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Autore: Sotalia    03/02/2008    0 recensioni
Un assurdo seguito del settimo libro, un po' amaro e molto intricato. Ho mescolato l'azione all'approfondimento psicologico dei personaggi. Perchè i sogni vivono per sempre...
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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2° CAPITOLO

FUGA

 

Harry si appoggiò alla parete umida e livida della grotta esalando un sospiro di sollievo. Si sfilò la scarpa destra e con due dita tirò via dal piede il calzino intriso di sudore e terra. Aveva due vesciche enormi e perfettamente tondeggianti sulla pianta del piede. Una gli era appena scoppiata.

Harry era cosciente di puzzare. D’altronde, cosa poteva pretendere, considerato che non aveva occasione di lavarsi da giorni? “Gratta e netta...” borbottò puntando la bacchetta contro di sè. Sentì la pelle bruciare come se gli fosse appena stata scartavetrata. Si toccò il volto e se lo sentì rasposo sotto le dita. Quello, in effetti, non era propriamente un incantesimo adatto a un essere umano. Tuttavia, i vestiti erano tornati puliti, anche se l’odore era rimasto. Si trattava di un vago sentore di foglie marce mescolato ad un alone acidulo di sudore.

Girovagava per i boschi da giorni. Si materializzava in posti scelti a casaccio, stupendosi ogni volta della buona riuscita dell’operazione. Concentrazione... piroetta... il fiato sospeso per qualche secondo... sta per scoppiare si sta per spaccare oh no no non posso spaccarmi... la pressione... l’aria. Era sempre con un senso di vertigine che ritornava all’aperto: i polmoni potevano respirare, le membra muoversi. Era un po’ come quando cambiando le marce di una bicicletta da una troppo dura si passa a una troppo morbida, i piedi pedalano a vuoto e il mezzo ondeggia paurosamente mentre si prova un improvviso senso di vuoto sotto di sè. Poi ecco di nuovo la stabilità.

I mangiamorte. Lo avrebbero trovato anche quella volta? Lo inseguivano riuscendo a rintracciarlo nei posti più impensabili. Ancora non aveva capito come ciò potesse essere possibile.

Era cominciato tutto mentre si dirigeva alla riunione del Wizengamot... quanto tempo prima? Avrebbe dovuto parlare di fronte al Consiglio magico a proposito... di cosa? Non riesco a ricordarlo.. non riesco.. non riesco.. non ricordarlo.. non riesco a ricordarlo.. Non lo ricordava.

Colpa della stanchezza, se era così confuso. Il problema era che se non riusciva a pensare per i mangiamorte sarebbe stato molto più facile prenderlo. Doveva concentrarsi e tenere la mente il più possibile presente..

Si era fermato a comprare una brioche in un bar babbano: era ancora presto e il Ministero si trovava di lì a due passi. Nel locale aveva notato due tizi che entravano mentre lui aspettava il caffè.

“Ecco il suo caffè lungo signore”. E allora avevano attaccato.

Un ragazzo aveva gridato mentre la fidanzata veniva colpita da uno Stupeficium diretto a Harry. Josephine. Si chiamava Josephine.

Mentre Harry si lanciava dietro il bancone e urlava un Expelliarmus disperato, le sue orecchie erano piene di quel nome pronunciato con tanta angoscia. “Stupeficium!” gridò di nuovo il mangiamorte più alto. Era un uomo allampanato con un naso talmente lungo che risultava pendulo. Non vogliono uccidermi.. pensò Harry lucidamente. Non se cercano di colpirmi con uno Stupeficium...

In quel mentre il ragazzo, di fronte ai primi segni di ripresa della fidanzata, si era avventato addosso al mangiamorte più basso, tempestandolo di pugni. Era piuttosto ben messo, e nonostante fosse privo dell’aiuto della magia riuscì a stordire l’aggressore prima che potesse reagire. Mentre il mangiamorte si tamponava il naso sanguinante con una manica e sbatteva gli occhietti persi nella fronte troppo ampia, l’altro, quello alto, lanciò freddamente un incantesimo sul giovane.

L’ultima cosa che il ragazzo vide fu il sorriso della fidanzata stranamente illuminato da una luce verde. Aveva voluto fare l’eroe. Aveva voluto proteggere la sua principessa dai due orchi che se la volevano mangiare. La principessa era in salvo adesso sì, ma non aveva più il suo cavaliere e si struggeva di lacrime.

Harry, paonazzo di rabbia, si scaraventò oltre il bancone rinunciando alla sua protezione di legno lucido e plastica trasparente e aveva gridato “Avada kedavra!”. Lo spilungone stava per accasciarsi, sì, sarebbe morto.. lui aveva fatto piangere la povera Josephine. Come..? No! NO! Come era potuto accadere? Il mangiamorte non era stato colpito.. un uomo che cercava di svignarsela era morto sul marciapiede, appena fuori della porta, al posto dell’assassino dal naso pendulo. Il silenzio si fece scioccante, per Harry. Intorno a lui babbani costernati lo fissavano allibiti. Con la coda dell’occhio Harry vide un bambino, un bambino minuscolo, biondo, che si stringeva al seno della madre. “Stupeficium!”. Harry lo schivò e si gettò fuori, per la strada. Tutto si era svolto molto rapidamente e solo allora qualche passante tentava incerto di capire cosa stesse accadendo.

