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Autore: becca25    23/07/2013    3 recensioni
“Ma che diamine significa?”ansimò John, accasciandosi al suolo “perché…cosa…che facevamo lì?”
“Oh, solo per passare il tempo” tossì Sherlock, rivolgendo uno sguardo veloce all'amico “e per dimostrare una cosa”
“Che cosa?”
“Tu”
[Hogwarts!/Jonhlock!]
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon giorno a tutti!
Ok, per prima cosa devo scusarmi infinitamente per il ritardo, mi dispiace di avervi fatto aspettare proprio per la conclusione!
La verità, è che quando ieri sera ho riletto il capitolo prima di pubblicarlo, mi sono resa conto che non mi convinceva nemmeno un po’, così ho iniziato a rivederlo (riscriverlo!), ma non sono riuscita a concluderlo in tempo.
Mi dispiace, ma ho pensato che era meglio farvi aspettare un po’ di più, piuttosto che darvi un capitolo che magari non vi sarebbe piaciuto, soprattutto perché si tratta del finale.
O meglio, l’epilogo lo pubblicherò giovedì, ma si tratta solo di un piccolo capitoletto senza pretese, mentre questo è il finale effettivo, quindi volevo dargli una degna conclusione! Spero mi perdoniate!
Come sempre devo ringraziare Maya, Naiko, LucyBerry e Starkie per aver recensito e un grazie a tutti coloro che hanno seguito questa storia!
Un bacio a tutti,
con affetto,
Becki
 
Capitolo 6.2 Le cascate della fonte della buona sorte
 
“Lui come sta?”
“Sherlock…”
Lui come sta?”
“Come vuoi che stia…?”
 
“Signor Watson?” esclamò perplesso il professor Clarke, lo sguardo che si spostava dal suo studente al calderone sul quale il Grifondoro stava lavorando alla pozione rigonfiante, che avrebbe dovuto preparare in vista dei G.U.F.O  “signor Watson, la lezione è quasi terminata e lei è ancora al terzo punto!” osservò l’uomo sconvolto, rivolgendo un’occhiata dubbiosa alla soluzione lilla che sobbolliva placidamente “non capisco, se aveva bisogno d’aiuto perché non ha chiamato me o uno dei suoi compagni?” insistette, irritandosi appena, davanti al mutismo di John che, raccolto sulla propria sedia, lo sguardo e il capo chinati, si limitava a tremare leggermente,
“Watson, mi stai ascoltando?” ringhiò il professore al limite dell’esasperazione, costringendo John ad alzare su di lui gli occhi lucidi di lacrime.
 “Non ce la faccio…” soffiò John con voce spezzata, indicando con un cenno del capo la milza di gatto che giaceva sul tavolo accanto a lui “non sono riuscito ad aggiungerla…”
 
Sherlock camminava con passo spedito lungo i viali alberati di Hyde Park, scivolando tra la folla di persone che avevano deciso di recarsi al parco nell’intento di godersi appieno quel bellissimo sole di Maggio, il corpo coperto con abiti babbani un po’ troppo pesanti, se considerata l’afa di quella splendida giornata e il volto nascosto dietro un anonimo berretto con il logo della BBC e grossi occhiali da sole.
Scostando con poca grazia un bambino che, fermo nel mezzo della strada, era intento a giocare con le bolle di sapone, affrettò leggermente l’andatura, gli occhi ancora puntati sulla schiena del ragazzo che a pochi metri da lui era impegnato a far jogging.
Lo vide fermarsi all’improvviso ed avvicinarsi a una delle tante fontanelle e velocemente si nascose dietro il tronco di una grossa quercia, osservando Allen Morgan* dissetarsi.
Sherlock scrutò il corpo tonico e muscoloso del suo vecchio compagno di scuola, colui che, anche se inconsapevolmente, aveva aiutato James Moriarty a rapire i quattro bambini di Tassorosso, mostrandogli l’accesso per la propria sala comune e rivelandogli tutte le parole d’ordine dell’ultimo anno, in cambio della Felix Felicis che il Serpeverde gli aveva procurato e che lo aveva reso il miglior cacciatore di Hogwarts.
Sherlock si ritrasse velocemente, mentre Morgan si rimetteva in piedi, guardandosi intorno con poco interesse, prima di riprendere l’allenamento, seguito prontamente dal ragazzo, che ricominciò a correre alle sue spalle.
Meno uno, John…
 
