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Autore: Angel_lily    18/07/2013    4 recensioni
“Ciao” mi azzardo a pronunciare restando sulla difensiva per paura di una sua reazione negativa.
“Ciao” risponde lei, tranquillamente, con una vocina limpida e squillante “Come ti chiami?” domanda con aria innocente cogliendomi alla sprovvista.
“Jared” rispondo immediatamente, senza trovare qualcosa di meglio da aggiungere.
“Mi fai provare il tuo cappello?” lo indica con una manina paffuta restando quasi del tutto immobile a mezzo metro dal mio corpo, me lo sfilo senza troppe esitazioni e glielo porgo, lei sorride soddisfatta e lo indossa senza preoccuparsi del fatto che sia troppo grande e che le cada pesantemente sugli occhi “me lo regali?”
“Solo se mi dici come ti chiami” la ricatto ottenendo un piccolo e innocuo broncio, ben presto sostituito da un’espressione assente, fissa sull’obbiettivo di tenersi il cappello.
“Ruby”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bene, eccomi qui *-*
Punto 1: non posso credere di essere tornata!
Punto 2: Sono così felice di essere tornata! *___*
Saranno stati i concerti a dammi l’input giusto per ripresentarmi al vostro cospetto miei carissimi lettori, sta di fatto che ora sono qui con questo nuovo esperimento, sperando di catturare almeno un po’ la vostra attenzione. Se vi va di farmi sapere cosa ne pensate io ne sarei felice come sempre! Spero di potermi imbarcare con voi in questa nuova (e particolare) avventura <3

Un bacio a tutti,

 

 

CAPITOLO 1: JARED

Venice beach.

È un distretto della parte ovest del municipio di Los Angeles, nonché una delle mete turistiche più belle ed ambite dell’estrema costa occidentale; città modellata sulla classica bellezza della Venezia italiana, racchiude in sé lo spirito alternativo e Bohemien dei residenti Californiani, contando su pittoresche vedute di abissi che sconfinano nell’orizzonte più profondo e coloratissime casette di legno.

Amo raggiungere posti di questo genere quando il mio tempo libero mi permette di dedicarmi alla parte che preferisco del mio lavoro: scrivere testi, comporre musica. Non passo spesso per Venice Beach ed ogni volta che mi ricapita mi domando quale possa essere l’assurdo motivo; la natura qui non si è affatto risparmiata e c’è da dire che anche l’uomo si è impegnato a fare del suo meglio.

La fresca brezza del Pacifico mi scompiglia i lunghi capelli ribelli rendendo meno semplice il concentrarmi sui fogli bianchi, scarabocchiati di pensieri, che tengo sulle ginocchia.

C’è gente che scorrazza allegra, in costume da bagno, o in tenuta sportiva, tra le alte palme a pochi metri dalla splendida spiaggia: chi sorride, chi si lamenta, chi scoppia a ridere per una qualche battuta, bambini che fanno i caprici, skateboard che grattano l’asfalto immacolato e qualche musicista improvvisato che riempie l’atmosfera con le note stonate di uno strumento a fiato.

Tutto questo non è per niente fastidioso, anzi, è come il ritmo continuo di una musica nuova pronta ad offrirsi solo a chi è in grado di ascoltarla, il traffico è armonia, i rumori suggerimenti, i cinguettii note e le chiacchiere complicati testi da adattare al pentagramma. È una bella sfida provare a scrivere e raccontare ciò che mi circonda piuttosto che quello che mi porto dentro, è un radicale cambiamento di rotta ma non mi spaventa, sono sempre pronto e disponibile a rinnovarmi in quanto artista, mi fa sentire rilassato e allo stesso tempo pieno di adrenalina mettermi costantemente alla prova.

L’arte non è una scienza esatta, è stomaco e cuore, è un continuo evitare di somigliarsi troppo e per troppo tempo ed è quello che io stesso ho cercato di fare in tutta la mia carriera.

