombra di pergamene e documenti e sulle teche colme di strani oggetti sibilanti, si concesse alcuni istanti per ammirare il Cappello Parlante, che sonnecchiava con indifferenza al sicuro dietro una spessa vetrina,  per poi rivolgere la propria attenzione alle parete tappezzate dei quadri dei vecchi presidi di Hogwarts, che borbottando tra loro osservavano lo strano terzetto.
“A volte mi chiedo davvero cosa ti passi per quella testa!”
Il ringhio basso e infastidito di Mycroft riscosse John dai propri pensieri, costringendolo a riportare l’attenzione sul maggiore degli Holmes, seduto elegantemente al suo fianco, lo sguardo, irritato e incredulo, fermo sul fratello.
“Non capisco a cosa tu ti riferisca” replicò tranquillamente questo, stringendosi nelle spalle.
Mycroft gli rivolse uno sguardo infuriato “Siamo nell’ufficio del preside, Sherlock!” tuonò.
“Me ne sono accorto, grazie”
“Sai benissimo a cosa mi sto riferendo!” continuò il maggiore, mentre Sherlock sbuffava, spazientito “siamo nell’ufficio del preside, nel cuore di Hogwarts, Sherlock Holmes, potevi almeno indossare i pantaloni!” tuonò Mycroft, infuriato.
John spostò nuovamente la propria attenzione su Sherlock che si strinse con maggior decisione nel candido lenzuolo che al momento sostituiva la sua divisa.
*“Per cosa?”
“Per il tuo cliente!”
“Che sarebbe?”
“Illustre” una voce profonda alle loro spalle li fece sobbalzare, interrompendo il battibecco dei due fratelli e costringendo i tre studenti a voltarsi verso l’ingesso; fermo, davanti alla porta, il preside Derwent osservava con serietà il trio, uno sguardo severo sul volto “senza pari e preferisce rimanere, devo informarvi, del tutto anonimo”*
Sherlock sbuffò, guadagnandosi l’ennesi occhiataccia dal fratello “Come se non sapessimo che si tratta del ministro della magia” borbottò, mentre il preside li raggiungeva, accomodandosi poi dall’altro lato della scrivania.
“Normalmente non avremmo mai affidato una questione così delicata a tre ragazzini” esordì l’uomo, spostando lo sguardo sui tre ragazzi “tuttavia, a seguito di alcune testimonianze, riguardo alle vostre abilità, abbiamo deciso di concedervi questo grandissimo onore”
“La ringraziamo per la cortesia” intervenne Sherlock con un sorrisetto falso “ma sfortunatamente ci troviamo costretti a declinare l’offerta” sentenziò, mentre John irrompeva in una leggera risata mal celata.
“Oh per l’amor del cielo!” esclamò Mycroft “per una volta non potete comportarvi da adulti?”
“Mycroft, ti ho già ripetuto che questo caso non mi interessa!” tuonò Sherlock balzando in piedi, ostentando una serietà che si smarriva davanti al suo abbigliamento “ed ora posso dirlo anche a lei, preside. Non ho intenzione di accettare questa indagine e questo è tutto! John, andiamo!” aggiunse, dirigendosi a passo spedito verso l’ingresso.
John fece appena in tempo ad alzarsi, quando notò Mycroft spingersi in avanti, allungando un piede per calpestare lo strascico del lenzuolo di Sherlock, che con un gesto fluido scivolò dal corpo del ragazzo, scoprendogli per un istante la schiena e parte del fondoschiena.
John sgranò gli occhi colpito dal corpo dell’amico, prima di distogliere lo sguardo imbarazzato, arrossendo impietosamente, per spostarlo sul ghigno soddisfatto di Mycroft Holmes; chi dei due fosse più infantile, proprio non avrebbe saputo dirlo.
*“Togliti dal mio lenzuolo!” protestò Sherlock irato, mentre Mycroft tratteneva a stento un sorrisetto sadico.
“Altrimenti?”
“Altrimenti vado via e basta”  
“Non ti fermo”
“Ragazzi, vi prego, non qui”* s’intromise John, al limite della sopportazione, rivolgendo uno sguardo veloce al preside, che tuttavia sembrava troppo sconvolto per poter intervenire.
“Sherlock, questo è un caso di importanza nazionale! Vedi di crescere!”
Sherlock sospirò per l’ennesima volta, rivolgendo uno sguardo di puro rancore al fratello “Bene” ringhiò, spostando poi la propria attenzione sul preside “la figlia del ministro non è né scomparsa né è stata rapita” iniziò con voce sepolcrale “è semplicemente scappata di casa con la su fidanzata. Se io fossi in voi inizierei a cercarla nelle proprietà del primo ministro, sono certo che al momento si trova in una di esse a godersi la libertà. Ed ora,” aggiunse, riportando gli occhi su Mycroft “lascia il mio lenzuolo e John, andiamo!
John non se lo fece ripetere due volte; con uno scatto veloce raggiunse il suo amico, che vantando un’eleganza davvero inappropriata si riavvolse totalmente nel proprio telo candido, pronto ad uscire dallo studio, ma non prima di rivolgere un cenno di saluto al preside, ancora troppo scioccato per fare alcun che e un ghigno odioso a Mycroft, che apparentemente stava cercando di incenerirlo con lo sguardo.
 