John sbuffò annoiato, camminando per le strade di Hogsmead, dove i suoi compagni di scuola si stavano godendo  uno dei loro ultimi weekend di libertà, prima dell’inizio degli esami.
In realtà, se doveva essere sincero, John nemmeno sapeva perché aveva accettato di andarci; Taylor, Sarah, Molly e Eric lo avevano praticamente costretto ad unirsi a loro, trascinandolo di peso fuori dal castello, con la scusa che ultimamente non faceva altro che starsene rintanato in biblioteca.
Era la verità, John non lo avrebbe negato né con loro, né tanto meno con sé stesso; nelle ultime settimane aveva scoperto di apprezzare la pace e la tranquillità di quel luogo, l’unico dove poteva starsene un po’ in santa pace, senza essere disturbato dagli altri, senza il timore che in ogni cosa gli ricordasse Lui
Invece, gli era bastato mettere un piede fuori da Hogwarts per venire immediatamente investito da una serie di immagini inopportune e dolorose  che non avevano fatto altro che farlo sentire ancora più male.
Ma i suoi amici avevano insistito, riuscendo a trascinarlo fino ai Tre Manici di Scopa, dove lo avevano fatto sedere  ad uno dei tavolini che affacciavano alla finestra e gli avevano piazzato tra le mani un boccale di Burrobirra.
E John, all’improvviso, si era reso conto con orrore di essere seduto allo stesso posto che aveva occupato l’ultima volta che si era recato in quel luogo, subito dopo l’aggressione di Moran.
Ma quella volta, a tenergli compagnia c’era Lui.
Lui, che per tutto il tempo non aveva fatto altro che lamentarsi dello squallore e dell’igiene del pub, dei clienti rozzi e burberi che lo frequentavano e delle bevande di dubbio gusto che servivano.
E mentre la sua voce gli rombava nei timpani e la sua immagine gli affollava la mente, John si era velocemente allontanato dal locale, fingendo un improvviso malore per non far preoccupare ulteriormente i suoi amici, precipitandosi all’esterno come un uragano.
Perché non poteva restare lì.
Perché non sarebbe dovuto trovarsi lì con loro
Fermandosi di colpo, John si rese conto di aver preso la strada sbagliata per tornare al castello, assorto com’era nei propri pensieri.
Con un sospiro stanco, affondando le mani nelle tasche dei jeans, fece per voltarsi e tornare sui propri passi, quando la sua attenzione venne attirata dalla vetrina stucchevole della sala da tè che gli stava davanti.
Madama Piediburro.
Senza nemmeno pensarci, senza nemmeno saperne il motivo, John varcò con sicurezza l’ingresso del locale, facendo tintinnare rumorosamente la campanella posta sopra la porta.
“Buon giorno” lo salutò cortesemente la proprietaria, andandogli incontro con un sorriso svenevole stampato sul volto “aspetti qualcuno, caro?” chiese immediatamente, facendolo accomodare ad uno dei tavolini liberi.
John si strinse nelle spalle, osservando con aria assorta le innumerevoli coppiette che affollavano il locale, prima di tornare a rivolgersi alla donna.
“No, sono da solo”
“Oh” sospirò la signora, leggermente sorpresa, prima di rivolgere l’ennesimo sorriso di circostanza al ragazzo “dimmi, cosa posso portarti?”
“Un Earl Grey tea, un White tea e un frullato alla ciliegia” ordinò con decisione il Grifondoro, sostenendo con aria tranquilla lo sguardo sempre più perplesso della proprietaria, il sorriso che vacillò appena.
“Emh, ok, come desideri” balbettò questa confusa, girandosi per tornare al bancone, ma aveva fatto solo pochi passi, quando John la richiamò.
“Sa una cosa, non è necessario che porti il frullato!”
 
Accomodato sulla stessa panchina su cui si trovava da quasi un’ora, Sherlock voltò con leggerezza una pagina della Gazzetta del Profeta, fingendosi interessato ad uno degli articoli che occupavano l’intera facciata, l’attenzione, invece, totalmente rivolta alla ragazza che, a pochi passi da lui,
sedeva sotto uno degli ombrelloni della gelateria Fortebraccio, gustando una coppa di gelato alla crema e pistacchio.
Layla Turner*, colei che si era occupata di preparare illegalmente la pozione polisucco che poi Moriarty aveva usato per il rapimento, riuscendo così a camuffarsi dietro le sue sembianze, facendo ricadere su di lui la colpa, grazie alle testimonianza dei tre Tassorosso sopravvissuti, che lo avevano riconosciuto come il loro sequestratore.
Sherlock aveva tenuto d’occhio la ragazza per più di una settimana, studiando con minuziosa attenzione la sua routine, attendendo il momento opportuno per agire.
 Ogni giorni, Layla usciva alle nove in punto dal Paiolo Magico, dove soggiornava, passeggiava fino alle undici fra i negozietti e le via affollate di Diagon Alley, per poi pranzare con un gelato alla celebre gelateria.
Sherlock la osservò affondare il proprio cucchiaino nel dolce, prendendone una generosa porzione, che si portò alla bocca con aria insofferente, lo sguardo annoiato che vagava sui passanti.
Con uno sbuffo, Layla abbandonò il cucchiaino sul tavolo e, dopo aver lasciato qualche felce**, fece per alzarsi, ma Sherlock, con uno scatto veloce, riuscì ad anticiparla, bloccandola per un braccio prima che si allontanasse.
 
