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Autore: Rota    17/06/2013    1 recensioni
Un sospiro dopo l’altro,
Mulan sta tessendo davanti all’uscio.
Non si sente il rumore della spoletta,
solamente i sospiri della ragazza
Le chiedi: «Cosa pensi?».
Le chiedi: «Di cosa hai nostalgia?».
«Non penso a niente,
non ho nostalgia di nulla.
La notte scorsa ho visto le insegne,
il Khan sta arruolando una grande forza,
la lista dei soldati occupa una dozzina di rotoli,
e in ognuno è il nome di mio padre.
Non c’è un figlio adulto per lui,
Mulan non ha un fratello più grande.

[Seconda classificata al "Soul/Maka in AU contest" indetto da Mimi18 sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans, Un po' tutti | Coppie: Black*Star/Tsubaki, Soul/Maka
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*Capitolo uno

 




 

Piedi nudi contro un pavimento freddo lucido di pietra – l'Imperatore allarga le braccia, come se dovesse cercare un equilibrio che gli è stato tolto all'improvviso, e guarda avanti con la vista sbiadita di una presenza labile, tra tutte quelle vesti colorate che gli appesantiscono completamente la vista e quell'oro sempre presente che uniforma ogni possibile orizzonte, entro il palazzo di cui è Signore.

È il rumore delle voci che ha ancora nelle orecchie a farlo traballare, quando le dita sono l'unico sostegno per il passo e il movimento è già in atto, in avanti, e il busto piegato che da un senso di precarietà poco elegante, la corona brillante del capo che quasi sfugge al controllo, tra capelli chiari legati stretti da un laccio e da un fermaglio ben saldo: la gentilezza di sua madre e del suo sorriso da serpe pesano come un'incudine su doveri e affetti, su una volontà poco esplicita che si conforma a voleri altrui.

Chrona non cade e afferra la corona in tempo, con le dita che si chiudono attorno al metallo freddo e lo rimettono al proprio posto; si sveglia dalla sonnolenza auto- indotta e si accorge di essere ancora lì, tra drappi rossi e preziosi e un odore di chiuso che comincia, pian piano, a farlo ammattire.

Il trono dell'Imperatore, come le guardie immobili ai lati della porta, non è altro che un oggetto scintillante, fatto di poca anima e di solido materiale, come una pietra grezza e davvero poco, poco umana. Non ci sono finestre, nella sala, ma luci riflesse di fonti lontane che alterano ogni possibile luce naturale e la storpiano, la modificano fino a farla diventare una carezza fredda e insensibile. Se non fosse che non ne ha mai compreso e considerato le fattezze specifiche, Chrona potrebbe persino dubitare che quella non sia affatto la realtà, ma un fantoccio che qualcuno gli ha propinato come abbellimento, come spauracchio di problemi veri e tematiche per cui darsi noia la notte.

Quello che però ruba il sonno dell'Imperatore è un alito venuto da lontano, nel tedio agonizzante che si allunga per ogni singola giornata della sua esistenza attraverso i passi silenziosi di sua madre e il sorriso lungo che raramente gli capita in viso, quando non è lui a guardarla.

Chrona guarda in alto, anche in quel momento, immaginando invece che il soffitto basso un cielo sgombro e pulito, illimitato. Se c'è angoscia, come per ogni altra cosa, la ragione risiede soltanto lì, e sperare forse che gli venga suggerita una risposta all'inadeguatezza che si sente addosso, come persona, è poco divino ma molto umano.

Ha anche imparato a sentire la presenza materna, prima che questa si palesi di propria iniziativa – si riappropria di un poco di contegno e della corona in testa, prima di guardare il sorriso ferino di Medusa nascosto da un trucco di bianco e vesti magnifiche di potere, lucide come il pavimento che sente gelato.

-Mio splendido Imperatore, i consiglieri ti aspettano.

 

*******

 

Maka ha un passo svelto persino in mezzo a una folla senza ordine che circonda, come ogni volta, il carro dei mercanti. Ci sono bambini che sventolano mani, tentando di afferrare qualche oggetto particolarmente attraente e strano e colorato che i loro occhi di futuri contadini mai hanno potuto vedere, o profumi invitanti di cibi per loro esotici, che rendono apprezzabile anche il rischio di ritrovarsi qualche animale strano tra i denti – lei ha imparato col tempo a non fidarsi di lusinghe simili, ma non può esimersi dal dispensare contegno e un poco di sdegno per quelle anime così semplici.

