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Autore: Honodetsu    23/07/2013    3 recensioni
"...Non seppe come, ma quel momento di leggerezza, di tranquillità, sembrò dissolversi in un attimo. L'assurda idea che potesse essere finita si sgretolò al vento.
L'agitazione e la preoccupazione per l'italiano furono ingogliate da un qualcosa di più profondo, di più intenso. E mai avrebbe immaginato che si potesse provare una cosa del genere e che, un essere umano, potesse sopportare un simile dolore..."
E' con piacere che vi presento questa mia seconda fanfiction su Hetalia; dove amori, passioni, gioia e lacrime non mancheranno di certo.
...Se siete interessati, leggete...
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Francia/Francis Bonnefoy, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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-”In questi giorni sei nervoso...”-

Arthur mugolò, senza staccare gli occhi dal cellulare. Francis rimase a fissarlo per qualche istante, quasi cercando di capire che gli accadesse.

-”Arthur...”-ritentò, ma non vi fu risposta. Il francese sbuffò molesto, colpito nell'intimo da quel silenzio, e si lasciò scivolare sul letto, accanto a quell'inglese odiosamente taciturno.

-”Eh...?”-rispose in ritardo, l'altro. Ancora a controllare, chissà che, su quel dannato telefono. Cosa aveva di così interessante quel display da poter mettere Francis in secondo piano?

Il francese non se lo spiegava. Sbuffò una seconda volta, offeso. Arthur, finalmente, tornò a guardarlo. Ciò che vide fu uno sguardo torvo.

-”Ora che diavolo hai?”-gli chiese, arrossendo sotto i suoi occhi azzurri. Francis lo guardò malissimo.

-”Ah, io, che ho?”-chiese infastidito-”Piuttosto, tu!”-fece con voce teatrale-”Stiamo insieme e mi ignori!”-si portò una mano sulla fronte, quasi non potesse sopportare tutto quel dolore-”Non è mai successo, non me ne capacito...!”-disse tragicamente, più a sé stesso che all'inglese. Arthur, intanto, si era alzato dal letto, ignorando quelle parole.

-”Ehi!”-si alzò di scatto Francis-”Si può sapere dove vai, ora?”-

-”Al bagno, smetti di urlare, per favore?”-fece, trattenendo l'irritazione.

Il biondo rimase per un attimo interdetto. Lo guardò inerme mentre si dirigeva verso il bagno. Sbuffò e si mise a sedere sul letto sfatto. Un qualcosa di molto simile ad un rantolo gli uscì di bocca. Si grattò infastidito il mento. Sorrise tra sé.

Ok, ora basta fare gli stupidi...

-”Arthur...?”-lo chiamò, una volta tornato in sé.

L'inglese rimase stupito da quel tono di voce. Arrossì, all'improvviso. Perché era diventato serio tutto d'un tratto? Avrebbe preferito che continuasse a fare lo scemo, così non si sarebbe sentito così in soggezione.

-”S... Sì?”-

Si buttò dell'acqua gelida sul viso.

-”Perché stai sempre a controllare il cellulare?”-

Non vi fu una risposta. Si asciugò il viso con il primo asciugamano che trovò. Posò i palmi sul lavandino e fissò la sua immagine riflessa sullo specchio.

Eh... chissà perché lo controllo sempre...

La domanda del francese continuava ad aleggiare nell'aria ma, l'inglese, sembrava non farci caso.

Perché, all'improvviso, quella cocciuta non mi chiama più? Non era lei quella che chiedeva con tanta insistenza di dover tornare?

-”Arthur?”-lo richiamò, Francis.

Si riscosse.

-”Sì, scusa...”-rispose-”Sono qui.”-

-”Allora?”-

L'inglese sorrise amaro.

-”Allora niente...”-alzò le spalle ed aprì la porta del bagno. Lo guardò negli occhi-”Aspettavo che una persona si facesse viva...”-

Una persona? Ciò allarmò Francis. Chi? E perchè?

-”Ma pazienza.”-continuò, Arthur.

Quelle parole, però, placarono la sua paura. Il francese si alzò dal letto, gli prese le mani e gliele strinse con amore.

-”Già, pazienza...”-gli sussurrò il francese poco prima di baciarlo.

L'inglese, per l'ennesima volta, arrossì.

 

-”Ti prego, Roma...”-

Confusione.

-”Romano...”-

Troppa confusione.