“John Watson, ma che bella coincidenza! Come stai?”
Con un sussulto, John si bloccò al centro del corridoio, voltandosi inorridito verso la fonte di quella voce fin troppo conosciuta, fino a trovarsi ad osservare l’ormai familiare ghigno di Mycroft Holmes.
“Non credo nelle coincidenze, Holmes, soprattutto quando ci sei di mezzo tu” replicò duramente il Grifondoro, scoccando uno sguardo seccato al ragazzo, prima di girarsi nuovamente, riprendendo a camminare.
“John!” lo chiamò alle sue spalle il Serpeverde, con voce impaziente “John, potremmo parlare?” insistette Mycroft, arricciando il naso davanti alla testardaggine del Grifondoro, che senza dar segno di averlo sentito, continuò ad allontanarsi, dandogli le spalle.
Masticando un’imprecazione, Mycroft si costrinse a seguirlo, chiedendosi per l’ennesima volta come Sherlock fosse riuscito a convincerlo a tentare quell’impresa impossibile; sapeva che John non aveva alcuna intenzione di sfogarsi  o confidarsi e, certamente, non lo avrebbe mai fatto con lui.
“John, mi piacerebbe sapere come te la cavi” perseverò imperterrito Mycroft, accennando l’ombra di un sorriso davanti alla rigidità che improvvisamente invase il corpo del ragazzo.
Almeno mi sta ascoltando…
“John, se potessi…”
“Cosa?” lo interruppe all’improvviso il ragazzo, voltandosi di scatto, cogliendolo leggermente di sorpresa “vuoi sapere come sto per poi riferirlo a Lui?” domandò con rabbia, raggiungendo il Serpeverde a passi veloci “così poi potrete farvi due chiacchiere sul povero idiota che Lui ha deciso di lasciare senza nemmeno una spiegazione? Senza nemmeno dami la possibilità di aiutarlo?” ringhiò frustrato, irritandosi ulteriormente davanti allo sguardo impassibile che gli rivolgeva il maggiore degli Holmes.
“Sai che non è così. Tutto quello che ha fatto, lo ha fatto per te”
“Per me?” replicò con rabbia John “lasciarmi qui senza una parola, sparendo nel nulla senza darmi sue notizie? Lo avrebbe fatto per me?”
“Voleva proteggerti” replicò con stizza Mycroft.
“Sono in grado di proteggermi da solo, grazie!” ribattè con astio John, mentre Mycroft sospirava, impaziente “possibile che davvero si fidi così poco di me? Possibile che dopo tutto, ancora non sono degno della sua fiducia?”
“Sai che questo non è vero”
“Bè, i fatti invece parlano chiaro!”
“John, non voleva metterti nei guai! Non voleva farti incorrere in pericoli e sofferenze inutili!”
“Ma davvero? Bè, non mi sembra che il suo piano abbia funzionato poi molto” lo canzonò John, con rabbia “anzi, credo proprio sia stato un buco nell’acqua. Ed ora, se vuoi scusarmi, avrei lezione” aggiunse, girando nuovamente sui tacchi per allontanarsi.
“John, se ci fosse qualcosa che volessi dirgli, io potrei farglielo sapere” soffiò  con un sussurro sommesso Mycroft, congiungendo entrambe le mani davanti al volto, in attesa.
Vide John trasalire alle sue parole e volgersi lentamente verso di lui, il volto una maschera di rabbia.
E, incrociando quegli occhi chiari così dannatamente simili ai suoi, quell’espressione altezzosa e severa che gli ricordava tanto la sua, nonostante le differenze, nonostante le discrepanze, quella posa che così tante volte John aveva visto su di Lui, il ragazzo si trovò ad annullare nuovamente la distanza che c’era con Holmes e senza un secondo di titubanza, di incertezza, caricò il braccio all’indietro, la mancina serrata con forza e una collera cieca ad oscurargli il volto.
In quel momento, davanti ai suoi occhi, c’era la persona più simile a Lui che conoscesse, su cui potesse sfogare tutto il suo rancore.
“Digli che può anche evitare di prendersi il disturbo di tornare” ringhiò furioso, prima di slanciarsi avanti e colpire Mycroft in pieno viso.
 
“Che diamine ti sei fatto alla faccia?” domandò con noncuranza Sherlock, studiando di sottecchi il rigonfiamento violaceo che deturpava il volto del fratello, che stringendosi con stizza nelle spalle, si limitò a sospirare.
“Il tuo ragazzo mi ha colpito” spiegò lapidario, mentre un angolo delle labbra di Sherlock si arcuavano in un mezzo sorriso.
“John non smette mai di sorprendermi” osservò con affetto, prima che un’ombra gli oscurasse il volto, facendolo imbronciare “ma sono piuttosto certo che non possa più essere definito come il mio ragazzo”
“Non dire sciocchezze” lo interruppe Mycroft con durezza, storcendo il viso in una smorfia irritata “quando avrai portato a termine il tuo compito potrai tornare ad Hogwarts per spiegargli ogni cosa, così tutto  tornerà ad essere come prima” lo rassicurò, prima di indicare con un cenno la foto della ragazza che Sherlock aveva poggiato al tavolino davanti a loro “è lei?” domandò tranquillamente, mentre Sherlock annuiva.
“Rachel Hills” sospirò con sicurezza, afferrando la fotografia, rigirandosela tra le dita con aria annoiata “ricordi la ragazza che si è presa la colpa per la scomparsa del Diadema perduto di Corvonero?”
“Certamente”
“Moran l’ha ricattata per spingerla ad un tale gesto. Se si fosse rifiutata sarebbe stata messa in mezzo dopo il ritrovamento dei quattro ragazzi ed essendo stata lei a procurare a Moriarty gli ingredienti necessari per preparare la pozione avvelenata, sarebbe finita in guai molto seri. Il furto è certamente meno grave, rispetto all’omicidio”
“Sai già dove si trova?” chiese Mycroft, ottenendo un cenno affermativo dal fratello, gli occhi rivolti al ritratto della studentessa.
“Bene” sbuffò Mycroft, rimettendosi in piedi “ora devo proprio andare; devo rientrare ad Hogwarts prima che qualcuno faccia caso alla mia assenza” sospirò, afferrando il proprio ombrello che aveva abbandonato ai piedi della poltrona, prima di rivolgere uno sguardo assorto al limpido cielo sereno che si intravedeva dalla finestra, allontanandosi verso l’ingresso.
“Mycroft” lo fermò Sherlock, quando ormai il ragazzo era sull’uscio “lui ti ha detto qualcosa… riguardo a me?” chiese, distogliendo lo sguardo, con un tono che sarebbe dovuto risultare disinteressato.
Digli che può anche evitare di prendersi il disturbo di tornare
“No, Sherly, non ha detto niente” mentì Mycroft con sicurezza, mentre il fratello gli rivolgeva una smorfia infastidita, sentendo il diminutivo che il maggiore era solito usare durante la loroinfanzia.
 
