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Autore: Horrorealumna    19/07/2013    1 recensioni
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Insieme alla mia vita e alla sua.
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Con la nostra morte.
Dopotutto non c’è niente da temere.
Perché temere la morte quando si ha già paura del buio?
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alessa Gillespie, Dahlia Gillespie
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fear of ...'
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PAURA DEL BUIO
 

Solo dopo aver lasciato la sala della cerimonia, capii cosa realmente tenevo stretto tra le braccia: una bambina vera. In carne ed ossa. Era davvero minuscola, ma comunque non riuscivo a tenerla per bene; si dimenava e scalciava, debole ma vispa, con gli occhi ancora chiusi. Parte di me e di quel corpo incenerito era contenuta in quel corpicino. Io tenevo stretta... una parte di me stessa.
Poteva essere considerata, a grandi linee, la figlia di Alessa?
Mia figlia?
No.
No. Lo avrei impedito con tutte le mie energie.
No. Perché io avevo solo sette anni e portavo già avanti la... la... quel demone...
La mia anima si era scissa e lei custodiva il pezzo mancante. Quello che l’Ordine avrebbe preso a cercare con insistenza, una volta scoperto il mio giochetto. In quel momento, stavo garantendo vita sicura all’Alessa mortale e a quella nuova vita: senza l’altra metà, un’anima non può considerarsi completa. E quel corpo sprovvisto di anima completa non potrà mai arrivare a dare la luce a quel bambino.
Camminai con lei, lontano dalla città.
Mi sembrò di essere tornata indietro di anni e anni: percorrere quelle strane vie era diventato il mio incubo da piccola; essere sempre stata sotto gli occhi della gente era stato il mio tormento e la paura di essere dimenticata o, peggio ancora, considerata una creatura demoniaca mi aveva perseguitato. Ora tutte quelle persone, inconsapevolmente, erano i miei burattini, dalle sembianze mostruose. Le controllavo, in un certo senso. E chissà se anche quella neonata che stringevo al me poteva avere qualche sorta di influenza su di loro.
Al posto di garantire ad un potere sovrannaturale e incredibilmente malvagio di controllare Silent Hill e il mondo, pensai mentre mi dirigevo lentamente verso l’entrata della città, avrei preferito morire. Scomparire. Tutto, pur di non garantire la venuta di quel demone. E ci ero stata così vicina, poco fa; ero stata ingannata, per l’ultima volta.
Finalmente la bambina aprì gli occhi. I nostri sguardi si incrociarono per un attimo: aveva le iridi scure, grandi e luminose. Non aveva molti capelli sulla testa, ma quelli che possedeva, corti e sottilissimi, erano scuri; probabilmente saremmo diventate gocce d’acqua crescendo; non avrei mai potuto saperlo con certezza: lei e io non potevamo stare insieme. Tenevo tra le mani una bomba ad orologeria, perché se fosse rimasta con me, al sicuro, ma a Silent Hill, prima o poi, avrebbe scoperto il segreto delle sue origini e sarebbe stata in pericolo. Questa città non era per lei e mai sarebbe stata casa sua.
Un’ombra, alla mia destra, nascosta dalla nebbia, mi superò a gran velocità, come se scorgendomi da lontano, avesse cercato di non farsi notare. Camminava nella mia stessa direzione, verso la strada. E sapevo esattamente di chi si trattava.
Ridacchiai quando passai davanti a casa mia: era completamente intatta, come se nessun incendio ci fosse mai stato. La nebbia non riusciva a coprirla abbastanza; la finestra accanto alla mia cameretta era spalancata... mentre una bambina la guardava con ostinata insistenza. La figura era esile e coperta di cenere, vestita completamente di grigio. Guardava la casa nello stesso modo in cui un amante fissa la finestra dell’amata, sperando che quella si affacci a salutarlo; Claudia Wolf continuava a chiamare il mio nome, cercandomi tra quelle mura maledette e alzando le braccia come fossero piccole e fragili ali.
Sola. Io non potevo fare più niente per la mia dolce sorellina; la bambina tra le mie braccia...
Poi, senza alcuna risposta, scoppiò a piangere, invocandomi ancora, ed ancora.
La superai, cercando di evitare il suo sguardo. Lei non poteva vedermi, ma mi sentivo davvero in colpa a lasciarla là, al suo pianto; non ci saremmo mai più riviste e questo mi spezzava il cuore. La sua vita sarebbe cambiata, insieme a quella dell’Ordine: probabilmente si sarebbero dovuti nascondere, magari sottoterra, lontani dai mostri e da quella nebbia, dalla cenere e da me.
