Serie TV > White Collar
Segui la storia  |       
Autore: margheritanikolaevna    20/07/2013    3 recensioni
In un'intervista Tim DeKay ha detto che la città di New York è un personaggio vero e proprio di White Collar e non solo un semplice sfondo: se questo è vero, vi siete mai domandati dove fossero Neal, Peter e tutti gli altri nel giorno più tragico per la Grande Mela? Si conoscevano già, oppure i loro destini si sono incrociati per la prima volta in quel drammatico mattino di settembre del 2001?
Questo racconto è la risposta che ho cercato di darmi. Ma non temete, non è una storia angst, perché il sentimento dominante sarà sempre e comunque la speranza.
Per adesso - e non so per quanto - sarà il mio ultimo lavoro su efp e spero veramente che riesca a emozionarvi.
Il racconto è stato scritto per il bellissimo contest "La speranza vive in una creativa realtà", indetto da HopeGiugy sul forum di efp e con mia grande gioia di è classificato al secondo posto (su ben ventinove concorrenti!).
Seconda classificata al contest "Anime, serie tv e sentimenti", indetto da bakakitsune su efp.
Terza classificata al contest "Dal linguaggio iconico a quello verbale", indetto da darllenwr su efp.
Grazie a chiunque avrà voglia di leggere e lasciare un suo parere.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ecco che qui la cupezza del capitolo precedente cede il passo al sentimento che, nelle mie intenzioni, vuole connotare di sé l’intero racconto: la speranza.

Grazie a chi continua a seguirmi, lasciando una traccia della sua attenzione.

 

 

In una rete di linee che si allacciano

 

 

 

Diana aprì leggermente il finestrino, facendo entrare l’aria fresca della notte; spense la radio e inspirò a pieni polmoni l’odore del deserto, un misto di sabbia umida e asfalto consumato, sperando che ciò bastasse a vincere la stanchezza. 

Guidava da ore, ormai, e la sua meta era ancora lontana.

Senza fermarsi, ma solo rallentando lo stretto indispensabile, sporse appena la testa fuori dal finestrino, gettando uno sguardo fugace al cielo sopra di lei; non aveva mai visto nulla di simile - considerò - e se non avesse avuto tanta fretta di arrivare a destinazione si sarebbe di certo fermata ad ammirarlo. 

Un cielo vasto, immenso, di un blu cupo eppure trapunto di una miriade di puntini luminosi: il cielo freddo e immobile del deserto, una distesa celeste sconfinata che si mescolava, sull’orizzonte, con una terra anch’essa senza confini.

Immensità, questa era l’unica parola che le veniva in mente.

Confusamente, pensò che forse era proprio ciò di cui aveva bisogno per cominciare a guarire ridimensionando, per quanto possibile, la sciagura che l’aveva colpita: nonostante la gravità della tragedia, infatti, essa rappresentava pur sempre una minuzia se messa a confronto con i millenni della storia umana e l’immensa vastità dell’universo.

«Cazzate!» mormorò però tra i denti l’istante dopo, ricacciando indietro le lacrime che già le velavano lo sguardo.

Già, nient’altro che cazzate: l’universo, l’umanità… che cosa le importava? Jo non c’era più e con lei migliaia di esseri umani innocenti. E anche se si era resa conto di non provare più per lei gli stessi sentimenti di prima, l’idea di averla perduta così ingiustamente e senza nemmeno averle potuto dire addio le era insopportabile.

Per l’ennesima volta il ricordo tornò alle parole dell’ultima telefonata della sua compagna: era stata incredibilmente coraggiosa, così generosa - come sempre - anche se già sapeva che stava per morire. Il pensiero di ciò che aveva sofferto, da sola e senza alcun conforto, le mozzò il respiro ancora una volta e dovette forzarsi per non spegnere il motore e abbandonarsi di nuovo al pianto.

No, non doveva.

Perché le ultime parole di Johanne erano state non di disperazione, bensì di speranza e di amore e lei a quella speranza, a quell’amore, avrebbe dato corpo andando nella Grande Mela ferita per dare il suo contributo, aiutando chi ne aveva veramente bisogno.

