Bene, eccomi qui *-*
Punto 1: non posso credere di essere tornata!
Punto 2: Sono così felice di essere tornata! *___*
Saranno stati i concerti a dammi l’input giusto per ripresentarmi al vostro
cospetto miei carissimi lettori, sta di fatto che ora sono qui con questo nuovo
esperimento, sperando di catturare almeno un po’ la vostra attenzione. Se vi va
di farmi sapere cosa ne pensate io ne sarei felice come sempre! Spero di
potermi imbarcare con voi in questa nuova (e particolare) avventura <3
Un bacio a tutti, Rò
CAPITOLO 1: JARED
Venice beach.
È un distretto della parte ovest del municipio di Los
Angeles, nonché una delle mete turistiche più belle ed ambite dell’estrema
costa occidentale; città modellata sulla classica bellezza della Venezia
italiana, racchiude in sé lo spirito alternativo e Bohemien
dei residenti Californiani, contando su pittoresche vedute di abissi che
sconfinano nell’orizzonte più profondo e coloratissime casette di legno.
Amo raggiungere posti di questo genere quando il mio tempo
libero mi permette di dedicarmi alla parte che preferisco del mio lavoro:
scrivere testi, comporre musica. Non passo spesso per Venice
Beach ed ogni volta che mi ricapita mi domando quale possa essere l’assurdo
motivo; la natura qui non si è affatto risparmiata e c’è da dire che anche l’uomo
si è impegnato a fare del suo meglio.
La fresca brezza del Pacifico mi scompiglia i lunghi capelli
ribelli rendendo meno semplice il concentrarmi sui fogli bianchi,
scarabocchiati di pensieri, che tengo sulle ginocchia.
C’è gente che scorrazza allegra, in costume da bagno, o in
tenuta sportiva, tra le alte palme a pochi metri dalla splendida spiaggia: chi
sorride, chi si lamenta, chi scoppia a ridere per una qualche battuta, bambini
che fanno i caprici, skateboard che grattano l’asfalto immacolato e qualche
musicista improvvisato che riempie l’atmosfera con le note stonate di uno
strumento a fiato.
Tutto questo non è per niente fastidioso, anzi, è come il ritmo
continuo di una musica nuova pronta ad offrirsi solo a chi è in grado di
ascoltarla, il traffico è armonia, i rumori suggerimenti, i cinguettii note e
le chiacchiere complicati testi da adattare al pentagramma. È una bella sfida
provare a scrivere e raccontare ciò che mi circonda piuttosto che quello che mi
porto dentro, è un radicale cambiamento di rotta ma non mi spaventa, sono
sempre pronto e disponibile a rinnovarmi in quanto artista, mi fa sentire
rilassato e allo stesso tempo pieno di adrenalina mettermi costantemente alla
prova.
L’arte non è una scienza esatta, è stomaco e cuore, è un
continuo evitare di somigliarsi troppo e per troppo tempo ed è quello che io
stesso ho cercato di fare in tutta la mia carriera.
Il mondo assume una sfumatura color seppia visto attraverso
gli occhiali da sole che uniti al cappello chiaro contribuiscono a nascondermi
oltre che a proteggermi dalla calura estiva, in fin dei conti c’è un certo
vantaggio nello spostarmi da solo, le poche volte in cui lo faccio, ed è quello
di non destare alcun sospetto nelle persone ignare che vanno avanti a godersi
la propria vita senza degnare di un solo attimo di attenzione chi si prenda la
briga di sedersi su una panchina in pieno giorno con un fascicolo di fogli
scarabocchiati tra le mani e una penna che perde inchiostro: è piacevole
sentirsi un anonimo Jared piuttosto che il solito Leto a volte.
Davvero una bella
sensazione. La annoto come frase a piè di pagina e sospiro sorridendo; il
rumore delle onde mi attira come il canto di una sirena ma probabilmente
aspetterò che le acque si calmino prima di concedermi una passeggiatina in riva
al mare.
Deglutisco inumidendomi le labbra e valutando l’idea di
andare a comprare una bella bibita fresca quando qualcosa di molto piccolo
attira la mia attenzione, qualcosa di davvero molto piccolo.
Sembra quasi finta e non mi ero accorto che fosse seduta qui
fino a questo momento: due enormi occhioni blu oceano fissi su di me e una
massa informe di capelli ricci e rossi che le cadono sulla fronte liscia e
talmente chiara da farmi temere che possa scottarsi irrimediabilmente sotto
questo sole prepotente; mi guardo intorno con un certo disagio cercando la
spiegazione più coerente ad un’apparizione di questo tipo, ma c’è il solito
caos, niente di più e niente di meno. Torno quasi immediatamente con lo sguardo
sulla figurina avvolta in un grazioso costume colorato, i piedini non toccano
terra e per questo ciondolano oltre il bordo della panchina calzati da un paio
di minuscole infradito, non sembra essere spaventata né preoccupata, in realtà
mi guarda con curiosità fin troppo insistente per essere una bambina così
piccola.