I tempi della caccia erano finiti. Non li avrei toccati, lasciavo ai nuovi abitanti di Silent Hill il divertimento. Eppure, la mia ira sarebbe stata orribile e spaventosa, se qualcuno di loro avesse alzato un dito sul mio corpo o su quella neonata.
- Tu non puoi stare qui - le sussurrai piano, giocando con la sua manina.
La figura adulta, che mi aveva sorpassato pochi minuti prima, era ora al confine estremo della città: era poggiato contro un cartello, che recava scritto “State lasciando Silent Hill” e lo leggeva ad alta voce, sempre più contento. Ansimava per la fatica e per la corsa.
Travis.
Nello stesso posto in cui l’avevo visto per la prima volta e lo “obbligai” a salvarmi dalle fiamme.
Mi resi visibile a lui, insieme alla neonata, diramando la nebbia. Non fu sorpreso di vedermi; sorrise debolmente alla mia vista, ma quella strana felicità sembrò abbandonarlo quando i suoi occhi si posarono sul quello che tenevo tra le braccia. Si aggiustò il berretto sulla testa e mi guardò, curioso.
- Devo nasconderla - gli annunciai piano, senza altre informazioni. Se lo conoscevo davvero bene, quel camionista mi avrebbe capita.
- E io devo andare - mi rispose lui, piano, quasi cercando di dosare bene le sue parole.
- Per entrarci basta volerlo... ma nessuno esce senza il mio permesso - gli sorrisi dolcemente. Lo sentii rabbrividire; probabilmente doveva aver avuto un piccolo déjà vu, o forse lo stavo semplicemente spaventando.
Ma non erano certo le mie intenzioni.
Lasciò la presa sul cartello e fece qualche passo avanti.
- Ti lascio andare - gli dissi infine, anche per evitare inconvenienti - Ma ad una condizione, Travis.
Rimase in silenzio, curioso di sentire cosa avevo in mente per lui.
- Promettimi... che tornerai. Che tornerai a Silent Hill - annunciai infine.
Stette ancora zitto. La città gli aveva garantito una vita di incubi e tormenti, ma io sarei rimasta qui, prigioniera di una mia stessa magia, e sapere che, prima o poi, lui sarebbe tornato, anche solo per un attimo, magari anche a cercarmi... e l’avrei rivisto. Il mio salvatore. Gli dovevo la vita parecchie volte. Senza di lui...
- Io sarò qui - continuai, cercando di convincerlo - Non vedrai nessuno tranne me, non permetterò che tu entri in questa dimensione.
Improvvisamente gli occhi di Travis si illuminarono e il suo capo si alzò. Gli occhi puntarono il cielo. E poi sussurrò una parola, un qualcosa che io non avrei mai più rivisto: “sole”.
Non ebbi una vera e propria risposta.
La nebbia si dissolse rivelando proprio dietro di lui il suo camion. Lo accompagnai fino all’abitacolo, guardandolo salire, con un briciolo di invidia nel mio cuore.
Una volta seduto al posto del conducente, si voltò indietro ad afferrare una coperta macchiata e me la porse, indicandomi la neonata:
- Coprila - mi disse, mentre accettavo il “regalo” - Sentirà freddo.
Feci come mi aveva detto lui; ebbi un po’ di difficoltà, dato che rimanevo nell’aspetto una bambina e non ero abbastanza forte, ma alla fine riuscii ad avvolgerla quasi completamente. Il fagottino si agitò un attimo. Mosse la manina paffuta e mi afferrò il fiocco rosso che portavo al colletto del grembiule, tenendolo stretto e gingillandoci.
Travis stava andando via.
Chiuse lo sportello.
Continuai a fissarlo, aspettando una risposta, o un addio...
- Promettimelo - gli ripetei forte, affinché mi sentisse.
Avevo paura.
Perché ero davvero sola. Sola e potente, contro una Setta di pazzi. E contro mia madre.
Mi aveva salvato. Solo quando c’era lui, in città, non avevo davvero temuto la morte... non avevo mai temuto...
Al suono della mia voce, al mio grido, la bambina cominciò a singhiozzare. O forse aveva solo fame...
Allora, Travis ricambiò il mio sguardo, si tolse il berretto e mi sorrise piano; sentii la sua mano cercare il cruscotto e... girare la chiave. Peccato, perché la vettura non si mise in moto.
Continuammo a guardarci.
Mi disse qualcosa, che non sentii bene...
- Promettimelo - dissi ancora. Ricevetti un cenno del capo. Mi sorrise ancora...
E finalmente lasciai che il motore del camion riprendesse a funzionare. E gli sorrisi anche io. Perché sarei stata qui, ad aspettarlo. Questo era solo l’inizio della mia storia. Avrei fatto di tutto, pur di rivederlo.
Abbassò il finestrino e mi urlò:
- Vieni via con me! Posso portarti dove desideri...
No.
C’era un motivo per cui non gli avevo lasciato la bambina. E un altro per cui non potevo seguirlo.
Scossi piano il capo, continuando a sorridergli.
Allora alzò la mano e chinò piano il capo, come gesto di saluto, per poi togliere il freno e partire... lontano da me e da Silent Hill. Sapevo che avrebbe mantenuto la sua promessa, era un uomo di parola... Travis.
 