I due ragazzi rimasero in totale silenzio, mentre si avviavano a passo deciso verso i dormitori dei Serpeverde, dove finalmente Sherlock avrebbe potuto vestirsi.
“Ti aspetto qui” soffiò tranquillamente John, ormai troppo abituato all’eccentricità dell’amico e al suo comportamento bizzarro, per potersi sconvolgere davanti ai suoi capricci.
Sherlock annuì in risposta, scomparendo dentro il proprio dormitorio, da cui riemerse dieci minuti dopo, il lenzuolo sostituito con la consueta divisa.
“È bello rivederti con i soliti vestiti” ridacchiò John, iniziando a passeggiare con Sherlock, che gli rivolse un sorrisetto divertito.
“Il lenzuolo era certamente più comodo” iniziò, mentre John si abbandonava ad  una risata cristallina “e poi non mi sembrava che ti dispiacesse tanto” aggiunse malizioso, facendo tuttavia sparire in un istante il sorriso spensierato di  John, che gli rivolse uno sguardo perso e spaventato.
Senza riuscire ad evitarlo, Sherlock si trovò a sospirare, fronteggiando l’amico con aria ora seria.
Ormai Sherlock era certo di ciò che il Grifondoro provava nei suoi confronti ed era altrettanto sicuro che, da diversi giorni, dal ricovero in infermeria per l’esattezza, lo stesso John fosse riuscito a far chiarezza sui propri sentimenti.
E nonostante l’amico si fosse impegnato molto per nascondere la cosa, fingendo che nulla fosse cambiato, Sherlock aveva da subito notato quanta attenzione prestasse improvvisamente John per evitare il contatto fisico con lui, quanto s’impegnasse a scegliere con cura le parole da rivolgergli e quanto sempre più spesso lo avesse sorpreso ad osservarlo, per poi distogliere lo sguardo non appena i loro occhi si incrociavano.
E se già prima la frequenza con cui John gli teneva incollati gli occhi era una prova evidente di un interesse più profondo della semplice amicizia, ora la situazione si era fatta francamente ridicola.
Se solo John non fosse stato tanto spaventato. Impaurito dai suoi stessi sentimenti, dalla prospettiva di non essere ricambiato e di portare così alla fine la loro amicizia…
“John” ripetè Sherlock, facendo un passo ulteriore verso l’amico, che in tutta risposta indietreggiò, sollevando davanti a sé entrambe le mani, come scudo.
 “John, per l’amor del cielo, non essere ridicolo!” sbottò Sherlock infastidito, facendo irrigidire a sua volta anche il Grifondoro.
“Sherlock, voglio tornare in dormitorio, non posso trascorrere qui tutta la mia serata, quindi sbrighiamoci!” esclamò irritato, ricominciando ad allontanarsi a passo di marcia lungo il corridoio, seguito dal Serpeverde.
“Questa situazione sta diventando davvero assurda, non puoi rifiutarti di parlarne”
“Non c’è nulla da dire, Sherlock!” ringhiò John al limite della sopportazione, una nota di panico nella voce, scattando in fase difensiva, come ogni altra volta in cui Sherlock aveva cercato di intraprendere l’argomento.
“Va bene” si arrese il Serpeverde sospirando, come già era successo in alcune occasioni, deciso a concedere all’amico altro tempo per abituarsi all’idea.
 “Sai, credo che il motivo per il quale Mycroft fosse tanto nervoso, sia da ricercare nella sua palese invidia nei confronti del mio vestiario!” aggiunse diversi minuti dopo, per alleggerire la tensione che si era creata e John sorrise nuovamente, rilassandosi un'altra volta.
“Tu credi?” domandò incerto, mentre Sherlock annuiva con sicurezza.
“Insomma, hai visto come lo guardava?”
Domandò, trattenendo a stento le risate, che esplosero nel momento in cui anche John non riuscì più a mantenersi serio, l’immagine del ringhio furioso di Mycroft che aleggiava nella mente.
“Te lo immagini con quello addosso?” aggiunse Sherlock, mentre le risate di John si facevano sempre più intense, tanto che il ragazzo fu costretto a fermarsi, afferrandosi lo stomaco con entrambe le mani “Oddio, Sherlock! Giuro, pensavo che ti avrebbe ucciso! Non l’ho mai visto tanto infuriato!”
“Perché non sei presente alle cene di Natale!” ribattè prontamente l’amico “non c’è niente di più soddisfacente che ingozzarsi di tortini al cioccolato davanti a lui!”
Una nuova esplosione di sghignazzi invase il corridoio.
“Oddio Sherlock, non posso crederci, davvero!” soffiò John, cercando di calmarsi, asciugandosi con il dorso della mano gli occhi umidi “sei unico, davvero! Sei assolutamente incredibile, totalmente fuori di testa”
Sherlock aggrottò la fronte, osservando dubbioso il suo migliore amico ancora intento a ridacchiare, cercando di comprendere appieno il significato di quelle parole.
“Ti ringrazio?” tentò, non del tutto sicuro che si trattasse di un complimento.
“Non è un’offesa” gli sorrise rassicurante John “infondo, è anche per questo che ti amo…”
John si zittì immediatamente, terrorizzato, cercando di trattenere quell’ultima parola che, sfuggita al suo controllo dopo tante settimane, aveva appena abbandonato le sue labbra, facendo calare sui due amici un silenzio imbarazzante.
Sherlock sgranò gli occhi per la sorpresa, osservando John, rosso e imbarazzato come lo era stato poche volte nella vita, come se lo vedesse per la prima volta. Ora il Grifondoro non avrebbe più potuto negare, ora non avrebbe più potuto tirarsi indietro.
Per un tempo incredibilmente lungo nessuno dei due proferì parola, entrambi troppo sconvolti per farlo, entrambi troppo impegnati a perdersi negli occhi dell’altro, prima che Sherlock, recuperato l’abituale sangue freddo, si decise a rompere quel silenzio imbarazzante.
“Jawn” iniziò, un sorriso sincero ad increspargli le labbra, facendo un passo verso l’amico, che in tutta risposta indietreggio velocemente, distogliendo lo sguardo dal volto del Serpeverde.
“Io, non volevo…” iniziò John titubante, continuando ad arretrare “sì, insomma, quello che intendevo, cioè…” il Grifondoro sospirò affranto, non sapendo più dove arrampicarsi per uscire incolume da quella situazione; se solo Sherlock lo avesse aiutato, invece che continuare a studiarlo concentrato! Come se non si trovasse già abbastanza a disagio!
“Jawn” lo richiamò Sherlock, costringendolo a tornare a guardarlo.
“Io non volevo dire quello che ho detto Sherlock” bisbigliò infine il Grifondoro, facendo un ulteriore passo alle sue spalle, finendo col scontrarsi contro il muro di pietra.
Con gli occhi sgranati dalla paura, osservò Sherlock avvicinarsi a passi lenti e sicuri, lo sguardo che trafiggeva il suo, la bocca distorta in un ghigno soddisfatto e per la prima volta nella sua vita John si sentì davvero in trappola.
Deglutì nervosamente, rendendosi conto solo in quel momento di quanto il Serpeverde sembrasse un cacciatore che aveva appena puntato una preda incredibilmente invitante.
Non riuscì a distogliere gli occhi da quelli di Sherlock, che brillavano di una luce nuova e mai vista, che lo fece sussultare.
Sherlock si avvicinò a John fino a far sfiorare i loro petti, i volti tanto vicini che il Grifondoro poteva distinguere ogni sfumatura di quegli occhi azzurri, le mani inchiodate ai lati della sua testa.
E quando Sherlock si fece ancora più vicino, andandosi a chinare sul corpo tremante di John, le mani che scattavano in basso ad artigliare i fianchi dell’amico, John si trovò a trattenere il respiro, serrando gli occhi con decisione e schiudendo la bocca in un invito, un’unica frase che gli martellava nella mente; Sherlock Holmes sta per baciarmi!
John percepì Sherlock ridacchiare e potè quasi immaginarsi il ghigno soddisfatto che di sicuro stava sfoggiando ed era già pronto a replicare, quando il respiro di Sherlock si infranse contro il suo orecchio, facendolo sussultare. Sentì le labbra di Sherlock andare a stuzzicare il lobo, il fiato caldo che gli solleticava la pelle e quasi non morì sul colpo.
“Perché hai tutta questa paura, Jawn?” miagolò Sherlock al suo orecchio e il Grifondoro percepì tutto il sangue affluire traditore al proprio viso, facendolo arrossire impietosamente, il respiro all’improvviso pesante.
“Rilassati” soffiò Sherlock, sorridendo trionfante davanti al gemito spezzato che uscì dalle labbra di John, le mani che gli carezzavano con dolcezza i fianchi tesi.
Sherlock si allontanò di poco dal ragazzo, giusto il necessario per riuscire a guardarlo in volto, sorridendo davanti al capo chino di John.
Con una mano gli afferrò con dolcezza il mento, costringendo il Grifondoro a sollevare il viso su lui, beandosi del rossore che lo imporporava.
“Jawn, guardami” gli ordinò il Serpeverde, ma il ragazzo scosse freneticamente il capo, gli occhi serrati con forza, il corpo ancora irrigidito.
Spostando la mano sul suo petto, Sherlock si compiacque del suono impazzito del suo cuore, che batteva all’impazzata come un uccellino in gabbia. Nuovamente spostò il capo di lato, fino a raggiungere ancora l’orecchio di John, ma questa volta si limitò a saggiarne con un bacio veloce il lobo, stringendosi maggiormente contro il corpo del ragazzo, che colto alla sprovvista si lasciò sfuggire l’ennesimo ansito.
Sherlock sospirò piano, spostandosi poi lungo il collo di John, facendolo rabbrividire, il naso che tracciava una linea immaginaria sulla sua pelle e John tremò, mentre le labbra di Sherlock vi si posavano leggere; percepì le gambe cedergli e senza poterne fare a meno fece scattare le braccia in avanti, andando a stringere i fianchi di Sherlock, che ghignò appena.
“John, devi calmarti” ripetè Sherlock, posando un nuovo bacio appena sotto la mascella del ragazzo
“soprattutto considerando…”
Un nuovo bacio.
Che io provo lo stesso
Nuovamente Sherlock fece un passo indietro, incrociando finalmente gli occhi languidi di John. Con un sospiro appoggiò la sua fronte su quella accaldata del ragazzo, sorridendo davanti al volto arrossato e allo sguardo smarrito.
“Davvero?” gracchiò John con filo di voce talmente fievole che Sherlock quasi pensò di esserselo immaginato; in risposta si limitò a sfregare dolcemente il proprio naso con quello di John, continuando a specchiarsi in quei pozzi blu.
Lentamente fece scivolare il viso di lato, avvicinando le proprie labbra a quelle incerte del Grifondoro, le congiunse con dolcezza in una carezza appena accennata, tirandosi dubito indietro, ma John si protese in avanti, stringendo con più forza le vesti di Sherlock, alla ricerca di un contatto più profondo, facendo sorridere il Serpeverde che si affrettò ad accontentarlo.
Giunse nuovamente le sue labbra con quelle di John e iniziarono ad assaporarsi con baci dolci e veloci, prima che la lingua di Sherlock si insinuasse timida nella bocca del Grifondoro, trasformando quel bacio in uno decisamente più passionale.
Continuarono a baciarsi finchè il bisogno d’ossigeno non si fece tanto impellente da costringerli a separarli e, ansimanti, rimasero l’uno ancorato all’altro a perdersi nei loro occhi.
“Finalmente, John” soffiò Sherlock soddisfatto, mentre il volto del Grifondoro si apriva in un sorriso raggiante e felice.
“Finalmente, Sherlock” replicò lui con dolcezza, cercando nuovamente quelle labbra carnose.
 
