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Autore: KiarettaScrittrice92    20/07/2013    2 recensioni
Questa è stata la mia prima fanfiction in assoluto e ho deciso di pubblicarla, ovviamente correggendola e rendendola più leggibile e apprezzabile...
La mia storia comincia con Shinichi di nuovo adulto. Ai gli ha dato l'antidoto e ha raccontato a Ran il segreto di Conan Edogawa. Shinichi è riuscito a far arrestre i pezzi grossi dell'organizzazione con molte difficoltà, ma scopre con enorme dispiacere che deve lasciare Beika e tutti i suoi amici perchè suo padre ha bisogno del suo aiuto a Sendai! Due giorni dopo la sua partenza quelli dell'organizzazione evadono dalla prigione, quella stessa sera succederà ciò che meno vi aspettate...
La nostra storia inizia due anni dopo la partenza di Shinichi per Sendai sopra un treno che va a Beika...Tenetevi forte alle sedie perchè questa volta il detective liceale non riuscirà da solo a vincere la battaglia...
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei ricordi'
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Shinichi salvami!

Era di nuovo a casa e si stava ancora assaporando quella sensazione di conquista che era aumentata pian piano che il caso si districava nella sua mente: mentre ogni filo di quella matassa contorta e rossa, mostrava il suo percorso netto. Sì ora ricordava appieno quella sensazione. A Sendai, forse per la mancanza di memoria, forse per la tranquillità insana di quella città, non c’era stata nessuna occasione di riassaporare quell’emozione prorompente che lo faceva sentire un grande artista del suo mestiere. Già, il suo mestiere. Come aveva fatto a dimenticarsi il suo più grande sogno, quel sogno che aveva covato nel profondo del cuore fin da quando era bambino. Come aveva potuto dimenticarsi quella gioia incommensurabile che si prova ogni volta che si risolve un caso?
Ad un tratto i suoi pensieri furono spenti, dallo squillo del suo cellulare. Guardò incuriosito il display, ma tutto ciò che lesse fu Num. Privato. Decise di rispondere e premette il tasto verde.
«Sì, pronto?»
«Hello, cool guy!»
Il ragazzo rimase immobile, senza fiatare: conosceva quella voce, come conosceva quel nomignolo. Eppure non riusciva a ricordare.
«Volevo solo dirti che non riuscirai a sfuggirci, ormai la tua mente è nelle nostre mani!»
«Mi vuoi dire chi diavolo…?»
«Chi sono? - lo precedette la donna, che poi scoppiò a ridere con una risata gelida, ma allo stesso tempo sensuale e attraente, poi la donna riprese a parlare - Vedo che la tua memoria perde qualche colpo.» a quel punto Shinichi sentì in lontananza, sempre dall’altro lato della cornetta, una voce maschile.
«Ora basta Vermouth! Piantala con gli scherzi abbiamo cose più importanti da fare!»
«Goodbye, cool guy… look my Angel…»
La donna chiuse la conversazione e Shinichi si ritrovò a combattere con un altro insopportabile mal di testa. Chi era quella donna? Che voleva da lui? E che diavolo voleva dire l’ultima frase?
Capì che c’era solo una soluzione per avere delle risposte. Perciò si diresse verso il telefono di casa, che si trovava su un mobiletto vicino alle scale dell’ingresso, e cercò nell’agenda che c’era al suo fianco il numero di casa del professore. Appena lo trovò, lo digitò e aspettò che qualcuno dall’altra parte rispondesse.
Fu il professore a rispondere e il ragazzo chiese subito di Ai, era sicuro che lei gli avrebbe dato delle risposte.
«Pronto?» rispose la ragazzina dopo aver preso il telefono in mano.
«Ai, chi è Vermouth?» chiese senza usare giri di parole, doveva sapere le cose e le doveva sapere subito.
La ragazzina dall’altra parte del telefono, però, rimase in silenzio.
«Ai!!! Rispondimi, dannazione!!!» urlò il ragazzo.
