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Autore: CowgirlSara    31/01/2008    11 recensioni
C’è una ragazza. Seria, sola, enigmatica forse. Ha preso decisioni importanti, eppure si sente fragile. Si difende con la dignità. Ma la sua vita non è una favola e forse non lo sarà mai. Essere investita da una macchina sembra solo l’ennesima sfortuna. Ma tutto sta in CHI c’è su quella macchina…“E quando sentirai questa canzone autunnale / Ricordati i tempi migliori stanno già arrivando…”
Genere: Romantico, Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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autumn song - 4
Capitolo quattro. Scusate l’attesa, ma speravo di finire il quinto, prima di postare questo, purtroppo non ci sono riuscita, è ancora in lavorazione. Ma non temete, continuo a lavorare per voi, è solo che è lungo!
Beh, non so se con questo capitolo si entra nel vivo, però qualcosina succede, ma… ne riparliamo in fondo che è meglio!
Vi allego un link alla piantina della casa dei gemelli che ho realizzato, così per orientarvi un po’ meglio nelle mie descrizioni: http://i40.photobucket.com/albums/e215/SaraLab/CasaK-2.jpg?t=1201733781

Ora leggete e commentate numerosi!
Saluti e ringraziamenti alla fine, come sempre!
Baci
Sara


4. Un’ospite (s)gradita

“No, no, no e no!” Gridò per l’ennesima volta Tom, mentre Bill socchiudeva la porta che li separava dal resto dello studio.
“Andiamo, Tom, ragiona!” Replicò quindi il gemello. “Quella ragazza non ha nessuno, è sola al mondo…”
“Smettila subito!” Lo bloccò il chitarrista alzando una mano. “Non mi commuovi con la sua patetica storia d’abbandono!”
“Ah, sì? Pensa a come ti sentiresti tu se non avessi nessuno su cui contare!” Ribatté Bill, incrociando le braccia. “Io potrei morire se non avessi t…”
“No!” Intervenne gelido Tom, puntandogli contro l’indice. “Stavolta non ti approfitterai del bene che ti voglio!” Bill sbuffò. “Mettitelo bene in testa: io NON voglio ESTRANEI a casa MIA!” Scandì poi il gemello.
Bill lo fissò serio, rilasciando le braccia lungo i fianchi. “Lo farò comunque, Tom. Ho già deciso, lo sai. Voglio solo avere la tua approvazione.” Gli disse guardandolo negl’occhi.
“Beh, non ce l’hai.” Rispose secco il fratello, prima di dargli le spalle e aprire la porta. “Rassegnati.” Aggiunse, quindi uscì.
“Tom, aspetta!” Urlò Bill seguendolo di corsa.
Il gemello, che stava già scendendo le scale per tornare al piano inferiore dello studio, alzò il capo per guardare l’altro fermo in cima alla rampa.
“Hai già deciso, no? E allora cosa vuoi ancora?” Sbottò Tom scocciato.
“Niente, solo dirti che vado a prenderla stasera all’ospedale.” Gli rispose Bill con faccia compunta.
“Ci sarà, prima o poi nella nostra fottuta vita, una volta in cui non farai tutto quello che ti pare?” S’informò minaccioso il chitarrista, quindi si voltò e scese le scale che mancavano senza aspettare una risposta.
 
Fu una giornata di tensione allo studio. La benché minima cazzata scatenava furiosi litigi tra Tom e Bill, che si ringhiavano addosso come iene incarognite. Quando, ad una domanda di Georg, risposero in coro, con delle voci degne dell’Anticristo, che litigavano per «i cazzi loro», tutti i presenti compresero che se volevano evitare di finire scuoiati vivi era meglio lasciarli fare.
Il culmine fu raggiunto quando Tom bloccò per la dodicesima volta Bill sulla stessa strofa di una canzone. Un silenzio teso avvolse tutta la saletta delle strumentazioni in attesa della reazione del cantante, che non tardò.
“No, io non la ricanto più!” Sberciò infatti Bill dal suo stanzino.
“La ricanti eccome, finché non ti dico che è perfetta.” Replicò saccente il gemello.
“Scordatelo! Sei un dittatore Tom!” Esclamò adirato l’altro. “Non è colpa mia se la tua musica fa schifo!”
“Fammi il favore!” Sbottò il chitarrista, incrociando le braccia, seduto scompostamente su una poltroncina davanti al pannello della strumentazione. “È il tuo testo che non si capisce… e poi ti mangi le parole e arrivi tardi sulla musica!”
“Sei uno stronzo, Tom!”
“Ma chiudi la bocca e canta meglio!”
“Mi spieghi come faccio a cantare con la bocca chiusa?!”
“Prova a metterti un dito nel culo, vedrai che acuti…”
La porta dello studio si aprì con un soffio, interrompendo la replica di Tom. Tutti si voltarono in quella direzione. David era entrato con le mani sui fianchi ed un’espressione indecifrabile come quella di un doccione gotico, tranne che per gli occhi che mandavano lampi cupi.
“Basta così, per oggi.” Ordinò severo, bloccando le proteste del chitarrista con un solo gesto, mentre tutti gli altri sospiravano di sollievo. “Se tu e tuo fratello volete continuare il vostro amabile scambio di opinioni…” Continuò poi, rivolto a Tom. “…potete farlo a casa vostra. Domattina manderò qualcuno a pulire il sangue.” Aggiunse, quindi gli voltò le spalle e se ne andò. Tom sbuffò e si arrese, mentre lo staff preparava le proprie cose per andarsene a tutta velocità.