Quando, un’ora più tardi, John fece ritorno al proprio dormitorio, con un sorriso ebete stampato in volto e un’aria sognante, vi trovò Eric e Taylor, che lo stavano aspettando.
“Ehi, John!” lo salutò Taylor, quando entrò in camera “allora, cosa voleva il preside?... John?” aggiunsi pochi istanti dopo, osservando lo sguardo languido e felice che il suo amico gli rivolgeva.
“Ma che ti è successo?” intervenne Eric, avvicinandosi all’amico, che in tutta risposta gli rivolse un sorriso a trentadue denti “oddio, credo sia sotto l’effetto di qualche strano incantesimo!”
“Non dite sciocchezze” li interruppe John, continuando a sorridere “sto bene. Benissimo” si corresse qualche secondo dopo, lanciandosi sul proprio baldacchino, soddisfatto “ho detto a Sherlock che lo amo” spiegò, facendo calare nella stanza un’ondata di silenzio.
Taylor sgranò gli occhi, spostando lo sguardo da John, ancora intento a contemplare il soffitto, ad Eric che, superato lo shock iniziale, osservava l’amico con aria ferita e sofferente.
“E?” soffiò con voce esitante, gli occhi stranamente lucidi.
John si strinse nelle spalle, senza avere il coraggio di posare lo sguardo sui propri amici “Ci siamo baciati” ammise, leggermente in imbarazzo.
Taylor sussultò, notando il corpo di Eric raggelarsi e gli occhi serrarsi con forza, prima che il ragazzo si esibisse nel sorriso più falso che avesse mai visto e si congratulasse con John.
Con uno slancio John si mise seduto sul suo letto, vedendo il quel momento Eric che si voltava verso la porta, il corpo stranamente rigido.
“Eric?” lo chiamò incerto, all’improvviso preoccupato, ma Taylor gli fece cenno di tacere, rivolgendogli un sorriso dolce.
“È bellissimo che tu e Sherlock finalmente vi siate chiariti” soffiò, senza riuscire a nascondere una note di tristezza nella voce “e non vediamo l’ora di sapere tutti i dettagli, ma ora c’è una cosa che dobbiamo fare” aggiunse, spingendo con delicatezza Eric verso la porta.
“Ma è successo qualcosa?” chiese John, ma Taylor scosse con decisione il capo, tranquillizzandolo.
“Ora non preoccuparti di nulla, John! Ne parleremo domani” soffiò, spalancando la porta “buona notte”
“Buona notte, ragazzi” rispose lui, perplesso.
“Oh, John!” aggiunse Taylor dopo un secondo “c’era una busta per te davanti alla stanza! Te l’abbiamo lasciata sul comodino” esclamò, prima di chiudere la porta dietro di sé.
Confuso, John si rivolse alla sua destra, notando immediatamente la busta di cui Taylor parlava; l’afferrò, rigirandosela tra le mani ed osservando il sigillo in ceralacca che la chiudeva, prima di decidersi ad aprirla.
Dentro non c’era nessuna lettera né un biglietto, ma solo una semplice fiala di cristallo, contenete un liquido trasparente.
John la osservò attentamente, domandandosi cosa fosse e chi gliela mandasse, prima di dirsi troppo stanco per rifletterci, decidendo così di chiuderla in un cassetto e concedersi finalmente un po’ di riposo.
Si spogliò velocemente, indossando il pigiama e in fretta s’infilò sotto le coperte, abbandonandosi al sonno, il sapore dei baci di Sherlock ancora sulle labbra.
 