John portò alle labbra la tazzina da tè, sorseggiandolo con poco interesse, accorgendosi solo in quel momento di quanto ormai fosse freddo.
Con un ghigno schifato, il Grifondoro la posò nuovamente sul tavolino al suo fianco, per poi tornare a rannicchiarsi sull’ampio divano su cui sedeva, lo sguardo rivolto al fuoco che scoppiettava allegramente nel camino.
Trattenendo a stento un singhiozzo, spostò gli occhi sulla poltrona in pelle che stava alla sua destra, la stessa sulla quale si trovava Lui quella notte,- la notte prima che scappasse-, prima di decidere di abbandonarla a favore del divano, raggiungendo John, per baciarlo, per toccarlo…
Un forte singulto spezzò la pace che si era creata nella Stanza delle Necessità e, senza riuscire più a trattenersi, John si prese il capo tra le mani tremanti, abbandonandosi ad un pianto sofferente, per la prima volta da quella notte, le lacrime che gli rigavano il volto, un solo suono che usciva dalle sue labbra martoriate, fra i gemiti e i lamenti.
Sherlock…
 
Sherlock attraversò frettolosamente la strada, rischiando quasi di venire investito da un taxi, senza riuscire a nascondere il ghigno vittorioso che gli increspava le labbra.
Finalmente, dopo settimane continue di ricerche ininterrotte, lo aveva trovato.
Sebastian Moran.
Dopo che si era ritirato da Hogwarts, sotto suo suggerimento, il ragazzo sembrava essere sparito nel nulla e Sherlock, nonostante le numerose indagini che aveva portato avanti, aveva quasi rinunciato nella sua impresa.
Moran, in quanto braccio destro di Moriarty, colui che si era introdotto nell’organizzazione di Mycroft per raccogliere informazioni riguardo ai fratelli Holmes e a John, che aveva drogato John con il solo scopo di screditare la sua parola e la sua persona, nel caso in cui, come prevedibile, fosse intervenuto a favore di Sherlock, conosceva nei dettagli i piani di Moriarty e aveva saggiamente deciso di allontanarsi da Hogwarts il più possibile.
Ma alla fine, grazie lunghe postazioni e indagini continue, a spostamenti che lo avevano portato a vagare per tutto il paese, Sherlock era riuscito a stanarlo in un piccolo paesino del Galles, dove Sebastian aveva deciso di rifugiarsi in attesa che le acque si calmassero, e a raggiungerlo.
Ed ora, nessun ostacolo più lo separava dal compimento della sua missione, ora che anche Sebastian era nelle sue mani, Sherlock, finalmente, sarebbe potuto tornare a Hogwarts, per svelare la verità, per riscattare il proprio nome, per incastrare James Moriarty.
Per riunirsi a John Watson.
 
“Dov’è?”
“Come?”
“Lui dov’è, Mycroft?”
“Sherlock, non dire sciocchezze! Non hai tempo per queste cose, ora! Devi venire con me dal preside, devi sistemare questa faccenda!”
“Nulla che non puoi risolvere da solo, Mycroft. Ora dimmi dove si trova”
“Sherlock, per l’amor del cielo…”
“Mycroft! L’unica priorità di cui mi devo occupare ora, l’unico motivo per il quale sono tornato è lui! Quindi ora tu mi dirai dove si trova, oppure sarò costretto a cercarlo in ogni singolo angolo del castello finchè non lo avrò trovato e sai che lo farei!”
“Anthea lo ha visto recarsi alla torre di astronomia…”
 
