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Autore: Rota    22/07/2013    0 recensioni
Un sospiro dopo l’altro,
Mulan sta tessendo davanti all’uscio.
Non si sente il rumore della spoletta,
solamente i sospiri della ragazza
Le chiedi: «Cosa pensi?».
Le chiedi: «Di cosa hai nostalgia?».
«Non penso a niente,
non ho nostalgia di nulla.
La notte scorsa ho visto le insegne,
il Khan sta arruolando una grande forza,
la lista dei soldati occupa una dozzina di rotoli,
e in ognuno è il nome di mio padre.
Non c’è un figlio adulto per lui,
Mulan non ha un fratello più grande.

[Seconda classificata al "Soul/Maka in AU contest" indetto da Mimi18 sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans, Un po' tutti | Coppie: Black*Star/Tsubaki, Soul/Maka
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*Capitolo due

 




 
Elisabeth rotola su un fianco, trascinando con sé un lembo di coperta candida, che avvolge le curve del corpo ancora nudo, ancora tiepido di sonno condiviso. Il guanciale morbido entro cui la guancia affonda, non senza un sottile piacere, viene quindi stretto dalle sue braccia esili e magre, prive di qualsiasi pelo biondo o traccia del tale. Si solleva giusto un poco, per permettere ai muscoli della schiena di stendersi come di dovere, senza lasciare sopra la pelle il torpore molle che confonde sogno e realtà, e sente la carezza dei capelli che le circondano il viso, cascando quindi sulle punte e in tanti ciuffi biondi sul bianco immacolato. Sbatte le ciglia – si accorge della luce di quel giorno grigio e piovoso che dalla finestra si è allargata entro tutta la stanza – e poi torna in basso, sbuffando sottovoce.
Kid, accanto a lei, è sveglio e ben vigile, ma non la osserva mentre abbandona poco a poco la dormiveglia per consegnarsi completamente al nuovo giorno: con lo sguardo fisso al soffitto della stanza, sente attraverso il giaciglio in comune i suoi movimenti lenti e lo stiracchiarsi delle gambe che portano i piedi di lei a cercare i suoi, con gioco e un poco di ilarità. Il giovane uomo, alla fine, si lascia accarezzare la pancia da quelle unghie lunghe e lusingare dal sorriso che, pur senza trucco rosso o altra finzione che ne storpi la vera essenza, trova perfetto.
-Buongiorno, signor Death.
Anni di relazione, anni di notti passate insieme nella stessa stanza – nello stesso letto, con la stessa aria e lo stesso desiderio – non hanno alterato la relazione tra la puttana di alto bordo Elisabeth Thompson e il figlio primogenito del capo villaggio Death the Kid; come ogni volta il rituale del risveglio sancisce nella differenza di rispetto che uno rivolge all'altra e viceversa: per quanto antica e decadente, la famiglia di Kid rimaneva sempre quella di nobili militari al confine.
Ma non per questo avrebbero mai rinnegato, né lui né lei, ciò che davvero li univa, e non erano le informazioni sussurrate sulle labbra, di quelle che uomini appagati e caldi di un facile amore dispensavano come carezze sulle mani delle donne, non la sicurezza di un letto caldo e un tetto sopra la testa, cibo nella pancia e la serenità di tante risa. Solo bastava la dolcezza dello sguardo che ti accoglie al mattino.
Kid prende il polso di lei e induce un movimento regolare del polpastrello prima di rispondere alla sua espressione gentile con uno sguardo fin troppo simile al suo.
-Buongiorno, Elisabeth.
Se per lui è possibile non avere dubbi sulla veridicità delle notizie che lei ha recato con sé, assieme alla propria carovana e agli oggetti da mercante che si finge, è per la sincerità d'intenti che gli ha sempre dimostrato, anche negli anni, e la coerenza di fondo che non è mai venuta meno – neppure di fronte al sentimento più forte. Se poi aggiunge anche una buona dose di polvere da sparo di ottima qualità per i suoi cannoni da battaglia direttamente dalle piccole botteghe della capitale, Kid potrebbe anche elargire più complimenti del dovuto alla donna che tiene tra le braccia.
Ma sarebbe come sminuirla e privarla della sua intima essenza, e quindi si limita a prenderle delicatamente la testa con le dita e attirarla verso il basso, dove con le labbra le concede il primo bacio del giorno.
 
