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Autore: emanuele0933    24/07/2013    2 recensioni
Quest'opera parla delle avventure di un ipotetico me stesso che dovrà affrontare i famosi 7 anni ad Hogwarts. Il progetto è un'opera abbastanza lunga e complessa, dato che percorrerà tutti gli anni accademici, perciò come lunghezza sarà paragonabile (più o meno) a quella creata da J.K. Rowling stessa.
E' mia intenzione essere il più preciso possibile e non lasciare mai nulla al caso, perciò i primi capitoli presenteranno parecchie situazioni abbastanza criptiche che verranno svelate solamente in seguito e, naturalmente, aggiungerò parecchi personaggi e luoghi inediti, di mia completa invenzione.
E' consigliabile leggere le 'Note dell'Autore' all'inizio del primo capitolo.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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“Ricordati di usare il Logos Comprehendi non appena ti alzi!”

Questo recitava il post-it lasciatomi da ser Richard sulla porta. Ormai non ce n’era più bisogno, mi veniva automatico, ma per i primi giorni se non fosse stato per quel foglietto probabilmente avrei chiesto la colazione in una lingua che in tutta la locanda conoscevo solo io.

Era quasi passato un mese ormai, settembre stava per arrivare e con esso anche l’inizio del mio primo anno scolastico ad Hogwarts. E soprattutto al Paiolo Magico la cosa si notava. Il locale che da silenzioso, quasi lugubre, divenne una specie di stalla con bambini che correvano e urlavano di qua, cameriere che passavano l’aspirapolvere di là e gatti, gufi, civette e topi che infestavano ogni centimetro quadrato della sala principale. Per fortuna tutto quello che dovevo conoscere sulle misure inglesi, sulla storia e l’architettura di Hogwarts e sulla mitologia magica l’imparai nelle settimane precedenti, altrimenti con tutto quel baccano sarebbe stato praticamente impossibile, anche dopo che il mio tutore tentò di applicare un incantesimo insonorizzante sull’uscio della mia camera.

 

-Muffliato!

Un velo impalpabile coprì l’intera superficie della mia stanza, per poi sparire una volta ancoratosi alle pareti.

-Ecco, ora non dovresti più sentir nulla. Puoi dormire e leggere in tutta tranquillità.

In un certo senso era vero, dei rumori che provenivano da fuori non ne arrivava più neanche uno, ma in compenso ognuno di quei suoni, anche il più flebile, si trasformò in un piccolo ronzio che, sommandosi agli altri, creò una maglia sonica insopportabile.

-Accidenti, annulliamo tutto che è meglio. Son bastati due secondi a farmi scoppiare la testa. Mi dispiace ma temo dovrai convivere con questo trambusto. Comunque ti servirà come allenamento per la scuola, non credere sarà un posto più silenzioso di questo. Anche se lì, con molta probabilità, anche tu sarai partecipe della baraonda.

 

E così passai gli ultimi quattro giorni nella confusione più totale, tanto che alla fine di ogni giornata mi buttavo a letto distrutto, senza la forza di prendere mezzo libro e di esercitarmi con l’inglese.

Quel giorno però era particolarmente chiassoso: una famiglia che dire larga è dir poco, era arrivata la sera prima e adesso stava facendo colazione di sotto; una dozzina di teste rossicce che ridevano, si punzecchiavano e gridavano per ogni minima cosa stavano infestando il tavolo grande.

-Grattastinchi torna qui! No, non seguire quel cerca guai di un topo! Ronald, vuoi tenere rinchiuso Crosta? Sta facendo impazzire il mio gatto!

-Ma perché non rinchiudi tu il tuo gatto? Che più che gatto dovrei chiamarlo paffutolo, guarda quant’è grasso!

-E’ la specie che è più pienotta delle altre, lo sai, il mio Grattastinchi non è affatto grasso. E’ in perfetta forma per la sua razza.

-Sarà, ma non ho mai visto un gatto che non riesce nemmeno a passare da sotto il tavolo visto che s’incastra sempre. Eheheh!

Questi erano più o meno i discorsi che si sentivano ogni mattina appena alzati. In quello specifico caso si trattava di due dei ragazzi di quella famiglia ultra chiassosa. Il loro battibecco era iniziato nel corridoio e si protrasse fino ai tavoli, dove il ragazzo di nome Ronald, evidentemente proprietario del topo in questione, si sedette e mangiò non curandosi più di quello che sua sorella borbottava.

La stanza era gremita di gente e gli unici due posti liberi erano o accanto quel tipo, o vicino la finestra alla destra della porta di ingresso. Mi stavo dirigendo senza indugio in quest’ultima direzione, quando il mago che sedeva nel posto di fronte a dove avrei voluto collocarmi, allungò i piedi e li poggiò sulla sedia, occupandola.