Era una sonnolenta sera d’autunno, quando Annika arrivò davanti al palazzo dove viveva Bill. L’impatto fu abbastanza scioccante. Come se non fosse bastato Bill con la sua imbarazzante gentilezza. Le aveva comprato due tute da ginnastica, visto che non poteva indossare i suoi jeans per via del gesso: una di acetato bianca con righe nere e l’altra nera di ciniglia. Lei aveva scelto quest’ultima, non prima di avergli detto, come sempre, che non era necessario, ottenendo come risposta un sorriso inattaccabile.
Il palazzo era piuttosto moderno. Un grande portone a vetri si apriva su quella che sarebbe potuta sembrare la hall di un albergo: due larghi scalini di marmo chiaro e lucido conducevano nell’atrio coperto da un tappeto e poi all’elegante banco di legno dietro cui stava un impettito portiere in livrea. Alla sinistra si aprivano le scale, sempre di marmo, con il corrimano di legno scuro. Sulla destra, invece, c’erano le porte metalliche di un ascensore.
Annika ricordò il triste palazzone grigio delle case popolari, con l’ascensore sempre rotto, in cui aveva vissuto la sua infanzia. Qui si era su un altro pianeta.
Il portiere la registrò nel sistema come ospite dei Kaulitz e le scattò una foto con la webcam che la fece sentire come una criminale recidiva. Bill diede ordine che le preparassero un duplicato di tutte le chiavi, quindi lui, Annika e Saki, che portava la piccola borsa con le cose della ragazza, si diressero all’ascensore, pronti a salire nell’appartamento del cantante.
Bill spiegò ad Annika come funzionava l’ascensore. Si inseriva la chiave apposita nella fessura accanto al piano desiderato (nel loro caso il quinto) e poi si girava, facendo partire l’ascensore. Le disse di ricordarsi di togliere la chiave dal pannello prima di scendere, altrimenti si bloccava tutto.
“A me è capitato un paio di volte.” Le disse il ragazzo.
“Un paio?” Fece Saki scettico. Bill roteò gli occhi.
“Va bene! Cinque o sei!” Sbottò quindi, precedendoli fuori visto che erano arrivati. “Ma tanto c’è il telefono d’emergenza sul pianerottolo!” Aggiunse stringendosi noncurante nelle spalle.
Annika, nel frattempo, con uno sguardo divertito, fece notare a Saki che Bill aveva dimenticato le chiavi nel pannello dell’ascensore. L’uomo sbuffò arreso e staccò il mazzo dalla pulsantiera, mentre da fuori arrivava la voce del cantante: “Ma dove cavolo ho messo le chiavi?!”

I tre, finalmente, varcarono la soglia dell’appartamento. Saki entrò per primo, posando poi la borsa ai piedi delle scale. Bill e Annika lo seguirono.
La prima stanza che la ragazza vide fu un grande ingresso quadrato. Immediatamente alla destra della porta partiva una scala che conduceva al piano superiore, dove degli archi si affacciavano sull’ingresso, mentre sotto, a sinistra della porta, si apriva un arco che occupava quasi tutta la parete. Il salotto si mostrava accogliente oltre l’apertura, ma lo sguardo di Annika vagava senza riuscire a soffermarsi su qualcosa in particolare; almeno finché non intravide un cappellino marrone spuntare dalla spalliera del lungo divano grigio che dava le spalle all’ingresso.
“Saki, vuoi per favore portare la valigia di Annika nella camera degli ospiti?” Ordinò Bill, distogliendola da quel particolare. L’uomo annuì, riprese la borsa e salì al piano superiore.
Annika lo seguì con gli occhi, ammirando le foto incorniciate che seguivano la salita delle scale; quando tornò a guardare davanti a se si accorse che Bill aveva abbassato lo sguardo alla sua sinistra. Sembrava indispettito. Lei lo imitò e scorse, su un divanetto posto contro la parete delle scale, una felpa marrone abbandonata tra i cuscini.
“Vedi questo divano, Annika?” La ragazza annuì. “Bene.” Sorrise lui, poi s’incupì e girò il capo in direzione del salotto. “Questo divano non si usa per gettare le giacche, dato che c’è un comodo e spazioso armadio a muro proprio dietro l’angolo, fatto apposta per riporre questa roba.”
Sembrava che si stesse rivolgendo a qualcuno, ma Annika non vedeva reazioni arrivare dal cappello oltre il bordo del divano, immobile nella stessa posizione di quando erano entrati.
Bill sbuffò arreso, poi acchiappò la felpa e si diresse a passi nervosi dietro l’angolo di un arco che portava in un breve corridoio. La ragazza lo osservava perplessa, con gli occhi spalancati, poi, quasi all’improvviso, sentì una presenza al suo fianco. Voltò il capo e vide Tom Kaulitz con una sigaretta in mano e il capo scoperto, i dreads legati un po’ a caso sulla nuca.
“E dai! Non l’appendere, me la devo rimettere!” Berciò dietro al fratello, che rispuntò dopo qualche secondo con in mano una stampella di metallo.
“Te l’ho ripetuto almeno un milione di volte, Tom: devi mettere le giacche nell’armadio, ma tu non vuoi capire!” Sbottò il gemello, agitando pericolosamente la gruccia.
“È stupido, inutile e poco pratico appenderla nell’armadio, visto che me la devo rimettere!” Replicò l’altro, con le mani sui fianchi, alzando la voce alla fine della frase.
“È una questione di principio!” Esclamò indispettito Bill. Annika non sapeva più dove guardare, da una parte la scena era comica, dall’altra estremamente imbarazzante.
“Bill…” Sibilò Tom, con un sorrisetto pericoloso. “…non farne uno scontro di ideologie, sai che vincerei io, la morte da kamikaze è troppo antiestetica per te…”
Il cantante ringhiò, riducendo gli occhi a due fessure, mentre piegava in due la stampella che aveva in mano, rendendola inservibile. La ragazza cominciava a preoccuparsi, ma la scena fu interrotta da una gentile voce femminile.
“Oh, siete arrivati!” Affermò entusiasta Frau Hildegard, entrando nell’ingresso; poi si rivolse alla ragazza. “Benvenuta Fräulein Annika!”
Lei spalancò gli occhi, sorpresa di sentirsi chiamare così, mentre Bill si liberava della gruccia piegata gettandola velocemente nell’armadio e Tom ridacchiava.
“Annika, ti presento Frau Hildegard, la nostra efficientissima collaboratrice domestica!” Si sbrigò a presentarla Bill, tornando verso di lei.
“Piacere…” Mormorò la ragazza con un cenno del capo. “Ma non è necessario che…”
“È inutile che ci provi.” Si sentì sussurrare all’orecchio da una voce calda, solo dopo si accorse che era Tom. “Sono mesi che tento di non farmi chiamare Herr Tom…” Aggiunse divertito, quindi si scostò da lei, aggiudicandosi un’occhiata malevola del fratello.
“Ho preparato il the.” Annunciò la donna nel frattempo.
“Oh, bene!” Esclamò allegro Bill, fingendo momentaneamente di dimenticare l’affronto del gemello. “Io vengo a prendere il vassoio, tu Annika accomodati sul divano!” Aggiunse poi, indicandole l’altra stanza dove la stava precedendo Tom.