-”Romano...!”-

Troppa confusione, persino per uno come lui.

-”Romano, accidenti!”-

L'italiano finalmente la finì di blaterare, rimase a fissarlo ammutolito. Gli occhi grandi e verdastri lo fissavano smarrito e spaventato.

Antonio sbuffò, stanco di tutta quell'ansia. Era entrato di botto nell'appartamento ed aveva cominciato ad urlare e a camminare su e giù per il salone, borbottando qualcosa su un fratello.

Lo spagnolo si grattò la testa, non aveva capito nulla.

-”Adesso prendi aria e rispiega tutto da capo.”-lo guardò serio-”Con calma, però.”-

Romano scivolò inerme a terra.

-”E' qui a Madrid, Antonio, capisci?”-si portò una mano sulla fronte-”E' qui!”-

-”Ma chi è qui, Roma?”-lo guardò, confuso.

-”Feliciano, zuccone! Feliciano!”-urlò-”E' arrivato ieri sera! Ed oggi vuole che ci incontriamo!”-

All'improvviso, Antonio, capì il motivo del suo comportamento. Alzò gli occhi al cielo e sorrise. Si avvicinò al suo italiano e lo abbracciò. Lo sentì rigido sotto le sue braccia. Gli diede un dolce bacio, riuscendo a calmarlo almeno un pochino.

-”Sapevi che questo momento sarebbe arrivato, no?”-gli chiese.

Romano annuì come un bambino.

-”Lo so... Però...”-

Il riccio sorrise.

-”Però hai lo stesso paura, ed è normalissimo.”-

L'italiano strinse le dita intorno alla sua maglia.

-”Antonio...”-lo guardò negli occhi e lo spagnolo vide tanto dolore-”Lui non è più mio fratello, vero?”-

Il moro corrucciò la fronte.

-”Cosa...?”-

-”L'ho perso, vero?”-gli occhi si inumidirono-”L'ho perso cinque anni fa, giusto? Lui non è più il mio Feliciano... Lui non è più il mio piccolo Feliciano, il mio piccolo fratellino...”-

Antonio lo guardò sorpreso. Aveva davvero detto “il suo”? Non lo aveva mai sentito parlare in quel modo. Per cinque secondi buoni non riuscì a dire una parola.

Fu Romano a spezzare quella sua confusione, stringendosi disperatamente al suo petto, chiedendogli con una celata disperazione del conforto.

-”Roma... Ma cosa dici?”-

-”E' vero... Adesso lui ha una vita così lontana e differente dalla mia!”-

-”Ma come puoi dirlo se nemmeno lo sai?”-gli chiese sorridendogli dolcemente, nonostante dentro stesse morendo-”Non lo hai ancora incontrato!”-

-”Già lo so!”-affermò con ostinata convinzione-”Già lo so!”-

Antonio lo strinse forte a sé.

-”Che bambino che sei...”-gli sussurrò.

-”Non posso incontrarlo... Non posso!”-

-”Sì che puoi.”-

Romano mugolò.

-”Con che faccia mi ripresento dopo cinque anni...?”-sussurrò con dolore.

Antonio si morse un labbro.

Possibile che fosse così distrutto solo all'idea di doverlo rivedere? Lui, di certo, non avrebbe mai potuto capire quello che provava. Dopo tutto era figlio unico.

-”Sai...”-fece, Antonio, allontanandogli un po' il viso dal proprio petto-”Forse è come dici tu: probabilmente avrete due vite completamente diverse e distanti, probabilmente molte cose saranno cambiate, però...”-Romano lo guardò con vergogna e dolore. Lo spagnolo gli asciugò una lacrima -”Però è stato lui a voler venire fin qui.”-gli sorrise-”E questo vuol dire che ci tiene a riavvicinarsi a te, vuol dire che lui è ancora il tuo piccolo fratellino.”-

-”...”-probabilmente rimase senza parole, poiché rimase a fissarlo smarrito, quasi stesse ancora ragionando su quelle parole appena dette dal moro.

-”Vai all'appuntamento e smettila di lamentarti...”-gli passò una mano tra i capelli-”E' sicuro che Feliciano ha una voglia atroce di rivederti.”-

-”...”-

Ancora silenzio.

Infondo che si aspettava il moro? Come potevano quelle semplici parole rassicurarlo, farlo sentire più confortato? Come, se a dirle era lui, e non Feliciano?

Sentì la sua mano scapigliargli maggiormente i capelli.