Beh, stia comodo...

Non mi restò che prender posto proprio dove non avrei voluto.

-Ehm, permesso? E’ libero?

-Mpff!

Fu quello che uscì dalla bocca strapiena del ragazzo. Mi voltai allora verso suo padre che occupava il posto a destra, ma era impegnato ad argomentare con Tom su non so cosa.

-Quello che Ron voleva maleducatamente dire è che il posto è libero, puoi sederti.

Sua sorella mi invitò a sedermi e lanciò un’occhiataccia a Ron.

-Che c’è, stavo mangiando! Non si mangia a bocca piena, quante volte me lo hai detto?

-Si, ma almeno avresti potuto farti capire a gesti.

La fame mi era passata, anzi era da una settimana che non avevo proprio voglia di scendere di sotto, esattamente da quando il teatrino aveva montato le tende.

Dopo neanche cinque secondi dal mio insediamento, Ron estrasse una foto dalla tasca e me la schiaffò davanti.

-Guarda, siamo noi in Egitto, ti piace? Io avevo un maglione di lana, può sembrare strano visto che eravamo in un deserto, ma non portava più caldo di una comunissima T-shirt. Tu ci sei stato in Egitto? Lo conosci? Ti piace? E’ pieno di mummie e cose antiche, c’è la storia lì...

-Si, si, mi piace, non ci sono mai stato però...

-Eh lo so, ci vogliono un sacco di soldi per permettersi il viaggio, nemmeno noi ce lo saremmo potuti permettere, ma per fortuna mio padre ha fatto una vincita e... ed eccoci lì, tra le piramidi e le Spingi.

-Sfingi Ron, non Spingi. E poi la Sfinge è una sola, non usare il plurale che ti rendi ridicolo nonché ignorante.

-Ma tu guarda questa... Che figure mi fai fare?

Dovevo interrompere immediatamente la diatriba.

-Ehm, come dicevo, non ci sono mai stato, ma a casa ho la collezione di videocassette che mostrano i luoghi più famosi, tipo la piramide di Cheope che...

-La collezione di che?!?

Accidenti, dimentico sempre che questa è tutta roba che loro non conoscono...

-Ho sentito che parlate di videocassette babbane, Laurence dell’ufficio manufatti babbani me ne parlava giusto il mese scorso, di come questi supporti magnetici stanno letteralmente cambiando la vita della gente comune, tu che ne sai ragazzo? Ah, a proposito, Arthur Weasley, piacere.

Il padre dei ragazzi che si intromise nella conversazione mi tese la mano, che strinsi, nonostante la posizione tutt’altro che comoda.

-Beh, ecco, ha presente i film?

Ti prego, almeno questo...

-Arthur! Cosa gli stai chiedendo? Qualcosa che ha a che fare con i babbani, non è vero? Siamo ancora in vacanza, perciò smettitela!

Questa invece era evidentemente la madre della combriccola, nonché moglie di quel tipo allampanato che nemmeno conosceva cosa fossero le videocassette. Era abbastanza robusta a dispetto della corporatura del resto della famiglia.

-Oh, Hermione cara, cosa ci fai anche tu qui? Non ti avevo vista, sono stata in camera fino ad ora...

-Benissimo, signora Weasley, non sa che sorpresa vedervi qui in anticipo anche voi, avevo il timore di dover passare quasi una settimana da sola, visto che i miei son dovuti partire per lavoro.

-Visto? Sembrerebbe siamo destinati a rimanere sempre insieme, vero Ron?

-Già, che per tutto il viaggio non ha fatto altro che piagnucolare sul fatto che Hermione non fosse con lui.

Due ragazzi più grandi identici nell’aspetto sbucarono da dietro una colonna, parlando a turni e completandosi la frase a vicenda, sincronizzati alla perfezione; alla Qui, Quo e Qua, praticamente.

-Splutt!

Ron sputò per intero il succo che aveva sorseggiato.

-Non, è andata così, non stavo piagnucolando, costatavo un fatto e non volevo ci fosse solo Hermione, se dovete raccontarle le cose fatelo bene, volevo anche Harry a farmi compagnia!

-Fatto sta che sei diventato rosso lo stesso, come mai?

-E basta voi due, lo state mettendo troppo in imbarazzo, vieni Arthur, non riusciamo a trovare da nessuna parte la spazzola di Ginny.

-Andiamo pure noi Fred, altrimenti nostro fratello ci annoierà ancora con quella sua stupida foto.