Senza aggiungere altro, senza sprecare nemmeno un prezioso secondo, Sherlock iniziò a correre verso la torre di astronomia, il respiro accelerato, il cuore che batteva con forza contro lo sterno e una spiacevole sensazione di ansia ed aspettativa che gli stringevano lo stomaco.
Raggiunse la porta che immetteva nel terrazzo in cui erano soliti svolgere le lezioni, fermandosi davanti ad essa senza avere il coraggio di andare oltre, facendosi per la prima volata insicuro e titubante.
La verità, era che tutti gli sforzi e le fatiche che aveva compiuto in quei giorni, gli avevano permesso di distrarsi da una scomoda domanda che sempre si era fatta più insistente e molesta.
Aveva abbandonato Hogwarts, lasciando l’unica persona che per lui davvero aveva importanza, spezzandogli il cuore e il suo con esso, con il solo scopo di saperlo in salvo, di saperlo al sicuro.
Aveva vagato senza sosta per tutto il paese e sarebbe stato pronto a spingersi anche oltre, se fosse stato necessario, per rintracciare le uniche persone che avrebbero potuto scagionarlo dalle accuse di Moriarty, senza fermarsi un solo istante, senza interrompersi per un solo secondo, spingendosi al limite delle proprie forze.
Ma ora, ora che tutto era giunto al termine, ora che finalmente avrebbe potuto rivederlo, riabbracciarlo, spiegargli le motivazioni che stavano dietro il suo comportamento, fargli capire che aveva fatto tutto per lui, solo per lui, un terribile timore lo aveva avvolto, un’orribile incertezza gli impediva di proseguire.
John lo avrebbe ascoltato? Avrebbe capito? Avrebbe mai trovato la forza di perdonarlo?
Con un sospiro pesante, Sherlock abbandonò il capo contro la superficie fredda della porta, la mano che si avvolgeva intorno alla maniglia e una sola consapevolezza a pervaderlo.
Presto avrebbe potuto trovare una risposta.
E senza aspettare oltre, proteggendo dietro la solita maschera di indifferenza e sicurezza l’inquietudine che provava, Sherlock spinse verso il basso la maniglia, aprendo con lentezza l’ingresso, trattenendo il respiro innanzi all’immagine che gli si presentò davanti agli occhi.
John, seduto a gambe incrociate vicino al bordo del terrazzo, le braccia tese all’indietro per darsi equilibro, scrutava con meticolosa attenzione il cielo notturno, gli occhi che si muovevano pigramente tra le innumerevoli stelle.
E Sherlock, approfittando del fatto che il ragazzo non sembrava essersi accorto della sua presenza, del suo arrivo, si concesse alcuni secondi per indugiare su quella figura che gli era mancata terribilmente, carezzando con lo sguardo quei capelli dorati che si muovevano sotto la brezza leggera, le labbra carnose e invitanti, leggermente arcuate verso il basso in un’espressione malinconica, gli occhi del colore dell’oceano, più scuri di quanto ricordasse, più tristi e sofferenti di quanto li avesse mai visti.
Incapace di attendere oltre, Sherlock si avvicinò cautamente al ragazzo, sedendosi al suo fianco, mantenendo lo sguardo puntato sul suo volto.
Lo vide voltarsi nella sua direzione con un sussulto, sgranare gli occhi dalla sorpresa e spalancare la bocca in una O perfetta, ammutolito dalla sua inattesa comparsa.
Senza saper bene cosa dire, da che parte iniziare, quali parole usare, Sherlock si limitò a rivolgergli uno sguardo intenso e dispiaciuto, mentre John scattava velocemente in piedi, allontanandosi da lui con passo incerto.
“Jawn” lo chiamò Sherlock, imitandolo, rattristandosi quando lo vide indietreggiare, scuotendo il capo con sicurezza, alzando le mani verso di lui per intimargli di stargli lontano.
“No, non è possibile” soffiò incredulo in un sussurro flebile “tu non puoi essere qui”
“Sono tornato, John” replicò cautamente Sherlock, azzardandosi a fare un ulteriore passo verso il ragazzo, che velocemente arretrò.
“Cosa ci fai tu qui?” insistette il Grifondoro, una nota rabbiosa evidente nella voce, a sostituire l’incredulità.
“Dopo essere stato accusato ho capito che l’unico modo per salvare entrambi era quello di incastrare Moriarty e la mia unica opportunità era quella di rintracciare coloro che lo avevano aiutato nel suo…” iniziò a spiegare velocemente Sherlock, venendo tuttavia interrotto dal ringhio furioso di John.
“Cosa ci fai tu qui, ora!”
“Sono tornato da te”
“Dopo essere sparito nel nulla per tutto questo tempo? Senza dirmi dove fossi o se stessi bene? Lasciandomi da solo con le mie incertezze, a chiedermi se ti avrei mai rivisto, se fossi ancora vivo? Come puoi presentarti come se nulla fosse, Sherlock?!”
“John, tu non capisci, non avevo scelta!” si difese Sherlock, frustrato dall’atteggiamento del Grifondoro; perché non capiva? Perché non voleva farlo?
“Sono stato costretto ad agire in questo modo per salvare entrambi!”
“Con che coraggio mi dici queste cose?” lo aggredì nuovamente John, sovrastando con la sua voce le parole del ragazzo “Come puoi tornare qui come se nulla fosse pretendendo di essere dalla parte della ragione, di essere perdonato?” chiese, facendo irrigidire Sherlock davanti alle sue parole.
“John, per favore…” lo supplicò il ragazzo, scontrandosi contro quel velo furioso che copriva quegli occhi che tanto aveva amato, impedendogli di vedere, impedendogli di ascoltare.
 “No, Sherlock, No! Dimmi, come hai potuto tenermi all’oscuro? Come hai potuto avere così poca fiducia in me?”
 “Ho dovuto farlo. Sei un pessimo bugiardo, Moriarty ci avrebbe impiegato un secondo per capire che mentivi, il preside, il ministro, tutti cloro che mi stavano cercando avrebbero compreso che sapevi dove mi trovavo e ti avrebbero creduto colpevole” sospirò Sherlock, rabbrividendo al solo pensiero “ti avrebbero distrutto, John, non capisci?”
“Così lo hai fatto tu al posto loro, giusto?” chiese John con tristezza, scuotendo il capo, distogliendo lo sguardo da quello di Sherlock.
“Sapevo che avresti sofferto, ma era mio dovere evitare che finissi ad Azkaban, che fossi accusato di rapimento e omicidio” continuò Sherlock, sempre più desideroso di farsi comprendere  “ti giuro che non c’erano alternative”
“No…”
“John, ti prego, guardami! Sono io! Sono tornato per te!”
“No”
“John, ti supplicò, ascoltami! Ho fatto tutto questo per entrambi! Per salvarci e ora è finita!”
“No!”
“John, sono tornato e non ti lascerò mai p…”
Ma Sherlock non riuscì a terminare la frase, perchè John, slanciandosi in avanti con impeto, lo colpì in viso con un pugno deciso, senza dargli il tempo di difendersi o tirarsi indietro, facendolo barcollare, le mani che scattarono a tastare la parte offesa.
Senza dire una parola, Sherlock alzò cautamente lo sguardo su John, che, immobile a pochi passi da lui, ansimando per la rabbia e per lo sforzo, lo osservava con occhi tanto furenti che faticò a riconoscerli.
E prima che potesse fare altro, prima ancora che riuscisse a rendersi conto di ciò che stava accadendo, John fu ancora su di lui, le mani artigliate alla sua veste, gli occhi persi nei suoi, mentre il ragazzo lo spingeva con durezza contro la parete, facendolo cozzare dolorosamente contro la fredda pietra.
Senza avere nemmeno il tempo di reagire, Sherlock si ritrovò le labbra del Grifondoro premute sulle sue in un bacio duro e rabbioso, che lo fece ansimare.
Percepì le mani di John farsi strada sul suo corpo, senza gentilezza ed esitazione, tastando quel corpo che tanto gli era mancato, mosso da una furia cieca, mentre cercava di approfondire quel bacio a cui Sherlock non aveva risposto.
Con attenzione, Sherlock allungò le proprie mani fino ad afferrare i polsi di John, bloccandoli in una presa ferrea, costringendo il ragazzo ad allontanarsi.
Incrociò i suoi occhi con quelli burrascosi e irati del Grifondoro, rivolgendogli uno sguardo profondo e dolce, le labbra ancora a pochi millimetri di distanza.
Non in questo modo” sospirò solamente, mentre gli occhi di John si sgranavano per lo stupore e il ragazzo si tirò indietro, sobbalzando.
E per la prima volta in quella sera, John parve recuperare, almeno in parte, un po’ di lucidità, e si costrinse ad arretrare, mortificato, il volto all’improvviso insicuro, gli occhi esitanti e increduli.
 “I-io…” balbettò il Grifondoro, guardandosi intorno con confusione, ma Sherlock non riuscì nemmeno a chiamarlo, a rassicurarlo, che questo scattò verso l’ingresso, fuggendo dalla  sua vista, fuggendo da lui.
 