Lei va avanti, dritta verso una precisa meta, scansando braccia di donne e bastoni di vecchi, piegandosi al movimento improvviso di arti e oggetti che capitano lungo la sua via con quella certa sapienza di chi ha ricevuto così tanti colpi in viso che conosce tutti i modi per evitarli e prevederli. Non guarda i succulenti pesci non più freschi che un uomo le muove fin troppo vicino all'orecchio, e neanche quei semi colorati e grossi che sembrano tanto promettenti e ricchi di vita, la promessa di alberi magnifici in luoghi dove cresce soltanto erba e qualche arbusto giovane. Scuote la chioma chiara, raccolta dietro la testa come conviene a ogni giovane in età da marito, e passa le quattro carovane senza alcun dubbio a riguardo.

Quando Patty la scorge provenire verso la propria direzione, ha già pronto il sorriso per lei. È piccola e bassa, bionda come il grano maturo, e possiede abbastanza memoria da conoscere perfettamente i desideri dei suoi clienti abituali: con quella ragazza ha sempre fatto un solo tipo di affare. Si liscia quindi il completo corto, colorato forse troppo, e non si muove dal proprio posto quando la ragazza si pianta immobile di fronte all'ampia carovana.

-La piccola Albam, che piacere rivederla!

Non è cattiva e Maka lo sa bene, il suo modo allegro di porsi alle persone è determinato solo dalla professione che esercita e dalla necessità di adattarsi a qualsiasi clientela; a Maka scappa un mezzo sorriso, nonostante l'abbia chiamata con il nome di una persona tanto detestabile, e con un inchino del busto risponde al suo saluto cortese.

-Signorina Thompson.

Nel gesto, la ragazza scorge con la coda dell'occhio quanto esposto, compreso lo sguardo di un uomo dubbioso che maneggia con scarsa capacità una bilancia di metallo, cercando di raccapezzarsi circa il suo utilizzo. Oggetti così particolari e specifici, lo sanno tutti, sono a uso e consumo di poche persone scelte.

Maka non ha bisogno di avvicinarsi alla giovane donna che questa, esaltata alla maniera di ogni venditori di fronte ad un cliente prossimo alla compera, annuncia il ritrovamento di qualcosa di davvero interessante con una voce acuta, squillante, tanto che la ragazza non ha proprio la possibilità di porre resistenza alla presa che, per il braccio, la costringe ad avvicinarsi a un baule tra tanti, scuro di legno antico e poco decorato, senza alcun lucchetto a sigillarlo. Quando Patty ne apre il coperchio, esce assieme a una mosca nera un profumo di carta usata e di inchiostro secco, assieme a quello del cuoio strappato per l'usura degli anni e la poca attenzione umana. Maka ha gli occhi che brillano quando la mercante le mostra l'ultimo tesoro di una collezione iniziata da anni.

-Non hai idea di cosa abbiamo dovuto fare per portartelo! È un pezzo più unico che raro!

Probabilmente non è vero, ma lei sa come certe persone più per abitudine che vera malizia, arricchiscano la propria iniziativa lodevole in maniera artistica e spesso pesante, badando più all'efficacia del messaggio che al contenuto dello stesso e forzando sospetto e malizia fino a non sapere più cosa sia cosa e sfruttando entrambi in maniera incredibilmente saputa. Contando però la strada fatta e la gentilezza del gesto in sé, Maka si vede bene dal far notare queste inezie e ringrazia, sinceramente e col cuore.

Lo apre piano, con la cura di chi sa quanto è fragile la carta e quando delicata ogni pagina, ma fa scorrere con riverenza quasi completa i polpastrelli sulla superficie ruvida, lungo le file dei caratteri dipinti, ed è come scorgere una saggezza antica che la rende più profonda, nella perfetta convinzione che quella parola scritta sia liberazione, sia essenza pura. Lo legge, non interessata né al momento né agli occhi di Patty su di lei, e ritrova persino nell'esercizio il ritmo dei canti delle genti che furono. Stringe al petto l'oggetto, come se fosse un caro affetto.

Il Libro dei riti ora non manca più, alla sua collezione personale.

Chiude il tomo con delicatezza e lascia che Patty lo fasci con un panno di cotone, come involucro di protezione.

-Ero sicura che ti piacesse: tu sei una vera intenditrice!