-Si, non me lo faccio ripetere due volte... Ehi, guarda! Un piccione! A lui non gliel’hai ancora mostrata, presto prima che se ne va, spaventalo con la storia di Tutankhamon!

-Bah, basta, non si può mangiare così, me ne vado!

Restò solamente la ragazza di nome Hermione, che fino a pochi istanti prima credevo erroneamente facesse parte della famigliola felice.

-Beh, ecco, scusaci.

Imbarazzata, si alzò anche lei e se ne andò. Finalmente era da solo, o meglio, c’era ancora un sacco di gente, anche di fronte a me, ma non nelle immediate vicinanze e comunque nessuno che mi importunava. Anche se in ogni modo la fame non voleva saperne di tornare, complice il rigurgito di succo d’arancia che gocciolava dal tavolo.

-Buone notizie, ragazzo! Accidenti che confusione oggi...

Ser Richard, appena entrato nella locanda, venne verso di me sventagliando una pergamena motivo della sua felicità.

-Questa qui è la richiesta firmata dei tuoi genitori di aprire un conto corrente alla banca dei maghi: la Gringott! E guarda questo sigillo? E’ stata finalmente accettata! Possiamo aprire il conto oggi stesso, perciò finisci lì che andiamo subito ad aprire il conto. Non mi dire, hai già finito? Bene allora, andiamo!

Finalmente stavo per uscire da quel tugurio, sembrava quasi che fossi stato messo in prigionia.

-Scusa per questo enorme ritardo, solitamente aprire un nuovo conto non richiede tutto questo tempo, è che in Europa sta cambiando la moneta corrente ed i folletti si devono regolare di conseguenza...

-Folletti? Di nuovo quelli...

-No no, altri ovviamente. Chiamali Goblin se vuoi, ma a loro non piace, ti avverto. Scusami...

Eravamo nel retro della locanda, dove Tom, o chi per lui, gettava la spazzatura nei bidoni di latta, ovviamente il cortile era chiuso da una muraglia in pietra e dove stavamo andando, solo il mio tutore lo sapeva.

Toc! Toc! Tac!

Con la punta della sua bacchetta, ser Uppercut bussò tre volte su un mattone della parete che circondava il cortiletto, come se stesse usando un codice segreto.

-Stai a guardare!

Improvvisamente il muro prese a vibrare ed i suoi mattoni iniziarono a roteare, in modo che la parte più larga divenisse perpendicolare al muro per occupare meno spazio, rivelando quindi un passaggio.

-Che te ne pare? Benvenuto a Diagon Alley!

Ser Uppercut aveva tutte le ragioni di questo mondo per sentirsi soddisfatto nel mostrarmi quel luogo: era come se si fosse aperto un mondo nuovo per me: negozi a destra, boutique a sinistra, gente che faceva i propri acquisti e poi questi li seguivano autonomamente, bambini che si tiravano palline fumogene e gatti, gufi e pipistrelli che in coro accompagnavano il via vai frenetico di quelle persone. Era esattamente come il paiolo magico in quei giorni di delirio, ma la bellezza del posto faceva apparire anche quella confusione come parte di un’opera d’arte.

-Avrai modo di guardare tutto più attentamente più tardi e nei giorni a venire, ora dobbiamo sbrigarci ad andare alla banca e prelevare qualche soldino, non vuoi finalmente la tua bacchetta? Seguimi, dobbiamo andare sempre dritto, e non distrarti!

Facile a dirsi ma impossibile a farsi: come si faceva a non fermarsi ad osservare imbambolati ogni singolo negozio del vialetto? I primi negozi erano anche quelli più affollati: una libreria chiamata Il Ghirigoro alla sinistra e una lussuosa gelateria di un certo Florian Fortebraccio a destra. La vista di quei gelati e della gente che se li gustava, mi fece rinascere la fame come per magia.

Accidenti, se avessi saputo dell’esistenza di questa gelateria a due passi dalla locanda altro che cappone bollito...

-Dai non perdere tempo, ti ho detto che poi giriamo per tutto il tempo che vorrai.

Fu una tortura insostenibile, ad ogni passo che facevo, c’erano due o tre negozi potenzialmente meravigliosi da ammirare e sbavarci davanti le vetrine: empori di cianfrusaglie, negozi di modellini e merchandise griffati, una rivendita di scherzi e gadget esilaranti, una bottega colma di ingredienti assurdi e addirittura un lercissimo venditore ambulante di collanine e poltrone sconquassate che quasi stonava con l’ambiente abbastanza pulito ed ordinato, per quanta pulizia ci possa essere in una strada dove erano esposti gli animali più strambi ed esotici dell’universo.

