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Autore: cheesecake94    31/01/2008    9 recensioni
Lo lasciai, impaurito, devastato nello spirito e nel corpo, e me ne andai con la mia rabbia, mentre lui affondava ancora, sempre più in basso. Chaylor
NB Talora potrebbero essere trattate tematiche delicate.
POSTATO IL SEDICESIMO CAPITOLO.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Chad Danforth, Gabriella Montez, Taylor McKessie, Troy Bolton
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Grazie mille a: Ada, herm90, scricciolo91, vivy93, _laura_, armony_93, romanticgirl. Spero che anche questo capitolo vi piaccia. A presto!

 

Era passata una settimana da che lui e Taylor si erano recati in Grosvenor Street ed avevano scoperto la verità, e le cose non erano cambiate. Chad aveva subito tre interventi da allora, eppure la sua salute non migliorava: si trattava, come aveva detto il medico, di un blando “rattoppamento” in attesa che lui fosse abbastanza in forze da sottoporsi alle operazioni che gli avrebbero davvero portato dei benefici, eppure sembrava che questo momento non diventasse mai più vicino. I dottori non riuscivano ad eradicare la polmonite che continuava ad aggravarsi nonostante gli antibiotici; quel pomeriggio, avevano sentito due infermiere parlare tra loro dopo essere uscite dalla sua stanza.

Mi dispiace per questo ragazzo, è così dolce e gentile, sempre a ringraziare per tutto.”

“Già. Sembra proprio che non abbia più voglia di vivere, povera creatura.”

Taylor e Troy si recavano in ospedale ogni giorno dopo la scuola e ci restavano fino all’ora di cena, spesso in compagnia dei loro amici. Avevano l’impressione che rimanergli accanto almeno fisicamente alleviasse almeno un poco il senso di colpa che altrimenti non avrebbe lasciato scampo. Taylor passava in lacrime ogni notte, e Troy non era da meno, incapace di dormire o di pensare a qualsiasi altra cosa che non fosse Chad o quello che avrebbe potuto fare per lui se solo avesse capito in tempo.

Se solo fossi stato capace di dimostrargli quanto tengo a lui, almeno una volta nella vita.

Quella sera, al ritorno a casa, Troy si trovò di fronte una scena che riuscì, nonostante tutto, a strappargli un sorriso.

Accoccolata dietro la porta della cucina, inginocchiata nonostante la sua mole più che considerevole, stava zia Muriel, un orecchio strettamente adeso all’anta e lo sguardo attento. Vicino a lei, seduta a terra ed impegnata con una bambola di pezza, c’era Olive. La zia era venuta a passare da loro qualche giorno per aiutarli con la bambina, e le due avevano legato, giocavano e si divertivano come pazze, e nonostante non sempre fosse chiaro chi delle due stesse badando all’altra, per Olive era senz’altro un bene potersi distrarre un pochino dal pensiero fisso di suo fratello.

“Ehi, che state facendo qui?”

“Spiamo, ragazzo, non è evidente?”

“Spiate… chi?”

“I tuoi genitori. Fanno discorsi interessanti, là dentro.”

Incuriosito, Troy entrò in cucina. I suoi genitori erano seduti a tavola e circondati da innumerevoli fogli, computer e calcolatrice alla mano.

“Novità dall’ospedale?” chiese suo padre.

“Nessuna. Che state facendo?”

“Solo conti, tesoro.”

“Per che cosa?”

“Noi…” disse sua madre schiarendosi la voce. “Noi avremmo voluto chiedere l’affidamento di Olive e Chad.”

“E’ meraviglioso!” esclamò il ragazzo.

“Avremmo voluto, ma non è possibile. A conti fatti, non ce la caveremmo con altri due bambini in casa. Forse con uno, se stessimo attenti alle spese, ma non con due. Mi dispiace, tesoro.”

“Quindi finiranno in orfanotrofio, giusto?”

“Temo di sì, anche se Olive è ancora piccola ed ha buone probabilità di essere adottata.”

Già, Olive era piccola e graziosa, i suoi genitori erano già innamorati di lei, sarebbe stata di sicuro adottata, e Chad sarebbe rimasto in quel posto da solo, lontano dall’unica persona che amasse davvero e che davvero l’avesse amato. Non sarebbe andato al college, non sarebbe mai diventato un giocatore professionista, forse non sarebbe nemmeno guarito.

Forse non sarebbe nemmeno sopravvissuto.

E tutto questo solo perché aveva avuto il coraggio di difendere dalla sofferenza tutte le persone che amava dimenticandosi di sé stesso.

OoOoOo

Taylor era come al solito seduta accanto alla sua stanza, fuori dalla porta, quando sentì le urla. Non erano gemiti, non erano lamenti, erano vere e proprie urla, strazianti, insopportabili.

E senza dubbio, quella era la voce di Chad.

Si alzò e si avvicinò. Il suo cuore batteva come impazzito, lo sentiva contorcersi al pensiero che la persona che amava stesse provando un dolore così intenso da indurlo ad urlare, lui che aveva mostrato di possedere un così grande controllo di sé stesso, e da solo.

Un’infermiera uscì dalla stanza trafelata.

“Che succede?” le chiese Taylor. “Che cos’ha?”

“Gli stanno facendo una puntura spinale. E’ un test diagnostico che prevede estrazione del liquor dalla colonna spinale, ma la sua schiena è davvero in pessime condizioni perciò risulta ancora più doloroso di quanto non sia normalmente.”

La ragazza guardò all’interno della stanza. Chad era sdraiato su di un fianco, mentre un uomo vestito di verde inseriva nella sua schiena un ago lungo e spesso. Un altro uomo lo teneva fermo.

Era la prima volta che lo vedeva, da quella notte. Si rese conto di quanto fosse cambiato, che forse non sarebbe stata più in grado di riconoscerlo. Era sottile, le sue braccia e la gamba che fuoriusciva dal camice dell’ospedale somigliavano a quelle di un bambino; l’altra gamba era ingessata, e il bianco abbacinante del gesso contrastava con il colore della sue pelle, che pure non era più brillante come prima ma tendeva al grigio della nebbia.

Ciò che più la colpì, tuttavia, fu la benda macchiata di sangue che stava attorno al suo capo. I capelli erano, da sempre, la prima cosa che di lui si notava, così particolari, così suoi, che fu proprio la loro assenza a darle l’esatta percezione della situazione. Non avrebbe mai pensato di vederlo senza i suoi capelli. Era un dettaglio sciocco, lo sapeva bene, eppure fu proprio quel dettaglio a farle capire che tutto era cambiato.

Rimase immobile sulla porta della stanza ad ascoltare quelle urla che le penetravano il cuore fino a che gli uomini se ne andarono lasciandolo tremante su di un fianco. Continuava a gemere, e lacrime di dolore attraversavano copiose le sue guance.

Nessuno badava a lei, così Taylor entrò nella stanza e si portò di fronte e lui. Il suo viso era segnato da occhiaie profonde, al suo corpo che lei aveva tanto ammirato erano collegati macchinari dall’aria inquietante, e la sua espressione non era più quella di un giovane pieno di speranza, ma quella di un vecchio stanco della vita.

Ora capiva cos’aveva voluto dire quell’infermiera. A lui non interessava più vivere, lo si vedeva chiaramente.

Facendosi coraggio, si inginocchiò e il più gentilmente possibile baciò la sua fronte calda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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