È felice anche lei, per quanto possa sembrare naturale per la malizia dovuta a chi contrae un buon affare: i soldi che cadranno nel palmo della sua mano, appena Maka li estrarrà dalla propria borsa, sono i risparmi di un intero anno di mancanza di divertimenti e rigore morale integerrimo, di una persona che sa esattamente come investire fatica e tempo. La ragazza gli è soltanto grata, però, quando scambia il vile metallo con quella meraviglia dell'intelletto e fa proprio un altro piccolo pezzo della cultura già millenaria che ha reso grande il suo Impero.

Patty ha giusto il tempo di mettere i soldi nella propria borsa che ecco, ecco che corre da un altro cliente abituale, un signore anziano interessato ai tappeti morbidi che vengono direttamente dalla capitale. Anche Maka si sofferma a guardare il vecchio, che sa bene essere il domestico della famiglia più importante del proprio villaggio, e si chiede con quello sdegno ritrovato all'improvviso come certa gente possa pensare a quel genere di comodità effimera quando il cibo scarseggia sulle tavole delle famiglie e gli uomini passino le loro giornate a lavorare in campi lontani per qualche tassa in più e qualche soldo in meno. È il vento che le gonfia i vestiti a farle perdere il pensiero maligno, piegata all'improvviso verso una gonna primaverile troppo leggera, e il petalo isolato di un fiore di pesco a farle alzare lo sguardo, verso la collina del villaggio, lì dove ogni memoria confluisce nella vita sempre presente di quell'albero. Non collega ancora niente, a quella visione: respira aria solamente, presa dai propri pensieri.

Si accorge tardi di essere sola, in mezzo a oggetti strani e bauli pieni di roba – persino l'odore del libro è stato trasportato via dal vento assieme a ogni altro profumo. Non è cosa da signorine per bene: si chiude in sé stessa e si incammina lontano, tenendo stretto al petto il libro così prezioso.

 

Il battere regolare del martello da lavoro non detta il ritmo del suo passo, ma questo soltanto perché Black*Star non ha una personalità tanto debole da lasciarsi manovrare da dettagli come quelli: esprime se stesso persino nella camminata semplice, quando potrebbe lasciare i dettagli insignificanti a eventi esterni alla propria persona. Invece no, rimane pieno della propria essenza anche nei particolari, opponendo al gesto del fabbro qualcosa di totalmente suo – come, per esempio, l'urlo di saluto goliardico che precede la sua comparsa all'ingresso dell'officina e un arrivo tutt'altro che discreto agli occhi dell'uomo.

Soul sa che è inutile lamentarsi, lo fa da troppo tempo per anche solo sospettare che sia efficace, ma non può non togliersi la soddisfazione di lamentarsi, almeno per un poco, e di fargli notare quanto può essere irritato.

-Black*Star, dannazione! Sei più rumoroso te del mio martello!

Più fastidioso della voce del giovane, è la distrazione che coglie il fabbro quando la concentrazione si abbassa e lui si accorge del sudore sulla sua pelle e lo sporco che l'accompagna, per tutto il corpo, così come i capelli inzaccherati e luridi, tra il grasso che dai guanti di cuoio è passato lì e tutti i vapori dell'officina che li hanno resi grigi in modo prematuro. Per questo, nonostante l'amico sorrida, Soul Eater gli rivolge una smorfia poco gentile e non lo guarda quando comincia a parlare, sempre più vicino a lui.

-E tu puzzi come una capra, amico! No anzi, direi peggio!

Evita di dargli troppo retta, con un martello e un abbozzo di lama in mano sarebbe pericoloso lasciarsi andare a qualsiasi passione e Soul lo sa bene – quindi torna a battere sul ferro rossissimo, fissando lo sguardo sull'oggetto tra le proprie mani.

Gli occhi di Black*Star sono abituati all'armamentario che l'officina offre alla vista, e come sempre li potrebbe giudicare attrezzi di poco conto, da contadini o poco più, tra denti di forcone e falci dalla bocca larga, ma sono commenti così soliti che ormai Soul ha imparato a fargli il verso e non è più così tanto divertente prenderlo in giro per quello che fa, benché sia sicuramente più nobile che passare la propria giornata a rubare i frutti del melo del signor Wang o a scappare con le uova delle galline della signora Shu come se, alla loro età, fosse qualcosa di ancora giustificabile.

Soul ha solo la delicatezza di non rinfacciargli la propria occupazione e per questo Black*Star ha consacrato l'amicizia che ha con lui, ritenendola ancora più forte di un legame familiare eterno.