-Lo so, è dura ma stiamo arrivando; guarda lì compreremo la tua prima bacchetta e lì invece la divisa che indosserai ad Hogwarts, almeno fin quando ti entrerà.

Mi indicò due negozi l’uno di fronte all’altro: il primo si chiamava Da Olivander ed era presumibilmente quello dove avrei acquistato la bacchetta, dato che l’altro, Madama Mc Clan – Indumenti per ogni occasione, era chiaramente il luogo dove avrei acquistato la divisa. Tanto elegante, sopraffino e con una vetrina coreografica il secondo, quanto grezzo, anonimo e per nulla invitante il primo, ancor più dal fatto che sembrasse chiuso, date le persiane abbassate.

 

-Arrivati!

Ser Richard si fermò di colpo indicandomi con gli occhi di guardare di fronte: potrà sembrare strano, ma l’unica direzione a cui non prestavo la minima attenzione era proprio quella dinanzi a noi, ero troppo preso da ciò che si vedeva dalle viste laterali.

-La Gringott, la più grande ed antica banca dei maghi di tutta l’Inghilterra! Osservala nel suo antico splendore!

Di splendente non aveva nulla, era anzi tristemente pendente verso destra fino ad un’altezza di quattro o cinque metri, per poi pendere nella direzione opposta, sarà stata opera di un incantesimo edificatore non propriamente riuscito. Per non parlare poi dei muri e delle colonne che dal bianco originario ormai erano divenute color panna per via della sporcizia accumulata nel tempo, o del grosso portale in bronzo che ormai era completamente annerito; la parola manutenzione non sapevano proprio cosa significasse evidentemente. Di contro però dovevo ammettere che era un edificio davvero imponente e mostrava una certa maestosità e serietà, se si fosse immaginato lucido e splendente come sarebbe dovuto essere.

-Mi raccomando, ora entreremo, non fare domande, non fissare nessuno, non stare troppo indietro, né mi devi precedere, insomma fai esattamente quello che faccio io, qui sono molto severi e a rigettare la nostra richiesta nonostante l’approvazione non ci metterebbero nulla.

Così mi tenni incollato al fianco del mio tutore ed evitai al massimo il contatto visivo con chiunque incontrassi dentro e fuori l’edificio, siano esse persone o folletti, anche se quest’ultimi furono particolarmente difficili da ignorare. Decisi allora di osservare il soffitto per evitare di cadere in tentazione,  non credevo qualcuno si fosse in qualche modo offeso se avessi fissato il tetto a volta o gli enormi lampadari. Lampadari che erano di dimensioni veramente colossali: più di duecento cristalli su ognuno di essi, che, per un qualche sortilegio emettevano luce, con quintali di ragnatele e polvere appiccicate ad ogni singola faccia, rendendo difatti la sala molto meno luminosa di quanto sarebbe dovuta essere.

La volta era a sua volta altissima, non so per quale motivo, ma tra noi ed il soffitto c’erano almeno quindici metri di distanza, che mi impedivano di vedere nel dettaglio gli affreschi che lo permeavano.

Il mio sguardo successivamente cadde inesorabilmente sul pavimento, visto che in alto le poche cose da vedere non erano poi un così grande spettacolo e mi misi a contare le mattonelle nere e quelle bianche, per vedere quale dei due colori “vinceva” sull’altro. Il risultato fu una mia mezza caduta per via della cera scivolosissima che avevano passato sul marmo, e quindi decisi di smetterla coi conteggi.

Ma che diamine, è tutto sporchissimo e l’unica cosa che puliscono è il pavimento per far scivolare i clienti?

In realtà non era affatto vero, alzando finalmente lo sguardo ad un’altezza più congrua, notai che i lunghi banconi di legno posti ai lati della sala dove lavoravano questi folletti erano tutti lindi e lucenti, mentre gli stessi impiegati, siano essi umani o goblin, avevano indosso un’uniforme impeccabile senza nemmeno una piega. I carrelli portavalori poi, erano scintillanti nonostante il metallo di cui erano composti sia rinomato per la facilità con cui si arrugginisce.

-Buona giornata, sono ser Richard Uppercut, impiegato numero 93012 del Ministero della Magia Britannico, capo divisione dell’ufficio relazioni internazionali. Mi presento qui oggi in veste di tutore e responsabile dell’ anch’egli qui presente giovane Emanuele Maria Burgio, il quale desidera aprire un conto presso il Vostro istituto di credito bancario, la società Gringott’s Wizardry Bank. Ho il permesso nonché la richiesta firmata dei reali genitori del ragazzo, con il sigillo del vostro ufficio cancelleria il quale ha varato il consenso a tale domanda. Siamo qui invero per la parte conclusiva di tale procedura, con l’apertura e la convalida del conto corrente monetario e del suo primo versamento, oltre che di un piccolo prelievo.