“Ciao” mi azzardo a pronunciare restando sulla difensiva per
paura di una sua reazione negativa.
“Ciao” risponde lei, tranquillamente, con una vocina limpida
e squillante “Come ti chiami?” domanda con aria innocente cogliendomi alla
sprovvista.
“Jared” rispondo immediatamente, senza trovare qualcosa di
meglio da aggiungere.
“Mi fai provare il tuo cappello?” lo indica con una manina
paffuta restando quasi del tutto immobile a mezzo metro dal mio corpo, me lo
sfilo senza troppe esitazioni e glielo porgo, lei sorride soddisfatta e lo
indossa senza preoccuparsi del fatto che sia troppo grande e che le cada
pesantemente sugli occhi “me lo regali?”
“Solo se mi dici come ti chiami” la ricatto ottenendo un
piccolo e innocuo broncio, ben presto sostituito da un’espressione assente,
fissa sull’obbiettivo di tenersi il cappello.
“Ruby” risponde senza guardarmi. Ruby. È così piccola…
“Quanti anni hai, Ruby?” alza quattro piccole dita ed io mi
ritrovo a spalancare gli occhi, incredulo: che diavolo ci fa qui tutta sola??
“Dov’è la tua mamma?” la bambina si stringe nelle piccole spalle.
“Non importa, adesso ci sei tu insieme a me”
“Cosa?” esclamo senza riuscire a trattenermi, deglutendo un
indesiderato moto di terrore, istintivamente mi guardo di nuovo intorno nella
speranza di scorgere qualcuno che la stia cercando, speranza immediatamente
infranta.
“Ehm… Ruby, la mamma non ti ha insegnato che non si parla
con gli sconosciuti?” azzardo sentendomi stranamente uno stupido, che senso ha
suggerirle di non parlare con me quando questo significherebbe lasciarla vagare
da sola in mezzo ad un marasma di persone con intenzioni dubbie? Il pensiero mi
fa contorcere lo stomaco e mi spinge a spostarmi di qualche centimetro più
vicino a lei.
Lo strano istinto di protezione che mi invade mi risulta
quasi del tutto sconosciuto, quasi, perché credo di aver provato qualcosa di
simile precedentemente, ma mai per un esserino così piccolo e dolce. Più dolce
di quanto riesca a sostenere.
“Tu non sei uno sconosciuto, sei Jared!” ribatte come fosse
la cosa più naturale del mondo, gli occhi fissi sul fiocco blu che orna il
cappello nel tentativo innocente di provare a scioglierlo.
“Già… ma tu non mi conosci” le faccio notare, la bambina non
risponde, apparentemente troppo intenta a studiare i dettagli dell’oggetto che
ha tra le mani, do un’ultima occhiata in giro per accertarmi che lei sia
davvero sola e che non si tratti di uno stupido scherzo per attirare la mia
attenzione, sospiro e mi accovaccio appena per essere alla sua altezza.
“Ascolta Ruby” sottolineo il suo nome non potendo fare a
meno di notare quanto le calzi a pennello considerato il rosso scuro dei suoi
capelli, lei alza un paio di formidabili occhi blu e li incastra nei miei, la
sua espressione è tranquilla e risoluta, senza celare nessuna paura “Che ci fai
qui?” domando sperando che l’aver catturato completamente la sua attenzione mi
aiuti ad ottenere una risposta coerente.
“Volevo il gelato” risponde lei dopo qualche secondo di
silenzio, indicando con una manina un chiosco distante qualche metro da noi.
“E per questo ti sei allontanata dalla tua mamma?” annuisce
“e ora non riesci più a trovarla?” annuisce ancora una volta “vuoi che ti aiuti
a cercarla?” ci mette qualche secondo prima di rispondermi, un paio di piccole
dita posate sulle labbra piene e rosee quasi come se avesse bisogno di
ragionarci sul serio.
“Voglio il gelato” decide infine spingendomi a lottare
disperatamente contro la voglia di scoppiare a ridere: la situazione è fin
troppo tragica per poter essere davvero divertente come sembra.
“D’accordo, te lo compro io” sospiro dopo il silenzio
prolungato che segue le sue parole, mettendo mano al portafogli che riposa
abbandonato nella borsa che porto a tracolla; ne approfitto per mettere via
anche i fogli scarabocchiati di pensieri apparentemente incoerenti mentre, Ruby
salta in piedi con tanto di applauso e sorriso ampio e sfavillante avviandosi
verso il chiosco con un entusiasmo che per un attimo mi spaventa.