Il mondo assume una sfumatura color seppia visto attraverso gli occhiali da sole che uniti al cappello chiaro contribuiscono a nascondermi oltre che a proteggermi dalla calura estiva, in fin dei conti c’è un certo vantaggio nello spostarmi da solo, le poche volte in cui lo faccio, ed è quello di non destare alcun sospetto nelle persone ignare che vanno avanti a godersi la propria vita senza degnare di un solo attimo di attenzione chi si prenda la briga di sedersi su una panchina in pieno giorno con un fascicolo di fogli scarabocchiati tra le mani e una penna che perde inchiostro: è piacevole sentirsi un anonimo Jared piuttosto che il solito Leto a volte.

Davvero una bella sensazione. La annoto come frase a piè di pagina e sospiro sorridendo; il rumore delle onde mi attira come il canto di una sirena ma probabilmente aspetterò che le acque si calmino prima di concedermi una passeggiatina in riva al mare.

Deglutisco inumidendomi le labbra e valutando l’idea di andare a comprare una bella bibita fresca quando qualcosa di molto piccolo attira la mia attenzione, qualcosa di davvero molto piccolo.

Sembra quasi finta e non mi ero accorto che fosse seduta qui fino a questo momento: due enormi occhioni blu oceano fissi su di me e una massa informe di capelli ricci e rossi che le cadono sulla fronte liscia e talmente chiara da farmi temere che possa scottarsi irrimediabilmente sotto questo sole prepotente; mi guardo intorno con un certo disagio cercando la spiegazione più coerente ad un’apparizione di questo tipo, ma c’è il solito caos, niente di più e niente di meno. Torno quasi immediatamente con lo sguardo sulla figurina avvolta in un grazioso costume colorato, i piedini non toccano terra e per questo ciondolano oltre il bordo della panchina calzati da un paio di minuscole infradito, non sembra essere spaventata né preoccupata, in realtà mi guarda con curiosità fin troppo insistente per essere una bambina così piccola.

“Ciao” mi azzardo a pronunciare restando sulla difensiva per paura di una sua reazione negativa.

“Ciao” risponde lei, tranquillamente, con una vocina limpida e squillante “Come ti chiami?” domanda con aria innocente cogliendomi alla sprovvista.

“Jared” rispondo immediatamente, senza trovare qualcosa di meglio da aggiungere.

“Mi fai provare il tuo cappello?” lo indica con una manina paffuta restando quasi del tutto immobile a mezzo metro dal mio corpo, me lo sfilo senza troppe esitazioni e glielo porgo, lei sorride soddisfatta e lo indossa senza preoccuparsi del fatto che sia troppo grande e che le cada pesantemente sugli occhi “me lo regali?”

“Solo se mi dici come ti chiami” la ricatto ottenendo un piccolo e innocuo broncio, ben presto sostituito da un’espressione assente, fissa sull’obbiettivo di tenersi il cappello.

“Ruby” risponde senza guardarmi. Ruby. È così piccola…

“Quanti anni hai, Ruby?” alza quattro piccole dita ed io mi ritrovo a spalancare gli occhi, incredulo: che diavolo ci fa qui tutta sola?? “Dov’è la tua mamma?” la bambina si stringe nelle piccole spalle.

“Non importa, adesso ci sei tu insieme a me”

“Cosa?” esclamo senza riuscire a trattenermi, deglutendo un indesiderato moto di terrore, istintivamente mi guardo di nuovo intorno nella speranza di scorgere qualcuno che la stia cercando, speranza immediatamente infranta.

“Ehm… Ruby, la mamma non ti ha insegnato che non si parla con gli sconosciuti?” azzardo sentendomi stranamente uno stupido, che senso ha suggerirle di non parlare con me quando questo significherebbe lasciarla vagare da sola in mezzo ad un marasma di persone con intenzioni dubbie? Il pensiero mi fa contorcere lo stomaco e mi spinge a spostarmi di qualche centimetro più vicino a lei.