Recitando in maniera impeccabile quella lunga sequela di ricercate espressioni, il mio tutore aveva dimostrato non solo tutta la sua competenza e concentrazione, dato che in sottofondo c’erano migliaia di timbri che battevano all’unisono, ma anche il fatto di conoscere il mio ridicolo secondo nome tutt’altro che maschile, cosa che avrei assolutamente voluto evitare finisse anche ad Hogwarts, dato che in passato non mi aveva portato altro che offese gratuite.

-Molto bene, il documento.

Non appena ser Uppercut gli passò il rotolo di pergamena, il folletto si rivolse a me indicando alcuni termini del testo:

-Confermi ciò che dice il signore? Tu sei effettivamente colui la cui identità corrisponde ai dati descritti in questa dichiarazione? Lo giuri?

Dato che si stava riferendo a me, ed ero libero di guardarlo in volto, non mi lasciai sfuggire l’occasione di fargli una fotografia mentale. Non avevano nulla a che vedere coi folletti infestanti del Paiolo Magico, questi erano molto più simili agli uomini nella corporatura; certo, bassi e squadrati, ma non erano molto diversi da un uomo particolarmente tozzo e con qualche problema di crescita. Ciò che li differenziava maggiormente era la generale acutezza di alcuni lineamenti del viso come naso, labbra e orecchie, nonché la loro smisurata lunghezza. Era inoltre evidente che ai folletti più anziani la cartilagine di queste parti tendeva a cedere favorendo l’azione della gravità, che le incurvava facendole spesso e volentieri prendere traiettorie a dir poco “uncinanti”; ed il mio interlocutore era proprio quello col naso ed orecchie più cascanti, tant’è che a bocca chiusa la punta del suo naso arrivava a toccare la linea del mento, mentre le orecchie arrivavano pure più in giù, perdendosi tra i risvolti della giacca e della camicia. Discorso inverso per la peluria che, invece, era molto più folta nei volti dei folletti più giovani, mentre al funzionario che mi aveva rivolto la parola non erano rimasti che quattro peli sulle sopracciglia e un paio di capelli sulla testa ormai totalmente pelata.

-Allora?

Accidenti, l’ho fissato troppo a lungo...

-Si, si, sono io, lo giuro.

-Molto bene, seguite il collega che vi scorterà dal Mastro Forgiatore. E ritenete questo. Bongi, vieni qui per favore.

Mentre ser Richard riprendeva il documento un altro folletto, molto più giovane e leggermente più alto si avvicinò.

-Sì?

-Accompagna i signori dal Mastro Forgiatore, devono aprire un conto.

-Certo, seguitemi.

Seguendo Bongi attraversammo l’enorme portone in bronzo che separava la hall principale dalla sala dei documenti e gli accessi ai caveau. Quel portone era sì più basso di quello principale, ma decisamente più spesso, proprio per indicare l’importanza di ciò che celava al suo interno; anche i cassetti dei portadocumenti erano blindati, mentre altri avevano perfino grossi catenacci a bloccare qualsiasi pensiero di furto da parte di sprovveduti malintenzionati. Anche se alla fine tutti quei cassetti contenevano solo scartoffie.

Durante il lungo tragitto immerso tra quelle pile di scaffali e casseforti, rischiai di cadere almeno altre tre volte per via del pavimento esageratamente scivoloso, l’unica consolazione che ebbi fu il vedere il mio tutore nelle mie stesse disagiate condizioni: infatti anche lui prese un paio di scivoloni, ma per fortuna nessuno dei due fece la magra figura di cadere col sedere a terra. Bongi e tutti gli altri dipendenti, invece, si muovevano perfettamente su quel pavimento infernale: non so come, ma riuscivano ad avanzare nonostante non alzassero i piedi da terra, o meglio,  non li muovevano affatto; giusto scivolavano e basta, come se fossero stati spinti da una forza invisibile. Giunti alla porta del terzo caveau però notai un anziano folletto che, piegato su se stesso, passava ancora cera da tutte le parti.

-Scusi la domanda, signor Bongi, ma il pavimento non è già abbastanza lucido? Non per qualcosa, sia chiaro, ma è così scivoloso che rischiamo di cadere e farci male davvero.

-Lo so.

Bongi rispose senza voltarsi, continuando la sua marcia.