Annika si diresse in salotto aiutandosi con le stampelle, mentre Bill seguiva Frau Hildegard in cucina. La stanza era grande e sobria. L’ampio e largo divano di Alcantara grigio dava le spalle all’entrata, davanti vi era posto un tavolino di cristallo e un impianto home theatre così moderno ed elegante che la ragazza pensava si potessero vedere solo sulle riviste d’arredamento. A lato del divano c’erano due poltrone di pelle nera. Due alte finestre ad arco stavano ai lati del mobile della tv, coperte da eleganti tende scure. Il caminetto spento occupava il centro della parete sulla sinistra, ai suoi lati due bassi mobiletti di legno scuro i cui piani erano ricoperti di fili elettronici, spine e carica batterie; di fronte, sulla parete di destra, campeggiava un sofisticato mobile bar in stile orientale, sopra il quale c’era il telefono. Bei quadri di paesaggi adornavano le pareti.
La ragazza aggirò il divano con un po’ di difficoltà, a causa delle stampelle, sotto lo sguardo indifferente di Tom, che si buttò su una poltrona continuando a fumare.
Annika fece per sedersi ma rimase bloccata a metà. Uno dei grandi cuscini era appoggiato allo schienale con un cappellino messo sopra come se stesse sulla testa di qualcuno. Lei rivolse un’occhiata interrogativa a Tom, il quale si strinse nelle spalle.
“Lo faccio così Bill parla col divano e io posso fare i cazzi miei.” Le spiegò noncurante.
“Ah…” Commentò Annika, mentre finalmente si sedeva.
“Bel cerotto.” Affermò quindi il ragazzo, accennando alla medicazione sulla fronte di lei.
Annika alzò gli occhi alla propria fronte. “Sì, bellissimo…” Fece poi, con tono scettico.
La metteva a disagio essere lì con lui. Annika dedicava la propria attenzione alle mani intrecciate sulle ginocchia, oppure aggiustava le stampelle appoggiate accanto a se. Tom la scrutava attraverso le volute di fumo della sigaretta con quei suoi occhi penetranti, facendola sentire sulla graticola.
“Ascolta.” Le disse infine, spronandola a guardarlo. “Immagino tu sappia che non ero d’accordo a farti venire qui.”
Lei annuì. “Bill mi ha accennato…” Soggiunse diplomatica.
“Bene.” Fece Tom, spegnendo la sigaretta nel posacenere. “Quindi la faccenda è chiara. Non posso buttarti fuori come vorrei, perché altrimenti Bill m’incapretta, quindi per andare d’accordo sarà sufficiente che ci ignoriamo e che tu non t’impicci o ficchi il naso negli affari miei…”   
Il suo discorso fu interrotto da una specie di ringhio sordo. Entrambi alzarono gli occhi e videro Bill sovrastare la poltrona di Tom con uno sguardo minaccioso degno di uno squartatore psicopatico; reggeva il vassoio con le tazze e la teiera. Tom gli rivolse un’occhiata sarcastica.
“Hai mai sentito di qualcuno decapitato con un vassoio d’argento finemente cesellato?” Gli domandò Bill, replicando con un’alzata di sopracciglia.
“No, ma da te mi aspetto di tutto.” Rispose serafico Tom. “Una volta mi hai picchiato con uno spazzolino per il cesso.”
Annika, a quell’affermazione, abbassò gli occhi trattenendo una risata. Bill, nel frattempo, posava il vassoio sul tavolino davanti al divano.
“Quel piccolo e utilissimo aggeggio non aveva mai toccato un cesso.” Spiegò con leggerezza il cantante, mentre si sedeva accanto alla ragazza. “Era ancora incartato nella plastica.” Annika represse un’altra risata, mentre Bill le si rivolgeva con un sorriso cordiale. “Cara, come lo vuoi il the? Con latte o limone?”
“Io voglio il limone.” Intervenne Tom, prima che la ragazza potesse rispondere.
Bill girò verso di lui uno sguardo che avrebbe pietrificato un esercito. “Tu ti servi da solo, quando ho finito.” Gli sibilò furente.
“Uhuhuh!” Reagì divertito il gemello, alzando le mani e spingendosi contro lo schienale della poltrona con una risatina serafica.
“Sei irritante, Tom.” Commentò Bill, mentre serviva il the ad Annika fingendo indifferenza. “Quando fai così avrei voglia di staccarmi in braccio, pur di avere qualcosa con cui picchiarti…”
Annika, che si era trovata catapultata in quell’animosa atmosfera familiare, cercava di reprimere il leggero sorriso che non voleva abbandonare le sue labbra. Certo che Tom era un bel tipo: incassava alla grande e reagiva anche meglio. Aveva capito che la sua diffidenza nei suoi confronti era vera e seria, impossibile fraintendere quello sguardo dell’inizio, però aveva apprezzato la sincerità con cui le aveva parlato. Era stato rude, ma preferiva un po’ di brutalità alla falsa cordialità di certa gente. Come quella di Bill. Insomma, lui era molto gentile, ma era chiaro che si sforzava…
Alzò gli occhi da Tom e incrociò lo sguardo di Bill. Dio, era impressionante quanto si somigliavano a vederli insieme dal vivo! Annika, però colse un lampo preoccupato negli occhi del cantante, quindi gli sorrise rassicurante.
“Ciao, ragazzi.” Salutò una voce alle loro spalle. Tutti e tre si voltarono in quella direzione. Era Saki, che tornato dal piano superiore, si dirigeva alla porta.
“Ma dove eri finito, Saki?” Gli domandò subito Bill.
“Mi ha chiamato David al telefono, c’è da recuperare le altre due bestioline.” Spiegò l’uomo atono. “Incastrati in un centro commerciale.”
Tom rise. “Che teste di cazzo!” Commentò poi.
“Ci vediamo domani, allora.” Affermò Bill, ridacchiando a sua volta.
“Sì, a domani.” Rispose la guardia del corpo, salutando con la mano, mentre usciva dalla porta principale. Bill sorrise ad Annika, più rilassato, mentre Tom si accendeva un’altra sigaretta.