Lo strano istinto di protezione che mi invade mi risulta quasi del tutto sconosciuto, quasi, perché credo di aver provato qualcosa di simile precedentemente, ma mai per un esserino così piccolo e dolce. Più dolce di quanto riesca a sostenere.

“Tu non sei uno sconosciuto, sei Jared!” ribatte come fosse la cosa più naturale del mondo, gli occhi fissi sul fiocco blu che orna il cappello nel tentativo innocente di provare a scioglierlo.

“Già… ma tu non mi conosci” le faccio notare, la bambina non risponde, apparentemente troppo intenta a studiare i dettagli dell’oggetto che ha tra le mani, do un’ultima occhiata in giro per accertarmi che lei sia davvero sola e che non si tratti di uno stupido scherzo per attirare la mia attenzione, sospiro e mi accovaccio appena per essere alla sua altezza.

“Ascolta Ruby” sottolineo il suo nome non potendo fare a meno di notare quanto le calzi a pennello considerato il rosso scuro dei suoi capelli, lei alza un paio di formidabili occhi blu e li incastra nei miei, la sua espressione è tranquilla e risoluta, senza celare nessuna paura “Che ci fai qui?” domando sperando che l’aver catturato completamente la sua attenzione mi aiuti ad ottenere una risposta coerente.

“Volevo il gelato” risponde lei dopo qualche secondo di silenzio, indicando con una manina un chiosco distante qualche metro da noi.

“E per questo ti sei allontanata dalla tua mamma?” annuisce “e ora non riesci più a trovarla?” annuisce ancora una volta “vuoi che ti aiuti a cercarla?” ci mette qualche secondo prima di rispondermi, un paio di piccole dita posate sulle labbra piene e rosee quasi come se avesse bisogno di ragionarci sul serio.

“Voglio il gelato” decide infine spingendomi a lottare disperatamente contro la voglia di scoppiare a ridere: la situazione è fin troppo tragica per poter essere davvero divertente come sembra.

“D’accordo, te lo compro io” sospiro dopo il silenzio prolungato che segue le sue parole, mettendo mano al portafogli che riposa abbandonato nella borsa che porto a tracolla; ne approfitto per mettere via anche i fogli scarabocchiati di pensieri apparentemente incoerenti mentre, Ruby salta in piedi con tanto di applauso e sorriso ampio e sfavillante avviandosi verso il chiosco con un entusiasmo che per un attimo mi spaventa.

“Ehi, aspettami!” la ammonisco, lei gira su se stessa e si stringe nelle piccole spalle fissandomi con aria perplessa “vuoi perderti di nuovo?” domando raggiungendola e guardandola dall’alto in basso, scuote la testa e prova ad afferrare la mia mano con la sua, il contatto attiva in me un meccanismo di difesa quasi del tutto involontario, mi allontano di scatto lasciandola ad osservarmi con un’espressione triste sul bel visino paffuto, immediatamente dopo provo a trovare qualcosa da dire o fare che possa rimediare all’accaduto ma sembra impossibile, mi ritrovo a sudare per la fatica di dover reggere una situazione assurda che fino a pochi minuti fa non avrei mai nemmeno immaginato.

“Ehm…” la supero di slancio, optando per il fingere che non sia successo nulla “… hai qualche idea per il gusto?” la soluzione sembra funzionare, Ruby si fa scivolare di dosso qualsiasi pensiero la stesse tormentando e mi raggiunge in un batter d’occhio.

“Melone” risponde mettendosi sulle punte per arrivare oltre il bordo del bancone, cosa in cui fallisce miseramente.

“Melone??” esclamo facendo sorridere la ragazza biondina che attende di servirci “Che razza di bambina è una che sceglie il melone come gusto del gelato? Non dovrebbe piacerti qualcosa tipo il cioccolato?”

“Mi piace la frutta” ribatte tranquillamente, battendomi in lucidità oltre che tranquillità.