-E’ voluto, infatti. Non è certo un segreto che una delle nostre migliori tecniche difensive contro i ladri è proprio questa. Nessuno tranne noi folletti impiegati in quest’istituto siamo in grado di avanzare senza alzare le piante dei piedi, nessuno. E se qualcuno fa un po’ troppo rumore quel qualcuno non è sicuramente un folletto. E se non è un folletto deve essere accompagnato da un dipendente ed avere un buon motivo per essere qua, come voi due del resto. Inoltre se a qualche furbo venisse la malsana idea di farsi passare per uno di noi, la sua andatura certamente lo tradirà. Tecnica semplice ma infallibile, non è d’accordo? Seguitemi, siamo quasi arrivati, subito dopo quella scrivania alla vostra destra.

-Ti prego, basta domande o si indisporranno.

Ser Richard mi supplicò ti tener chiusa la bocca, bisbigliandomi all’orecchio quella frase che a causa di uno strano rumore metallico non compresi appieno. Più ci avvicinavamo allo scrittoio più quel rumore assordante di martellate sul metallo si faceva vivo e, superata l’immensa porta blindata che accedeva alla grotta, ne fu chiara la sorgente. Nonostante in quel luogo tutti i blindati erano imponenti, la porta di forma circolare che superammo in quel momento era tutt’altra cosa: alta e larga almeno tre metri, era spessa circa quattro volte il volume di un uomo e tutta completamente d’acciaio nero. Il perché di quelle dimensioni mastodontiche mi sembrò evidente una volta entrato: la figura di un enorme gigante, che indossava solamente un enorme grembiule di cuoio e che maneggiava enormi arnesi che faceva entrare ed uscire periodicamente da un enorme forgia emerse dalla penombra nata dal contrasto delle fiamme col buio più profondo che permeava quell’ambiente.

I-il maestro forgiatore...

-Mumkhar, la numero 1991, prego.

Il folletto tese la sua piccola mano, come se stesse attendendo qualcosa. Il gigante sentendo quelle parole si allontanò sparendo dietro un muro di fumo ed ombre e al suo ritorno allungò il suo possente braccio verso Bongi. Sembrava volesse stritolarlo, invece poggiò con delicatezza una piccola chiave nera sulla mano del folletto che a sua volta la consegnò al mio tutore indicandogli di farla toccare pure a me e quindi di riconsegnarla.

-In questo modo solamente chi è presente oggi in questa sala sarà in grado di toccare questa chiave, tutti gli altri ne verrebbero irrimediabilmente ustionati. Da questo momento sono ufficialmente il vostro Referente Autorizzato del vostro conto, signori. Se avrete necessità di consegnare la chiave a qualcun altro o vorrete cambiare Referente, dovrete fare una formale richiesta scritta, grazie alla quale ripeteremo quest’operazione per registrare chiunque debba venirne a contatto, prego Mumkhar.

Il colosso afferrò la chiave lasciatagli sul banco da Bongi ed incominciò a colpirla con spaventosa potenza utilizzando un maglio infuocato: il solo frastuono di quei colpi faceva tremare tutti gli utensili appesi alle pareti della grotta.

-E’ l’orientale acciaio Kachiin, utilizzato fin dall’antichità dagli alchimisti per la sua indistruttibilità anche contro gli incantesimi più potenti: solo un gigante armaiolo ha la forza per forgiarlo. La famiglia di Mumkhar è maestra di forgia da secoli ormai, nessun altro è più capace di spezzare il nostro sortilegio, e la magia dei folletti è potente, ragazzo. Tieni, è fredda.

Con un malcelato velo di soddisfazione per l’ultima parte del discorso che aveva detto, mi porse la rovente chiave nera che nelle mani del gigante sembrava minuscola ma che in realtà era di notevoli dimensioni. Ora che era in mio possesso potevo osservarla meglio della prima fugace volta: era nera, sì, ma in un certo senso brillava; si impregnava di qualsiasi minima fonte di luce per rilasciarne a sua volta un po’ quando posta al buio. Era fenomenale, non solo per quella particolarità, ma anche nell’aspetto, fiordi ed incavature permeavano l’intera superficie della chiave, solo il listello era liscio, ma perfino il pettine era un trionfo di forme ed arabeschi. Incredibile come un essere gigantesco come quello sia riuscito a creare una tale meraviglia.

-Se volete potremmo dipingerla d’oro, molti preferiscono così.

-Non ce ne sarà bisogno. Dalla a me, meglio non perderla.

La consegnai a ser Richard e lasciammo quella forgia per dirigerci finalmente alla mia camera blindata, ma non prima di aver compilato il modulo di avvenuta consegna della chiave e aver posto firme in tutte le salse. Ritornammo praticamente quasi all’ingresso, poiché, a differenza della forgia, il mio caveau si trovava dietro la prima porta blindata della sala. Se non fosse che scoprii che quella porta non dava direttamente alle camere blindate, ma ad un’infinita galleria sotterranea.

