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Autore: Cassandra Morgana    01/02/2008    2 recensioni
Un tiranno ed una città a un soffio dalla guerra civile.
Un gruppo di ragazzi improvvisati ribelli, persi nelle sfuggenti sfaccettature del loro essere e del loro ruolo, fra le trame di un complesso interagire nel mondo.
Una minaccia soffusa che aleggia nell'aria...
Un luogo immaginario e un momento storico immaginario, "riconducibile" al XVIII secolo europeo.
Benvenuti a Noir Trésor!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Noir Trésor ~'
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Capitolo 14

Calano le tenebre

 

 

Ambrosie si riscosse dal proprio doloroso torpore in un guizzo di disperata lucidità. Si passò una mano sugli occhi, dissipando con un gesto secco le lacrime che le avevano intriso il volto e premevano imperiose tra le lunghe ciglia.

Scosse la testa come a voler liberarsi da un pensiero insopportabilmente molesto: erano davvero queste le antiche, vaghe promesse ed illusioni che il suo gelido e dilagante scetticismo aveva irreparabilmente distorto, trasfigurando dinnanzi a lei ogni singolo aspetto della realtà che, ora come ora, le appariva pervaso di un grigio piombo sempre più tendente al nero totale?

Sospirò: il continuo crogiolarsi nell’amarezza si era insinuato nella sua quotidianità come una linfa nociva, cristallizzando lentamente la facoltà di recepire la realtà con la carica di sentimento che essa reca con sé, e che ora giaceva miseramente sepolta sotto il rigore di un’arida ragione.

Rabbrividendo, Ambrosie fu sfiorata dal timore di aver perso la capacità di offrire sollievo, in qualche modo, al dolore che nascondeva accuratamente dentro di sé. Da quanto tempo, ormai, non piangeva? La tragica ed improvvisa morte di Lucien era stata capace soltanto di farle inumidire lievemente gli occhi, nulla di più. Per il resto, il gelo totale: timori taciuti ed una disperazione dal sapore oscuro che procedeva inesorabile dentro di lei, soffocandole il respiro e minando ogni slancio ideale verso il resto del mondo che non fosse dettato da stimoli esterni o forzati.

Era stata questa, sinora, la sua esistenza? Una recita malriuscita fra scenari polverosi: vivere la grigia realtà del borgo, troppo stretta dentro la propria pelle, per poi tentare, un giorno come un altro, di spiccare il volo come un passero appena uscito dal nido che non tiene in conto in conto l’eventualità di fracassarsi al suolo; e, una volta raggiunta la meta fisica delle proprie illusioni, scontrarsi contro un muro di pietra e rendersi contro, proprio malgrado, di non essere in grado di stabilire alcuna corrispondenza al di fuori di sé.

 

Senza una maschera sul cuore, sarei davvero priva di difese, incapace di reggere con la sola forza delle spalle il mio fardello.

Cosa c’è, fuori di queste mura? Vi ho sbattuto la testa più e più volte, inutilmente; mi chiedo se sia mai una mia colpa o una sorta di strana maledizione, il fatto di vivere la realtà di riflesso, come dietro ad uno specchio, e non riuscire a stabilire rapporti con l’altro che vadano al di là della semplice cordialità o del mero interesse.

Il fatto è che neppure il pensiero della morte di un amico è stato in grado di scuotermi dalla mia rigida ed impenetrabile staticità: sono come un fantasma che rivive la sua vita percorrendola a ritroso senza assaporarla. L’unica cosa, l’unico pensiero veramente importante che sia capace, di tanto in tanto, di farmi sputare sangue e lacrime, è costituito unicamente da me stessa.

Il peso della mia inettitudine è un affanno così egoistico e deleterio da monopolizzare totalmente le mie energie, affievolendo su di me persino l’idea della morte.

 

Vorrei che Fernand si facesse vivo al più presto: solo questo; poi, sarò libera d’infilarmi tra le lenzuola fredde ed aspettare pazientemente che almeno il sonno rechi con sé una sorta di conforto, vincendo la mia tristezza.

 

Un lieve bussare la distolse dai propri pensieri. La ragazza si diresse spedita verso la porta. Quasi senza riflettere, fece per sollevare il passante, quando un improvviso lampo di lucidità le fece abbandonare l’immediato proposito. Una fredda sensazione di terrore, istintivamente, la fece arretrare.