-”Ti sei convinto?”-chiese in tono gentile.

Romano lo guardò perso.

-”...”-sembrò pensarci su-”S... Sì...”-

No, non era convinto, Antonio lo vedeva. Ma, d'altronde, come poteva dargli torto?

 

Si vedeva benissimo che aveva una paura folle. Nei suoi occhi si scorgeva una voglia innata di rinunciare. Eppure c'era qualcosa di diverso in lui, qualcosa che si distingueva dal comportamento dell'altra sera.

Ludwig lo guardò attentamente, anche mentre si guardava allo specchio per giudicare il suo aspetto. Già, diverso, il suo comportamento era così diverso ma così simile a quello dell'altro giorno.

C'era qualcosa di diverso nel suo modo di muoversi, era più leggero, più delicato nei movimenti, quasi stesse compiendo un rito sacro.

Lo vide mentre si sistemava la camicia con una cura maniacale. Anche nella sua voce continuava a esserci, come nell'altra sera, tensione ed ansia ma qualcosa era cambiato. Sembrava quasi si sentisse più calmo. Già, ora che Ludwig lo guardava in silenzio se ne rendeva pienamente conto.

La paura c'era ancora, l'ansia anche, ogni singola emozione provata l'altro giorno, c'era ancora. Il tedesco rispose, al suo voltarsi e sorridergli, con un altrettanto falso sorriso.

La bravura era tutta lì: quella di saper recitare bene, di saper fingere.

E Feliciano, come sapeva bene il biondo, era il re dell'inganno. Sapeva, con una terrificante dolcezza, far vedere solo alcune parti del suo carattere, quelle che preferiva, nascondendo, alle volte, il vero sé stesso. Ludwig lo guardò con una calma da studioso, quasi cercasse di analizzarlo.

Chissà se quel suo modo di fare era inconscio o voluto.

-”Lud,”-lo guardò con una calma spaventosa, Feliciano. Gli sorrise, bellissimo-”vado, ci sentiamo più tardi, ok?”-

Il tedesco non disse nulla, si alzò dalla sua sedia e si avvicinò all'italiano. Lo cinse con dolcezza nella sue braccia, gli baciò la fronte.

-”Buona fortuna...”-gli sorrise appena-”Nervoso...?”-chiese.

L'altro, fisso nei suoi occhi, gli sorrise infantile.

-”No.”-

Ludwig lo strinse più forte a sé, sorridendo appena. L'aveva fatto di nuovo e ciò, doveva ammetterlo, lo feriva un pò. Sospirò, scompigliandogli amorevolmente i capelli.

-”Sicuro?”-chiese, quasi sperando ad una risposta negativa.

-”Certo, perché non dovrei esserlo?”-chiese allegro.

Il silenzio salì leggero e spontaneo mentre i loro corpi erano ancora vicini.

Ludwig sospirò.

Feliciano era decisamente il re dell'inganno.

 

Si videro in lontananza. Da prima, ad attirare l'attenzione di Romano, fu il ciuffo ma, man mano che la figura imbacuccata si avvicinava, più provava timore.

Era lui, ed a pochi metri.

Era come se improvvisamente tutto si fosse fermato, l'unica cosa che era in grado di udire erano i passi di quella figura avvicinarsi.

Come poteva essere arrivato a questo punto?

 

-”Ehi, Roma, giochiamo, ti va?”-

Il bambino lo guardava sorridente, quasi pendendo dalle sue labbra. Romano non sopportava quando lo guardava così. Quello sguardo significava ammirazione e rispetto e, di conseguenza, presa in giro: come poteva provare rispetto di uno come lui? Come poteva provare ammirazione se, proprio il bimbetto piagnucolone, era migliore in tutto rispetto a lui?

 

La prima cosa che riconobbe, appena lo vide meglio, furono gli occhi. Quegli occhi dolci da bimbo, quegli occhi che lo guardavano con amore e rispetto.

Un rispetto di cui non si era mai reso pienamente conto.

Le gambe gli tremavano. Era arrivato il momento, il momento di fare i conti con il passato.

 

-”Gioca con qualcun altro, che vuoi da me, moccioso?”-

-”...”-

La risposta fu un semplice sorriso.

 

Poi riconobbe il volto, così perfettamente ovale e così dolcemente perfetto nei lineamenti, ed il sorriso. Gli occhi gli si appannarono improvvisamente. Com'era cambiato, era un adulto ora. Ma qualcosa del Feliciano bambino era rimasto in lui.