Dopo la leggera e gustosa cena che Frau Hildegard aveva preparato, Bill mostrò ad Annika il resto della casa: l’elegantissima sala da pranzo, che però veniva usata raramente, lo stupendo bagno con doppio lavabo, un trionfo di marmi neri e la vasca idromassaggio, infine il grande terrazzo, cui si accedeva dalle vetrate affacciate sul breve corridoio accanto all’ingresso.
Il ragazzo, quindi, l’accompagnò nella camera degli ospiti. Al secondo piano, la prima porta che s’incontrava era quella della camera di Tom e, in fondo al corridoio, due porte una di fronte all’altra davano accesso alla camera di Bill, sulla destra, e a quella degli ospiti, sulla sinistra.
“Eccoci qua!” Esclamò allegro Bill, aprendole la porta e invitandola a precederlo dentro.
Lui accese la luce e Annika entrò titubante, un po’ per via delle stampelle, un po’ per via del timore, ma quando vide la stanza si bloccò. Era abbastanza grande. Entrando, sulla sinistra, c’era il letto coperto da una trapunta lucida color rosa antico, due comodini ai lati e una bella lampada su uno di questi. Dall’altra parte della stanza, davanti alla finestra ad arco (come tutte quelle della casa) c’era una piccola scrivania con sopra un vaso di fiori bianchi, seguiva un mobiletto più basso ospitava la tv e accanto c’era una poltrona. A terra un parquet chiaro ed un grande tappeto morbido. A lato della porta, a destra, c’era una cassettiera bassa e appeso al muro un grande specchio.
“Non è niente di speciale, ma…” Mormorò Bill vedendo che lei non reagiva.
Annika scosse il capo e lo guardò, poi sorrise. “Stai scherzando? È bellissima!” Fece quindi.
Avrebbe davvero voluto dirgli quanto gli era grata per quello. Una camera grande e funzionale. Coperte e lenzuola pulite. Buon profumo tutto intorno. Dio, era in una casa bellissima, in una camera stupenda ed erano mesi che non stava in un posto che fosse per lo meno sicuro… Era quasi commossa, ma poteva solo sorridere a Bill e sperare che capisse.
“Oh, sono felice che ti piaccia.” Affermò Bill, non sembrava che avesse capito. “Una di quelle porte è il bagno e l’altra l’armadio.” Aggiunse poi, indicandole le due porte sulla parete alla sinistra del letto. Annika le guardò stupita.
“C’è un bagno solo per me?!” Domandò incredula.
“Certo.” Annuì tranquillo lui, come se fosse più che normale. “Ogni camera ha il suo bagno.” Spiegò poi con un sorriso.
“Ohhh…” Commentò soltanto la ragazza.
Bill, quindi le spiegò come si usava l’apparecchio telefonico posto su uno dei comodini, sia per comunicare con l’esterno che con le altre stanze e per usarlo come citofono. Annika lo ascoltò attenta, annuendo ogni tanto. Il ragazzo, infine, la salutò, dicendole che se aveva bisogno di qualcosa lo poteva chiamare quando voleva.
Quando Bill fu uscito dalla stanza, socchiudendo la porta, la ragazza si sdraiò un po’ goffamente sul letto. L’ingessatura era un bell’impedimento.
Annika poi chiuse gli occhi, assaporando quell’odore di pulito e la morbidezza del materasso. Le sembrava un sogno e si domandò quanto brusco sarebbe stato il risveglio. Ma il bello dei sogni è che, almeno per un po’, te li puoi godere. Sospirò soddisfatta.