John corse a perdifiato per i corridoi deserti, raggiungendo il proprio dormitorio solo dopo diversi minuti, il volto bagnato dal sudore e dalle lacrime, il respiro tanto affannato da impedirgli di respirare correttamente.
Si precipitò al suo interno con foga, facendo sussultare Eric e Taylor, che, non appena notarono lo sguardo turbato dell’amico, il volto pallido e sconvolto, si affrettarono a raggiungerlo, preoccupati.
“John!” lo chiamò Eric, afferrando il ragazzo per le spalle, costringendolo a guardarlo “John, cos’è successo?”
“Lui…” sospirò John a fatica, rivolgendogli uno sguardo sofferente, cercando di riprendere fiato.
“John, calmati!” intervenne Taylor, mentre John spostava gli occhi su di lui, prendendo generose boccate d’aria.
“Lui chi?” s’intromise Eric, confuso, mentre John scuoteva il capo con forza.
“Lui è tornato!” balbettò infine, abbandonandosi, senza più trattenersi, ad un pianto disperato, il volto  contratto in una smorfia di dolore e le lacrime che gli rigavano copiose il viso, sotto gli sguardi increduli dei suoi amici.
“Questo non può essere...” soffiò Eric sgomento, costringendo John a sedersi sul proprio baldacchino, prendendo posto accanto a lui, intrecciando le dita nei suoi capelli nel tentativo di farlo calmare “e tu cosa hai fatto?” continuò Eric, cercando con lo sguardo gli occhi sorpresi di Taylor mentre John, sotto le sue carezze delicate, tornava a tranquillizzarsi.
“Gli ho dato un pugno” ammise John con imbarazzo, leggermente più calmo, rivivendo con il pensiero ciò che era accaduto.
Un sorriso sghembo e affettuoso si formò sulle labbra di Eric, che si avvicinò ulteriormente all’amico, le mani sempre impegnate in quelle carezze delicate “Se l’è meritato, John” lo rassicurò con gentilezza.
“Certamente non poteva aspettarsi di tornare e trovarti ad aspettarlo a braccia aperte!” confermò Taylor, sedendosi a sua volta vicino al ragazzo, passandosi nervosamente una mano tra i capelli “credeva davvero che tu lo avessi già perdonato?” aggiunse, mentre John scuoteva leggermente il capo, indeciso “cosa si aspettava? Che tu saresti rimasto qui ad aspettarlo nonostante tutto?”
“È proprio ciò che ho fatto” soffiò John con tono flebile, mantenendo gli occhi rivolti verso il basso, il capo chino, imbarazzato “la verità è che io, per tutte queste settimane, non ho fatto altro che attendere il suo ritorno e per quanto mi ero ripromesso che non lo avrei perdonato con tanta facilità, la verità è che mi è bastato incrociare quegli occhi per scusarlo” ammise con un sorriso triste sulle labbra “ho provato ad odiarlo, davvero, ho provato a convincermi che era finita, che non gli avrei concesso un’altra possibilità, ma non posso farlo, non quando ancora lo amo così tanto” spiegò, mentre Eric allontanava la mano dai suoi capelli, incredulo.
“John” lo chiamò con un filo di voce Eric.
“Non posso smettere di amarlo, non posso fingere di odiarlo…”
“John…”
 “Nonostante io sia ancora furioso con lui, nonostante il male che mi ha fatto è ancora così forte…”
“John!” lo interruppe nuovamente Eric, con più forza, costringendolo a tacere.
“Non è a noi che devi spiegare tutto questo”
 
