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Autore: I am in love with a train    24/07/2013    4 recensioni
[dalla storia]
"Siamo tutti tesi mentre infila il braccio dentro l’enorme barattolo la prima volta, per poi estrarre il fogliettino con il nome del malcapitato. Lentamente lo apre e con un sorriso annuncia: -il nome del primo tributo di questa settantaquattresima edizione degli Hunger Games è…"
Come promesso, eccomi con una nuova storia! :D *coro di insulti* Questa volta sarà una bike ambientata... *rullo di tamburi* nel primo libro di Hunger Games! :D La trama sarà la stessa, con qualche cambiamento necessario in alcuni punti u.u quindi se amate questo libro tanto quanto lo amo io (*^*) entrate e leggete bella gente! :3
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Tré Cool
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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11-The end is knocking

Billie's P.O.V.


Per tornare indietro impiego più tempo del previsto: mi sembra di aver perso il senso dell’orientamento dopo quello che è successo , come se la vista di tutto quel sangue mi avesse di colpo fatto dimenticare dove mi trovo e perché.

Dopo svariati tentativi di ritornare sui miei passi, scorgo da lontano l’esterno del tetto in pietra della grotta e i cespugli che ne nascondo l’entrata: corro a perdifiato finché non la raggiungo, e con fretta oltrepasso il fogliame. Manca poco che inciampo su Mike, che si era appostato proprio lì dietro, forse in attesa del mio ritorno.

Si volta lentamente verso di me, spalancando occhi e bocca e tendendo le braccia, aspettando solo che io mi getti nel suo abbraccio.

Senza pensarci due volte cado letteralmente nella sua stretta, che da calda e rassicurante presto si trasforma in ansiosa e frenetica, mentre fa scorrere le mani lungo la mia schiena e tra i miei capelli per tentare di farmi alzare il viso dal suo petto e potermi finalmente osservare da vicino.

Alla fine congiunge i palmi a conca sotto il mio mento e di forza mi solleva il capo, ispezionando con lo sguardo ogni centimetro di pelle, e soffermandosi su quel taglio ancora aperto lungo più di metà del mio labbro superiore.

-Chi è stato?- chiede in un sussurro.

-Non è importante ora- rispondo, mentre sento che gli occhi stanno iniziando a riempirsi di lacrime per la seconda volta. Sono troppo sensibile.

-Ho avuto paura quando ho sentito lo sparo. Cazzo, te l’avevo detto che non era sicuro andare!- mi scuote per le spalle, facendomi sentire ancora più piccolo e insignificante di quanto già non sia.

-Mike calmati!- mi porto il dorso di una mano in volto, strofinandolo per asciugare le piccole lacrime che spingono per uscire -sono qui, vivo, non è sufficiente?-

Di colpo mi lascia andare, interrompendo quella stretta che iniziava a farmi male, e indietreggia strisciando sul terreno: ho capito che, no, non gli è sufficiente. È incazzato, gliel’ho si legge in faccia, e, forse, si sente in colpa. In colpa per avermi lasciato andare, ovvio.

-Almeno sei riuscito a prendere quello di cui avevamo bisogno?- incurva la schiena in avanti in un tentativo di sporgersi e afferrare lo zainetto, ma io lo prendo al volo poco prima di lui e lo apro.

Tiro fuori un piccolo contenitore, uguale identico a quello della minestra solo di dimensioni più ridotte, e svito il coperchio: dentro c’è una specie di crema bianca e traslucida, quasi come un gel.

Faccio cenno a Mike di mettersi più vicino e scopro la ferita: immergo due dita dentro il barattolino e ne spalmo un po’ sopra al taglio.

La sensazione non dev’essere delle migliori, perché lo vedo stringere occhi e denti: forse brucia.

Non gliene metto troppa, al massimo se ce ne sarà ancora bisogno ripeterò ciò che ho fatto anche più tardi, o domani. Quando sto per richiudere il tappo, Mike mi ferma, togliendomi tutto dalle mani.

-Aspetta, serve anche a te- mi chino a quattro zampe per terra, e lui fa come ho appena fatto anch’io: prende un po’ di crema, meno di quanta ne ho usata io per lui, e la fa assorbire dalla pelle massaggiando piano la ferita sopra il labbro, mentre io lo ritiro dentro la bocca per tenerlo tirato.