- Sei tu, Fernand? – la voce tremò.

- Ambrosie? Sono Raphäel.

Un misto di sollievo e lieve disagio prese languidamente possesso della sua mente. Ambrosie si strofinò nuovamente la mano sugli occhi, nel disperato tentativo di cancellare gli ultimi segni di pianto.

Non mi vedrai piangere. No.

Ignorò i propri capelli che, sfuggiti dall’improvvisata impalcatura di forcine, ciondolavano in folte ciocche sulla schiena ad ogni suo movimento.

 

Perché ciò che in un determinato momento sembra essere in grado di procurarmi una sorta di gioia fuggevole, inspiegabile ed inebriante, è inesorabilmente destinato a finire annacquato nell’angoscia che prende il sopravvento?

 

La ragazza aprì con circospezione, quel poco che bastò a permettere l’ingresso al ragazzo dal soprabito scuro schizzato di pioggia. I lunghi capelli arruffati gli ricadevano scomposti sulle spalle, intrisi d’acqua, e sul volto risoluto vi era una sfumatura inaspettatamente allarmata.

- Cosa fai in giro a quest’ora, Raphäel? Non sai del nuovo decreto del duca? – proruppe Ambrosie.

Raphäel scosse impercettibilmente le spalle, mentre una piega ironica gli percorreva fugace le labbra pallide.

- Una persona che negli ultimi quattro anni della sua vita non ha fatto altro che muoversi da cospiratore sotto una tirannia, sa quali accorgimenti adottare per aggirare gli ostacoli ed evitare di farsi sorprendere in flagrante.

La ragazza annuì distrattamente.

Continui a non raccontarla giusta. Cosa ti spinge qui, Raphäel?

- Fernand non ha ancora fatto ritorno? – incalzò il ragazzo.

Ambrosie scosse il capo in segno di diniego, mentre il timore che qualcosa non fosse andato per il verso giusto, ancora una volta, prese a farsi strada in lei come un veleno che, gradualmente, comincia a scorrere nel sangue.

- Non credo sia il caso di… – per un attimo, il suo sguardo si soffermò tristemente sul volto di Raphäel.

Tacque prima di lasciarsi inavvertitamente sfuggire qualcosa di poco gentile.

Il ragazzo parve intuire il suo pensiero ed annuì con imperturbabile rassegnazione.

- Hai perfettamente ragione, Ambrosie: in questo momento, forse sono l’ultima persona che tuo fratello ha intenzione di trovarsi di fronte.

Se è così, dunque, perché sei qua?

- Sono preoccupato per Fernand – la precedette Raphäel.

- Sono sicura che Dorian sia riuscito a recuperarlo e a parlargli – soggiunse la ragazza, tentando di alleggerire l’atmosfera opprimente – Ma ora entra e siediti a scaldarti, Raphäel – indicò con la mano il focolare – I tuoi abiti ed i tuoi capelli sono fradici.

 

Ambrosie si strinse istintivamente nelle spalle, mentre il suo sguardo scorreva distrattamente sulla figura di Raphäel e seguiva i movimenti nervosi ed aggraziati delle dita sottili del ragazzo che provvedeva a slacciare i bottoni della giacca. Il chiarore della fiamma conferiva al suo viso un aspetto quasi etereo.

La ragazza accostò le mani l’una all’altra, palesemente a disagio, tentando di scaldarsi nel tepore del fuoco acceso. Il silenzio che avvolgeva la stanza stava diventando ingombrante.

- Vado a prendere del vino – annunciò.

- Non capisco cosa stia prendendo a tuo fratello – Raphäel scrollò istintivamente il capo, dopo che Ambrosie gli ebbe porto una coppa di denso liquido color cremisi.

- Non so cos’abbia in mente, ma, ad essere sincera, un po’ mi preoccupa. Non mi piace l’atmosfera che si respira ultimamente: è come se tutto ci piombasse sul capo all’improvviso, senza lasciarci neppure il tempo di trovare un riparo. Spero che Fernand e Dorian si facciano vivi al più presto e che, nel frattempo, non siano andati alla ricerca di qualche nuova grana.

- Hai visto come si è scagliato su Auguste? – rincarò la dose Raphäel, alludendo direttamente alla lite della locanda – Sembrava furibondo. Mi spiace che sia così difficile, per lui, accettare questa situazione; e mi pare di comprendere in modo piuttosto chiaro che il mio ingresso nella congrega abbia contribuito ad infiammare gli animi.