Il mattino successivo John si svegliò a fatica; si rigirò più volte nel letto, domandandosi se per caso non fosse stato tutto un bellissimo sogno, prima di decidersi ad alzarsi e iniziare una nuova, splendida giornata.
Fu piuttosto sorpreso di trovare il dormitorio già deserto, ma niente e nessuno avrebbe potuto scalfire la gioia che provava in quel momento.
John si precipitò in sala Grande con lo stesso sorriso ebete della sera precedente, stampato sul volto ed era a pochi passi dall’ingresso, quando due mani forti lo afferrarono per le vesti, trascinandolo in una nicchia nascosta del corridoio.
Il ragazzo non riuscì nemmeno a protestare, che la bocca ormai familiare di Sherlock, catturò la sua in un bacio famelico, facendolo gemere e contorcere sotto il suo tocco.
“Buon giorno, Jawn” miagolò Sherlock tra un bacio e l’altro, le mani che si spostavano sul suo corpo teso.
“Buon giorno anche a te” rispose il biondo, afferrando il capo di Sherlock con forza, per approfondire il bacio.
Lasciò le dita libere di vagare per quei riccioli scuri, la bocca invasa dal sapore di Sherlock e il corpo che si stringeva convulsamente al suo, nel tentativo di stargli il più vicino possibile.
“Ah, Jawn” mugugnò Sherlock, intrufolando una mano sotto la camicia di John, scosso da brividi di piacere.
“Sherlock!” lo chiamò con urgenza, stringendo a sé il corpo del ragazzo.
“Ma che quadretto interessante!”
John spalancò di colpo gli occhi, allontanando da sé il ragazzo, voltandosi insieme a lui verso la fonte di quella voce.
Mycroft Holmes, e chi altrimenti?, fermo a pochi passi da loro, la schiena poggiata contro il muro, li osservava con un ghigno divertito, gli occhi che brillavano di una luce intensa.
“Dannazione Mycroft!” tuonò con rabbia Sherlock, avvicinando la mano alla propria bacchetta “che diavolo vuoi?”
“Oh, fratellino, per prima cosa voglio complimentarmi con voi! Ce ne avete messo di tempo!” continuò, lo sguardo allegro che si spostava su quello omicida di Sherlock e quello incredibilmente imbarazzato di John “mamma sarebbe così orgogliosa!” aggiunse in un respiro, mentre Sherlock serrava gli occhi, sospirando, cercando dentro di sé quella forza che gli avrebbe concesso di non incenerire quell’idiota del fratello.
“Mycroft, se sei qui solo per congratularti…”
“Oh, no” lo interruppe il Serpeverde, facendosi all’improvviso serio “il preside vuole vederci immediatamente”

“Come sarebbe a dire, rapiti?” chiese John incredulo, rigirandosi tra le mani le foto dei quattro primini di Tassorosso, che il preside gli aveva appena mostrato.
“Sono scomparsi dal loro dormitorio questa notte” spiegò con voce sepolcrale, lo sguardo ansioso “tre bambine e un ragazzino. Uno dei compagni di stanza di Peter  ha detto di essersi svegliato a causa di alcuni rumori strani; dice di aver sentito qualcuno parlare e ordinare al suo compagno di seguirlo e di aver avvertito Peter piangere”
“Perché non ha preso anche gli altri?” lo interruppe Sherlock, confuso “perché lasciare degli studenti nel dormitorio, con il rischio di essere visto e riconosciuto?”
“Non lo sappiamo” soffiò il preside, passandosi stancamente una mano davanti agli occhi “ma dobbiamo ritrovarli il più in fretta possibile”
“Il ragazzino che si è svegliato non ha visto chi fosse il rapitore?” domandò Sherlock, leggendo velocemente le schede personali dei quattro ragazzi.
“No, era troppo spaventato per fare qualsiasi cosa; è rimasto in ascolto sotto le coperte”
Sherlock sospirò all’improvviso, sgranando gli occhi davanti al fascicolo di una delle bambine, Alice Liddell.
“Cosa succede, Sherlock?” domandò Mycroft, chinandosi a leggere a sua volta.
“Qui dice che Alice soffre di una forma grave di asma” soffiò Sherlock, sotto lo sguardo inorridito di John e  quello severo del preside “se non la troviamo prima che abbai un attacco, potrebbe morire!”
 
John e Sherlock si spostarono dall’ufficio del preside ai dormitori di Tassorosso, per analizzare le stanza dei bambini rapiti.
Iniziarono dalla camera di Peter, non trovando nulla di sospetto o particolare, per poi spostarsi nel dormitorio delle tre bambine scomparse, Alice Liddell, Aurora Spine e Isabelle Beast, anch’esso perfettamente ordinato.
Sherlock iniziò a rovistare tra gli oggetti personali della bambine, svuotando i loro bauli e i loro cassetti, controllando dentro gli armadi e sulla scrivania.
Con un gesto frustrato si rigirò tra le mani una busta aperta, dove era stato inserito un volume delle fiabe di Beda il Bardo, mentre John gli si avvicinava.
“Hai trovato qualcosa?” gli domandò con dolcezza, ma lo sbuffò rabbioso di Sherlock rispose per lui.
John si passò stancamente una mano tra i capelli, osservando la stanza con aria impotente, prima di tornare a prestare attenzione alla busta che Sherlock teneva tra le mani.
Lo sguardo  cadde automaticamente sul sigillo diviso in due parti, facendolo sussultare.
“Sherlock, io lo conosco quel sigillo!” esclamò sorpreso, mentre il Serpeverde lo osservava con attenzione “ieri Eric e Taylor mi hanno dato una busta che qualcuno aveva lasciato per me davanti alla porta del mio dormitorio e sopra c’era quello stesso marchio, sono sicuro!”
“Cosa c’era nella busta?”
“Una fialetta di cristallo con dentro un liquido trasparente, non so cosa fosse”
 
John corse velocemente al proprio dormitorio, dove recuperò la busta, contenente la fiala, ricevuta il giorno precedente, per poi raggiungere Sherlock al laboratorio di pozioni, dove il ragazzo iniziò ad analizzarla.
John attese pazientemente che il ragazzo concludesse il suo lavoro, sfogliando pigramente le pagine del libro di fiabe trovato da Sherlock, riportando alla memoria tutti quei racconti da tempo dimenticati.
“Ho finito!” esultò diversi minuti più tardi Sherlock, avvicinandosi al Grifondoro con la boccetta stretta in mano.
“Di cosa si tratta?” domandò John curioso, mentre Sherlock storceva il naso con stizza.
“Sono lacrime, John”
“Lacrime?”
“Esattamente”
“Ma perché mandarmi una cosa del genere? Cosa significa?”
Sherlock sbuffò infastidito, indicando con un cenno del capo il libro di fiabe “Trovato qualcosa?”
“No, nu…” John s’interruppe improvvisamente, lo sguardo che saettava dalla fiala al volume “Sherlock” sospirò indeciso.
“John?”
“Sherlock, hai presente la fiaba della fonte della buona sorte?” domandò, iniziando a sfogliare freneticamente il tomo, sotto lo sguardo perplesso del Serpeverde.
“Ammetto che i miei genitori non erano soliti leggermi fiabe, da piccolo” replicò con tranquillità, mentre John gli passa il libro aperto alla giusta pagina.
“È la storia di tre streghe e un cavaliere babbano, tutti e tre infelici. Una delle streghe era stata derubata da uno stregone, l’altra era stata abbandonata dal suo amore e l’ultima era gravemente malata” spiegò John, ricevendo uno sguardo penetrante da Sherlock “mentre lo stregone era sfortunato. Tutti e quattro decidono di raggiungere la fonte della buona sorte, dove uno di loro avrebbe potuto bagnarsi con le sue acque, ma prima di arrivare, si trovano costretti a pagare un pedaggio. Una delle streghe donò le sue lacrime, una i ricordi felici del suo amore passato e l’ultima il suo sudore, riuscendo così a raggiungere la fonte” riassunse velocemente John, mentre Sherlock leggeva in fretta la breve storia dalle pagine del volume.
“Chiunque li abbia rapiti ha preso spunto da questa storia” mormorò Sherlock, pensieroso.
“Dove credi che li abbia portati?”
“Non lo so, nel castello non c’è nulla che somigli ad una fonte” sibilò  tra sé, serrando gli occhi per concentrarsi meglio, congiungendo le mani davanti al viso.
Sherlock si chiuse in se stesso a riflettere, facendo scorrere nella mente le immagini di tutti i luoghi di Hogwarts, domandandosi quale fosse stato scelto per rinchiudere i bambini, finchè il suo volto non si aprì in un’espressione consapevole, gli occhi si spalancarono e il Serpeverde si volto velocemente verso John, eccitato.
“John, chiama subito il preside, so dove sono bambini!”
“Cosa?”chiese confuso John “dove?”
“Il bagno delle ragazze al secondo piano, John” rispose Sherlock avviandosi a passo veloce verso l’uscita “è chiuso da una settimana per delle tubature guaste!”
 
