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Autore: frenci piuggi    21/07/2013    5 recensioni
Naruto è un rinomato pittore, sempre alla ricerca di nuove idee ed immagini da immortalare nei suoi quadri.
Sasuke è un carcerato, colpevole di omicidio preterintenzionale e volontario.
Un bel giorno di primavera i due si incontrano grazie al volontariato di Naruto. Chissà se anche in una prigione potrà sbocciare l’amore…
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Madara Uchiha, Naruto Uzumaki, Sabaku no Gaara, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Gaara, Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Avvertenze: prima di leggere il capitolo, sappiate che questo è più violento rispetto agli altri. Ci sono riferimenti sullo stato del corpo di Danzo quando era stato rinvenuto, ma gli ho “mascherati”, se così posso dire, dandone solo un accenno. Leggendo, si assisterà ad una scena di violenza (non anticipo nulla), perciò se non amate il genere, ve lo sconsiglierei, anche se credo sia soltanto per questo capitolo e poi basta. Ho cercato di dargli comunque un tono meno aggressivo rispetto a quello che mi ero immaginata e spero proprio di esserci riuscita. Detto questo, vi auguro una “buona” lettura.

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Promessa di luce

 
Gli incubi non mi abbandonarono. Per le due notti e i tre giorni di reclusione in casa, non riuscii a non pensare a nulla che non fosse l’omicidio Danzo.
Ricordavo come a quel tempo non prendevo molto sul serio il telegiornale, perché noioso e falso: sviava i dialoghi delle persone interrompendole a metà o ricomponendoli a loro piacimento, quasi fossero dei puzzle; riproduceva solo una piccola realtà dei fatti, trasmettendone le immagini più importanti per il servizio. In verità, a ben pensarci, non mi va a genio nemmeno ora. Nonostante tutto quell’argomento mi era rimasto ben impresso. Avevo sempre odiato quel politico e sapere della sua dipartita, mi aveva rallegrato. Con questo non cerco di dire che non fossi sensibile al dolore dei suoi parenti, ma almeno potevo andare alle elezioni senza la paura che qualche idiota eleggesse quel tiranno.
Quando, un paio di giorni dopo, avevano annunciato la cattura del colpevole, avevo alzato il volume per sapere di chi si trattava, già pronto con carta e penna ad elogiarlo e andare a trovarlo in prigione. L’inviato riassunse in breve l’accaduto, mentre immagini del luogo del delitto scorrevano veloci, miste a spezzoni di vita della vittima, per poi fermarsi sul reportage vero e proprio. Mi ero avvicinato al televisore, pronto a scrivere qualsiasi informazione riguardante il malvivente, finché da una villa in stile giapponese non ne era uscita una figura scortata da sei agenti, due di questi a tenerlo per le braccia. Coperta con un asciugamano per nascondere il volto, camminava tranquilla verso la vettura, però era diversa da come me l’era immaginata: la corporatura era notevolmente più esile per essere quella di un uomo. La penna mi era scivolata di mano ed ero arretrato fino a sedermi sul divano. Il giornalista parlava, faceva domande a vuoto, si sbracciava per parlare con il capo della polizia, intanto che il cameramen filmava il volto coperto del ragazzo ed il piccolo ghigno soddisfatto che trapelava da questo.
Come ciliegina sulla torta, avevano poi annunciato che l’assassino di Danzo era un ragazzino di solamente sedici anni. Il mio entusiasmo si era spento per lasciar posto ad un’ondata di tristezza.
Più volte mi ero chiesto cosa avesse lo avesse spinto a compiere un atto così crudele, mandando all'aria tutta la sua adolescenza e vita futura. Ancora oggi mi pongo la stessa domanda.
Mi rigirai nuovamente tra le coperte, sbuffando per l’ennesima volta. Almeno ora sapevo il motivo di quel suo sguardo freddo e dei suoi atteggiamenti scostanti, anche se il luogo in cui era precluso già ne testimoniava buona parte.
I dubbi stavano nel “come rapportarmi con lui”: prima, non conoscendo nulla sul suo conto, potevo ignorare l’istinto primario di scappare e seguire la mia fervida curiosità, mentre ora cresceva quel senso di timore sopraffatto per buona parte con il passare del tempo. Sentivo dentro la voglia di non abbandonarlo a se stesso e all’oscurità in cui già si trovava, ma Sasuke si sarebbe lasciato salvare? E come potevo fare per liberarlo da quelle catene?
La sveglia trillò per tutto l’appartamento, ridestandomi per un piccolo momento da quelle domande senza risposta. Poco male, in fin dei conti ero Naruto Uzumaki e l’imprevedibilità è da sempre il mio forte.
 