La nebbia, invece, continuava a circondarmi, anche dopo aver lasciato Silent Hill; ma mi sentivo debole, quasi spossata... lontano dalla mia città d’origine. Avevo camminato per davvero troppo tempo...
Dovevano essere state ore...
Perché sentii che la bambina che cadeva addormentata tra le mie braccia e un leggero vento alzarsi a muovermi i capelli. I campi sui quali camminavo, anche se era piena estate, erano spogli e privi di foglie. Probabilmente dovevo essere io e farli appassire; ciò mi riempii il cuore di tristezza: quello non era il mio mondo. Il sole, il cielo, gli animali... la piccola sarebbe vissuta lontano dal mio inferno e dalla mia maledizione.
In quel momento, dopo il sonnellino, aveva cominciato a lamentarsi e a piagnucolare. Quel suono, forte e martellante, mi aveva stufata: la scossi bruscamente, guardandola negli occhi... facendola calmare.
- Hai fame? - le chiesi, guardandomi attorno, vicino all’autostrada - O sei triste? Sei triste perché sei lontana da casa? Non ti preoccupare. Andrà tutto bene.
Aveva occhi solo per me.
E mi inquietava abbastanza.
Così, cercai di coprirle il viso con la coperta, ma quella ricominciava a piangere ogni volta che ci provavo. Le coprii giusto il collo e il petto, abbastanza per non lasciare che il vento le colpisse la pelle nuda; poi, presi a canticchiare una canzone. Una bellissima canzone, che ricordo, cantai a scuola, durante la lezione di musica.
 

First flew the greedy Pelican,
Eager for the reward,
White wings flailing.
 
Then came a silent Dove,
Flying beyond the Pelican,
As far as he could.
 
A Raven flies in,
Flying higher than the Dove,
Just to show that he can.
 
A Swan glides in,
To find a peaceful spot,
Next the another bird.
 
Finally out comes a Crow,
Coming quickly to a stop,
Yawning and then napping.
 
Who will show the way?
Who will be the key?
Who will lead to
The silver rewards?
 