Il preside trovò i quattro bambini nel luogo indicato da Sherlock, intrappolati nell’ampia sala da bagno che da giorni era chiusa per un guasto; i quattro ragazzini erano stati lasciati lì nel cuore della notte, insieme ad un calderone dall’aria usurata, dentro cui sobbolliva una pozione trasparente il cui odore, simile a quello dello zucchero filato, dolciastro ed invitante, aveva spinto i piccoli Tassi ad assaggiarla e, una volta percepito il gusto zuccherino, i ragazzini ne avevano bevuta a grandi dosi, ignorando che fosse avvelenata.
Immediatamente tutti e quattro furono trasportati in infermeria, dove Mrs Hudson fece del suo meglio per curarli, prima di far spostare tre di loro al San Mungo per un ricovero urgente.
Ma Alice Liddell, già indebolita a causa della malattia, morì pochi giorni dopo.
Così, l’unica speranza per trovare il colpevole sembrava essere Aurora Spine, la sola ad aver ingerito una quantità così piccola di pozione da non aver riportato alcun effetto.
“Sherlock, ricorda di essere gentile e paziente” lo avvertì Mycroft, camminando insieme a John e al fratello verso l’ufficio del preside “si tratta pur sempre di una bambina ed è ancora sotto shock!”
Sherlock sbuffò spazientito, alzando gli occhi al cielo “Me lo avrai ripetuto cento volte, Mycroft, vuoi darci un taglio?”
“Se te lo dico è perché ti conosco! Davvero, John, non capisco come tu faccia!” esclamò indignato, indirizzandogli uno sguardo esasperato al Grifondoro, che incrociò gli occhi con quelli azzurri di Sherlock, rivolgendogli un sorriso complice.
Entrarono nell’ufficio del preside, avanzando verso la scrivania dietro cui si trovava Aurora, raggomitolata su se stessa nella comoda poltrona. Sherlock fece un passo verso di lei, rivolgendo alla bambina un sorriso incoraggiante e un saluto dolce, così che la bambina fu costretta ad alzare lo sguardo dalle proprie manine, che aveva osservato fino a quel momento, per puntarlo sul ragazzo.
Sherlock non fece in tempo ad aggiungere nient’altro, perché un grido terrorizzato invase la stanza, facendo sobbalzare i presenti.
Il preside si precipitò velocemente verso la bambina, che mantenendo lo sguardo su Sherlock, continuava ad urlare terrorizzata, circondandola in un abbraccio confortevole, mentre Mycroft e John trascinavano un confuso Sherlock fuori dallo studio.
“Perché ha reagito in quel modo?” domandò Sherlock disorientato, una volta fuori dallo studio, osservando impotente la porta d’ingresso, da cui provenivano ancora i lamenti della piccola Aurora.
“È sotto shock, Sherlock”
“Oppure qualcosa in te le ricorda il rapitore” constatò John, sospirando.
 
Dal momento che non potevano interrogare la piccola Aurora, John e Sherlock, quella sera, ritirarono nella stanza al terzo piano che avevano scoperto alcuni mesi prima durante il caso di Sebastian Moran, trovandovi dentro,  quella volta, la riproduzione di un accogliente salottino, con due comode poltrone di pelle poste accanto ad un caminetto, un divano molto ampio e un tavolino su cui era poggiato un vassoio con tè caldo e tartine.
Sherlock si raggomitolò su una delle poltrone, congiungendo le mani davanti al viso, restandosene a contemplare in silenzio il fuoco che scoppiettava nel camino, la mente che lavorava frenetica, mentre John, accomodato sul divano, sorseggiava un tè.
Sherlock tornò ad analizzare ogni particolare di quel caso, trovandosi a distrarsi sempre più spesso da un ricordo che gli martellava nella memoria.
I dialoghi di quella notte al lago nero continuavano a presentarsi nella sua testa, facendosi sempre più chiari e reali, mentre il nome di James Moriarty gli occupava ogni angolo della propria mente.
Sherlock aveva la certezza assoluta che dietro a tutto ci fosse Moriarty, ma con due bambini ricoverati al San Mungo e una che si rifiutava di parlare, non avevano per il momento alcuna prova per incriminarlo.
Sapeva che si trattava semplicemente di un gioco per il ragazzo, una vera e propria sfida, che la sua nemesi gli aveva lanciato, trascinandolo con sé in questa gara d’astuzia.
 
“Non ho ancora finito di giocare con te, Sherlock Holmes, non hai la minima idea di ciò che ti aspetta! Avevo solo bisogno di un piccolo tassello per proseguire, dovevo solo sapere quale effettivamente fosse il tuo punto debole e quanto in là ti saresti spinto per proteggerlo”
 
“Ti toglierò il tuo cuore”
 
 “Ti brucerò il cuore”
 