«Un… un componente dell’organizzazione…»
Questa volta fu lui a rimanere senza parole. Come aveva fatto a non arrivarci da solo. Poi ricordò di nuovo qualcosa. Alcolici. Ma certo! Tutti i membri dell’organizzazione avevano come nome in codice degli alcolici. 
La ragazzina dall’altra parte del telefono gli bloccò ogni altro pensiero.
«Perché me lo chiedi?»
«Mi ha chiamato al cellulare, mi ha detto che mi hanno in pugno e…» non ebbe il tempo di finire la frase che la ragazzina terrorizzata lo interruppe.
«Shinichi… ha per caso parlato di me?» chiese con voce tremante.
«Non credo…»
«Shiho Miyano…»
«No! Ha solo detto… “guarda il mio Angelo”… l’ha detto in inglese…«
La bambina rimase di nuovo in silenzio, ma questa volta il ragazzo riusciva a sentire il suo respiro spezzato attraverso il telefono, come se fosse preoccupata per qualcosa.
«Ai, perché non parli?»
La bambina dall’altra parte era immobile, la mano che teneva il telefono vibrava come una foglia sotto una brezza autunnale. Non sapeva se avrebbe dovuto dirglielo, ma fu più forte di lei.
«Shinichi… – disse con voce tremante – Ran è in pericolo!»
Il cordless nelle mani del ragazzo cadde a terra con un tonfo.


Il ragazzo correva già da cinque minuti, quando prese il cellulare dalla tasca e iniziò a controllare la rubrica. Andiamo doveva pure avere il suo numero, pensò continuando a far scorrere il cursore. Eppure quel maledetto nome sembrava non voler comparire. Raicho, Raku, Ralph. Ran trovata! Premette il tasto verde e si avvicinò l’apparecchio all’orecchio, mentre continuava a correre, senza avere in realtà una meta precisa.
«Pronto?» rispose la voce della ragazza e il ragazzo ebbe un sospiro di sollievo.
«Ran… dove sei?»
«Shinichi… cosa?»
«Dove sei ora? Dimmelo!» disse il ragazzo urlando.
«A casa… Mio padre è uscito per andare a giocare a majong e io sono a casa! Perché…?»
«Dimmi dove abiti!»
Nessuna risposta.
«Ran…» la chiamò, sperando solo che si fosse distratta.
Eppure non arrivò nemmeno un fiato.
«Raaaaaaaaaaan!» urlò disperato e finalmente qualcuno rispose.
«Ascoltami bene piccola peste, ci hai messo i bastoni tra le ruote troppe volte, ora se rivuoi la tua amichetta dovrai venire da noi, siamo intesi?» disse una voce maschile, che fece gelare il sangue nelle vene al ragazzo.
Poi la chiamata si chiuse. Il ragazzo si fermò, senza fiato, sia per la corsa che per ciò che aveva sentito. Decise che era inutile rimanere lì e così tornò a casa.
Quando fu a villa Kudo, nella sua camera stette per una buona decina di minuti a fissare la foto sulla scrivania dove lui e Ran sorridevano proprio sotto il castello del Tropical Land, quando all’improvviso, finalmente, si decise e prese il telefono.
Dall’altra parte risposero quasi subito.
«Ai… l’hanno presa! Mi hanno detto di andare da loro se la rivoglio…»
«Kudo il loro vecchio covo è andato in fiamme durante l’ultima battaglia, non so dove si siano stabiliti ora. Inoltre è peri…» non riuscì a finire la frase.
«Lo so io dove si trova il nuovo covo, ma ti devo chiedere una cosa…»
«Dimmi.»
«Mi serve una pistola e ho come l’impressione che me ne puoi procurare una!» disse, strappando un sospiro alla ragazzina.
«Ci vediamo tra mezz’ora davanti a casa tua ok?» disse rassegnata dalla decisione dell’amico.

Quella mezz’ora al ragazzo sembrò non passare mai. Si sentiva nervoso ed era più che ovvio, sebbene non si ricordasse di lei e dei momenti passati insieme, sapeva che Ran per lui era sempre stata importante e l’idea che quelli dell’organizzazione l’avessero catturata gli stava chiudendo il cuore in una morsa mortale che sembrava mozzargli il respiro. Quando finalmente passò il ragazzo, che stava aspettando ormai da dieci minuti fuori dal cancello di casa sua, vide la bambina venire verso di lui.