Arrivato davanti alla prigione iniziai a rimpiangere di non aver dato ascolto al mio lato saggio.
– Resta a casa. – mi ripeteva, cercando di appesantirmi i muscoli delle gambe e amplificando i brividi sulla pelle.
Man mano che mi avvicinavo sentivo l’ansia crescere, e ogni passo in avanti ne sembrava uno indietro, tanto che arrivai al punto di chiedermi se non fosse meglio camminare al contrario. “Occhio non vede… stomaco non duole”, o almeno lo speravo, visto le enormi fitte all’addome.
Salutai con un cenno del capo le due guardie all’entrata e, come in segno di risposta, mi aprirono. Sarei dovuto andare da Madara per riconsegnargli i documenti, ma in quel frangente, la priorità andava a Sasuke. Era per lui se quel giorno libero avevo deciso di andare all’istituto, invece di stare in casa a terminare la tela. Da pochi giorni avevo iniziato un nuovo dipinto e Jiraya ne era stato entusiasta.
Continuai ad avanzare con passo sicuro, mentre il mio stomaco si contorceva ogni volta varcato un cancello. Quando arrivai all’ultimo, sentì il sangue rimbombarmi nelle orecchie, talmente il cuore lo pompava velocemente; sorrisi alle guardie di turno e, deglutendo rumorosamente, ripresi la mia avanzata verso il buio.
< Perché questo corridoio sembra molto più lungo rispetto alle altre volte? > mi domandai, guardandomi attorno circospetto.
Mi stavo agitando e non era un bene, specialmente quando un brivido freddo mi attraversò la schiena. Solo in quel momento capì di stare sudando. Ad ogni metro mi veniva in mente un’immagine dell’omicidio: sette foto per una quarantina di piedi; perfetto, non è vero? Ovviamente il direttore aveva sottratto dal fascicolo quelle riguardanti il cadavere, tuttavia i numeri e le sagome davano un buon esempio dello scempio di Sasuke.
Primo numero: cerchio con una pozza di sangue in fondo, probabilmente era la testa.
Secondo numero, ricollegato con il terzo: due sagome scomposte forse per indicare due arti, quelli superiori, credo.
Quarto numero: un cerchio molto più grande, completamente zuppo di scuro. Doveva essere il busto.
Quinto e sesto numero: per esclusione avevo dedotto fossero le gambe.
La maglia bianca mi si appiccicò alla schiena, mentre sovrapponevo il corpo mutilato di Danzo al mio.
Ultimi passi: l’immagine di chi aveva ridotto un uomo in un puzzle vivente.
I miei occhi si soffermarono nei suoi e non potei fare a meno di squittire, retrocedendo di un passo. Le iridi nere di Sasuke s’intravedevano anche attraverso l’oscurità della cella, come se il suo sguardo fosse più buio di quella. Non lo sentii ridere per il mio comportamento né lo vidi fare nient’altro che respirare.
Ansare pesantemente.
Era a prima volta che lo sentivo ansimare così forte, quasi da sovrastare il pulsare nelle mie tempie e qualcosa divenne più forte della paura. Un sentimento mai sentito dentro m’inibì i sensi.
Tornai indietro alla ricerca del personale, ma quando gli dissi che il prigioniero stava male, sghignazzarono divertiti. Se fino allora me n’ero rimasto a guardare maltrattare Sasuke, questa volta agì. Agguantai attraverso le sbarre, il colletto del secondino più vicino a me, cercai alla cieca le chiavi della cella e trovai un passe-partout. Mi concessi solo un attimo per gioire, dopodiché corsi nuovamente verso la tenebra, sentendo gli agenti che imprecavano e chiamavano il direttore. Inserii la chiave nella serratura e quando la sentii sbloccarsi, m’infilai dentro lo stanzino, precipitandomi verso la fonte dei miei incubi.
– Sasuke! – lo chiamai sedendomi di fronte a lui.
L’ombra scura mi esaminò attento, poco prima di avventarmisi contro. Spalancai la bocca per urlare, ma il carcerato mi artigliò la gola, impedendomi di parlare. Afferrai con le unghie delle dita la mano premuta sul collo, cercando di provocargli dolore per liberarmi. Mi ritrovai ugualmente la testa premuta contro la parete ghiacciata, incapace di respirare e resistere maggiormente; ero troppo sconvolto per farlo. Riapri a fatica gli occhi che mi si erano chiusi a causa del forte impatto con il muro, e li puntai sul suo viso. C’era qualcosa di assolutamente sbagliato in quelle pupille affilate e contornate di rossastro, nel suo viso completamente madido di sudore e nel respiro troppo caldo alitatomi contro. Non ero un medico o qualsiasi esperto di droghe, ma ero certo sulle condizioni di quel ragazzo: era stato dopato. In più mi sembrava avesse la febbre; la pelle scottava troppo per avere una temperatura normale. Piccole stille scarlatte mi bagnarono i polpastrelli, nonostante tutto Sasuke non mi lasciava. Sembrava non mi vedesse nemmeno.
– Sa… s-u… ke… – soffiai, incapace di fare altro, tentando ancora una volta di ridurre la presa.