Sherlock scosse con decisione il capo, respingendo quei frammenti di dialogo in un angolo della propria memoria, pronto a recuperarli quando fosse stato necessario.
Con un sospiro chiuse gli occhi, abbandonando il capo contro la spalliera della poltrona, quando una mano calda gli afferrò il polso, riportandolo alla realtà.
Lentamente si voltò verso John, che a pochi centimetri da lui lo osservava con evidente preoccupazione.
“Ti senti bene, Sherlock?” chiese con dolcezza, mentre il Serpeverde si rimetteva in piedi per raggiungerlo sul divano.
“Assolutamente” confermò, sotto lo sguardo incerto di John.
“Hai fatto tutto il possibile per quei bambini, lo sai, vero?” continuò gentilmente John, facendo scorrere le dita tra i ricci del Serpeverde.
“Certo che lo so, John” replicò questo puntando lo sguardo in quello del Grifondoro, sollevandosi appena per riuscire a catturare tra le sue, le labbra del ragazzo.
Baciò il Grifondoro con impeto, mentre le mani si spostavano sul suo petto, costringendolo a mettersi supino sul divano, per poi sovrastarlo con il proprio corpo.
A John sfuggì un gemito particolarmente rumoroso, quando percepì l’erezione di Sherlock svegliarsi contro il proprio bacino e senza riuscire a trattenersi, inarcò il corpo, andando in contro a quello di Sherlock, cercando un contatto maggiore.
Sherlock gemette a sua volta, muovendo languidamente il bacino contro quello di John che fece scattare entrambe le mani sulla schiena di Sherlock, cercando di spingerla verso il basso, mentre la testa ricadeva all’indietro.
Sherlock sorrise soddisfatto, tracciando una scia di baci umidi lungo il corpo del ragazzo, poi, una volta che lo ebbe liberato dalla camicia, proseguì lungo il busto, fermandosi all’altezza dell’ombelico, dove John ebbe uno spasmo, leccandolo lentamente.
Continuando a mordere e leccare il ventre di John, Sherlock allungò una mano verso l’erezione del ragazzo, iniziando a massaggiarla da sopra la stoffa della divisa.
“S-Sherlock” balbettò John con urgenza, sollevando il bacino per aumentare il contatto con la mano di Sherlock, che liberò John dall’ingombro dei pantaloni, andando poi ad afferrare l’erezione già umida, massaggiandola con decisione.
Il ragazzo ansimò con più forza, aggrappandosi con mani tremanti al bordo del divano, in cerca di un sostegno, mentre le spinte si facevano sempre più veloci e decise.
John venne con il nome di Sherlock sulle labbra, schizzando di sperma la divisa del ragazzo, abbandonandosi poi sul divano in un susseguirsi di gemiti e mugolii.
Si concesse qualche secondo per riprendersi dall’orgasmo, prima di spingersi verso il corpo del Serpeverde ed intrufolare una mano sotto i suoi pantaloni, andandosi ad occuparsi della sua erezione trascurata.
Sherlock era già vicino al limite e gli furono necessarie poche spinte prima che anche il Serpeverde raggiungesse l’orgasmo, chiamando John con un grido sommesso, prima di accasciarsi sul corpo del Grifondoro, che accolse il ragazzo tra le sue braccia, sorridendo contro la sua nuca, coccolandolo con affetto.
“Questo è stato” iniziò John con voce ancora tremante, le mani che carezzavano il corpo di Sherlock “sorprendente!”
Sherlock proruppe in una piccola risata, facendo leva sui gomiti per spingersi fino al viso di John, dove posò tre baci leggeri.
 