Bill, uscito dalla camera degli ospiti, si girò verso il fondo del corridoio e vide Tom fermo davanti alla propria porta. Era incredibile come avvertiva la sua presenza, ma era sempre stato così. Si avvicinò al fratello a passi lenti, la zona era in penombra.
I due ragazzi, ormai vicini, si guardarono a lungo negl’occhi. Spesso non avevano bisogno nemmeno di parlarsi per dirsi qualcosa, ma forse quel giorno delle parole bisogno c’era.
“Sei ancora…” Bill esitò cercando il termine adatto. “…arrabbiato con me?” Chiese a Tom.
Il gemello, con espressione irritata, guardò altrove. “Penso di sì, Bill…”
“Non mi piace quando litighiamo.”
“Nemmeno a me.”
“Io vorrei solo che tu provassi a capire, Tomi.” Affermò allora il cantante, cercando lo sguardo del fratello, che però continuava ad evitarlo.
“Ma io, davvero…” Replicò Tom, incontrando finalmente gli occhi di Bill. “…non riesco a capire le tue motivazioni. Mi spieghi perché l’hai portata qui?”
“Tom, io mi sento tremendamente in colpa per quello che le è successo.” Rispose l’altro, parlando a bassa voce, per non farsi sentire da Annika.
“Ho capito.” Ribatté il chitarrista. “Ma non può essere solo per quello…”
“Mi fa pena.” Disse Bill, interrompendolo. Tom lo guardò, aveva gli occhi bassi e l’espressione triste. “Ho pensato come sarebbe stato se una cosa del genere fosse successa a me. Sarei stato sicuro di trovare te e la mamma al mio risveglio in ospedale.” Continuò poi, spiegando. “Non c’era nessuno quando si è svegliata lei, nessuno.” Tom lo guardò negli occhi. “Tu ti senti mai solo, Tom?” Gli chiese Bill, apparentemente a sproposito.
“Sì…” Soffiò il gemello con sincerità.
“Ti basta, però, alzare gli occhi e guardare me per non esserlo più.” Soggiunse il cantante e lesse che era così nello sguardo di Tom. “Noi siamo insieme da… da prima di essere e lo saremo sempre. Mi fa stare male l’idea di qualcuno completamente solo…”
“Smettila di chiacchierare.” Ordinò perentorio Tom. Bill non fece in tempo a reagire che si trovò abbracciato dal fratello, stretto tra le sue braccia. “Può restare, ma non chiedermi di essere cordiale, ti prego…” Sussurrò Tom tra i capelli del fratello.
“Ti voglio bene, Tomi.” Replicò dolcemente Bill al suo orecchio. “Grazie.”

La sveglia suonò, puntuale ed inesorabile, alle otto in punto di quella mattina. Una mano pallida spuntò dalla trapunta nera, creando un certo contrasto, e spense stancamente la suoneria di quell’aggeggio che somigliava ad un’astronave. Bill odiava svegliarsi la mattina in generale, a qualsiasi ora, ma era anche consapevole che non poteva restarsene a letto come avrebbe voluto. Pena: l’ira funesta di David Jost. Sbadigliò scompostamente e si tolse le coperte di dosso, rabbrividendo, quindi si alzò e, ancora con gli occhi semichiusi, si diresse in bagno.
Il ragazzo aveva bisogno di circa una mezz’ora prima di cominciare a carburare, così, quando uscì dalla propria camera, era ancora assonnato e con gli occhi che si rifiutavano di aprirsi definitivamente. Sbadigliò sonoramente, appena messi fuori i piedi dalla soglia, ma quando finì il relativo stiracchiamento e aprì gli occhi, si trovò davanti una ragazza sorridente.
“Ah!” Fece stupito. “Buongiorno…”
“Buongiorno a te.” Rispose dolcemente Annika.
“Cosa ci fai già in piedi?” Le chiese il ragazzo, aggiustandosi distrattamente la maglietta che, nello sbadiglio, gli aveva scoperto la pancia.
“Beh, io non sono una che dorme molto.” Spiegò lei tranquilla.
“Allora piacerai a Gustav, anche lui si sveglia sempre presto!” Ribatté allegro Bill, poi la guardò. “Senti, già che ci siamo, perché non facciamo colazione insieme?” Le propose.
“Volentieri.” Accettò la ragazza annuendo.
Scesero in cucina, accompagnati dall’apprensione di Bill per Annika che scendeva le scale con le stampelle; per fortuna non successe nulla. Una volta arrivati giù il ragazzo le presentò tutto quello che si poteva desiderare per fare colazione: cereali, pane da toast, wurst, prosciutto, formaggio, latte, marmellate di almeno tre tipi.
“Oh, manca il caffè!” Esclamò ad un certo punto Bill, controllando il bricco. “Io non sono molto bravo a prepararlo…”
Annika si avvicinò al mobile della cucina e osservò la macchina per il caffè. Era moderna, ma lei ne aveva viste e usate altre simili.
“Conosco questo tipo di macchinetta.” Affermò infatti la ragazza. “Posso farlo io.” Si offrì.
“Oh, grazie, sei un angelo!” Accettò prontamente lui, battendo le mani.
La ragazza controllò la situazione, accese la macchina, guardò se vedeva il caffè e i filtri. La finestra ovale proprio davanti a lei faceva filtrare la luce fioca del mattino, attraverso una tendina bianca e illuminava il suo viso.
“Bene.” Fece infine con aria pratica, rivolgendosi di nuovo a Bill. “Lo faccio tranquillamente, ma ho bisogno di tutte e due le mani, tu potresti reggermi in piedi, mentre preparo?” Aggiunse posando le stampelle contro il piano della cucina.
Bill la fissò perplesso per un attimo. “Oh, sì… sì, tranquilla!” Annuì poi; lei gli sorrise e si voltò verso il mobile, aspettando che lui facesse il suo dovere.
La ragazza gli dava le spalle. Aveva i capelli sciolti sulla schiena, erano lunghi. Indossava la camicia da notte che le aveva comprato lui. Il sole le baciava tenue il viso, rendendo il suo colorito più vivo. Sorrideva con dolcezza, mentre prendeva il barattolo del caffè.
Lui si avvicinò appena, un po’ titubante, allungando le mani. Le posò delicatamente sulla sua vita e scese fino ai fianchi magri, stringendo un po’. Lei non disse nulla, continuando a fare il suo lavoro.
Erano molto vicini, il petto di Bill quasi contro la schiena di Annika. Lei era calda in modo molto piacevole. I loro capelli si confondevano. Bill respirava sulla tempia della ragazza. Lei continuava a sorridere, preparando il caffè. Le dita di Bill si mossero appena, intuendo le ossa del bacino.
Il cantante si ritrovò a fremere, senza quasi capire perché. Era tanto che non stava così vicino ad una ragazza. Annika aveva un buon profumo. Molto, molto buono. Si muoveva tra le sue braccia, inconsapevole di cosa il suo corpo leggero e fresco provocava in lui.
“Il caffè come lo vuoi? Forte o…” Domandò lei ad un certo punto.
“Eh?” Replicò Bill distratto.
“Il caffè lo vuoi forte…” Ripeté Annika, girandosi per guardarlo. “…o più leggero?”
Gli occhi di Bill si posarono inspiegabilmente sulle labbra della ragazza. Erano sottili e di un bel rosa naturale. Il suo sguardo, poi, seguì la linea del collo, fin quando quella si perse nello scollo casto della camicia da notte. Il respiro del ragazzo si fece un attimino più pesante.
“Bill?” Lo interrogò lei, vedendolo strano.
“Ah, forte!” Esclamò allora lui, con troppa foga. “Molto forte, direi.” Aggiunse alzando le mani dai suoi fianchi. Annika barcollò e lui la riprese al volo.
“Lo sai che sei strano?” Gli domandò la ragazza, quando ebbe riacquistato l’equilibrio.
“Oh, io sono sempre strano!” Rispose lui sorridendo un po’ forzatamente, riposizionando le mani sulla vita della ragazza. Era troppo vicino, troppo.
“Ma c’è qualcosa che non va?” Chiese quindi lei, osservandolo con la fronte aggrottata.
Se c’era qualcosa che non andava? Cavolo, erano mesi che non stava a stretto contatto con una ragazza e Annika era carina. Carina, dolce e profumata. Ma per come si sentiva in quel momento, probabilmente, sarebbe andata bene una donna qualsiasi. Avvertì una sensazione familiare risvegliarsi in un punto ben conosciuto sotto la vita. No, non era proprio il caso!
“No, no, tutto bene!” Esclamò Bill con una voce un po’ troppo alta, cercando di tenerla con le mani, ma di starle ben lontano con il resto del corpo. Doveva trattenersi.
“Mah, sarà…” Commentò scettica Annika, finendo di preparare la macchina.
“È che… è strano questo…” Mormorò Bill, cercando di concentrarsi sui riflessi dorati tra i capelli di lei. “Essere qui così…”
“Lo dici a me…” Fece lei, scuotendo la testa e sorridendo.
“Profumi di ragazza…” Soggiunse Bill, quasi senza volere, socchiudendo gli occhi e inspirando il dolce aroma che arrivava dal suo corpo.
Annika si girò con espressione sorpresa. “Io sono una ragazza.” Affermò con un sorriso.
“Eheheh, eh, già…” Ridacchiò nervoso lui. “Hai… hai finito?” Le chiese poi, indicando la macchina per il caffè. Lei annuì. “Bene… Ti dispiace se ti lascio? Dovrei andare un attimo in bagno…” Aggiunse il ragazzo.
“Tranquillo.” Rispose Annika, facendo per prendere le stampelle. “Vai pu…” Lui la lasciò così bruscamente che dovette attaccarsi al piano di marmo per non cadere. Lo guardò sgusciare via con un’espressione alquanto perplessa.