E quel sorriso faceva parte di quel qualcosa.

Il volto del fratello minore si scompose minimamente alla sua vista, almeno non negativamente. Anzi, il suo sorriso sembrava essersi ingrandito. Romano si sentì morire, si sentì aggredito da quelle labbra tirate.

Avrebbe tanto voluto andargli incontro ma sapeva perfettamente che, se lo avesse fatto, le gambe non gli avrebbero retto.

Perciò rimase fermo, attendendolo con angoscia mortale nel cuore.

Feliciano gli si fermò davanti, alto e snello e come lo aveva lasciato. Gli occhi di Romano sembrarono non volersi decidere di collaborare, si passò alla svelta una mano sulla guancia, cancellando le tracce di una piccola lacrima sfuggita al suo controllo, sperando che il fratello non lo avesse notato.

Il minore non disse nulla, si limitò a guardarlo calmo e sorridente. Gli prese le mani e gliele strinse. Il maggiore non riusciva a tenere lo sguardo, quel contatto improvviso lo aveva spiazzato, tanto che, abbassò subito lo sguardo.

-”Cinque anni...”-sussurrò, Feliciano.

Romano si sentì morire.

-”Cinque anni...”-ripeté.

Il ramato fece per aprire bocca e scusarsi nuovamente ma fu zittito dall'abbraccio spontaneo del fratello. Rimase di sasso.

-”...Non sei cambiato per niente, Romano!”-esclamò, con una gioia sorda.

E l'altro si lasciò stringere tra quelle braccia deboli ma così dannatamente forti, ancora incredulo, ancora dolcemente rapito da quella nuova presenza.

-”Per niente!”-scoppiò a ridere. Quella risata, come gli era mancata quella risata-”Sei sempre il mio solito fratellone!”-

A quell'affermazione il cuore di Romano si scaldò.

Avrebbe voluto rispondere, avrebbe voluto dirgli che, invece lui, era cambiato moltissimo ma qualcosa glielo impediva.

Sentì la forza mancargli.

Si era perso tutto. Tutto. Ogni singola cosa che Feliciano poteva donargli della sua vita, lui, se l'era persa. Si era perso la sua adolescenza, si era perso i suoi drammi in amore, che non per forza doveva averli avuti; ma, dopo tutto, tutti gli adolescenti ne hanno avuti.

Si era perso tutto, ogni singola cosa. Avrebbe fatto l'impossibile per poter tornare indietro.

Lo strinse forte a sé.

-”Scusa...”-riuscì solo a dire, tra le lacrime silenziose-”Sono stato così egoista... Devi esserti sentito solo...”-

Ed intanto Feliciano sorrideva, sorrideva e taceva.

-”Non deve essere stato facile... Perdonami se puoi, perdona tuo fratello...”-

Questa volta non vi furono parole di conforto per Romano, come in passato accadeva spesso, no, questa volta no. E ciò fece capire al maggiore quanto, il fratellino, doveva aver sofferto a quel suo abbandonarlo.

Lo strinse ancor più forte, quasi temesse che stesse sognando.

Feliciano lo scostò gentilmente,lo guardò in volto continuando a sorridergli.

-”Ti voglio bene, Roma...”-ed in quella frase intuì tutto il rispetto che nutriva nei suoi confronti.

Le parole di un fratello devoto. Di un fratello che, nonostante il dolore e la delusione, non aveva mai smesso di ammirarlo.

Romano rimase immobile, scioccato ed amareggiato della proprio idiozia. Feliciano lo strinse a sé.

-”... E ti perdono...”-un sussurro.

Un semplice sussurro che sciolse come nulla quel poco dolore che era rimasto di quei cinque anni di buio.

Si riabbracciarono e per la rima volta dopo tanto si ritrovarono davvero vicini, si ritrovarono completi.

Una lieve e stanca rista uscì dalle labbra di Romano, fino a coinvolgere anche il fratello.

Dopo tutto, ci si abbraccia, per ritrovarsi interi.
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Note

Sì, lo so, sono tornata dopo anni, perdonatemi (scusate ma sono stata trascinata in campeggio all'improvviso O.o sono riuscita a pubblicare questo capitolo per pura fortuna)...
Bhè, spero solo che qualcuno a seguirmi sia rimasto, fatemi sapere che ne pensate!
Baci,

Honodetsu:D

  
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