-Così dovrebbe guarire- è serio, né un accenno di sorriso né un pizzico di dolcezza nella voce; piatta, è ancora arrabbiato.

Sussurro un “grazie”, che quasi si soffoca nella mia gola, triste. Mi ritraggo, sedendomi sui talloni, con lo sguardo basso.

Dopo quelli che credo siano dieci minuti, mi ritrovo a giocherellare con qualche sassolino, in ansia perché so che non possiamo trascorrere la giornata senza fare nulla: o ci muoviamo e facciamo succedere qualcosa, o ci scagliano addosso uno dei loro esseri geneticamente modificati e fanno divertire il pubblico. E non credo sia il caso che accada, proprio ora che siamo quasi alla fine.

Fine. Ancora poco e potrò tornare a casa. Mi sembra incredibile; ancora altri tre tributi e potrò dire di essere sopravvissuto agli Hunger Games. Io e Mike saremo i vincitori, ormai ne sono sempre più convinto, e verremo acclamati da tutti. Probabilmente passeremo alla storia come la prima coppia -nei Giochi e nellavita- ad essere uscita viva dall’arena. E in più, proveniamo dal Distretto 12; è circa quindici anni che non vince qualcuno del 12, e tra l’altro l’unico che prima di noi è riuscito ad uscirne è stato Matt. Matthew Sanders, Matt Shadows: insomma lui.

Non ricordo praticamente nulla dei Giochi a cui ha partecipato, credo avessi tre o quattro anni… lui invece ne aveva sedici. Dai racconti che ho sentito in giro -che tra l’altro, credo debbano essere presi con le pinze, spesso tra compaesani ci sono malelingue o incomprensioni che portano al crearsi di puri pettegolezzi, con niente di fondato- pare che sia stato più che altro grazie alla fortuna che ha vinto: il secondo classificato a quell’edizione era morto cadendo per sbaglio in un fiume in piena, affogando. Inoltre, si dice che quando tornò a casa attraversò un periodaccio: i genitori, non sapendo come gestire il suo momento di fama post-Giochi, lo abbandonarono a sé stesso, e lui di conseguenza si isolò nel suo mondo; molti dicono che abbia passato più di due anni senza parlare, ma esprimendosi attraverso gesti o evitando addirittura il contatto umano per non doversi far capire. Alcuni con cui mi è capitato di parlare lo descrivevano come un ragazzino problematico e ora come un uomo pieno di rimorsi e sogni infranti.

A pelle, quando l’ho incontrato la prima volta quelle che credo siano state… due settimane fa? No, molto meno, mi è sembrato un tipo scontroso, e… sì, ammetto che se solo penso a quella specie d’armadio a due ante che è mi viene la tremarella. Non credo farei grandi affari a farlo arrabbiare.

Di colpo mi risveglio da questi miei ragionamenti, e mi volto ad osservare di sottecchi Mike.

Sospiro e silenziosamente mi avvicino gattonando verso di lui, appropriandomi senza chiedere del suo braccio, accoccolandomi al suo fianco.

-Mike… perché continui ad essere arrabbiato? Sono tornato sano e salvo, e il bastardo che ha tentato di uccidermi è morto. Non ti devi più preoccupare, non è successo nulla ed è bene che sia così, no?-

-Sì… hai ragione… scusami- ammette, puntando i suoi occhi nei miei.

-E di cosa? Dai, ora non pensiamoci più…- concludo, abbracciandolo e sorridendo come un ebete.

Mike annuisce, e appoggia il mento sui miei capelli; subito dopo, però, si allontana, dicendomi di restare lì, raggiungendo gli zaini: ne tira fuori uno dei pugnali, e torna da me.

Non capisco cosa voglia farne di quel coltello, ma per ora l’importante è che non gli venga in mente di piantarmelo nello stomaco: anche perché, alla fine, non ne avrebbe motivo.

Si risistema nella stessa posizione di prima, tirandomi a sé e accarezzandomi sovrappensiero un braccio; io lentamente e senza accorgermene chiudo le palpebre, cadendo in un sonno tranquillo e privo di sogni.

Mike’s P.O.V.

Sento il respiro di Billie appesantirsi, segno che si è addormentato.

Resto un po’ a vegliare su di lui, stando attento a ogni minimo fruscio che sento provenire dall’esterno e nel frattempo osservando le sue palpebre che ogni tanto pigre vibrano sotto il movimento degli occhi, ma alla fine anch’io mi lascio andare tra le braccio di Morfeo.