Bill si precipitò in bagno. Entrò e chiuse la porta a chiave. Si sentiva come quando si nascondeva alla madre per farsi le prime seghe. Percorse pochi passi e si trovò davanti allo specchio.
Il mobile, con il suo piano di marmo nero venato di mille sfumature, occupava tutta la parete a sinistra della porta, così come l’enorme specchio che vi era posizionato sopra. Due lavandini ovali con i rubinetti di ottone dorato completavano l’opera.
Il ragazzo guardò il proprio riflesso nella lucida superficie. Il suo viso era pallido, i suoi occhi segnati da quel che rimaneva sempre del trucco anche dopo la pulizia. Aveva un’espressione colpevole. Si arrabbiò.
“Tu…” Esordì, indicando furente il proprio riflesso. “Tu sei… un uomo di merda!” Si disse con severità. “Sì, fai… fai schifo, ecco!” Continuò senza indulgenza. “È inutile che mi guardi così! Sai perfettamente di fare schifo! E tu…” Abbassò gli occhi verso il cavallo dei pantaloni a righe nere e arancio che indossava. “…tu a cuccia! Sei una parte del mio corpo e se il mio cervello ti dice di stare giù ci devi stare, chiaro!” Ordinò con foga, indicando l’organo ribelle.
Alzò gli occhi di nuovo sulla sua faccia nello specchio. Aveva il respiro affannato e i capelli in delle condizioni pietose. Gli occhi tormentati. Si portò le mani alle tempie mugolando.
“Ha ragione Tom!” Si lamentò poi, sconsolato. “Devo scopare, sennò scoppio!” Ammise riluttante, dando le spalle ai lavandini. “Altrimenti potrei anche fare da solo, tanto per sfogarsi un po’…” Ipotizzò, tormentandosi le mani incerto. “No, non posso assolutamente farlo!” Esclamò poi.
Camminò un po’ in lungo e in largo nella stanza, arricciando il bordo del tappeto, quindi si sedette sconsolato sul water, prendendosi la faccia tra le mani.
“Non posso farlo e basta. Non con lei di là, mi sentirei in colpa per il resto della vita e non potrei più guardarla in faccia…” Affermò sconsolato. “Poverina, non ha fatto nulla per provocarmi, sono io che sono un uomo di merda!” Aggiunse con una smorfia.
Si rilassò contro il muro, con le mani in grembo, cercando di non pensare. Ma poi i bisogni del corpo ebbero il sopravvento sulle imposizioni della mente e Bill si lasciò andare. Si arrese alla propria mano che scivolava lungo il corpo, cercando la strada, mentre reclinava il capo contro la parete. Non pensò a niente in particolare, ma si abbandonò al piacere che si stava procurando. Durò poco e dopo essersi pulito restò per qualche secondo seduto, abbandonato sul gabinetto chiuso, evitando di pensare all’azione appena compiuta.
Il ragazzo, quindi, si alzò e si avvicinò al lavandino. Non guardò lo specchio, in quel momento l’idea di guardarsi in faccia gli dava il voltastomaco. Si sentiva schifosamente colpevole. Aprì l’acqua fredda e si lavò il viso, sperando di cancellare le tracce del suo cedimento.