Non si vede la fine... E manco l’inizio...

Infatti oltre a continuare in lunghezza verso non si sa quale parte dell’Europa, era pure senza fondo: cadere da lì sarebbe equivalso ad una caduta di ore seguita da morte certa. L’unico mezzo per potersi muovere in quei cunicoli era una specie di carrello a due posti, all’apparenza tutt’altro che comodo. E non solo all’apparenza.

-Tieniti forte, mi raccomando.

O mi tenevo forte, o mi tenevo forte, dato che in quel carrello c’era posto solo per due passeggeri e quello di destra - con una bella poltroncina - l’aveva occupato il folletto, lasciandoci solamente quello stretto e per nulla ergonomico di sinistra. Il parabraccia poi era soffocante.

-Il viaggio sarà un po’ lunghetto, mettetevi comodi.

Fa pure lo spiritoso...

Swiisss !!!

Con un lungo e fastidioso cigolio, il carrello iniziò a muoversi, aumentando via via sempre più di velocità.

-Non spaventarti, fra poco ci saranno certe curve che ci faranno girare la testa!

Mi urlò il mio tutore per rasserenarmi, se non fosse che quelle curve più che la testa fecero girare tutto il corpo, carrello compreso. Girando su se stesso dal perno centrale infatti, quel carrello fece almeno una quindicina di giri completi durante tutto il folle tragitto, inoltre ogni salita o discesa con un forte dislivello facevano pendere pericolosamente tutto il peso dal nostro lato, evidentemente il più pesante, facendomi provare dei lancinanti dolori al fianco sinistro per la pressione che esercitavo sui parabracci.

In compenso la vista del panorama era spettacolare. Per via dell’alta velocità, tutto quello che fosse stato più piccolo di un muro di cinta non riuscivo a focalizzarlo bene, ma di piccolo là sotto c’era davvero ben poco: tutto illuminatissimo da torce danzati e lampioni ad olio, sembrava quasi il regno di una civiltà sotterranea. C’erano prevalentemente caveau e gabbie piene dei tesori più spettacolari, ma anche enormi statue di marmo, capitelli di antiche colonne ormai diroccate e soprattutto un intero castello abbandonato sotto i nostri piedi. Dovevo saperne di più. Prima di aprir bocca, seri Richard mi anticipò:

-E’ Arx Shagar, l’antica dimora dei folletti. Molto prima che la civiltà bretone si insediasse in Inghilterra erano loro gli abitanti più evoluti di quest’isola. In uno dei libri che ti ho regalato c’è tutto quello che devi sapere.

Mi bastò, anzi, non vedevo l’ora di ritornare alla locanda per saperne di più, al diavolo lo shopping: quel castello era bellissimo, tetro ma bellissimo.

Swiisss !!!

-Arrivati. La lampada prego.

Indicò una lampada ad olio appesa con un chiodo su una delle colonne della galleria.

Non se la può prendere lui? Perché diamine le mettono così in alto se manco ci arrivano? Che viaggio terrificante...

-Camera 1991, la chiave prego.

Ser Richard stava facendo praticamente il facchino di Bongi, ma la cosa non lo turbava affatto.

Il folletto inserì la chiave nella piccola serratura della porta blindata che acconsentiva alla camera che mi fu attribuita e, con un delicato suono di ingranaggi che si sbloccavano tutt’intorno la porta, essa si aprì da sola nonostante il peso, anche se forse era Bongi che l’attirava con qualche incantesimo, rivelando il contenuto.

Due misere pile di monete grosse e dorate, alte non più di un metro ciascuna, erano le sole ospiti di quel vasto ambiente... Uno spazio sprecato.

-Tsk!

Scappò al folletto. Evidentemente anche per Bongi quei quattro soldi non devono esser parsi un grande spettacolo. Notando i nostri sguardi seccati, per non apparire troppo indiscreto indietreggiò nascondendo alla sua vista la camera.

-Bhè, in fondo me l’aspettavo... Il cambio Galeoni-Sterlina non è affatto vantaggioso per quest’ultima e soprattutto non lo è quello tra la Lira italiana e quella inglese, due condizioni troppo svantaggiose danno come risultato questo: credo che queste monete siano interi mesi di stipendio dei tuoi; ma non ti preoccupare, bastano e avanzano! E poi, oltre a quelle di inizio anno per rimediare il materiale scolastico, non avrai certo altre spese vive!

-Ma quante sono?

-Giusto... Signor Bongi, una cortesia: potrebbe dirci a quanto ammonta il conto del signor Burgio? E quanto possiamo prelevare in un’unica operazione?