- Fernand non ce l’ha con te – lo interruppe Ambrosie, quasi meccanicamente – è soltanto un po’… diffidente. Ha bisogno di certezze.

- Non credo sia il solo motivo della sua ostilità. Ho la sensazione che sin dal primo istante tuo fratello si sia impuntato inflessibilmente contro ogni proposta di collaborazione fra le due associazioni. Quando, poi, si è ritrovato costretto a fare i conti con Auguste e Lucien… Beh, credo che questo l’abbia esasperato nell’inasprire le sue posizioni.

- Fernand teme che la situazione degeneri – intervenne prontamente la ragazza – Non per causa tua, Raphäel. Io sono fermamente convinta che il nodo del problema dipenda esclusivamente da Auguste e Fernand e dalle loro ataviche divergenze. Non penso che Fernand nutra personali rancori nei tuoi confronti, ma, al tempo stesso, dopo tutto quel che è stato detto e fatto, non credo sia disposto ad ammettere con tanta leggerezza che Auguste aveva ragione.

Ambrosie chinò il capo, distogliendo lo sguardo: sapeva quanto il suo indefesso ingegnarsi ad imbastire pallide giustificazioni a quel che, ormai, era diventato troppo chiaro agli occhi di tutti per poter essere facilmente dissimulato, non sarebbe stata un’impresa da poco. Ancor meno lo sarebbe stato convincere Raphäel che Fernand non gli serbasse aperto risentimento.

Sospirò tristemente: non poteva certo andare a raccontare al diretto interessato che suo fratello, molto più credibilmente, non aveva mai visto di buon occhio il rapporto che si era instaurato fra loro, e l’unica cosa che desiderava in proposito, al momento, era far sì che Raphäel Lemoine si eclissasse dalle loro vite così come vi era piombato, prima che nascessero ulteriori implicazioni. La vera ragione della malevolenza da parte di Fernand, ora come ora, non era imputabile ad altri se non a lei e Raphäel ed al loro ambiguo rapportarsi.

- Fernand ed Auguste sono un dato di fatto – annuì il ragazzo, pensoso – Ma ciò non esclude che i miei rapporti con tuo fratello non siano mai stati particolarmente amichevoli.

- Credo sia una mera questione d’orgoglio, Raphäel: Fernand non tollera di essere stato osteggiato e messo da parte da Auguste.

- Io e lui non siamo mai stati amici, Ambrosie – precisò il ragazzo, socchiudendo stancamente gli occhi – E davvero temo che mai lo saremo.

Quattro secchi colpi vibrati dall’esterno al portone d’ingresso, per la seconda volta, consentirono provvidenzialmente ad Ambrosie di spezzare la languida sensazione d’attesa e sospetto che aveva attanagliato entrambi.

- Sono loro – dichiarò Raphäel con voce atona.

La ragazza avvertì l’affermazione del ragazzo vibrarle nella mente, mentre si accingeva ad assicurarsi dell’effettiva presenza di Dorian e Fernand e ad aprire loro l’ingresso.

- Fernand, tutto a posto? – Ambrosie si gettò al collo del fratello – Dobbiamo parlare – soggiunse con circospezione.

- Più tardi – le sussurrò Dorian, alle sue spalle, con un vago gesto della mano.

Dorian si diresse verso il salone, abbozzando un mezzo sorriso ed un cenno di saluto a Raphäel. Fernand fece il suo ingresso subito dietro di lui, per poi fermarsi basito in capo a pochi passi.

- Ehm…

I due contendenti si squadrarono in silenzio per una lunga manciata di secondi, in un torbido miscuglio d’imbarazzo ed ostilità.

- Salve, Raphäel – fu Fernand ad interrompere il pesante scambio di occhiate che per un breve istante aveva quasi cristallizzato l’atmosfera intorno a loro, senza premurarsi che il proprio scostante saluto suonasse di particolare calore.

Ambrosie si schiarì la voce prima di apprestarsi a parlare, ed una rapida occhiata sui volti dei presenti fu sufficiente a farle percepire con vertiginosa intensità la crescente tensione che pervadeva la stanza.

- Raphäel, Dorian. Credo sia meglio non vi avventuriate ancora per le strade, sotto il coprifuoco. Dunque, per farla breve, accettate la nostra ospitalità.