Il mattino successivo, poco prima di pranzo, mentre John si avviava a passo lento verso l’ufficio del preside, dove era stato nuovamente convocato, trovò a domandarsi come fosse possibile essere riuscito ad evitare quel luogo per cinque anni, per poi trovarsi a doverci andare ben quattro volte in pochi giorni da quando Sherlock era entrato nella sua vita.
Perché c’entrava Sherlock, su quello poteva metterci la mano sul fuoco!
E il suo sospetto venne confermato quando, dopo esservi entrato, trovò il ragazzo già accomodato, o per meglio dire abbandonato, su una delle sedie poste davanti alla scrivania, le braccia incrociate al petto e un’aria dura sul volto.
Ciò che invece John non comprese, fu perché insieme a lui ci fossero anche altri tre ragazzi, che riconobbe come Sally Donovan e Jonathan** Anderson di Tassorosso e James Moriarty di Serpeverde, a cui rivolse un’occhiata particolarmente infastidita, il ricordo di ciò che aveva fatto a Molly ancora bruciante.
“Oh, buon giorno signor Watson” lo salutò stancamente il preside, facendogli cenno d’entrare ed accomodarsi “la ringrazio per essere venuto” aggiunse, mentre John prendeva posto accanto a Sherlock, che tuttavia non gli rivolse nemmeno uno sguardo, deciso ad ignorarlo.
“Qual è il problema, preside?” domandò John incerto, spostando lo sguardo da Sherlock all’uomo.
“Il fatto che il tuo ragazzo sia un maniaco psicopatico” replicò in un sussurro ben udibile Donovan, arricciando le labbra in una smorfia.
“Scusa?” s’irrigidì John, innervosendosi immediatamente, venendo tuttavia interrotto dall’intervento del preside, che velocemente riportò l’ordine.
“Signor Watson, lei ha presente il caso dei quattro ragazzini scomparsi, vero?” domandò duramente l’uomo, mentre John annuiva, confuso “bene. Il motivo per il quale l’ho chiamata è perché la signorina Aurora Spine ha riconosciuto il signor Holmes come colui che l’ha rapita”
Orripilato, John strabuzzò gli occhi davanti all’ammissione del signor Derwent, rivolgendo uno sguardo sconvolto a Sherlock, per poi tornare a prestare attenzione all’uomo, un sorriso incerto sulle labbra.
“Questo non può essere vero, c’è di sicuro un errore”
“Non c’è alcun errore, signor Watson. La parola di Aurora è stata confermata anche dagli altri bambini” ribattè severamente il preside, mentre John scuoteva il capo, sconvolto.
“È uno scherzo?” chiese, incredulo che una cosa del genere stesse davvero accadendo a Sherlock.
“Forse lei non si rende conto della gravità della situazione, signor Watson! Quattro bambini sono stati rapiti e uno di loro è morto! Per reati come questo si finisce ad Azkaban!” sentenziò Derwent, facendo sussultare il Grifondoro.
 “Ma Sherlock” iniziò John con voce nervosa, torcendosi le mani “preside, posso assicurarle che Sherlock Holmes non c’entra nulla in questa storia! Lui quei bambini li ha salvati, non rapiti!”
“Sì, avendo come unica traccia un libro di fiabe” esclamò sarcastica Donovan.
“Per Sherlock era più che sufficiente!” insistette John, rivolgendosi all’amico in cerca di un appoggio, chiedendosi perché non intervenisse “l’ho visto con i miei occhi, dedurre…”
“Con gli stessi occhi con cui hai visto il gramo?” lo interruppe Anderson facendo ridacchiare Donovan e avvampare John.
“I-io non…” iniziò lui titubante, rivolgendo uno sguardo imbarazzato al preside; come aveva anche solo potuto sperare che quella faccenda non diventasse di dominio pubblico?
“Le testimonianze delle bambine non sono le sole. La signorina Donovan e il signor Anderson sono giunti qui di loro spontanea volontà per mettermi al corrente del comportamento spesso aggressivo e violento del signor Holmes, mentre il signor Moriarty…”
“Non dovrebbe credere nemmeno ad una parola di ciò che dice questo ragazzo!” lo interruppe John, furioso“ha manipolato una nostra compagna di scuola affinchè rivelasse particolari personali riguardanti altri studenti! L’ho visto io, mentre…”
“Hai visto anche questo?”
“Anderson, chiudi quella fogna di bocca!” scattò John, senza riuscire più controllarsi.
“Signor, Watson, si calmi!” ordinò prontamente il preside, sbattendo con rabbia una mano sulla scrivania.
“No! L’unico motivo per il quale ho avuto quelle visioni, è stato perché sono stato drogato da Sebastian Moran!” ringhiò John “diglielo, Sherlock!” aggiunse, ma ancora una volta l’amico rimase in silenzio, lo sguardo sempre rivolto alla parete che gli stava davanti.
“Oh, certo, facile incolpare Moran dopo che questo ha lasciato la scuola perché il tuo fidanzatino lo ha picchiato a sangue!” intervenne aspramente Donovan.
“Lo ha fatto per difendermi!” spiegò prontamente John “Moran mi aveva aggredito e se Sherlock non fosse intervenuto…”
“Ti ha drogato o aggredito?” lo interruppe  Anderson “dovresti deciderti!”
“Ora basta!” tuonò il preside, riportando il silenzio prima che John avesse modo di replicare “il motivo per il quale siamo qui ora, è per ottenere anche una sua testimonianza, signor Watson!”
“Sherlock Holmes è innocente!” esclamò prontamente John, cercando di mantenere un tono calmo “posso giurarlo sulla mia vita!”
Derwent  sbuffò, infastidito “John” lo chiamò, sfilandosi gli occhiali con un gesto stanco “ascolta, la situazione, se non lo hai capito, è molto grave. Il signor Holmes” continuò, indicando con un cenno del capo Sherlock “è accusato del rapimento di quattro bambini, di cui uno è morto, è accusato di atti violenti nei confronti del suo compagno, Sebastian Moran e di aver praticato una maledizione senza perdono su di un altro studente” un sospiro “su di lei”
John sussultò a quelle parole, incredulo “No” balbettò, scuotendo nervosamente il capo “Sherlock non ha mai usato maledizioni contro di me, non è stato lui a farlo…”
“John” continuò il preside “il signor Moriarty, questa mattina, ha confessato di aver aiutato Sherlock Holmes in tutto ciò, costretto dalle minacce del suo compagno, se lei sa qualcosa…”
Ma John non lo ascoltava; il suo sguardo, la sua totale attenzione, erano ora per il ragazzo che sedeva alla sua sinistra e che lo osservava con aria dispiaciuta e affranta.
“Sei stato tu” soffiò John, irrigidendosi, comprendendo “tu mi hai tenuto sotto Imperius!” esplose, una nuova ondata di rabbia a invaderlo.
“NO!” si difese prontamente Moriarty, cercando con lo sguardo l’aiuto del preside “non sono stato io, John! So che tu sei un bravo ragazzo, è stato lui! Mi ha costretto a fingermi colpevole per le sue azioni!” decretò nel panico, continuando ad additare Sherlock che, con la sua indifferenza, sembrava essere totalmente estraneo alla situazione.
“Sherlock” lo chiamò John con un filo di voce, voltandosi in parte verso di lui “Shelock…”
“John, se sai qualcosa, devi dircelo!” insistette Derwent, sbilanciandosi in avanti sulla scrivania per avvicinarsi ulteriormente al Grifondoro, che scosse piano il capo, confuso.
“L’unica cosa che so è che Sherlock è una brava persona e non c’entra nulla in questa storia! Moriarty sta’ mentendo” decretò seriamente, tornando a puntare il proprio sguardo in quello duro del preside.
“Sempre che tu non sia stato d’accordo con lui fin dal principio” insinuò con voce melliflua Donovan e, per la prima volta da quella mattina, Sherlock allontanò gli occhi dalla parete che fino a quel momento aveva osservato, per puntarli sulla Tassorosso e, successivamente, sul preside Derwent, che studiava con evidente attenzione John.
Sherlock trattenne a stento un ringhio, furioso come poche altre volte nella vita; poche ore prima era stato convocato e, in seguito, accusato dal preside di essere responsabile dei molteplici reati, tesi confermata anche dai due Tassorosso, che avrebbero ammesso qualsiasi cosa pur di vederlo espulso e da Moriarty, che, a quanto sembrava, aveva deciso finalmente di terminare quel gioco che aveva iniziato molti mesi prima.
E, all’improvviso, tutti quei singoli avvenimenti degli ultimi mesi avevano iniziato ad intrecciarsi tra loro e Sherlock aveva compreso, troppo tardi, che tutto era stato sin dal principio solo un piano di Moriarty, che non aveva fatto altro che seminare il dubbio nella mente della gente per lunghe settimane, così che, quando alla fine era uscito allo scoperto, additando lui come colpevole, credere a quelle sue ammissioni così folli non era stato poi tanto difficile.
Ma, così come il ragazzo era riuscito ad incastrarlo attraverso tutti le congiure che aveva creato, Sherlock avrebbe avuto l’occasione di scagionarsi proprio servendosi di quelle; l’unica cosa di cui aveva bisogno era tempo.
Tempo, che al momento non possedeva.
Non era così illuso da poter credere che John non sarebbe stato messo in mezzo e sapeva altrettanto bene che, anche se inizialmente era stato avvicinato come testimone, presto sarebbe stato accusato  di essere suo complice, solo perché era impensabile credere il contrario.