Ma non è per simili questioni sentimentali che Black*Star si ritrova in quel luogo, ed è bene e urgente per lui farlo notare. Si siede sul piccolo tavolo poco distante dall'altro ragazzo, incurante degli oggetti che fa cadere nel suo gesto e accomodandosi tra una sbarra e l'altra di materiale ancora grezzo. Estrae una mela dalle curve morbide della propria veste da orfano e guarda Soul colpire bozza dopo bozza la trave ora morbida, interessato piuttosto all'espressione di lui che, da corrucciata, si sfalda piano in qualcosa di diverso e distante, tutto appartenente al lavoro che sta compiendo. Black*Star lo definisce, quando è così, qualcosa di simile a un creatore, e detto a quella maniera e dalla sua bocca Soul non sa davvero se considerarlo un complimento o meno.

-La vedova Nakatsukasa ha detto che mi accetta in casa sua!

I battiti si fermano di nuovo – e di nuovo lo sguardo del fabbro si allontana dal martello e dal ferro, per farsi dubbioso e incerto in un ricordo che gli sfugge. Dopo comprende e si fa più sereno nell'espressione: nota, in quel momento, i lineamenti forzati in un sentimento palese e strano dell'amico, qualcosa di nuovo che non ha mai notato prima di allora, neppure quando è entrato nella sua officina.

Si parla tanto di anime unite, anime affini e legate le une alle altre, di amanti o di amici in egual misura, ma la verità che sa Soul Eater è che, senza niente di materiale e palese di fronte agli occhi, c'è ben poca spiegazione trascendente o psicologica che possa giustificare un'azione o un sentimento. Ipotizza che sia stato il rievocare il nome della donna o forse soltanto la situazione nuova che gli è capitata nella vita, ma è quella la dimostrazione che gli serve per vedere la felicità concreta di Black*Star. Arriva persino a sorridere.

-Quindi vuole assecondarti nel tuo folle piano?

L'altro ride, tralasciando volutamente o meno la non tanto sottile ironia nelle parole dell'altro – ma è un riso carico di sincera felicità e per questo non reca così tanto fastidio come il solito, borioso e pomposo apprezzamento verso se stesso solo.

-Sembra proprio di sì!

Soul non lo lascia neanche finire la risata come conviene ma sposta semplicemente lo sguardo al proprio lavoro, con gli occhi che fissano il vuoto per l'istante lungo giusto il tempo di un pensiero fugace, senza spessore alcuno.

Che la giovanissima vedova Nakatsukasa abbia perso il marito nell'ultima ondata del grande Fiume è una cosa risaputa da tutti, più o meno come anche il fatto che dalla cosa ne abbia ricavato più denaro di quanto potesse convenire a una donna sola dabbene. La casa splendida, delle più lussuose del villaggio che fu, è stata sostituita con una rispettabile dimora in legno, alta due piani e larga quanto tre delle normali capanne dei cittadini, tra le cui pareti è ben nascosto non solo il forziere pieno che ha fatto il suo lignaggio illustre, ma anche un vero e proprio tesoro per gente disperata ma ricca nell'animo come può esserlo l'erede di una casata militare caduta in disgrazia come Black*Star: una spada antica, delle più conosciute e delle più rinomate, compagna di un sapere che i Nakatsukasa si tramandano assieme al sangue da fin troppe generazioni.

In quella casa, Black*Star avrebbe imparato il lavoro del guerriero. Sempre che la padrona non lo cacci per la sua totale mancanza di educazione e la sua inesperienza con le donne di un certo grado sociale.

Uno spiraglio di vento fa ballare le tende che isolano l'officina aperta dal resto, scuotendo le cinghie di metallo che lo fissano al terreno e portando un profumo diverso, che si insinua tra le coltri pregne dello zolfo del fuoco. Soul alza lo sguardo, vedendo qualcosa che gli danza davanti – non capisce subito cosa sia e quello passa veloce, fino a confondersi col paesaggio verde che colora il resto del villaggio. Fa scorrere allora lo sguardo sul dorso morbido della collina, fino a incontrare con gli occhi il grande albero di pesco, colmo della primavera ormai finita.

Sorride, mesto, al pensiero del fratello geniale che ormai non fa neppure più da nutrimento a quelle radici secolari.

-Poverina, non sa cosa si aspetta.

   
 
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