Quando mi sveglio, non ho idea di che ore possano essere, ma molto probabilmente è pomeriggio; fuori c’è ancora il sole, quindi di sicuro non è tardi.

Non posso muovermi, Billie è praticamente accasciato su di me; non tento neanche di sfilarmi dalla sua stretta, perché sarebbe inutile.

Mi ricordo il perché di quella piccola sosta, e sposto il tessuto squarciato dei pantaloni, notando con mia grande sorpresa che del brutto taglio è rimasto solo un piccolo segno rosa, che quasi non fa più male.

Incredibile. Ma… che cos’era quella cosa che ci hanno dato? Mai visto un cicatrizzante agire così in fretta. A Capitol City hanno medicinali molto strani.

Curioso, alzo delicatamente il viso di Billie, appoggiato sul mio petto: anche della sua ferita non è rimasto quasi più nulla, una piccola ombra e un’increspatura della pelle al tatto, niente di più.

Mentre passo un pollice sopra quella lineetta, sento due occhi puntarsi su di me: alzo lo sguardo e incontro il suo, smeraldo e mezzo assonnato.

-È guarita?- biascica con la voce impastata.

-Non si vede quasi più- sembra contento, o fiero, e barcollante si alza; mi porge entrambe le mani, invitandomi a mettermi in piedi dopo ormai una giornata o più che non lo faccio.

Congiungo i suoi palmi con i miei, tirandomi su con la sola forza delle braccia: non ho ancora il coraggio di appoggiare il peso sulle gambe.

Quando sono finalmente in posizione eretta, constato con stupore che il dolore è scomparso, a meno che non cammini, perché allora sento come se qualcuno mi stesse schiacciando i nervi contro la rotula; ma per quanto poco piacevole possa essere, è decisamente sopportabile.

Solo che questo dolore mi mette in all’erta, poiché potrebbe darsi che la ferita in superficie sia guarita, ma all’interno ci sia qualcosa di lesionato.

In ogni caso, non ho tempo per pensarci ora, anzi, anche se così fosse non potrei farci proprio nulla.

Decidiamo di andarcene di qua ora che sono in forze: prendiamo uno zaino ciascuno, Billie raccoglie il suo arco e le frecce, e cominciamo a perlustrare la foresta, essenzialmente alla ricerca di una fonte d’acqua (che comunque, non deve essere molto lontana) e cercando di mantenerci alla larga dai tributi rimasti.

Mi sento tanto un idiota, perché nonostante stiamo cercando di fare il meno rumore possibile, io continuo a strascicare leggermente la gamba dolorante tra le foglie secche, facendo un casino immane in mezzo a quel silenzio di tomba. Se ci scoprono, sarà tutta colpa mia.

Billie di colpo mi ferma, chinandosi verso un cespuglio: raccoglie delle bacche, sono nere e assomigliano molto ai mirtilli.

-Guarda: Morsi della Notte- mi dice, mostrandomi ciò che ha trovato.

-Uhm… cosa c’è di così tanto speciale?-

-Sono bacche velenose- sussurra, come per paura di venir sentito.

-E tu a che scopo vuoi portarti a dietro delle bacche velenose?- aggiungo sconcertato.

-Per l’evenienza…- sorride malizioso, lasciando in sospeso nell’aria qualcos’altro, un qualcosa che non vuole dire; oh beh, lo scoprirò prima o poi…

Proseguiamo ancora un po’, ma alla fine, quando il sole sta iniziando a calare, troviamo un posto per accamparci: accendiamo un fuocherello e ci buttiamo a cuocere la sorta di piccione catturato da Billie oggi, e “ceniamo” con quello.

Mentre aspettiamo che le ultime fiammelle si spengano e ci beiamo ancora per un po’ del loro tepore, Billie si allontana con uno zaino, non prima di averlo svuotato, e torna indietro senza.

Non gli chiedo il perché di quel gesto, non ho la forza di stare a dietro alla sua mente contorta; piuttosto, mi volto verso di lui, con una domanda che spinge in gola pregando di essere risolta, e ci osserviamo.

-Billie… quando usciremo di qui… saremo- insomma, saremo amici…?- domando, acutizzando leggermente le ultime vocali per far intuire un continuo.