«Questa è la pistola… bada che ha solo tre colpi usali bene!» disse la bambina porgendogli una Walther PPK/S.
«Grazie…» le rispose velocemente, già pronto ad andare, ma lei lo fermò.
«Aspetta tieni anche questa. È una cintura spara palloni, l’ha inventata il dottor Agasa per te quando eri ancora Edogawa, magari ti può servire… In fondo sei la punta numero uno di Fukushima!»
«Ti ringrazio Ai, – disse il ragazzo iniziando a correre – ci vediamo dopo, aspettami…» urlò salutandola con la mano sinistra.
La bambina pregò con tutto il cuore che tornasse sano e salvo. Non avrebbe mai sopportato di vedere quegli occhi azzurri e penetranti di cui era innamorata chiudersi per sempre. Intanto però lo guardava allontanarsi, proprio come si era allontanato da Ran quella fatidica sera al Tropical Land quando diventò Conan Edogawa.


Erano ormai le nove di sera quando Shinichi scese dal treno della metro alla fermata del Tropical Land. Appena sceso vide che il cancello del parco era chiuso con un lucchetto: in quei giorni era stato chiuso per via dell’incidente al pala ghiaccio. Arrivato di fronte al cancello, senza alcuna esitazione si arrampicò aggrappandosi alle aste in metallo e lo scavalcò senza nessun problema. Non ci mise molto e, dopo qualche secondo, si ritrovò dall’altro lato, finalmente dentro il luna park. Iniziò a correre senza fermarsi, sapeva esattamente dove doveva dirigersi. Sebbene i suoi ricordi di quel luogo fossero offuscati, il suo istinto lo stava guidando alla sua destinazione e non aveva nessun bisogno della memoria. 
Arrivò fin davanti alla biglietteria del “Treno dei Misteri” e solo a quel punto si fermò, per riprendere fiato e per guardarsi intorno. Ora aveva bisogno di lei: della sua memoria. Sperò con tutto il cuore che non lo tradisse proprio in quel momento. Ad un tratto lo vide: era un condotto di ventilazione, proprio vicino ad un albero e subito quel ricordo gli balenò nella mente.

«Guarda, Shinichi, c’è pochissima coda per il Treno dei Misteri!» disse la ragazza correndo verso la biglietteria. 
In quel momento lui notò due bambini, intenti a entrare in un condotto di ventilazione.
«Quei due stanno cercando di entrare senza pagare! – disse con aria scocciata – Ma tu guarda, questi sono i ragazzi di oggi!»

Trovato! Per fortuna anche questa volta gli era andata bene. Si avvicinò alla grata in cui fortunatamente non c’erano viti o bulloni a tenerla, gli bastò mettere un po’ di forza e si staccò dal muro, lasciando il piccolo e stretto condotto aperto. Appena tolta la grata s’infilò dentro quel luogo stretto e buio e sentì subito il freddo metallo che rivestiva il condotto sul ventre, mentre iniziava a strisciare. Andò avanti, con quel passo chiamato dai soldati “passo del ghepardo”, per quelle che a lui sembrarono ore, in realtà, molto probabilmente, erano passati non più di venti minuti. Ad un tratto iniziò a sentire un forte odore di alcool e iniziò a strisciare più velocemente. 
Quando finalmente uscì da quel cunicolo si trovava dentro la grotta della giostra, proprio dove passavano i binari. Iniziò a tastare la parete ruvida e sconnessa di quel luogo come se cercasse un passaggio segreto. Dopo un po’ di tempo finalmente trovò quello che gli interessava. Sul muro deformato della grotta vi era un’incisione, sembrava un pipistrello, proprio come quello che c’era sui tappi di bottiglia dei Breeze Bacardi. Proprio sul petto del pipistrello c’era un piccolo bottone, Shinichi lo premette con un po’ di timore. A quel punto si aprì una minuscola fessura sul muro, tanto grande da farci passare una mano, da dove uscì una tastierina munita di numeri e lettere. 