- Sono d’accordo con Ambrosie – assentì prontamente Dorian, sorridendo prima in direzione della ragazza, poi di Fernand.

Cogliendo la sottile allusione alla notte precedente, trascorsa in compagnia di Dorian, il ragazzo si sentì avvampare. Chinò il capo, seguendo il gioco mutevole delle fiamme che volteggiavano in cima all’esiguo cumulo di legna e brace: un’altra notte con Dorian a pochi passi da lui non poteva essere propriamente definita una scelta tranquilla. Per un attimo, gli balenò nella mente la terrificante eventualità di essere sorpreso da sua sorella – o, peggio, da Raphäel Lemoine – con le labbra di Dorian incollate alle sue, mentre una mano si faceva strada dentro la sua camicia. Un rischio irrisorio, a ben vedere, in confronto a quel che sarebbe accaduto, nell’ipotesi peggiore, se soltanto avesse scorto con i suoi occhi Raphäel sfiorare sua sorella. Represse all’istante le folli supposizioni che l’alcool ancora in circolo nel suo corpo gli aveva fatto partorire, mentre, al solo pensiero, sentì le mani formicolargli e il sangue ribollire nelle tempie.

- Un’idea fantastica! – replicò acidamente, storcendo le labbra in un’espressione sarcastica – Dato che abbiamo un po’ di tempo da trascorrere, potremmo sempre inaugurare un nuovo modello di vita comunitaria, come tanti piccoli monaci – concluse.

- Hai forse un’idea migliore? – lo rimbeccò Ambrosie, scoccandogli un’occhiataccia.

- Non credo sia una cattiva intenzione evitare di isolarci, dopo quanto è successo – ribadì Dorian.

- Per me può andar bene – mormorò impassibile Fernand, di spalle, intento a versarsi un bicchiere d’acqua, obbligandosi a mantenere la calma.

Ambrosie e Dorian abbandonarono la stanza e, in silenzio, si diressero a preparare i letti per i due ospiti.

- È quasi un miracolo, Ambrosie! Alla fine, siamo persino riusciti a mettere momentaneamente d’accordo cane e gatto – le fece il giovane.

Poi, assicurandosi cautamente di non essere udito dagli altri due, una venatura maliziosa a percorrergli sguardo, le insinuò:

- Se per te va bene, potrei aiutarti a tenere a bada il fratellino, cosicché tu possa trascorrere in tutta serenità un po’ di tempo con lui.

La ragazza arrossì di colpo: possibile che il lieve interesse che sentiva, suo malgrado, nei confronti di quello strano ragazzo, fosse divenuto così evidente?

- Dorian? Va’ pure al diavolo! – gli scandì, apprestandosi a sistemare le lenzuola pulite.

 

Fernand esalò un profondo respiro, accostandosi rigidamente al camino e portandosi il bicchiere alle labbra.

Poteva avvertire, ad un palmo da lui, gli occhi di Raphäel scrutarlo al di sotto del morbido ventaglio delle ciglia scure. Trasse un secondo, intenso sospiro, cercando di apparire disinvolto e padrone di sé, benché fastidiosamente osservato e soppesato fino all’osso da due occhi indagatori. Infine, prese coraggio e si schiarì la voce.

- Raphäel? Ti spiace se approfitto per parlarti ad un certo proposito? – esordì con voce piatta.

Il ragazzo annuì appena.

Fernand prese per sé un pugno di secondi, scavando nei meandri della propria mente alla ricerca di una formula indolore attraverso la quale proporre la sua idea all’interessato.

- Non mi piace per niente la situazione che si è creata al di fuori e all’interno della congrega – valutò l’espressione indolente di Raphäel – Soltanto ora mi sono reso conto di quanto Lucien avesse ragione, quando tentava, invano, di metterci in guardia e di dissuaderci da iniziative avventate. Nessuno ha preso sul serio la plausibilità dei segnali che volevano avvertirci che i nostri delicati progetti non erano più al sicuro. Fino a quando non c’è scappato il morto, appunto. Capisci cosa intendo dire? Le spie del duca, o forse qualche banda rivale, potrebbero essere da tempo sulle nostre tracce. Dopo quanto è accaduto, credo che la soluzione migliore sia sospendere momentaneamente le nostre manovre ed attendere che si calmino le acque: operare con sicurezza, come vedi, non è più possibile.