Sherlock si decise ad allontanarsi solo parecchi minuti dopo che John se e n’era andato, quando ormai, anche l’ultima speranza che sarebbe tornato da lui era svanita.
Aveva sempre saputo che non sarebbe stato facile, era consapevole del dolore che aveva provocato in John e non si aspettava certo di venire accolto a braccia aperte, quello a cui però non era preparato, era che potesse fare così male…
Con un sospiro, rimettendosi in piedi, rivolse un  ultimo sguardo triste al cielo notturno, prima di voltarsi, con un sospiro, verso l’ingresso.
Tese una mano verso la maniglia, ma prima ancora che la potesse afferrare, la porta si spalancò con forza, facendolo sussultare.
Incredulo, osservò John fermo davanti a lui, che lo scrutava con diffidenza, il respiro spezzato, gli occhi finalmente coscienti.
E, per la terza volta in quella sera, John lo colse di sorpresa, gettandosi nuovamente su di lui, sulle sue labbra, ma quello che questa volta lo spingeva non era odio o rancore, tutt’altro…
“Sei tornato” soffiò John, imprimendogli l’ennesimo bacio sul viso, mentre Sherlock portava le entrambe le mani dietro la sua schiena, attirando maggiormente il corpo del ragazzo a sé.
“Non ti avrei mai lasciato, John, mai” lo rassicurò, catturando le labbra del Grifondoro in un bacio dolce e delicato, muovendo le mani in una carezza leggera.
“Temevo che non ti avrei più rivisto”
“Impossibile”
“Giurami che non lo rifarai! Giurami che non mi lascerai mai!” continuò John, separandosi appena dal ragazzo per guardarlo  in volto “giuralo”
“Te lo giuro” promise Sherlock, chinandosi nuovamente sul ragazzo per sigillare la promessa con l’ennesimo bacio, mentre le mani di John si spostavano delicate sul suo corpo, carezzandolo con dolcezza, interrompendo nuovamente quel bacio, per potersi perdere in quegli occhi che tanto gli erano mancati, gli sguardi finalmente incrociati e i respiri che si confondevano.
Continuarono a studiarsi, a toccarsi, quasi impauriti dall’idea che si trattasse solo di una bellissima illusione, che sarebbe potuta svanire da un momento all’altro.
E John, senza la minima titubanza o incertezza, scostò la camicia di Sherlock, andando a sfiorare il suo ventre, strappandogli un gemito leggero, perché percepire quella stoffa sottile sotto le dita non era più sufficiente, perché avvertiva il bisogno di sentire la pelle tiepida di Sherlock contro la propria e spinto dalla stessa motivazione, dallo stesso desiderio, Sherlock iniziò a spogliare John dai suoi abiti, senza nessuna fretta, desideroso di godersi appieno ogni momento.
E dopo lunghi minuti, sempre sospesi in quella dimensione che escludeva il resto della realtà, gli sguardi che non si erano disgiunti nemmeno per un istante, entrambi troppo avidi l’uno dell’altro per poter permettere agli occhi di osservare qualcosa che non fossero loro, per voler percepire altro che non fossero i loro corpi vicini, i loro odori che si confondevano e il suono piacevole dei loro respiri leggermente accelerati, si trovarono entrambi nudi l’uno di fronte all’altro.
Drogato da quell’immagine, da quelle sensazioni, da John,  Sherlock si abbandonò a terra, trascinando il ragazzo con sé, facendolo sistemare con delicatezza sul mantello che aveva abbandonato al suolo, prima di sovrastarlo, il desiderio insistente di sentire quelle labbra così invitanti sulle proprie, ma l’incapacità di distogliere lo sguardo da quegli occhi così blu, così intensi, così finalmente felici.
“Prima non vuoi sapere cos’è accaduto?” chiese Sherlock in un sussurro flebile, sfiorando con le dita un fianco del ragazzo, conoscendo già la risposta, che venne confermata quando John scosse con lentezza il capo, tendendosi verso di lui alla ricerca di quel bacio che troppo a lungo si erano negati.
 “Non ora” replicò, congiungendo le sue labbra con quelle di Sherlock, mentre il desiderio di avere di più, di sentire di più si faceva all’improvviso intenso, risvegliando in entrambi una brama e un’impazienza che fino a quel momento non avevano percepito.
E quel bacio si face più intenso, mente i movimenti, le carezze, i gemiti diventavano più sicuri, più decisi e i ragazzi si spingevano con foga l’uno contro l’altro, nell’urgenza e nel bisogno di sentirsi, di toccarsi, di donarsi l’uno all’altro, di sapersi nuovamente insieme, più vicini ed uniti di quanto non fossero mai stati e, questa volta, sarebbe stato per sempre.
 