“Ehi, aspettami!” la ammonisco, lei gira su se stessa e si
stringe nelle piccole spalle fissandomi con aria perplessa “vuoi perderti di
nuovo?” domando raggiungendola e guardandola dall’alto in basso, scuote la
testa e prova ad afferrare la mia mano con la sua, il contatto attiva in me un
meccanismo di difesa quasi del tutto involontario, mi allontano di scatto
lasciandola ad osservarmi con un’espressione triste sul bel visino paffuto, immediatamente
dopo provo a trovare qualcosa da dire o fare che possa rimediare all’accaduto
ma sembra impossibile, mi ritrovo a sudare per la fatica di dover reggere una
situazione assurda che fino a pochi minuti fa non avrei mai nemmeno immaginato.
“Ehm…” la supero di slancio, optando per il fingere che non
sia successo nulla “… hai qualche idea per il gusto?” la soluzione sembra
funzionare, Ruby si fa scivolare di dosso qualsiasi pensiero la stesse
tormentando e mi raggiunge in un batter d’occhio.
“Melone” risponde mettendosi sulle punte per arrivare oltre
il bordo del bancone, cosa in cui fallisce miseramente.
“Melone??” esclamo facendo sorridere la ragazza biondina che
attende di servirci “Che razza di bambina è una che sceglie il melone come
gusto del gelato? Non dovrebbe piacerti qualcosa tipo il cioccolato?”
“Mi piace la frutta” ribatte tranquillamente, battendomi in
lucidità oltre che tranquillità.
“Già, come ho fatto a pensare che potessi essere una
normalissima bimba di quattro anni?” alzo gli occhi al cielo, salvo poi
concludere con un ammiccamento verso il bel viso che mi osserva maliziosamente.
“Jared?”
“Sì?”
“Non tutti i maschi grandi portano i capelli così lunghi,
vero?” la domanda di Ruby mi coglie alla sprovvista “gli amici di mamma non lo
fanno”
“Immagino di no” e forse non lo farà nemmeno suo padre.
“Già, come ho fatto a pensare che potessi essere un
normalissimo maschio grande?” ripete la cantilena facendo scoppiare completamente
a ridere la ragazza che ha almeno la decenza di prendere i soldi e allontanarsi
per accontentare i gusti della principessina.
Come non detto, ti pare che non doveva capitarmi la prima
bambina prodigio di tutta Los Angeles che si diverte a farmi passare per uno
stupido?
“Ah ah, molto divertente Ruby” le
lancio un’occhiataccia che lei ricambia con sguardo innocente.
“Mi piacciono i tuoi capelli” bene, si comincia da giovani
ad inventare bugie per rimediare agli errori.
“Certo, prendi quel gelato e andiamo” faccio cenno alla
ragazza di tenere il resto e aspetto che Ruby sia pronta per seguirmi prima di
riavviarmi verso la panchina che abbiamo lasciato, mi sembra la scelta più
intelligente, chiunque la stia cercando potrebbe ritrovarsi ben presto in
questo posto.
“Ne vuoi un po’?” domanda lei mentre prova a sedersi con una
mano occupata dal cono gelato, mi abbasso quel tanto da permettermi di
aiutarla, non mi costa nessuna fatica, è davvero leggerissima.
“No grazie” mi siedo accanto a lei e fisso gli occhi nel
vuoto: il mondo continua a muoversi imperterrito nella sua sfumatura color
seppia mentre una meravigliosa creaturina muove la gambine ad un ritmo
sconosciuto, vicina a me più di quanto lo sia mai stato un bambino in vita mia.
“Alla mamma piacerebbero un sacco i tuoi capelli” mi volto a
guardarla, ho quasi l’impressione che una piccola di quattro anni si stia
sforzando di mantenere viva una conversazione che non esiste.
“Tua madre dovrebbe essere qui con te in questo momento”
“Non è colpa sua!” strilla, il viso sporco del gelato che le
gocciola quasi fino al gomito “lei è sempre insieme a me” i grandi occhioni
cominciano a riempirsi di lacrime trattenute.
“D’accordo, d’accordo. Ruby non piangere” corro a ripari prima
che possa succedere davvero perché a quel punto non saprei affatto come
gestirla “Finisci il gelato e ti prometto che ti aiuterò a cercarla,
d’accordo?” lei annuisce tirando su col naso e mi osserva intensamente.
“Faremo un giro insieme?”
“Sì”
“Lo prometti?”
“Lo prometto”
In che razza di guaio mi sto cacciando? Per quale assurdo
motivo una bambina sperduta dovrebbe volersi affidare a me in questo modo? Non
credevo di rappresentare una così grande sicurezza, non lo sono mai stato per
me stesso e non ho mai sperato di poterlo essere per gli altri, tanto meno per
lei.