Per un attimo rimase paralizzato nel vederla: ci voleva una password. Come avrebbe fatto ora? Si mise a pensare, forse non ci sarebbe stato bisogno di ricordare chissà quale particolare. Bastava pensare a cosa potevano sapere solo i componenti dell’organizzazione. Poi gli venne un’idea, avvicinò la mano alla piccola tastiera e iniziò a digitare APTX4869.
Davanti a lui una parte del muro indietreggiò per poi spostarsi sulla destra lasciando aperto un varco. Il ragazzo un po’ titubante entrò, mettendo la mano in tasca e afferrando saldamente la pistola. Finalmente sembrava essere dentro il loro covo, ma non sapeva se essere contento o nervoso, anche se il pensiero di ritrovare il prima possibile quella ragazza lo spinse a continuare a camminare, come se in quel momento lei stessa gli stesse chiedendo disperatamente di salvarla.
Camminava velocemente per il vicolo buio, quando una mano lo fermò. Al contrario di come ricordava Shinichi quell’uomo non era vestito di nero ma indossava un paio di pantaloni verde bottiglia e una giacca dello stesso colore sopra una camicia bianca. Era robusto, con l’auricolare all’orecchio, la testa rasata e un paio di occhiali scuri, sebbene lì non ci fosse assolutamente sole o alcuna luce.
«Chi è lei? Che ci fa qui?» chiese l’uomo.
«Devo parlare con...- il ragazzo ebbe una nuova fitta alla testa, come diavolo si chiamava, poi gli venne in mente - …Gin!»
«Seguimi!» rispose tranquillamente lui, probabilmente era già stato avvertito del suo arrivo.
I due camminarono per un lungo corridoio pieno di porte. Erano davvero parecchio organizzati. Quel covo somigliava molto a quello che aveva rivisto nei suoi ricordi dell’ultima battaglia dell’organizzazione: lunghi corridoi costellati di porte, ognuna con la sua targhetta che segnava il nome del proprietario dell’ufficio.
Ad un certo punto l’uomo che camminava di fronte a lui si fermò e il ragazzo lesse cosa c’era scritto sulla lamierina ovale in ottone attaccata sulla porta nera d’ebano di fronte a lui. Gin.
«Aspettami qui! Non ti muovere!» ordinò l’uomo e lui obbedì, mentre quello entrava e si chiudeva la porta alle spalle.
Non voleva complicare ancora di più le cose, però per prevenienza rimise la mano in tasca e afferrò la pistola. Appena sentì il freddo metallo di quell’aggeggio mortale sul palmo della mano ebbe un brivido, ma la strinse ancora più saldamente.
L’uomo uscì pochi secondi dopo, con aria seria e impassibile. 
«Puoi entrare!» disse in tono seccato, poi si allontanò per il lungo corridoio.
Shinichi posò la mano tremante sulla maniglia e ruotò il pomello verso destra per aprire la porta. Appena riuscì a vedere cosa c’era all’interno però, tutta la poca sicurezza che aveva accumulato crollò in un secondo lasciandolo con un fastidioso groppo in gola e con una paura folle.
Ran era accasciata a terra con le spalle al muro. Aveva una ferita alla testa e i suoi occhi erano chiusi, sembrava aver perso conoscenza.
«Ben arrivato... piccolo detective…» disse una voce maschile.
Il ragazzo dovette distrarsi da quella visione agghiacciante. Si girò e vide un uomo tutto vestito di nero, con una cascata di capelli argentei e due occhi di ghiaccio che facevano paura solo a vederli. Ora si ricordava perfettamente di lui: quell’uomo era sempre stato nei suoi peggiori incubi.
«Cosa vuoi da me?» chiese con la voce che gli tremava.
Si maledì per quell’insicurezza. In quel modo avrebbe fatto capire all’uomo che aveva di fronte la sua paura e non doveva.
«Io lascerò libera la tua amica a una condizione…» disse tranquillamente lui.