*******
 
Maka saltella sulle lastre piatte delle mattonelle in maniera allegra e senza un solo pensiero per la mente, appoggiando la punta del sandalo che indossa sugli angoli grigiastri con lo stesso ritmo di un gioco dell'infanzia che, per puro caso, le è venuto in mente proprio in quel momento. Tiene un piccolo libro rilegato in pelle scura in un abbraccio stretto, che quasi ne conficca gli spigoli in pancia e nel petto, ma muove le spalle e i fianchi in modo da cercare e trovare sempre, a ogni balzo, il perfetto equilibrio per non cadere a terra.
Passato il portone grande che dà sulla strada in comune, il cortile che si apre alla vista e al visitatore di passaggio collega le case di legno che lì si affacciano, attraverso un sentiero sottile di pietra nascosto per lo più da erbacce incolte e fiori bassi e poco allegri. C'è un piccolo pozzo dalle pareti lucide e ancora piene di muschio, nell'angolo più buio e freddo del lato nord, ormai inutilizzato – la corda che fa girare la ruota è rotta in più punti e manca, persino, il secchio adatto alla raccolta dell'acqua, elemento che più che dare un senso di inadeguatezza conforma la desolazione che l'intero complesso possiede, seppur nel piccolo dettaglio.
Poi, nascosto lungo le pareti vecchie delle case dei signori Wang e Chu, c'è il sentiero che porta all'orto interno, dove le prime foglioline delle rape appena nate sbucano teneramente verdi dal terreno e illudono in una speranza crudele con la prospettiva di un raccolto quantomeno decente.
Maka adora nascondersi in quel luogo, il più lontano possibile dalla strada esterna e abbastanza vicina a casa da poter in ogni momento disporre della propria collezione di libri e altri piccoli tesori. Le quattro pareti della sua camera non hanno l'odore né della terra né dell'erba, non il suono dei rivoli d'acqua cristallina che scorrono ai lati di ogni appezzamento sopraelevato e della piccola fontana a lato, dove vivono e crescono rane dalle mille dimensioni, e alla ragazza serve l'illusione di potersi estraniare dal mondo suo solito senza necessariamente dover spiegare qualcosa a qualcuno. Solo lei e i suoi libri, solo lei e il sapere che la nutre dentro.
Non ha bisogno di varcare la porta della propria abitazione per capire che, dentro, ci sono ospiti che suo padre ha portato con sé. Già sui primi scalini del balcone, il piano rialzato che separa l'abitacolo dall'umidità forte del terreno, può sentire provenire dalla finestra il vociare più o meno allegro di una persona che già conosce: il capo-villaggio è inconfondibile, nella sua risata sempre pronta e nelle sue affermazioni vivaci. Con una mano, si apre l'ingresso ed entra piano, per non disturbare troppo, ma capisce di essere stata sentita nonostante la premura quando, di colpo, ogni rumore cessa e si sentono solo i passi pesanti dell'uomo che identifica come suo padre, quando il suo capo sbuca dalla porta che da alla sala grande della casa. È allegro e sobrio, e Maka sa che la prima cosa la deve alla propria presenza e la seconda all'importanza attribuita all'ospite di riguardo che fino a quel momento ha intrattenuto.
Quando lei raggiunge la stanza, su invito di entrambi i due uomini, trova quel signore scuro già in piedi, con un sorriso sicuramente meno tirato e meno finto di quello del padre sul viso. Lei ha sempre attribuito il valore della sua persona alla capacità, seppur singolare, di portare avanti un villaggio grande come il loro, badando ai raccolti, ai lavori femminili e a tutto ciò che lei neanche immaginava poterci essere, dietro il perfetto funzionamento di un organismo così complesso – di sicuro, possiede l'arte del burocrate più alto e nobile, come si confà a ogni funzionario degno di questo nome, e già solo per questo merita onore e rispetto, di fronte a tutti i concittadini che dirige. Eppure sa, almeno sospetta, che la stazza del suo fisico e la pacatezza del suo animo siano frutto di ben altre esperienze.
Si prodiga in un inchino profondo, nel saluto che gli rivolge, e lascia che i capelli le cadano nei codini stretti in avanti, assieme alla frangia sottile. Non vede l'ennesimo suo sorriso, ma sente chiaro il congedo che rivolge al padre, detto in maniera delicata e sbrigativa assieme. Da quella posizione, Maka riesce a vedere gli oggetti disposti sul tavolino basso che occupa gran parte dello spazio della sala, e nota per lo più una carenza di alcool che gli pare dubbia, quasi, se non fosse per il sospetto che semplicemente Spirit per una volta ha rinunciato a voler fare l'ennesima figura da buffone qual è.
Non è compito suo condurre l'ospite all'ingresso, ma non può esimersi dall'incollargli gli occhi alla schiena, non tanto per fissare lui quanto certi pensieri nella propria testa. Sono sospetti labili, privi di consistenza, che però prendono forma e hanno conferma nell'attimo in cui, chiusa la porta, il signor Albarn si concede quel mezzo attimo per lasciarsi trasportare da un'emozione che gli piega i lineamenti del volto in un'espressione truce, pesante. Poi lui alza lo sguardo, e la saluta di nuovo, come se la vedesse solo a quel punto per la prima volta.
-Maka, bambina mia!
Il momento preciso in cui lei ha saputo di detestare suo padre, almeno nella classica versione che dava di se stesso, non lo sa dire – però sa elencare, in ogni minimo dettaglio, i difetti che trova non solo nella sua condotta, tra donne che non sono sua madre e una svogliatezza che lo rende molle davanti a qualsiasi senso etico. Probabilmente, compiacersi della pochezza dei pregi altrui è stata la motivazione di un rigore così esasperato, incapace di godere oltre che di sé medesimo, chiuso in quanto tale e passivo ad ogni cosa.
Ma, pur sempre figlia e donna, Maka riconosce anche quali segni umani di sofferenza portano con loro l'importanza di una paura, di una novità davvero grave. Per questo motivo, con la stessa sicurezza della bambina che è, si ferma nel bel mezzo del corridoio e affronta suo padre di petto. Ha ancora tra le braccia il libro di prima e vi si aggrappa come l'ancora per le ombre, per i mostri degli armadi che sbucano nella notte dei sogni infantili.
-Padre, cosa sta succedendo?
 