Ruby finisce il suo gelato nel silenzio più assoluto “Mi
aiuti?” domanda alla fine quando mi rendo conto che si è completamente imbratta
il viso e le manine, con uno sforzo di volontà la accompagno ad una fontanina
vicina perché possa sciacquarsi, la aiuto in ogni momento, troppo terrorizzato
dal fatto che possa farsi male.
“Va meglio?” lei annuisce, felice, quasi completamente
dimentica di aver perso sua madre chissà dove. Comincio a guardarmi meglio
intorno per individuare il posto più adatto in cui cominciare la fatidica
ricerca del nulla più assoluto.
“Jared?”
“Mh?”
“Posso vedere i tuoi occhi?” solo quando lo domanda mi rendo
conto di aver tenuto gli occhiali fino ad ora, la forza dell’abitudine ormai mi
permette di dimenticarli completamente anche senza volerlo.
Mi inumidisco le labbra e automaticamente li tolgo
mettendoli via, Ruby mi osserva con attenzione mentre lo faccio e un attimo
immediatamente dopo esercita una piccola pressione sui miei pantaloni
costringendomi ad accovacciarmi di fronte a lei. Una volta alla stessa altezza,
passa delicatamente una mano sul mio viso, come per accertarsi che sia vero.
Guardarla negli occhi è come guardarmi allo specchio, ci
scambiamo lo stesso e identico colore: blu intenso nelle giornate di sole e di
buon umore, sporcato dal grigio dell’apprensione e della preoccupazione.
Perché è venuta proprio da me?
“Ruby…”
“RUBY!!” qualcuno strilla alle mie spalle, nello stesso istante
mi ritrovo a dovermi fare da parte. In un primo momento distinguo solo una
massa di capelli rossi e percepisco alcune parole confuse e tremanti, poi
diventa tutto più chiaro: accovacciata di fronte alla bambina c’è una ragazza
in costume da bagno, la carnagione bianca e i capelli rossi della stessa e
identica tonalità sottolineano l’evidente legame di sangue.
“Non ti azzardare mai più a farmi una cosa del genere! Oh
mio Dio” la stringe tra le braccia trattenendo un singhiozzo.
“Scusa, volevo il gelato”risponde
Ruby stringendola a sua volta “Jared me l’ha comprato”
“Ja-Jared?” la bambina mi indica
innocentemente ed io vengo investito da un intenso sguardo scuro e un viso
liscio abbellito da una spruzzata appena visibile di lentiggini, per un secondo
mi pento amaramente di essermi tolto gli occhiali scuri.
Non sapendo che fare mi limito ad un piccolo cenno con la
mano, la ragazza si asciuga frettolosamente le lacrime che le avevano bagnato
il viso e tira su col naso “grazie” sussurra sforzandosi di mantenere la voce
calma ma non riesce a celare del tutto il nodo che le stringe la gola.
Stupida ragazzina.
“Sta tranquilla” rispondo, più freddo di quanto mi sarei
aspettato da me stesso “La prossima volta ti consiglio di stare più attenta a
tua sorella se vuoi prenderti la responsabilità di portarla in giro, non
potresti essere sempre tanto fortunata da incontrare una persona come me”
vorrei urlarle in faccia che una bambina così piccola non dovrebbe essere
lasciata sola nemmeno per la più assurda delle fatalità, che questo pomeriggio
ha rischiato potesse succederle qualcosa di davvero orribile!
“Grazie per il prezioso consiglio, prometto che lo terrò
presente” i suoi lineamenti si induriscono nei confronti della mia netta
disapprovazione.
“Sarà meglio”
“Bene!”
“Dove stai andando??” sbotto non appena mi rendo conto della
sua intenzione, non so nemmeno perché glielo stia chiedendo, improvvisamente
lasciarle Ruby mi sembra un’idea inconcepibile, come se da sola non fosse
abbastanza per proteggerla davvero.
“Se permetti, la porto via” prende la bambina in braccio e
fa per voltarsi.
“Lascia almeno che vi accompagni!”
“Non abbiamo bisogno di te, né di nessun altro, grazie. Ruby
saluta il signore, andiamo a casa”
“Ma…” prova a ribellarsi la piccola.
“Nessun ma, Ruby, fa come ti ho detto”
“Ma mamma, Jared mi aveva promesso che saremmo andati a fare
un giro!”
Mamma??
“Non sempre si possono mantenere le promesse Ruby, salutalo”
fisso per l’ultima volta lo sguardo scuro della giovane donna che ho davanti,
improvvisamente tutto torna nel modo in cui non avrei mai immaginato potesse
tornare.
“Ciao Jared”
“Ciao piccola”
Le osservo allontanarsi tra la folla, due teste ricciolute
dello stesso rosso acceso, due paia di occhi enormi che richiamano il contrasto
tra cielo e terra, do loro un vantaggio di poco più di dieci secondi prima di
cominciare a seguirle.
Non può finire così.