 
Proprio in quel momento, qualcosa mi disse di fermarmi; mi trovavo in una radura spoglia, e alla mia destra c’era il via vai delle automobili. Presi la piccola e l’allontanai dal petto, solo per vederla ricominciare a frignare; la baciai sulla fronte e le dissi piano:
- Non piangere, non piangere. Tornerò da te, ci rivedremo.
Sembravo prossima alle lacrime... lo ero veramente. Posso davvero piangere, per un semplice addio?
- Shhh - le dissi ancora, poggiandola delicatamente sul suolo - Tu resta qui. Presto... presto... e giocheremo insieme. Lo giuro. Ma tu... devi andare via. Devi stare lontana da me, piccola.
Fu più dura di quello che pensassi. Stavo abbandonando me stessa... o mia figlia... ?
Mi guardò implorante, cominciando a singhiozzare ancora più forte, mentre le toccavo la guancia destra, calda... sentii il suo calore... la baciai ancora... e poi, le coprii il viso col lembo di tessuto. La verità era che non sapevo se le nostre strade si sarebbero incrociate ancora... ma dire quelle parole mi aveva fatto stare meglio.
I sensi di colpa minacciarono di uccidermi quel giorno.
E ritornai a scoprire cosa voleva dire essere umana, dentro un corpo, quando scoprii lacrime scendermi lungo il viso.
- Cosa sto facendo? - chiesi a me stessa, allontanandomi dal fagottino e nascondendomi dietro un piccolo cespuglio morto. Mi asciugai le lacrime con le mani, pentendomi di quello che avevo appena fatto.
Eppure li avevo visti. Loro.
Due persone, marito e moglie, avvicinarsi a quella bambina e portarla via con loro. E sapevo che erano persone affidabili; lo si poteva leggere nei loro volti che erano pronti ad accudire una bambina.
E quanto tempo attesi il loro arrivo? Quanto fino a sentire la voce di una donna, chiamare il proprio compagno?
Lei si chiamava Jodie... era malata e non poteva avere figlia. Era bella, dolce e tranquilla; i capelli neri le cadevano sulle spalle, sulla pelle pallida. Ma fu suo marito a colpirmi di più. Lui era Harry Mason, un aspirante scrittore, che amava la moglie e che soffriva con lei a causa della malattia. Era giovane, forte... e in un certo senso mi ricordò Travis.
Si avvicinò alla moglie, prendendo in braccio la bambina:
- E’ stata abbandonata qua? Meglio cercare la madre, potrebbe essere nei paraggi.
Ebbi un fremito. Dovevo essere considerata io... sua madre?
Mi abbassai, nascondendomi e sorridendo. Erano loro, sì.
- E’ una bambina, Harry. Ed è bellissima - disse Jodie, distogliendo il marito dalla ricerca.
- Qui non c’è nessuno - annunciò lui, avvicinandosi alla neonata, che ora aveva finalmente smesso di piangere - Chiunque l’abbia abbandonata sarà lontano, ormai. Come si fa a lasciare una bambina come lei tutta sola?!
Sbirciai.
Si tenevano per mano... ora la mia piccola era tenuta in braccio da Jodie.
Fu lei a parlare... a riempirmi il cuore di serenità:
- Cheryl... la chiamaremo Cheryl.
Cheryl...
Mi sentivo davvero circondata da un padre e una madre... ora.
Cheryl.
 
 
 