“Già, come ho fatto a pensare che potessi essere una normalissima bimba di quattro anni?” alzo gli occhi al cielo, salvo poi concludere con un ammiccamento verso il bel viso che mi osserva maliziosamente.

“Jared?”

“Sì?”

“Non tutti i maschi grandi portano i capelli così lunghi, vero?” la domanda di Ruby mi coglie alla sprovvista “gli amici di mamma non lo fanno”

“Immagino di no” e forse non lo farà nemmeno suo padre.

“Già, come ho fatto a pensare che potessi essere un normalissimo maschio grande?” ripete la cantilena facendo scoppiare completamente a ridere la ragazza che ha almeno la decenza di prendere i soldi e allontanarsi per accontentare i gusti della principessina.

Come non detto, ti pare che non doveva capitarmi la prima bambina prodigio di tutta Los Angeles che si diverte a farmi passare per uno stupido?

“Ah ah, molto divertente Ruby” le lancio un’occhiataccia che lei ricambia con sguardo innocente.

“Mi piacciono i tuoi capelli” bene, si comincia da giovani ad inventare bugie per rimediare agli errori.

“Certo, prendi quel gelato e andiamo” faccio cenno alla ragazza di tenere il resto e aspetto che Ruby sia pronta per seguirmi prima di riavviarmi verso la panchina che abbiamo lasciato, mi sembra la scelta più intelligente, chiunque la stia cercando potrebbe ritrovarsi ben presto in questo posto.

“Ne vuoi un po’?” domanda lei mentre prova a sedersi con una mano occupata dal cono gelato, mi abbasso quel tanto da permettermi di aiutarla, non mi costa nessuna fatica, è davvero leggerissima.

“No grazie” mi siedo accanto a lei e fisso gli occhi nel vuoto: il mondo continua a muoversi imperterrito nella sua sfumatura color seppia mentre una meravigliosa creaturina muove la gambine ad un ritmo sconosciuto, vicina a me più di quanto lo sia mai stato un bambino in vita mia.

“Alla mamma piacerebbero un sacco i tuoi capelli” mi volto a guardarla, ho quasi l’impressione che una piccola di quattro anni si stia sforzando di mantenere viva una conversazione che non esiste.

“Tua madre dovrebbe essere qui con te in questo momento”

“Non è colpa sua!” strilla, il viso sporco del gelato che le gocciola quasi fino al gomito “lei è sempre insieme a me” i grandi occhioni cominciano a riempirsi di lacrime trattenute.

“D’accordo, d’accordo. Ruby non piangere” corro a ripari prima che possa succedere davvero perché a quel punto non saprei affatto come gestirla “Finisci il gelato e ti prometto che ti aiuterò a cercarla, d’accordo?” lei annuisce tirando su col naso e mi osserva intensamente.

“Faremo un giro insieme?”

“Sì”

“Lo prometti?”

“Lo prometto”

In che razza di guaio mi sto cacciando? Per quale assurdo motivo una bambina sperduta dovrebbe volersi affidare a me in questo modo? Non credevo di rappresentare una così grande sicurezza, non lo sono mai stato per me stesso e non ho mai sperato di poterlo essere per gli altri, tanto meno per lei.

Ruby finisce il suo gelato nel silenzio più assoluto “Mi aiuti?” domanda alla fine quando mi rendo conto che si è completamente imbratta il viso e le manine, con uno sforzo di volontà la accompagno ad una fontanina vicina perché possa sciacquarsi, la aiuto in ogni momento, troppo terrorizzato dal fatto che possa farsi male.

“Va meglio?” lei annuisce, felice, quasi completamente dimentica di aver perso sua madre chissà dove. Comincio a guardarmi meglio intorno per individuare il posto più adatto in cui cominciare la fatidica ricerca del nulla più assoluto.

“Jared?”

Mh?”

“Posso vedere i tuoi occhi?” solo quando lo domanda mi rendo conto di aver tenuto gli occhiali fino ad ora, la forza dell’abitudine ormai mi permette di dimenticarli completamente anche senza volerlo.