I mangiamorte lo inseguirono rapidamente, ma Harry si era già infilato in un vicolo. I suoi due inseguitori erano impediti dalla piccola folla che si era raccolta fuori del bar.

Harry attese, col cuore in gola. Rumori concitati provenivano dal punto della strada in cui si apriva il locale, ma nessuno sembrava correre verso di lui. In quel momento gli sovvenne un ottenebrante senso di inquietudine in cui si fece strada un’immagine: gli occhi addolorati di Josephine. Lei lo aveva guardato mentre scappava. E anche lui aveva guardato lei. Gli occhi della ragazza erano pieni odio.

Si sentì uno scalpiccio e, d’istinto, Harry girò su se stesso e sparì. Trascorse qualche istante in cui terrorizzato aspettava di ritrovarsi senza qualche parte del proprio corpo. Invece era tutto intero. Era alla Tana. Il posto più stupido per nascondersi, certo. Ma era accaduto tutto talmente in fretta che senza volerlo si era diretto nel posto in cui aveva passato le ultime settimane.

Casa.. casa? Un gratificante senso di familiarità quasi lo commosse. I soliti colori caldi, lo strano orologio che teneva sotto controllo tutti i membri della famiglia Weasley. Fuori della finestra vide uno gnomo strangolare una gallina. Sorrise. L’atmosfera accogliente che pervadeva la casa era corroborante.

Però aveva scoperto di essere in pericolo. Se rimaneva lì avrebbe trascinato tutti nella rovina.. Un pressante senso di urgenza gli fece battere il sangue nelle orecchie. Tremava, si accorse.

Si passò una mano sugli occhi. Non era lucido, non riusciva a pensare.

Corse nella camera che condivideva con Ron. Si guardò intorno solo un momento necessario ad accorgersi che dalle pareti erano spariti i poster dai colori psichedelici dell’amico.

Non ci fece granchè caso e cominciò ad afferrare qualche vestito e degli oggetti che ritenne importanti, per poi gettarli alla rinfusa in uno zaino. Mentre frugava tra la roba sparsa sul suo comodino, si tagliò un dito. Si succhiò il sangue che si gonfiava in una goccia sul polpastrello, e intanto controllò cosa fosse il colpevole. Un pezzo di vetro. Doveva essere un pezzo di specchio, perchè lo rifletteva. Lo prese e lo buttò con noncuranza nel cestino. Ignorò una dolorosa fitta nostalgica che lo prese al petto. Ne ignorava l’origine e non aveva senso, soprattutto in quel momento.

“Harry, che stai facendo?” gli chiese una voce rapida ma leggermente incrinata alle sue spalle. Una voce di donna. Gli era familiare. Si voltò di scatto. Una forma sfocata davanti ai suoi occhi, che poi si ricompose nella ben nota figura adolescente di Hermione. Che sciocco era stato a non riconoscerla immediatamente!

“Herm, scusa, devo andarmene”. Si stava sforzando di mantenere una voce ferma e autoritaria. Anche se lei non avesse voluto dargli retta, lui avrebbe agito di testa sua. Come al solito dunque.

“Andare dove, così all’improvviso?” “Non ne ho la più pallida idea, basta che sia lontano da qui!”. Hermione era sbalordita. Eppure avrebbe dovuto capirlo, conosceva la sua perpetua situazione di braccato. Harry notò che, sopracciglia aggrottate e cipiglio deciso, Hermione stava per aggiungere qualcosa. “No, Herm! Per favore, non ricominciare con questa storia di venire con me! Tu e Ron neanche avreste dovuto saperlo! Questa volta questa cosa la devo affrontare da solo, capisci?” Si voltò e ricominciò a prepararsi. Chiuse le cinghie dello zaino e si girò verso Hermione. La ragazza era molto spaventata. Non si era mossa di un passo da dove si trovava prima, e lo fissava con occhi enormi.

“Ma, Harry, quale cosa?”

“Mi stai prendendo in giro, Herm? Secondo te? Ti dice qualcosa il nome Voldemort?”

La ragazza aprì appena la bocca, poi barcollò verso il letto e si sedette. Prese la mano di Harry e con voce spezzata gli chiese guardandolo negli occhi: “Harry, di che stai parlando?”

Per un istante i due si fissarono, poi Harry si divincolò. La guardò ancora una volta e girò su sè stesso, sparendo.

Hermione si prese la testa fra le mani, poi si precipitò fuori della stanza gridando: “RON!”

  
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