«Dimmi quale!»
«Tu resterai qui!»
«Io non starò mai con voi, preferirei morire piuttosto che allearmi con delle menti così contorte e crudeli come le vostre!» disse il ragazzo urlando e ritrovando per un attimo il coraggio.
«E chi ha detto che ti vogliamo come alleato?»
Il ragazzo non seppe più che rispondere, ci furono due interminabili minuti di silenzio, poi ad un tratto accadde qualcosa: Ran che era ancora a terra riprese conoscenza.
«Shin…Shinichi…» disse con un filo di voce, facendolo girare.
«Ran…»
L’uomo coi capelli lunghi tirò fuori la pistola e la puntò sulla ragazza.
«Scegli o tu o lei!»
Shinichi per un attimo pensò che era la fine, di certo non avrebbe abbandonato Ran a quell’orribile destino, ma in quel modo non l’avrebbe più rivista, non si sarebbe più ricordato di lei, non avrebbe più potuto rivivere momenti indimenticabili con quegli occhi violetti e dolci.
Decise. Avrebbe provato il tutto per tutto, di certo non si sarebbe arreso così in fretta. La mano che ancora teneva stretta la pistola in tasca, uscì di scatto e il ragazzo la puntò verso l’uomo. Il biondo però non si era scomposto e i suoi occhi perfidi continuarono a guardare quelli tremanti di Shinichi. Il suo obbiettivo però era cambiato, ora non puntava più la pistola su Ran, ma su di lui.
Il ragazzo non sapeva cosa fare, la sua mano vibrava come una foglia al vento, avrebbe dovuto sparare eppure non ci riusciva.
Anche Ran fissava la scena: il suo sguardo, però, si fermò di più su quel ragazzo impaurito che puntava la pistola contro il suo aggressore. Era venuto a salvarla, anche se probabilmente non si ricordava di lei e di tutti i momenti passati insieme. Sentì qualcosa di caldo e sottile rigarle il viso e scivolare piano verso le labbra e capì che era una lacrima, la catturò con la bocca sentendo il suo sapore salino, poi chiuse gli occhi per ricacciare indietro le altre, ma si pentì subito di ciò che fece.
Neanche un secondo e sentì il rombo assurdo di uno sparo. Serrò gli occhi di colpo e rimase paralizzata da ciò che vide: Shinichi era accasciato a terra con la mano che teneva il suo fianco, dove la giacca era di un colore rosso vivo.
«Shinichiiii!» urlò disperata.
La risata dell’uomo in nero inondò la stanza, mettendo i brividi a entrambi i due ragazzi.
«Sei stato uno sciocco Kudo! Credevi di essere più furbo di me? Hai perso la memoria e senza quella non sei nessuno!» sorrise compiaciuto.
«Ti sbagli... - disse il ragazzo cercando di rialzarsi - ...io sarò sempre uno scalino più in alto di te!» puntò la pistola contro l’uomo e sparò prendendolo al ventre.
L’uomo cadde a terra esanime. Shinichi sapeva che in quel modo non lo aveva ucciso, ma non si sarebbe comunque mosso. Sparò un’altro colpo alla pistola che l’uomo teneva in mano, che volò lontano dal suo possessore. Solo allora, quando fu sicuro che il suo avversario era stato sistemato, si avvicinò a Ran.
«Come stai?» chiese.
«Bene… ma tu…»
«Tranquilla sto bene! Ora ti porto fuori di qui.»
Sorreggendosi a vicenda uscirono di corsa dalla stanza. Fortunatamente i corridoi erano desolati, fortunatamente e stranamente, eppure Shinichi era troppo impegnato a portare Ran fuori da quel luogo per rendersi conto che tutta quella calma era assurdamente strana. Arrivarono all’entrata e non si accorse nemmeno che c’era neanche l’uomo vestito di verde. Attraversarono la galleria delle montagne russe e poi si infilarono nel condotto di metallo. 
La ferita gli bruciava e lui iniziava a vedere solo le sagome poi quando uscirono e furono vicino all’albero fu buio e non vide più niente.

  
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