Non è sontuoso come un palazzo reale – e probabilmente neanche come la villa superstite della vedova Nakatsukasa – ma la casa del capo villaggio si riconosce come sede amministrativa di quel piccolo borgo dove lui stesso vive in elementi e in dettagli sparsi ovunque, su mobili decorati e insegne esposte come i tesori che a tutti gli effetti sono. E gli abiti, l'aura che circonda il padrone di casa tutto e i suoi prossimi più vicini, denotano ancor di più il senso di regalità fine che dimostra non tanto per sfarzo ma per vera essenza.
Quando Soul ha ricevuto il messo, quella stessa mattina, con una tale urgenza e un tale affanno da dover essere quantomeno sospetti, credeva più che altro di dover risolvere l'ennesimo capriccio del signorino di casa o sellare il suo cavallo per l'ulteriore volta: già in passato ha avuto problemi con l'esigenza di Death the Kid e la sua mania per la simmetria radicale che solo lui, unicamente lui, può quietare con ferri da cavallo perfetti e armi da caccia che conoscono ben poche imperfezioni, e quindi più che un compito tanto alto ha preso la cosa più come frutto smanioso di un'ansia già conosciuta, già provata sulla propria pelle. Non si è preso neanche la briga di indossare un abito troppo elegante, sebbene il suo naturale carattere lo porti in ogni occasione a essere quantomeno presentabile, persino nella previsione di dover passare il proprio pomeriggio in una stalla a litigare con il capriccioso e svogliato cavallo preferito dell'amico d'infanzia, cercando non solo di fermargli la zampa ma persino di sistemarla in maniera tale da poterla lavorare perché sia adeguatamente ferrata.
Il disagio, quindi, risulta palese e totale quando una delle domestiche della casa lo conduce non solo al cospetto di Kid ma persino del padre di questo, senza che una spiegazione in merito gli venga elargita in modo da preparare animo e corpo a brutte sorprese del genere. Rimane fisso e fermo, presso l'ingresso, anche quando la giovane donna chiude la porta alle sue spalle e si sente, nel silenzio creatosi nella stanza, solo il rumore del battente che viene serrato.
Soul non reagisce neppure al sorriso dell'uomo tutto vestito di nero.
-Giovane Eater, accomodati!
Ci sono diversi cuscini per terra, un tappeto rosso e spesso dall'aria antica, straniera – probabilmente di provenienza più illustre di quanto il fabbro possa effettivamente immaginare – e una teiera di porcellana candida, appena spostata di lato, che fuma dal suo becco emanando un aroma prezioso dal retrogusto di spezie. Addossata alla parete, c'è una cassapanca dalle rifiniture dorate, e appesa alla parete il lungo strascico di un rotolo di pergamena di seta con inciso uno scritto antico, dall'inchiostro nerastro e secco. La luce proviene tutta dalla grande finestra verso est, dalle inferriate di legno dipinto e lascia passare solo spiragli di vento flebile, senza più alcuna forza, e tutto l'odore delle nuvole basse e della risaia posta ai piedi della collina su cui è costruita tutta quanta la dimora.
Kid è accanto al padre, vestito ugualmente di nero, e non ha l'espressione esaltata dei momenti di maggior svago, né tanto meno l'accondiscendenza condivisa dei pomeriggi passati in allegra compagnia, ma un'apprensione che non genera dubbio alcuno su quanto sia realmente grave la richiesta che lui e l'altro hanno intenzione di porgli.