Bill tornò in cucina a passi lenti. Trovò Annika seduta al tavolo che mangiava pane e marmellata; lei lo guardò e gli sorrise. Lui avrebbe voluto sotterrarsi sotto tre metri di terra.
“Il caffè è pronto.” Gli disse quindi la ragazza, indicando il bricco pieno e fumante. “Ci hai messo tanto.” Aggiunse poi, senza malignità.
Il ragazzo si sentì ancora peggio, ma sorrise nervosamente. “Sì, scusa, sai com’è…” Mormorò, andando verso la penisola dove c’era il caffè.
“Non ti preoccupare.” Affermò Annika tranquilla, mentre lui tornava a sedersi davanti a lei.
La ragazza lo guardò, piegando appena il capo di lato. Lui aveva i capelli un po’ arruffati, il viso pallido e i suoi occhi la evitavano accuratamente. Sembrava imbarazzato, quasi impaurito.
“Sei molto carino senza trucco.” Decretò però la ragazza.
“Oh!” Esclamò stupito lui, incrociando finalmente i suoi occhi. “Grazie…” Fece poi, abbassando di nuovo lo sguardo.
“Buongiorno a tutti.” Biascicò una terza voce, seguita subito dopo da un enorme sbadiglio.
Era Tom che entrava in cucina trascinando i piedi. Il chitarrista sbadigliò di nuovo, dirigendosi al pensile che conteneva le tazze.
“Cazzo! Bill ha fatto il caffè!” Sbottò incredulo quando vide il bricco pieno. “Chiamate la protezione civile, un meteorite enorme starà per schiantarsi su Amburgo!” Aggiunse ironico.
“Eh eh eh...“ Ridacchiò Bill senza allegria. “Il caffè lo ha fatto Annika, comunque.” Spiegò poi.
“Ah! Fine del mondo scongiurata anche per oggi!” Replicò Tom divertito, prima di sedersi accanto al gemello; quindi l’osservò, mentre sorseggiava dalla propria tazza. “Cazzo, che faccia da seghe che hai stamattina…” Gli disse poi. “Te la sei già fatta la prima?”
Non lo avesse mai detto! Maledetta telepatia tra gemelli! E stramaledetta la linguaccia di Tom! Bill schizzò in piedi, con una faccia stizzita, come fosse stato morso da una colonia di tarantole.
“Non ti permetto di parlare in questa maniera davanti ad un’ospite!” Sberciò in faccia al fratello, che lo fissava allibito. “Sei un maleducato e un incivile! Stavolta hai veramente passato il limite!” Aggiunse accigliato, quindi gettò sulla tavola il tovagliolo che aveva in mano, scostò bruscamente la sedia e lasciò la cucina a passi nervosi.
“Secondo te ho esagerato?” Domandò perplesso Tom rivolto ad Annika.
“Un pochino…” Si permise di rispondere la ragazza.
“Mh, fanculo…” Fece lui, stringendosi nelle spalle, prima di addentare una fetta di pane tostato. “Tanto dopo gli faccio due moine e passa tutto…”