“Ora sono pronto ad ascoltarti” mugugnò John con un sussurro flebile, stringendosi con maggior decisione al corpo accaldato di Sherlock, che riposava accanto a lui, stremato.
Sherlock rispose a quell’abbraccio, sistemando sopra entrambi il proprio mantello, per proteggerli dall’aria notturna che colpiva i loro corpi umidi e sudati, provocando brividi intensi.
“Dimmi cosa hai fatto mentre eri lontano” continuò John, senza riuscire a nascondere una nota di stanchezza nella voce “spiegami come hai fatto a fuggire. Quando quel buio si è dissolto, tu eri sparito e la finestra era spalancata” ricordò, mentre Sherlock lo stringeva con maggior decisione a sé, una mano che si spostava tra i suoi capelli, carezzandoli con amore.
“È stato molto semplice, in realtà” ammise “mi è bastato creare un diversivo, utilizzando della polvere Buiopesto per darmi il tempo di allontanarmi”
“Ma poi come sei uscito dallo studio del preside?” insistette John “l’unica via di fuga era la finestra, ma dubito che tu sia riuscito a sopravvivere dopo un volo di cinque metri!”
“Se sono sopravvissuto è stato per il contributo di Mycroft, che ha lanciato un incanto di Arestum Momentum*** prima che toccassi terra” sospirò Sherlock, senza nascondere una nota di fastidio nella voce, mentre John, incredulo, scattava a sedere, osservandolo con incredulità.
“Ti sei lanciato dalla finestra?” chiese orripilato “Sherlock, saresti potuto morire!”
“Non c’era alcun pericolo” lo rassicurò il Serpeverde, afferrandolo per un braccio per costringerlo ad adagiarsi nuovamente contro il suo corpo “il piano era stato studiato nei minimi dettagli; è stato sufficiente che Mycroft rallentasse il tempo limitando la velocità della mia caduta, evocando poi una superficie morbida sulla quale farmi atterrare”
 “Ma se qualcosa fosse andato storto, saresti morto!”
“Ma non è successo, giusto?” replicò tranquillamente Sherlock, mentre John sbuffava, infastidito.
“Poi come hai fatto ad allontanarti dalla scuola?”
“In  volo. Mycroft mi ha procurato una scopa per la fuga” spiegò “e da lì ho iniziato a cercare tutti coloro che avevano aiutato Moriarty nel suo piano, convincendoli a seguirmi, così da  confessare, finalmente, la verità” concluse, mentre John annuiva, pensieroso.
Un profondo silenzio seguì quelle parole, avvolgendo i due ragazzi, che per lunghi minuti non seppero più cosa dirsi e proprio quando Sherlock credette che John si fosse ormai abbandonato al sonno, il ragazzo tornò a parlare.
“Ora cosa accadrà?” chiese titubante John, in un sussurro flebile e insicuro, scostandosi appena dal corpo di Sherlock per poterlo osservare in volto.
“Moriarty sarà incriminato e..”
“No” lo interruppe John “intendevo, cosa ne sarà di noi” specificò, facendo suo malgrado irrigidire Sherlock.
“Io non ho dubbi di ciò che voglio, John” sospirò il Serpeverde osservandolo con sicurezza “ma tu devi capire se puoi trovare la forza di perdonarmi e andare avanti”
“Non posso dimenticare, Sherlock”
“Non è quello che ti sto chiedendo”
“Sarà difficile” osservò John, sospirando “sarà impossibile fare come se nulla fosse accaduto” continuò con tristezza, tornando ad accucciarsi accanto al corpo del ragazzo “è stato un inferno Sherlock, non lo nego”
“Lo so, John”
“Il mondo intero era un’immensa e spaventosa raccolta di testimonianze che tu eri esistito e che io t’avevo perduto****” soffiò John, mentre Sherlock rafforzava la presa sul suo corpo con possessività, quasi a dirgli che ora era lì e mai più si sarebbe allontanato “ma se c’è una cosa che ho capito, in queste settimane, è che ormai io non sarei più in grado di vivere senza di te, Sherlock” ammise John senza incertezza “ormai la mia vita sarebbe troppo vuota, troppo insensata”
“Non è così semplice, John” sospirò Sherlock, non senza una certa difficoltà “se resti con me, al mio fianco, non sarai mai al sicuro, ci sarà sempre qualcuno, ci sarà sempre una nuova minaccia” soffiò Sherlock con sicurezza *****“E’ giusto che te lo dica, anche se so che questo non farà che spronarti a tuffarti a testa basta” aggiunse con un mezzo sorriso affettuoso  “oramai, dovrei conoscere il mio Watson. Ma il pericolo esiste, e tu devi saperlo.»*****
“Sherlock, finchè tu resterai al mio fianco, io sarò pronto ad affrontare qualsiasi difficoltà, qualsiasi rischio” replicò duramente John “se il prezzo che devo pagare per poterti restare vicino è questo, lo pagherei altre mille volte; non mi interessa una vita tranquilla e sicura, non quando ho la possibilità di gettarmi in mille avventure e pericoli insieme a te! Come potrei desiderare altro?”
******«Sapevo che all’ultimo non ti saresti tirato indietro» disse e, per un momento, John vide nei suoi occhi qualcosa che, più di quanto avesse mai visto, somigliava alla tenerezza.******
“Ma devi esserne sicuro, John, perché da qui non si torna più indietro…”
“Non sono mai stato più sicuro in vita mia!” insistette il ragazzo “sarà difficile, sarà dura, almeno per i primi tempi” ammise con una nota sofferente “ho provato troppo dolore e sofferenza per potermene dimenticare, ma mai, nemmeno una volta ho avuto dubbi riguardo a ciò che desideravo e io desidero solo te. Ho bisogno della mia metà. Tu, invece, cosa dici?”
John sentì la mano di Sherlock insinuarsi nella sua con una stretta rassicurante, quasi a fargli capire che la situazione era sottocontrollo e che non c’era da preoccuparsi.*******
“Che sarei perduto senza di te”********
 
 
Note finali:
*Vedi capitoli “Il grande gioco”
**Il denaro nel mondo dei maghi è composto da galeoni, felci e zellini.
***Per intenderci, è l’incantesimo che usa Silente per salvare la vita a Harry quando, nel terzo libro, cade dalla scopa a causa dei dissennatori; la polvere Buiopesto, invece, è una polvere importata dal Perù, se ne parla nel sesto libro e, dal nome, se ne capisce l’utilità!
****Cit Wuthering Heights
*****Cit romanzo “Il taccuino di Sherlock Holmes – L’avventura dei tre Garrideb”
******Cit romanzo “L’ultimo saluto – L’avventura di Bruce-Partington”
*******Cit romanzo “Il ritorno di Sherlock Holmes- L’avventura di Charles Augustus Milverton”
********Nell’originale “Sarei perduto senza il mio blogger”
 
Ed eccoci alla tanto attesa conclusione! Bè, che altro aggiungere? Come avrete –spero- notato, in questo capitolo ho ripreso moltissimi fatti dai capitoli precedenti, come i nomi di coloro che hanno aiutato Moriarty, che aveva già presentato in precedenza oppure alcune scene, ad esempio quella della milza di gatto (primo capitolo) o del tè da Madama Piediburro (secondo capitolo) o, ancora, quella della stanza delle necessità (capitolo precedente)
Ringrazio nuovamente tutti coloro che hanno seguito questa storia e un ringraziamento particolare a chi mi ha sostenuta, permettendomi di proseguire!
Giovedì pubblicherò l’epilogo, se tutto va bene!
Un bacio a tutti,
con affetto,
Becki.
 
  
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