Miracolosamente sembrò riconoscermi. Si staccò da me, fissandomi come se fossi un fantasma vivente. Poco dopo prese ad osservarsi la mano con cui mi aveva afferrato, boccheggiando incredulo. Il suo corpo prese a fremere da capo a piedi, si abbracciò tentando, invano, di arrestare il tremore. Si allontanò maggiormente dalla parete, dove ancora stavo appeso massaggiandomi la gola, sulla quale sarebbero sicuramente rimasti dei lividi. Premette le mani sugli occhi, fuggendo dalla realtà in cui si trovava. Continuava a sussurrare di perdonarlo, forse riferendosi a me o qualcun altro.
Ero spaventato dal suo improvviso cambio d’umore, il quale affermava solo le mie ipotesi.
E se fosse stato in questo identico stato psicologico quando aveva ucciso Danzo?
Sfortunatamente dal rapporto medico su Sasuke non era riemerso nulla. Tutte le fibre del mio corpo gridavano all’imbroglio: presumibilmente avevano manomesso le informazioni.
Come dimostrarlo? Potevo fidarmi del mio istinto? Infondo se ero qui, era per lui.
Ad un gemito soffocato, riemersi dal mio inconscio e sbiancai di qualche tono. Sasuke si premeva con una tale forza i palmi sugli occhi, che ebbi paura volesse cavarseli. Una goccia di sangue cadeva da una palpebra e mi apprestai a fermarlo. Gli presi le mani tra le mie, chiamandolo più volte e senza particolare sforzo, riuscì a levargliele. La goccia di sangue non partiva dal bulbo, bensì poco più in alto, ricordandomi di averlo ferito sulle dita. Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo, ricacciato subito dentro quando sentimmo le voci delle guardie… e Madara.
Ghiacciai sul posto, impaurito dalla prospettiva di affrontare una nuova conversazione con il direttore, specialmente dopo la bravata di quel giorno. La pelle sotto la mia fremette nuovamente e mi voltai nella sua direzione.
– Sas’ké? –
– Perdonami Naruto. – rispose talmente tanto flebile da essere quasi inudibile.
Appena mi mossi per sfiorargli una guancia, m’incatenò la schiena contro il suo sterno, passandomi un braccio diafano sotto il mento. Ancora una volta mi dimenai per liberarmi dalla presa, meno salda rispetto a prima. Vidi arrivare di gran fretta Madara con una dozzina di uomini in uniforme e fermarsi davanti al cancelletto d’entrata ancora spalancato. Le torce ci abbagliarono e fui tentato di schernirmi gli occhi, se le dita non fossero state artigliate sulla calda pelle bianca.
– Lascia andare il ragazzo. – gli intimò il direttore facendo un passo in avanti.
Come un animale spaventato, il detenuto voltò il capo da un uomo all’altro, indietreggiando nelle profondità della cella e ancorandosi maggiormente a me. La presa si fece più salda, costringendomi a chiudere gli occhi e calciare indietro. Non volevo nuocergli, solo tentare di fargli comprendere quanto dolore lui ne stesse arrecando a me, ma i miei gesti ebbero l’effetto opposto. Mi ritrovai a boccheggiare, implorandolo mentalmente di calmarsi. Il suo viso fu illuminato per un breve istante e rividi le stesse pupille arrossate: quella droga era ancora in circolo.
– Se non vuoi un appuntamento domani mattina con la sedia elettrica, ti converrà fare come ti dico. – minacciò Madara, fermandosi sotto l’arcata d’acciaio.
Sasuke si limitò a ringhiargli contro ed ansimare pesantemente; la febbre doveva essergli salita. I polmoni bruciarono per la mancanza d’ossigeno, la testa aveva preso a pulsarmi dal dolore e il sangue con lei: le forze mi stavano abbandonando, mentre la vista a poco a poco si oscurava. Smisi di divincolarmi e le unghie di stringergli le carni. Probabilmente fu la mancanza di dolore a ridestare il mio assalitore dallo stato animalesco in cui si trovava.
Il direttore si accorse del suo tentennamento e, con un rapido cenno del capo, ordinò di bloccarlo. Ritornai a respirare, ma il cuore nel petto si strinse amaramente. Poco prima di cadere a terra privo di forze e ossigeno, una piccola stilla salata mi bagnò la guancia.
Ora avevo capito: Sasuke non voleva tutto quello e mentre mi promettevo di salvarlo dal vortice d’ostilità in cui si era cacciato, un altro vortice inghiottì me, dolce come una ninna nanna.
Mi abbandonai alle sue amorevoli cure, incapace di fare altro.
 
 
 

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Avevo detto che avrei aggiornato due settimane fa e non l’ho fatto.
Il problema è che sono andata in vacanza in questi giorni e non avevo connessione a internet, se non con il cellulare.
La vedo parecchio dura postare con il mio cancherino che ormai ha deciso di andare in pensione, ovviamente senza aspettare che ne compri un altro. Dannata Cellula!! (è il nome del mio telefono… non giudicate, per favore) :)
Vi ringrazio per seguire ancora la mia storia, spero che con questo capitolo sia riuscita a ripagarvi per l’attesa.
Grazie a tutte, a presto :)

   
 
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