Soltanto allora, Raphäel si risolse ad incrociare il suo sguardo. Fernand sentì le iridi scure bruciare insistenti sulle sue.

- Potresti aver ragione, dopotutto. Ma questi discorsi, credo sarebbe meglio li affrontassi direttamente con Auguste. Oppure, cerchi in me un alleato? – le labbra del ragazzo s’incurvarono in una piega vagamente sarcastica.

Fernand incassò il colpo e distolse lo sguardo, cercando, ancora una volta, di mantenere il controllo.

- Non è questo il punto della situazione, Raphäel – la sua voce tremò appena, scossa da un singulto d’indignazione prontamente soffocato – Anche tu, se è vero quanto dici, appoggi un’organizzazione le cui mire sono affini alle nostre, benché non abbia mai fornito precisi chiarimenti in merito a ciò o riguardo ai tuoi complici. Se davvero vogliamo allontanarci dal mirino di chi ci stia dando la caccia, non penso che mettersi su a negoziare improbabili alleanze e collaborazioni, in questo momento, sia la carta vincente per non attirare su di noi l’attenzione di chi ci sta braccando da vicino. Credo sarebbe bene, almeno per il momento, allentare la presa; senza mettere in conto che, unendoci, offriamo loro l’opportunità di stanarci al gran completo.

- Un gran bel giro di parole, Fernand, e tutto per intimarmi di farmi da parte? – il ragazzo sollevò scetticamente un sopracciglio.

- Stammi a sentire, Raphäel – Fernand alzò gli occhi al cielo con fare esasperato – Non ti è forse bastato che Lucien ci abbia rimesso la vita?

Raphäel gli sorrise, tagliente.

- Questa è bella da parte tua, Fernand, dico sul serio: citare a tuo favore la morte di un amico ed usare quanto è accaduto in funzione dei tuoi interessi, per liberarti in maniera semplice e pulita di chi ti è scomodo. È quasi… – Raphäel sollevò uno sguardo mordace su di lui, ispirato – Nobile, oserei dire, da parte tua, uomo della rivoluzione.

Fernand si sentì fremere. Artigliò duramente il bicchiere che reggeva in mano; le dita vibrarono pericolosamente sulla presa, facendo ondeggiare il boccale al punto che il suo contenuto, per poco, non si sparse sul pavimento.

- Stammi a sentire, Raphäel! Se ti sforzassi, una volta in vita tua, di guardare appena più in là del tuo naso, si potrebbe eventualmente riuscire a concludere qualcosa di concreto. Se ci tieni, sappi che è una battaglia persa in partenza, da parte tua, la malata pretesa che mi metta a scalpitare per sbandierare la mia buona fede di fronte ad un essere infarcito di preconcetti sul mio conto che non vuole schiodarsi dalla mente l’idea - troppo comoda, in fin dei conti, per essere accantonata con leggerezza - del Fernand estremista ed accentratore!

- E quindi, sentiamo: quale sarebbe la scelta migliore?

Gli occhi di Fernand lampeggiarono alteri.

- A quanto pare – riprese il ragazzo con voce più calma – non ti accontenti di una versione edulcorata della realtà – allargò le braccia, teatralmente rassegnato – Seguimi con attenzione. Io non so che tipo di persona sei, non so cos’abbia in mente né in che cosa consistano, nella prassi, i tuoi fantomatici propositi, ma la mia idea non è completamente assurda come sembra: chi ci garantisce che colui che ha ucciso Lucien avesse proprio noi nel suo obiettivo? Qualcosa potrebbe farti pensare, dico eventualmente, che i sicari non stessero cercando noi, ma fossero in realtà sulle tue tracce? I tuoi spostamenti li hanno condotti, per puro caso, a Lucien, ed il resto, come puoi vedere da te, è storia.

- Arriva al dunque – gli ingiunse Raphäel, secco.

Le labbra di Fernand si arricciarono in un moto sprezzante.