Mi inumidisco le labbra e automaticamente li tolgo mettendoli via, Ruby mi osserva con attenzione mentre lo faccio e un attimo immediatamente dopo esercita una piccola pressione sui miei pantaloni costringendomi ad accovacciarmi di fronte a lei. Una volta alla stessa altezza, passa delicatamente una mano sul mio viso, come per accertarsi che sia vero.

Guardarla negli occhi è come guardarmi allo specchio, ci scambiamo lo stesso e identico colore: blu intenso nelle giornate di sole e di buon umore, sporcato dal grigio dell’apprensione e della preoccupazione.

Perché è venuta proprio da me?

“Ruby…”

“RUBY!!” qualcuno strilla alle mie spalle, nello stesso istante mi ritrovo a dovermi fare da parte. In un primo momento distinguo solo una massa di capelli rossi e percepisco alcune parole confuse e tremanti, poi diventa tutto più chiaro: accovacciata di fronte alla bambina c’è una ragazza in costume da bagno, la carnagione bianca e i capelli rossi della stessa e identica tonalità sottolineano l’evidente legame di sangue.

“Non ti azzardare mai più a farmi una cosa del genere! Oh mio Dio” la stringe tra le braccia trattenendo un singhiozzo.

“Scusa, volevo il gelato”risponde Ruby stringendola a sua volta “Jared me l’ha comprato”

Ja-Jared?” la bambina mi indica innocentemente ed io vengo investito da un intenso sguardo scuro e un viso liscio abbellito da una spruzzata appena visibile di lentiggini, per un secondo mi pento amaramente di essermi tolto gli occhiali scuri.

Non sapendo che fare mi limito ad un piccolo cenno con la mano, la ragazza si asciuga frettolosamente le lacrime che le avevano bagnato il viso e tira su col naso “grazie” sussurra sforzandosi di mantenere la voce calma ma non riesce a celare del tutto il nodo che le stringe la gola.

Stupida ragazzina.

“Sta tranquilla” rispondo, più freddo di quanto mi sarei aspettato da me stesso “La prossima volta ti consiglio di stare più attenta a tua sorella se vuoi prenderti la responsabilità di portarla in giro, non potresti essere sempre tanto fortunata da incontrare una persona come me” vorrei urlarle in faccia che una bambina così piccola non dovrebbe essere lasciata sola nemmeno per la più assurda delle fatalità, che questo pomeriggio ha rischiato potesse succederle qualcosa di davvero orribile!

“Grazie per il prezioso consiglio, prometto che lo terrò presente” i suoi lineamenti si induriscono nei confronti della mia netta disapprovazione.

“Sarà meglio”

“Bene!”

“Dove stai andando??” sbotto non appena mi rendo conto della sua intenzione, non so nemmeno perché glielo stia chiedendo, improvvisamente lasciarle Ruby mi sembra un’idea inconcepibile, come se da sola non fosse abbastanza per proteggerla davvero.

“Se permetti, la porto via” prende la bambina in braccio e fa per voltarsi.

“Lascia almeno che vi accompagni!”

“Non abbiamo bisogno di te, né di nessun altro, grazie. Ruby saluta il signore, andiamo a casa”

“Ma…” prova a ribellarsi la piccola.

“Nessun ma, Ruby, fa come ti ho detto”

“Ma mamma, Jared mi aveva promesso che saremmo andati a fare un giro!”

Mamma??

“Non sempre si possono mantenere le promesse Ruby, salutalo” fisso per l’ultima volta lo sguardo scuro della giovane donna che ho davanti, improvvisamente tutto torna nel modo in cui non avrei mai immaginato potesse tornare.

“Ciao Jared”

“Ciao piccola”

Le osservo allontanarsi tra la folla, due teste ricciolute dello stesso rosso acceso, due paia di occhi enormi che richiamano il contrasto tra cielo e terra, do loro un vantaggio di poco più di dieci secondi prima di cominciare a seguirle.

Non può finire così.

 

   
 
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