Ero una ragazza oramai. Il mio corpo, così come il mio aspetto era mutato.
Sedevo nella stanza dell’Alchemilla Hospital, accanto ad Alessa Gillespie. Non aveva più parlato dopo il giorno dell’”incidente” e per capirla dovevo entrare nella sua mente; non era completamente guarita, ma non era orribilmente sfigurata come quasi sette anni fa: i capelli le erano lentamente ricresciuti, così come le pelle. Il viso era per metà ricoperto di piaghe e striature rosse e il corpo ancora avvolto dalle bende, cambiate ogni giorno dall’infermiera Lisa Garland. O da quello che ne era rimasto.
Sette anni nell’inferno.
Sette anni a ridere contro mia madre che tentava in ogni modo di dare alla luce il “dio”.
Io stavo relativamente bene. Ma stare accanto al mio corpo mi nauseava. Ero orribile.
Mentre Cheryl viveva con Harry. Jodie era morto circa quattro anni fa, per la malattia; la piccola non poteva essere molto influenzata dalla scomparsa della madre, data la sua età. Ma in quel momento, doveva avere avuto sette anni...
Ma c’era qualcosa che turbava Cheryl. Sebbene andassi molte volte in visita, nel suo paese, non voleva mai dirmi niente; mi confessò, però, un giorno, di aver avuto per quasi una settimana incubi orribili, popolati da strane creature e il suono di una sirena...
Dietro tutto questo c’era mia madre. Aveva scoperto il mio trucchetto? Sapeva dell’esistenza di Cheryl?
Solo un notte mi resi conto che l’incubo stava ritornando; sentii Dahlia e Kaufmann parlare di una bambina da riportare in città a qualunque costo... poiché grazie a lei sarebbe arrivato il paradiso e il demone sarebbe venuto al mondo.
Non bisognava essere geni per capire che stavano parlando della metà perduta dell’anima di Alessa.
Fino ad oggi, mia madre non mi ha mai trovata, ma continua a riempire le notti di Cheryl di incubi sulla sua città natale. Perché immagina che verrò allo scoperto se Cheryl tornasse in città, o nelle grinfie dell’Ordine. Stanno preparando qualcosa, è sicuro...
- Sarebbe stato meglio per me, morire - ammisi al mio corpo. Alessa si voltò verso di me, roteando gli occhi azzurri - Forse è stato uno sbaglio lasciare quella bambina. Forse avrei dovuto ucciderla... quando ne avevo l’occasione. Ucciderci e porre fine a questo inferno.
Il suicidio.
Solo la morte avrebbe potuto liberarmi e alleviare le nostre sofferenze.
- E perché no? - chiesi sconsolata, alzandomi dalla sedia.
Sentii anche Dahlia riferire all’uomo che uno straniero sarebbe arrivato in città, scatenando l’apocalisse. Avevo una vaga idea di chi si poteva trattare.
- Se lo faccio... potrei davvero liberarci - continuai solennemente - Tanto siamo già morte.
Potevo arrivare ad uccidere quella bambina, per il bene dell’umanità?
Alessa alzò la mano bendata e la tese verso di me. Avremmo prima dovuto riunirci nel suo corpo, col rischio di far nascere il demone... per poi porre fine alla nostra esistenza.
Le sorrisi.
- Stiamo tornando a casa... - le sussurrai prima di svanire, ridendo come una bambina per la contentezza.
 
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Insieme alla mia vita e alla sua.
L’incubo sarebbe finalmente finito.
Con la nostra morte.
Dopotutto non c’è niente da temere.
Perché temere la morte quando si ha già paura del buio?

 
 
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ANGOLO AUTRICE
Ed eccoci alla fine di Fear of the Dark :)
Che dire... ogni storia ha la sua fine. E mi rendo conto che questo epilogo fa decisamente schifo, rispetto agli altri capitoli, dato che nemmeno siamo a Silent Hill; ma poco importa, dato che, naturalmente, la fine di questo capitolo da inizio a Fear of Silence e all’avventura di Harry Mason.
E sono contenta così. Perché adoro la saga, adoro questa storia e mi stupisco di me stessa, perché non avrei mai immaginato, più di un anno fa, di riuscire a finirla :D
E ora passiamo a voi, lettori, che mi avete seguita in questa avventura. E che, spero, siate cresciuti insieme a me e a questa storia. E i ringraziamenti mi sembrano d’obbligo - anche perché siete grandi ;)
Allora, ringrazio Kaida, che con la sua prima - ed unica xD - recensione mi ha dato l’impulso di proseguire con questa storia e che mi ha caricata di entusiasmo; e rogflam che mi è stata accanto per davvero tanto tempo, dandomi spunti e consigli! :D A SempaiAkira e a Leo. E a clif, naturalmente, e alle nostre teorie su Silent Hill in pomeriggi d’estate che mi hanno tenuto compagnia.
Ringrazio coloro che hanno messo tra i preferiti: Franny_chan e lucia1997; tra le ricordate: sempre lucia :D e tra le seguite: ancora clif, ancora Franny, ancora Leo, ancora rogflam e Gaara97 ;)
Ringrazio i lettori silenziosi e non :)
Davvero, non sarei mai arrivata fino qua senza i vostri consigli e i vostri supporti.
Non mi resta altro che salutarci. Ma non dirci addio, spero, visto che la raccolta avrà una continua ;)
 
Vi saluto tutti :) grazie ancora e attenti agli specchi e all’oscurità: non si sa mai dove potrebbero condurvi...
:3
   
 
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