- è presto fatto: sarai d’accordo con me, ora, nel riconoscere che la tua presenza potrebbe costituire per noi un pericolo. Ti darò un consiglio, Raphäel: fossi in te, abbandonerei Noir Trésor quanto prima, almeno per un po’. Se rifletti un attimo, ti renderai conto da te che tutti i problemi, per una strana combinazione, sono iniziati nel momento in cui Auguste ti ha avvicinato. E, se proprio ci tieni, sappi che potrei estendere il discorso ad una ben nutrita gamma di questioni, come i dissidi fra i ribelli. Sbaglio, se dico che, da quando sei qui, non hai fatto altro che generare contrasti a non finire? Come se non bastasse, ogni stabilità vien meno, e tutti, ora come ora, siamo quanto mai esposti e sguarniti nell’eventualità di un'altra offensiva. È abbastanza? Certo che tu ed Auguste avete avuto una magnifica idea, quel giorno: non vi è altro da aggiungere. E ciò che mi fa imbestialire delle persone come te, Raphäel, non è tanto che attirate guai e controversie come api al miele, quanto il fatto che coloro che hanno la disgrazia di starvi accanto ne scontano le conseguenze. E neppure questo è in grado di distogliervi dalle vostre brighe. Il coronamento della situazione, dopo settimane di atteggiamenti pericolosi ed ambigui, è che Lucien ora è morto. Ti pare ancora una serie di coincidenze?

- Ora basta! – gli occhi di Raphäel si ridussero ad una fessura che a malapena lasciava filtrare la luce.

I suoi passi lo condussero verso il ragazzo. Lo sovrastò.

- Parli come se tutto ti fosse dovuto – proseguì, gli occhi arrossati e scintillanti di collera – Hai mai pensato che il fattore scatenante della discordia potresti essere proprio tu? Messa su questo piano, la definizione di piantagrane potrebbe calzare meglio su di te, credimi. Agisci di testa tua appena puoi, senza domandare pareri a nessuno; contesti ostinatamente, il più delle volte a vuoto, tutto ciò che sul momento non ti va giù. Sei quello che più di chiunque altro causa continue discussioni: all’inizio, vi siete scannati per bene tu e Lucien, poi è toccato ad Auguste e, infine, è venuto il mio turno, e sono cascato male. È sufficiente? A volte mi chiedo, Fernand, se davvero t’importi qualcosa della nostra causa o se il tuo sia piuttosto un perverso teatrino per catapultare ogni attenzione su di te. Forse, in particolare, l’attenzione di Auguste.

Fernand sentì il sangue montargli in volto e dovette controllare l’impulso di scagliargli addosso il bicchiere che stringeva tra le dita.

- Il titolo di lustrascarpe di Auguste non può più sottrartelo nessuno. Cosa dire, a questo proposito, di uno zerbino che scodinzola come un cane davanti all’osso per accattivarsi la benevolenza di mia sorella? Adulare il prossimo, del resto, è tutto ciò che ti riesce bene – gli insinuò Fernand con voce gelida.

- Vacci piano, amico mio. È forse un torto, il fatto che la mia presenza sia gradita alle donne? La tua, anche ai ragazzi, in base alle mie supposizioni.

Raphäel non proseguì la sua provocazione, investito da un getto d’acqua gelida in pieno volto. Il bicchiere finì sul pavimento in migliaia di scaglie di vetro.

- Maledetto bastardo… – Fernand sussultò da capo a piedi, il volto cereo e gli occhi iniettati d’odio – Ringrazia che ho rotto il bicchiere, o non mi sarei accontentato di battezzarti con il solo contenuto. Ad ogni modo, immagino che gli uomini d’onore come te agli oggetti contundenti preferiscano le mani.

Il ragazzo fece per gettarsi sul rivale, ma il suo slancio furente abortì sul nascere. Vacillò, tentando di riacquistare l’equilibrio e portandosi contemporaneamente una mano alla fronte terrea e madida di sudore.

Il tono di Raphäel si tinse di una nota allarmata; il suo viso aveva perso all’improvviso il piglio irriverente, ed il panico si era impossessato di lui.

- Fernand! Fernand, che ti prende, ora?

Arretrò di un passo, quando Fernand, abbandonato il tentativo di sorreggersi provvisoriamente alla mensola del camino, gli si accasciò addosso.

- Fernand, sollevati, ti prego.

Raphäel lo sorresse per le spalle, cercando di rimetterlo in piedi.

- Non… toccarmi… – mugolò flebilmente il giovane, il volto pallidissimo seminascosto dalle mani e dall’intrico dei capelli scomposti.

Tentò di sottrarsi di scatto alla presa di Raphäel, ma, troppo debole per reggersi da solo, ricadde sulle ginocchia.