-Certo, Mike. Cosa credi, che una volta usciti di qui ti abbandonerò? Io… cioè, se vuoi essere mio amico ok…- risponde; noto una punta di delusione nelle sue parole, so benissimo il perché.

-Ma tu vuoi, uhm, essere mio amico?- ci sono attimi di imbarazzante silenzio dopo quello che ho detto, durante i quali Billie fissa assente un punto indefinito di fronte a sé.

-Mike… tuo amico? A esser sincero io non voglio essere tuo amico- afferma convinto, con un pizzico di rabbia nella voce -a me piacerebbeandare oltre la semplice amicizia, pensavo si fosse già capito…-

Tossicchia, concedendosi di guardami dritto negli occhi.

Billie caro, io credevo si fosse già capito che anche a me non dispiacerebbe provarci. Noi due, no? Non ci vedo nulla di male.

Resto zitto, non so che dire. Questo ragazzo riesce sempre a lasciarmi senza parole con cui controbattere, facendomi fare la figura del povero scemo.

-Poi, non so se tu vuoi…- conclude infine.

-Ovvio, Billie. Non credo ci sia neanche da chiederlo-

Bene, ora non so che fare. Forse io… forse dovrei baciarlo? Onestamente non so, sono piuttosto timido sotto questo aspetto.

Mi faccio più vicino a lui, circondandogli le spalle con un braccio, ma tenendo comunque il suo viso di fronte al mio, in modo da poterlo osservare.

Lui mi scruta con uno sguardo indifeso, come a volermi dire “sono alla tua mercé”; non me lo sarei mai immaginato, ma è un ragazzo davvero fragile, cresciuto troppo in fretta e ora alla costante ricerca di affetto. I suoi occhi ne sono una prova.

Inconsciamente mi avvicino, facendo appena sfiorare le nostre labbra: peccato che lo sparo che annuncia un nuovo caduto ci desti, riportandoci alla realtà.

Proprio pochi secondi dopo parte la sigla introduttiva alle foto dei morti di oggi; dal Distretto 2 Dominic Howards, e dal 5 Mikey Way.

Rimango qualche secondo a bocca spalancata, non sapendo se rallegrarmi sapendo di essere ad un passo più vicino alla fine dei Giochi, o dispiacermi per Mikey e tentare di immedesimarmi in Gerard, il nostro stilista, che molto probabilmente ora starà piangendo per il suo fratellino.

Sento Billie irrigidirsi, ma poi d’improvviso un sorriso spunta sul suo volto.

-La trappola allora ha funzionato… Mike veloce vieni!- di colpo si alza e si mette a correre trascinandomi via con lui, fino a raggiungere, sì, il corpo senza vita di Mikey. Non l’hanno ancora portato via.

Billie inizia a maneggiare con qualcosa sotto la sua maglietta e dietro al collo, e slega un ciondolo dorato, a forma di fulmine, ben fatto.

Tentenna qualche secondo tenendolo a mezzaria, un’estremità del cordoncino in ogni mano, e poi si china, riannodandolo alla bell’è meglio al collo pallido di Mikey.

-Ti rendo ciò che ti spettava, fai buon viaggio- pronuncia questa frase rialzandosi, senza che io possa capirne il significato.

Silenziosamente indietreggiamo e torniamo indietro, sui nostri passi.

A pensarci sembra incredibile, ma solo due tributi ci separano dal tornare a casa ora.
  









Ehm, rieccomi. Sì, ho fatto morire Mikey ç.ç non ho parlato molto di lui in questa storia ma mi dispiace lo stesso ç.ç
Eh boh. La mia mente non ha la forza di formulare pensieri riguardanti il capitolo. Quindi evito di scassarvi le palle e me ne vado.
Prima però voglio ringraziare tutti, tutti voi, dal primo all'ultimo. Chi solo legge, chi ha messo la storia tra le preferite, chi tra le seguite e chi recensisce. Voi ultimi poi, mi riempite di complimenti ad ogni capitolo che sento di non meritarmi ç.ç grazie a tutti *W*
Ah sì, giusto.
Il titolo :3
In questi giorni mi sono fissata con gli Avenged Sevenfold, e anche questa volta la canzone da cui è preso è loro :3 è Lost -> http://www.youtube.com/watch?v=_VUrskFjfhc 
Bene non ho più altro da dire :3
Quindi, alla prossima! E beh... ci vediamo alle recensioni :3
Bye!
  
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