Per questo motivo, e l'intesa che gli sfugge nello sguardo, Soul riprende coscienza di se stesso e si fa avanti, com'è giusto che sia. Si piega in un profondo inchino di saluto prima di piegarsi sulle ginocchia e occupare il proprio posto, ad un cenno del padrone di casa, sul singolo cuscino posto ai piedi del piccolo altare in cui è diviso il pavimento della stanza: il signore sopra, l'ospite sotto. È una cosa abituale, necessaria alla morale, che passa tanto in secondo piano quant'è veloce il momento in cui arriva il confronto diretto tra i tre.
Lord Shinigami rimane una persona gentile e pacata, allegra in certe battute forse, e nelle domande gentili che per cortesia non tanto obbligata rivolge direttamente alla sua persona. Arriva a offrire il tè al fabbro, chiede se è di suo gradimento assaggiare qualche biscotto della vecchia cuoca di casa, che occupare lo stomaco con qualche dolce non fa poi male.
Poi Kid si schiarisce la voce e non cambia nulla, se non l'argomento di quello che diventa un lungo monologo.
Le spade mostrate lungo la parete, dalle faretre lucide di blu nobile e dalle impugnature di cuoio duro, prendono quindi origine in un passato militare, lontano e glorioso, al servizio di un Imperatore che non esiste più e che ha lasciato il nulla avanti sé – la perdita del Diritto Celeste è perdita di onore di uno stesso aristocratico decaduto e confinato in quei luoghi, distanti da ogni possibile sfarzo e dalla luce giusta dell'etica morale irreprensibile. Come il fiume in piena che ha spazzato ben oltre la metà di quello stesso villaggio in decadenza, come molti altri lungo gli argini fertili del grande Fiume, così la corruzione e la decadenza hanno demolito ogni regale virtù, gettando non solo la corte nella più completa anarchia ma pure l'impero, la Cina stessa.
Il male necessario della guerra, così come illustri filosofi passati lo hanno definito nella sua più critica rappresentazione di sterminio e genocidio, serviva in quei tempi a dare una svolta: perché non accadessero mai più disgrazie simili, perché la pace potesse di nuovo governare su quelle terre.
Lord Shinigami usa altre parole, in realtà, difficili e adatte al suo lignaggio. Ogni tanto cita il Sommo Filosofo, ogni tanto si rifà a citazioni classiche di cui il fabbro ignora esistenza e origine, seppur appartenenti al suo sentire di uomo cinese. La sostanza, però, non gli sfugge minimamente.
-Ho bisogno di armi, signor fabbro, e del suo aiuto.
Kid, che per tutto il tempo è rimasto al suo posto ad ascoltare il discorso del padre e a muovere la testa, in cenno di assenso chiari e sempre nei punti cruciali del suo dire, fissa lo sguardo sull'ospite con la stessa intensità del genitore, carico di fiduciosa aspettativa. Non dice nulla, per non essere di troppo, ma si intuisce perfettamente cosa desidera.
Anche Soul sorride – e dall'amarezza che si è rannicchiata proprio all'angolo delle sue labbra, lì dove di solito si nascondono baci furtivi, entrambi gli uomini intuiscono già la risposta ancor prima di sentirla con le proprie parole.
Perché non c'è obbligo, non c'è costrizione, e il privilegio della libertà è qualcosa che porta irrimediabilmente a scontrarsi anche qualcosa di poco perfetto come il rifiuto.
   
 
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