- Fernand…

- Raphäel – gli sussurrò con una stilla di voce, lottando contro le proprie palpebre che, minacciando di richiudersi, avevano gettato un nero sipario sulla porzione confusa e ondeggiante della stanza che scorgeva dinnanzi a sé.

Le dita di Fernand artigliarono con fare convulso un lembo della camicia di Raphäel.

- Io… ti avverto per l’ultima volta – proseguì – Vattene da Noir Trésor ed evita, quantomeno, d’includere Ambrosie nelle tue mire. Tu… Devi stare lontano. Lontano da noi.

 

Si sentì risollevare contro la propria volontà da due mani forti, mentre la realtà intorno a lui si dibatteva nel caos. Il mulinare confuso di voci si confondeva nella sua mente in una sorta di giostra infernale, facendogli pulsare le tempie. Fu la stretta di Dorian sulla sua mano ed il tocco confuso sulle gote esangui a tener vigile la sua attenzione ed evitargli di sprofondare nell’incoscienza.

Ora si sentiva più sereno. L’aria fresca gli penetrò nei polmoni. Gli parve di affondare lentamente nell’oblio, mentre la visuale della stanza diveniva sempre più ovattata e distante. Le lenzuola candide e soffici sotto le dita, la mano sottile di Ambrosie stretta alla sua. Sospirò impercettibilmente: stava bene.

- Fernand, che ti succede?

- Non è la prima volta – replicò cupa la ragazza.

- Sembra svenuto.

- Fernand, riesci a sentirmi?

Ambrosie.

- Ti vedo e ti sento – riuscì a replicare – È solo che… sono molto stanco.

- Cos’hai, Fernand? – la mano di Dorian gli sfiorò la fronte imperlata di un madore gelido – Tu non stai bene.

- Non ho nulla, davvero – si affrettò a ribattere Fernand.

Tentò di riaprire gli occhi ed allungare una carezza in direzione dell’amico, volendo istintivamente rassicurarlo, ma la visuale sempre più sfocata davanti a sé lo dissuase dal proposito.

- Ho solo bisogno di riposare. Sono stanco – ripeté.

- Sai dirmi cosa ti senti? – incalzò la sorella.

- Niente, davvero. Soltanto un po’ di debolezza. È un banale capogiro: te lo assicuro. Tra poco starò meglio. Passa in fretta… di solito.

- In soli due giorni – azzardò la sorella – Non è più tanto normale, Fernand.

Il ragazzo mutò espressione, ignorando le sue parole.

- Ambrosie, ora avvicinati – le ingiunse repentinamente, il debole sguardo color turchese che tentava di ritagliarsi uno spiraglio fra le palpebre socchiuse.

La strinse a sé, per quel che l’esigua forza delle braccia gli permise, finché i loro volti quasi non si sfiorarono.

- Non andare via, Ambrosie.

La voce spezzata e carica d’apprensione s’incuneò nella mente della ragazza, facendola trasalire.

- Io… Non me ne vado di qui, Fernand. Ma non capisco cosa cerchi di dirmi… – mormorò Ambrosie, un debole squittio pervaso d’angoscia.

- Allontana quell’uomo – le sussurrò Fernand, il volto quasi allucinato, quando fu abbastanza vicino – Ora. Non permettere che inquini la nostra esistenza dividendoci e ponendoci l’uno contro l’altro. Allontanalo, prima che sia troppo tardi, prima che…

- Fernand, non capisco, davvero.

- Ti sta avvelenando. Sta avvelenando tutto. Non lasciare che distrugga quel che ci rimane.

 

 

 

 

 

 

Il mio cantuccio:

 

Buonasera a tutti!^^

Fra un intervallo e l’altro dello studio matto e disperatissimo, ritorno (non proprio) puntuale ad aggiornare NT. Non è lunghissimo, come capitolo, ma spero risulti ugualmente di vostro gradimento.

Volevo ringraziare i lettori, in particolare hanabi che, con il suo gentilissimo commento, mi ha fatto infinitamente piacere (soprattutto nel paragonare le atmosfere di NT a quelle della Rice, scrittrice che stimo tantissimo)! Ringrazio inoltre chi, sinora, mi ha aggiunta tra i preferiti. Scusandomi per l’ormai impronunciabile ritardo con cui aggiorno, vi do appuntamento al prossimo capitolo!^^

 

 

   
 
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