Loro erano sempre insieme, loro erano sempre d’accordo, uniti nel bene e nel male, continuamente pronti a sostenersi a vicenda e spalleggiarsi; nessuno avrebbe mai creduto che John fosse estraneo a quegli avvenimenti e incolparlo, come avevano fatto con lui, sarebbe risultato estremamente più facile che impegnarsi a cercare qualche altra verità, più subdola e contorta.
E mentre Sherlock spostava lo sguardo in quello sicuro e determinato di John, ebbe conferma anche del fatto che il ragazzo, ancora una volta non lo avrebbe abbandonato, pronto a difenderlo fino alla fine e se questo avesse significato cadere con lui, finire ad Azkaban per lui, John lo avrebbe fatto.
Ma lui non lo avrebbe permesso. Mai.
“Io non ho fatto nulla e nemmeno Sherlock, ma mi chiedo a che scopo ripeterlo, dal momento che è evidente che non mi vogliate nemmeno ascoltare” soffiò stancamente John.
“John, se hai qualcosa a che fare con quanto accaduto devi ammetterlo subito, per il bene di entrambi” insistette il preside, ma ancora John negò, fedele sempre, fedele fino alla fine.
“Sherlock è innocente!”
John,  così ti farai solo del male …
“Quei bambini sono stati rapiti!”
“Sherlock è innocente            !”
John, fermati, ti prego…
“Una di loro è morta!”
“Sherlock è innocente!”
John, basta…
“Ha usato la maledizione Imperius su di te!”
“Sherlock è innocente!”
John…
 “John” la voce dura di Sherlock fece calare un silenzio pesante al’interno del piccolo ufficio, costringendo i ragazzi a rivolgere a lui la propria attenzione “smettila di parlare di argomenti che non conosci e di cui non sai nulla” tuonò freddamente, mentre John sussultava “sono stato io. Sono sempre stato io, fin dall’inizio, ho architettato tutto, coinvolgendo Moriarty, con il solo scopo di mettermi in mostra, fingendo di possedere abilità che in realtà non ho” confessò osservando con aria  indifferente gli occhi feriti del ragazzo che amava.
Un silenzio opprimente seguì le sue parole, gli occhi di tutti rivolti verso di  lui; quelli duri del preside, quelli soddisfatti di Donovan e Anderson, quelli imperscrutabili di Moriarty e, infine, quelli increduli di John.
Increduli, certo, ma sempre fedeli.
“Sherlock!” lo chiamò, una nota di panico nella voce “non dirlo nemmeno! Non devi temere nulla, tu non hai fatto niente di male e lo dimostreremo!”
“No, io ho organizzato tutto e, semplicemente, ora è troppo tardi per negare” si oppose Sherlock, fissando John negli occhi con sicurezza.
Era sempre stato un ottimo attore.
“Sherlock, non dire…”
“Preside, confesso tutto quello di cui sono accusato” ribadì, mentre l’uomo annuiva, senza riuscire a nascondere una nota evidente di soddisfazione.
“Sarà condotto al ministero della magia per essere interrogato e a quel punto verrà decisa la punizione per i suoi reati, ma nonostante sia solo un ragazzo, non posso negare che al momento Azkaban mi sembra l’unica soluzione…”
“NO!”
L’urlo di John fece sussultare il preside, che si voltò ad osservarlo, mentre il ragazzo scattava in piedi.
John, fermati!
“Preside, non lo ascolti! Non so perché si comporta in questo modo, ma lui non ha fatto niente! Niente! Avete la mia parola!” insistette John, ancora sicuro dell’innocenza del ragazzo, ancora impossibilitato a credere che sarebbe stato capace di compiere atti simili, ancora, nonostante tutto, pronto a difenderlo.
E avrebbe sempre avuto fiducia in lui e sempre lo avrebbe difeso, Sherlock lo sapeva; non importava quali prove avrebbero presentato o quante altre testimonianze si sarebbero aggiunte, John sarebbe stato dalla sua parte, sempre.
 **“John…” lo chiamò con dolcezza, mentre il ragazzo si voltava preoccupato a guardarlo.
“Cosa succede?” chiese, allungando una mano verso Sherlock, carezzandogli brevemente il volto, prima di ritirarla.
“Ti devo delle scuse” soffiò Sherlock, gli occhi sempre puntati in quelli di John “è tutto vero”
“Cosa?”
“Tutto quello che hanno detto su di me” insistette Sherlock, deciso “sono stato io”
“Perché me lo dici?”
“Sono un impostore!”
“Sherlock…” iniziò John con voce spezzata, sospirando appena, ma Sherlock non gli diede tempo di aggiungere altro, interrompendolo.
“Voglio che tu lo dica a chiunque voglia ascoltarti”
“Ok, Sherlock, stai zitto. Stai zitto” lo fermò John, passandosi una mano tremante sugli occhi umidi di lacrime “la prima volta che ci siamo incontrati…” una pausa, un sospiro “la prima volta che ci siamo incontrati, sapevi tutto di mia sorella, no?” chiese, una nota di speranza ben udibile nella voce ormai rotta.
“Nessuno è tanto intelligente” replicò Sherlock, rivolgendogli un sorriso.
“Tu sì”
Sherlock sgranò gli occhi, colpito dalla sicurezza con cui il ragazzo aveva parlato.
 “Già” boccheggiò, per un attimo a corto di parole, prima di riprendersi “ho fatto delle ricerche su di te. Prima che ci incontrassimo, ho scoperto tutto il possibile per far colpo su di te. Era un trucco. Un semplice trucco di magia.”
“No. Va bene, ora basta”** lo interruppe John, prendendo un lungo respiro nel tentativo di tranquillizzarsi, non voleva più ascoltarlo, non riusciva più a farlo.
Ma quello era l’unico modo.
Perché Sherlock sapeva che se non fosse riuscito ad allontanare abbastanza John da sé, che se non fosse stato capace di far credere anche agli altri che tutto quello era vero e che John ne era estraneo, allora il ragazzo sarebbe stato in pericolo.
E una volta che lui fosse stato lontano, a sfruttare quel tempo che gli serviva per dimostrare a tutti chi fosse il vero colpevole, riscattando il proprio nome, John sarebbe rimasto da solo e a quel punto non sarebbe più riuscito a  proteggerlo, quindi era necessario farlo ora; prima di fuggire, prima di allontanarsi.
Era suo compito preoccuparsi della sua sicurezza, sempre, con ogni mezzo a sua disposizione, anche se significava mentirgli, anche se significava rinunciare a lui, al loro legame, convincerlo di essere solo un impostore, ferendolo così tanto da lasciargli una cicatrice indelebile sul cuore, dalla quale, forse, non sarebbe mai guarito,  colpendo al contempo anche se stesso e quel cuore che per tanto aveva creduto di non possedere.
“Mi dispiace, John”
“Sherlock…”
“Signor Homes” lo interruppe il preside, costringendolo a distogliere gli occhi da quelli blu di John “quindi confessa ogni cosa? Ammette di aver rapito quei bambini, di aver commesso atti di violenza nei confronti di un suo compagno, di aver usato una delle maledizioni senza perdono e di aver costretto il signor James Moriarty ad aiutarla nei suoi piani con il ricatto?” domandò il preside, gli occhi puntati in quelli determinati del Serpeverde.
“Sì. Ammetto ogni cosa”
****“Bene. Signor Holmes, a seguito di quanto ha appena confessato, sarà ora scortato al Ministero per la formalizzazione dell’accusa e poi ad Azkaban, in attesa del giudizio” decretò il preside.
“Ah, sì” soffiò Sherlock, alzandosi lentamente, sotto gli occhi attenti di Derwent “sì, a questo proposito temo ci sia un piccolo intralcio…”  
“Intralcio?” domandò il preside confuso “non vedo intralci, Holmes!”
“Invece” insistette Sherlock “io temo proprio di vederne uno”
“Davvero?”
“Mi pare che nutra l’illusione che vi seguirò senza opporre resistenza. Ma temo che non sia questo il caso. Non ho alcuna intenzione di finire ad Azkaban.” **** decretò Sherlock, in tono sicuro, sostenendo lo sguardo sconvolto del preside, che a sua volta si rimise in piedi, sguainando la bacchetta nello stesso momento in cui lo fece Sherlock, che si permise di rivolgere un ultimo sguardo a John, al suo John…
Addio, John…
E poi tutto divenne buio.
 
Note finali:
*Entrambi dialoghi da “Uno scandalo in Belgravia”
**Lo sapete!XD No, ok, per chi non dovesse conoscerlo, dialogo da “Le cascate di Reichenbach” (ho dovuto rivedere questa scena per assicurarmi di aver trascritto correttamente le battute e nonostante io l’abbia guardata mille volte, ancora ho trovato la forza di piangere!T-T Sono un caso perso!)
***Ok, dopo molte ricerche, mi sono resa conto che, o sono io scema, o è Anderson a non avere un nome!XD Scusate, non sono riuscita a trovare il suo nome di battesimo, quindi per il momento ho usato il nome dell’attore che lo interpreta, ma se qualcuno sapesse come si chiama in realtà e ha voglia di dirmelo, mi farebbe un enorme favore!
****Dialogo tra Silente e Caramell preso da “Harry Potter e l’ordine della fenice”
 
Ed eccoci alla fine del capitolo!
Se tutto va bene lunedì pubblicherò il seguito! Oh, siamo sempre più vicini alla fine, sono già triste! Mi sono divertita tanto a scrivere e pubblicare questa storia e per questo devo ringraziare tutti voi e il vostro sostegno!
Un bacione!
Becki.
  
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