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Autore: Globe    19/07/2013    2 recensioni
Tom Wilson è il Quaterback della Globery University. Una sera dopo una partita di football, spia la sua compagna Stacey Bell mentre uccide un mostro in mezzo al campo. I giorni successivi Tom tenterà di saperne di più, ma lei si ostinerà a mantenere il segreto.
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Mi piacerebbe conoscere i vostri giudizi, :) magari darmi anche qualche consiglio per migliorare. E' il mio primo romanzo in assoluto e vorrei sapere cosa ne pensate :( . PER FAVORE COMMENTATE :D
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Era sera. La Amsterdam Avenue era illuminata dalla luce dei fari. Le case di quel quartiere si assomigliavano molto fra loro. Erano bianche e avevano due tetti: uno era quello principale che copriva tutta la casa; l'altro era sostenuto da delle colonne che ornavano l'entrata, e posto davanti ad una finestra. In quest'ultimo, come abitualmente accadeva, sedeva Stacey. Da lì sentiva tutto: il miagolare dei gatti o l'abbaiare dei cani, le conversazioni per strada, e anche le conversazioni dentro le case. Per lei era normale sentire a dieci metri di distanza un bisbiglio. Però quella sera non si concentrò ad ascoltare i pettegoli delle vicine, o gli schiamazzi dei bambini dentro le loro camere. Questa volta pensò a Tom e a lei. Era ancora arrabbiata con lui per la mancanza di tatto, ma anche un po' dispiaciuta per la reazione che avevo avuto: forse quello schiaffo in fondo in fondo non se lo meritava.
Pensò a ciò che lei era, e al contatto con quell'umano. Gli era già capitato di toccare un umano, ma non volontariamente. Le regole parlavano chiaro: gli umani andavano solo protetti, nè toccati, nè disturbati. Gli umani non dovevano essere consci della loro esistenza. 
La famiglia di Stacey era fedele al regolamento, era riconosciuta come la famiglia più professionale. Mai un tradimento, e quasi mai un fallimento. Il Consiglio si affidava a questi quando le cose si mettevano male. Però, nonostante Stacey facesse parte della famiglia più brava della sua razza, si sentiva soffocare sotto quelle vesti. Voleva essere un' umana. E il desiderio, pensando a Tom si alimentava ancor di più.
« Stacey, Annabel, Ronald. » chiamò la madre per avvisarli della cena.
Stacey fece un balzo di sotto, superò le scale ed entrò dalla porta d'ingresso.
« Quante volte ti ho detto di non farti notare dai vicini, ragazzina. » la ammonì per la millesima volta la madre, con l'aria un po' stufa.
« Mamma, è buio, e non mi vede nessuno. » si giustificò lei, anche se la madre la ignorò.
« Ron, mi chiami Annabel, sarà come al solito con le cuffie nelle orecchie. » gli disse con aria dolce.
« Certo, mamma. » Si alzò da tavola  e salì i gradini a due a due.
Ronald era il figlio adottativo. Era il più grande di tutti, superava Stacey di cinque anni, mentre Annabel era la più piccola: aveva quattordici anni. Non era il primogenito, ma la famiglia lo trattava come tale. Nelle ricognizioni era sempre lui che i genitori sceglievano, e quando i genitori non c'erano, era lui il leader delle missioni. Si comportava sempre in modo diligente, sia in casa che fuori casa: fin da piccolo riusciva a controllare i suoi poteri; e manteneva sempre un profilo basso. I genitori ne erano ammaliati. Non si poteva dire lo stesso di Annabel che era la più pestifera. Una volta a dieci anni spezzò il braccio ad un suo compagno di scuola, che faceva il bulletto con un suo amico; e a dodici fece volare di quattro metri una bambina della sua stessa età alle lezioni di Judo. Infatti quella volta furono costretti a cambiare città e nome,  perchè i maestri facevano troppe domande, e non riuscivano a venirne a capo. Il padre lì per lì, aveva risposto "energia interiore", ma nemmeno i maestri credevano a queste cose.
« Eccola. » disse Ronald, mentre portava sulla spalla la sorellina.
« Questo non potete farlo! Ho i miei diritti! » dimenava morbosamente le braccia, e tirava ginocchiate al fratello.
« Li avrai a diciott'anni. » rispose il padre, mentre sedeva a tavola.
« Arnold quello era in Italia, qui si diventa maggiorenni a sedici. » lo corresse Gwen, la moglie.
« Davvero? » alzò il sopracciglio destro, come se la cosa lo soprendesse molto.
« Eh, si papà. » disse Ron mentre con due dita scostava gli occhiali da vista tartarugati. « Prima che Annabel ci mettesse nei guai. »
« Non è stata colpa mia. Era lei troppo gracile! »  rispose offesa la sorella, mentre sedeva.
« Chiudiamo la discussione, non voglio sentire nulla riguardo a quella storia. » sentenziò la madre. « Pensa piuttosto al lavoro che ti spetta stanotte. »
« Cooosa? » fece un'espressione di mero stupore la sorella più piccola. « Voglio venire anch'io! »
« Sei troppo piccola. » rispose la madre.
« Ma Stacey ha ucciso il suo primo mostro a tredici anni! » piagnucolò Annabel.
« Io non ho rotto finora il braccio a nessuno. » rispose Stacey. Però ti sei fatta vedere mentre uccidevi un mostro. Pensò.
« Ho detto che non voglio sentire più quella storia! » la ammonì la madre con tono insindacabile. « E poi il mostro che ha ucciso Stacey era di Classe Minore. Quello che deve affrontare Ron è Classe Maggiore. »
« Complimenti figliolo, cresci in fretta. » disse il padre che fino a quel momento era stato zitto, perchè era troppo impegnato a mangiare gli spaghetti italiani cucinati dalla moglie. « Sono fiero di te. » alzò la voce, come per dimostrare tutta la sua soddisfazione.
« Cosa? Siete pazzi! » si stupì Stacey nel sentire il tutto. 
« Stacey! » rispose la madre, che spalancò gli occhi dallo stupore.
« Finirà ammazzato! » replicò la figlia.
« Stacey, non preo... » cerco di dire il fratello, ma fu interrotto dal padre che in quel momento si era alzato con impeto da tavola. 
« Signorina, non dire più cose del genere! Al tuo posto sarei fiera di tuo fratello! »
« E' assurdo! Non ne ha mai affrontato uno di quella classe da solo! » anche Stacey si alzò da tavola, come per accentuare la sua replica. « Non ha chance! »
« Adesso basta! Cenerai in camera tua stasera! »
« Ma... ma... » non ebbe il tempo di formulare una frase che la madre si intromise.
« Tuo padre ha ragione, non sei ancora così grande da decidere per tuo fratello. » 
Stacey infuriata come non mai, si diresse verso le scale con le lacrime agli occhi.
« In questo stato ho la maggiore età! » disse come se la cosa risolvesse il problema. Giunse davanti la porta di camera sua, con violenza la aprì e con altrettanta violenza la richiuse. Si sdraiò sul letto e rimase lì a piangere.
 
Era notte fonda. Stacey non era uscita per tutta la serata dalla sua camera, e non aveva visto nessuno della famiglia fino a quel momento. Non per piangere, ma per prepararsi alla battaglia. Tutta la sera pensò a limare la lama del suo tomahawk, e a vestirsi. Portava un corpetto nero imbottito, dei pantaloncini in pelle neri, dei guanti scuri, ornati da piccole lame affilate come rasoi e una cintura marrone scuro da cui pendeva l'arma. Quella notte avrebbe seguito suo fratello.
  
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