Tom era nella piccola cucina dello studio di registrazione. Beveva del the appoggiato contro il pensile; dall’altra parte del tavolo Gustav si stava preparando un panino. Georg, invece, era accanto al chitarrista, con un fianco contro il mobile e lo osservava.
“Si può sapere che cazzo hai da fissarmi così?” Domandò Tom al bassista dopo qualche minuto.
Georg sorrise maliziosamente. “Com’è?” Gli chiese infine.
“Com’è cosa?” Replicò il chitarrista aggrottando la fronte.
“La ragazza.” Rispose Georg, ma Tom continuò a fissarlo con espressione interrogativa.
“Quell’essere di genere femminile che vive a casa vostra.” Specificò Gustav intervenendo nella conversazione, mentre finiva d’imbottire il suo panino.
“Ah…” Fece Tom, poi si rimise a bere, ignorandoli.
“Allora, ci dici com’è?!” Sbottò Georg, dandogli una gomitata sul fianco.
“Mi dite perché v’interessa tanto?” Fece il rasta infastidito, alzando gli occhi sui compagni.
“Perché siamo stanchi di Bill che ogni volta ci dice «è carina, normale»…” Spiegò Gustav, mimando le virgolette con le mani. “Non lo sopporto quando fa il topolino.” Aggiunse con una smorfia.
“Avanti, dicci com’è!” L’incitò Georg.
“Beh…” Esordì Tom, con gesto vago della mano in cui teneva la tazza. “…è schiva, silenziosa, si fa gli affari suoi…” Raccontò quindi.
“Non hai capito cosa vogliamo sapere.” Soggiunse pacato Gustav, addentando il panino.
“Ce la devi descrivere fisicamente.” Rincarò il bassista con un sorrisetto.
Tom sbuffò arreso, mentre posava la tazza sul tavolo. “È più alta di te, Georg.” Affermò poi.
Gustav ridacchiò. “Non ci vuole tanto!” Commentò quindi.
“Stai zitto te, grande puffo!” Reagì il bassista offeso, prima di rivolgersi di nuovo a Tom. “Sii serio, per una volta.” Lo pregò.
“Vabbene, vabbene!” Si arrese il ragazzo, alzando le mani. “È alta più o meno come te, Georg, ha i capelli biondi, lunghi, occhi blu… begl’occhi, però è molto magra e piatta come una tavola da surf…” Descrisse vago. “Insomma niente di speciale.”
“E tu, come ti sei comportato?” Malignò Georg con un’occhiata in tralice.
“Ah, io glielo ho detto chiaro e tondo che in casa non ce la volevo.” Rispose il chitarrista, mentre si accendeva una sigaretta. “Ha incassato bene, devo dire.”
“Certo che tu, Tom, sei diplomatico come un razzo kassam…” Commentò Georg, alzando le sopracciglia.
“Sì, sparato nel cortile di un asilo…” Lo appoggiò Gustav, riempiendosi un bicchiere di coca cola.
“Sentite, io preferisco staccare pezzi di bambino dal muro, che avere un ficcanaso tra i piedi.” Decretò il chitarrista deciso, con una scrollata di spalle.  
“Sei un orso rognoso, Tom.” Dichiarò Gustav, pulendosi la bocca con un tovagliolo di carta.
“Lo dico sempre anche io!” Intervenne Bill, entrando nella cucina in quel momento. “Ho bisogno di un the caldo… e il mio miele italiano dov’è?” Aggiunse, cominciando a cercare quello che voleva.
“Bill, stasera noi veniamo a cena a casa vostra.” Affermò Gustav tranquillo.
“Come?” Fece il cantante, voltandosi verso di lui. “Chi è che viene a cena?” Aggiunse poi perplesso.
“Io e Gustav.” Rispose Georg.
“No, no, non se ne parla proprio!” Esclamò Bill negando con le mani.
“Guarda che Tom ci ha già detto di sì.” Dichiarò Gustav indicando il chitarrista col suo bicchiere.
“E poi non vedo perché rimandare ancora.” Disse il bassista, continuando a sostenere la loro posizione. “Prima o poi vorrai farci conoscere Annika, è da voi da quasi una settimana…”
Bill lo guardò sospettoso, aggrottando le sopracciglia. “Che intenzioni hai Georg?”
“Ma cosa vuoi…” Replicò l’interpellato.
“Vogliamo solo cenare insieme e divertici un po’, di che ti preoccupi?” Intervenne, però Gustav, bloccando la possibile discussione che poteva scoppiare.
“Beh, di niente…” Fece Bill incerto. “Ma li hai invitati tu, Tom?” Domandò poi al gemello.
“Certo, ne dubiti?” Rispose lui stringendosi nelle spalle.
“Sarà…” Mormorò scettico il cantante, incrociando le braccia. “…ma ha tutta l’aria di un complotto contro di me.” Aggiunse serio.
“Sì, come no!” Sbottò Gustav uscendo dalla cucina. “Sei appena entrato nella sede della nuova cellula di Al Queda!” Tom e Georg risero, anche per l’espressione impagabile di Bill. “Ci vediamo stasera alle otto e mezza!” Aggiunse il batterista da fuori.

CONTINUA

Beh, che ne dite? Non ho esagerato con Bill, vero? Tutti i ragazzi le fanno quelle cose, via, ammettiamolo. Lui non è diverso.
Oh, quanto amo caratterizzare Tom! L’avete capito, eh? E non avete ancora visto il meglio!
Dal prossimo chap si entrerà più nel vivo, siate pazienti però!
Per chi volesse fare due chiacchiere con me, il mio indirizzo msn è: CowgirlSara2@msn.com

Ringraziamenti:
_Princess_: che ti devo dire… il tuo commento mi ha fatto tantissimo piacere, anche perché viene da una persona che scrive benissimo e di cui seguo il lavoro. Grazie. Non c’è niente di più piacevole che essere commentati con competenza e apprezzati da qualcuno che si dichiara esigente.
crimy: quello che ha in testa Bill… beh, spero che questo capitolo non ti abbia fatto pensare che lui ha in testa una certa, specifica cosa…
dark_irina: sono contentissima che il capitolo ti abbia fatto ridere, anche perché la scena delle mutande aveva un po’ quell’intento! Io non smetterò mai di dire che adoro scrivere le scene coi gemelli, vedrai, ce ne saranno altre! Spero il capitolo ti abbia incuriosito ancora!
anja: e i difetti di Bill si accumulano mi sa! Eheheh! Sono contenta che tu giudichi la mia storia più completa e realistica, perché ci tengo tanto che sia così. Grazie per i complimenti.
kit2007: grazie! Sei la prima a parlarmi del passato di Annika, che alla fine sarà importantissimo per questa storia e ci tengo molto. E grazie per i complimenti!
loryherm: ti faccio ridere? Bene! Spero di farti anche battere un po’ il cuoricino, specie col seguito di questa storia! E spero anche che i personaggi continuino a sembrarti realistici, con tutto quello che fanno!
RubyChubb: tu sei uno dei miei miti, donna! Non finirò ma di ringraziarti, tu sai perché. Già che son qui ti ringrazio anche per le recensioni (addirittura due!). E’ realistica? Detto da te è un onore, spero che anche questo capitolo ti soddisfi! E, ti prego, continua ad esaudire i miei filmini mentali!
Arumi_chan: grazie per i complimenti! Addirittura fantastica! Mi auguro che il mio Bill ti stia ancora simpatico, dopo quello che ha fatto qui… vabbè, fammi sapere!


   
 
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