Ancora non sapeva cosa avrebbe trovato dall’altra parte del deserto, né quale direzione avrebbe impresso la sorte alla sua esistenza.

Ma era certa del luogo dal quale sarebbe cominciata la sua nuova vita.

  

***

 

Peter Burke abbassò la mascherina che gli proteggeva il volto dal fumo acre e dalla polvere che ancora ammorbava l’aria; si asciugò il sudore dalla fronte, allungò le mani e afferrò i due bicchieroni di carta colmi di caffè che il ragazzo di Starbucks gli porse.

Goffamente, cercò di costringere i muscoli indolenziti della braccia a tirare fuori dalla tasca il portafogli, ma l’altro gli fece cenno di no col capo: per i volontari di Ground Zero il caffè era gratis.

Il federale lo ringraziò con un sorriso accennato e si allontanò senza staccare lo sguardo dalla moltitudine di persone, diverse per aspetto ed età, che intorno a lui si affaccendavano a rimuovere i cumuli di macerie che ancora ingombravano le strade principali di Manhattan.

Incredibile - considerò - di quanta solidarietà umana, di quanta generosità fosse capace la sua gente: persone che avevano saputo elevarsi al di sopra dell’odio e della violenza esattamente mentre li stavano sperimentando sulla propria pelle.

I terroristi possono aver abbattuto i nostri grattacieli, rifletté, ma non hanno schiacciato la nostra voglia di libertà, il nostro amore per la vita e la nostra speranza.

Se ne era reso conto, riuscendo a scuotersi dall’abisso di disperazione in cui era precipitato, solo grazie a El: quando lei gli si era accostata, l’aveva circondato con le braccia tremanti e l’aveva tenuto stretto - forte e a lungo -  mescolando le lacrime e il respiro con i suoi.

Non c’era stato bisogno di parole: si erano guardati negli occhi e subito intesi.   

Una doccia veloce per lavare via polvere, cenere e stanchezza e poi era stato, di nuovo e stavolta per entrambi, World Trade Center.

Fianco a fianco, consapevoli di cosa volesse dire fare la differenza, aiutando gli altri con coraggio.

Dentro di lui ardeva ancora, però, una rabbia feroce all’idea che esistessero uomini che li odiavano talmente tanto da infliggere un così orribile e insensato dolore a una moltitudine di innocenti; in alcuni momenti, poi, il ricordo - l'odore acre del fumo e della carne bruciata, le persone disperate che si gettavano dalle torri, la gola secca a causa della polvere e del calore -  era talmente vivo da trasformarsi in un malessere fisico.

Altre volte, invece, pensava a tutte quelle vite spezzate, alla sua città (la stessa che aveva giurato di proteggere non molti anni prima) piagata e lo assaliva una tristezza senza rimedio. Allora si domandava se sarebbe stato sempre così, per lui: se anche quando fosse riuscito a essere di nuovo felice e soddisfatto della sia vita, ci sarebbe stata ancora, nascosta in un angolo del suo cuore, la stessa profonda tristezza di quei momenti pronta a balzare fuori all’improvviso.

Trasse un sospiro profondo e fece due passi verso un giovane afroamericano che, sudato e impolverato, trascinava una carriola piena di calcinacci.

«Ehi, Clinton! » lo chiamò con un sorriso appena accennato, mostrandogli il secondo caffè che si era appena fatto dare proprio per lui.

Quello levò gli occhi e subito fissò con cupidigia la bevanda; si raddrizzò sbuffando, prese il bicchiere, ricambiò il sorriso del federale e lo ringraziò con uno sguardo eloquente che voleva dire pressappoco proprio quello di cui avevo bisogno!

Non lo avrebbero mai detto a nessuno - non quando in tanti avevano perduto una persona cara in quelle stesse ore - ma quel maledetto giorno di settembre loro si erano, invece, trovati.

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > White Collar / Vai alla pagina dell'autore: margheritanikolaevna