-Sì, certo. Bene, rispondere alla sua prima domanda è immediato: ogni pila di un piede equivale a cinquanta galeoni, perciò, essendocene due, sono esattamente cento. Per la seconda è più complesso, dato che normalmente il limite è di 500 galeoni alla settimana, ma non essendo questo il caso, dovremo utilizzare le percentuali. E’ possibile prelevare il 60% del fondo dei conti inferiore ai 1000 galeoni, ma a questi vanno sottratti il 7% di interessi annui che sono offerti dall’istituto, mentre un ulteriore soglia del 12% che...

-Insomma, quanto possiamo prelevare?

-Ci stavo arrivando! Comunque mi duole avvisarvi che potrete prelevarne solamente 42 per tutta la settimana e, se come credo avete l’intenzione di prelevarli tutti, la prossima settimana scatta una tratta inibente di un ulteriore 30% bloccandovi il secondo prelievo a soli 13 galeoni. Perciò vi consiglio di non prelevarne più di 40 questa settimana, almeno la prossima avrete sempre la possibilità di ritirarne almeno 20.

-Si, credo faremo esattamente così, 60 galeoni sono più che sufficienti; prenderemo le cose più importanti tra oggi e domani, il resto poco prima di partire, ok?

-Eh, per forza...

-Già, dai iniziamo a prendere qualcosa.

Bongi tirò fuori dal suo taschino della giacca un sacchettino di stoffa e lo porse a ser Richard.

-Usate questo portamonete standard, è un omaggi della banca.

-Ah, ottimo, ne ho uno anch’io, ma è meglio che Emanuele abbia il suo. Tieni, mettigliene 40 esatte.

Il portamonete era decisamente troppo piccolo per contenerne 40 di quelle grosse monete, ne sarebbero entrate a forza al massimo due, ma ero sicuro che quello non sarebbe stato un problema, e infatti entrarono tutte quante. Adesso la vista delle due colonnine di soldi era ancor più misera di prima.

-Uscite prego, devo chiudere.

Una volta fuori, il ciclo di “datemi questo, datemi quello, prego” si ripeté, così come il viaggio infernale sul carrello.

-Bene, adesso andate al primo sportello che trovate libero e consegnate questo e quest’altro.

Ci diede il borsellino con una pergamena legata ad esso. Così ci avviammo al bancone per completare tutte le operazioni. Sebbene il sacchettino avesse un peso praticamente nullo, il folletto bancario lo peso su una sua piccola bilancia d’ottone e ne azzeccò l’esatto quantitativo di monete.

-40 galeoni, esatto? Benissimo, firmate questo e potrete andare.

 

-Finalmente adesso siamo liberi! Hai visto quanto tempo c’è voluto? E’ già quasi mezzogiorno, ci conviene andare prima da Madame Mc Clan, almeno in quest’ora prima di pranzo combiniamo qualcosa. Che ne dici?

In realtà non sapevo cosa fare, inizialmente volevo visitare qualsiasi negozio o bottega della viuzza, ma la consapevolezza di non aver abbastanza denaro per far nulla mi frenava.

-Sì, facciamo come dici tu.

-Fermo, dove stai andando? La boutique è qui a destra, come ti avevo detto prima, te ne sei scordato?

-No no, ero solo distratto...

-Senti, stai tranquillo, quei soldi bastano ti ho detto. E molto probabilmente se faremo spese oculate ci può scappare anche un certo margine per acquistare qualche cianfrusaglia, te l’assicuro.

Era chiaro che non gli si poteva nascondere nulla, visto che comprendeva qualsiasi cosa mi passasse per la mente.

-Entriamo, ma mi raccomando, non fare alcun tipo di osservazione sullo stile degli abiti, al massimo qualche sfacciato complimento, la proprietaria è molto vanitosa.

La porta d’ingresso del negozio di Madame Mc Clan trillò quando ser Uppercut la aprì per entrare e subito fummo accolti da un caloroso benvenuto da parte di una giovane ragazza tutta vestita di pizzi e merletti gialli. A dispetto di quanto sembrasse da fuori, la sala era davvero grande, a due piani, e con decine e decine di scaffali e grucce pieni zeppi di indumenti, accessori e specchi, sicuramente utili ai clienti per vedere come gli calza la roba indosso. Per provare qualcosa di più complesso di un cappello o di un foulard, ovviamente c’erano anche tre camerini di prova in fondo: due erano occupati, l’altro no. Non si riusciva a vedere cosa ci fosse al secondo piano, ma era molto probabile che fosse identico.

-I signori desiderano?

-Bene, noi stiamo cercando un uniforme scolastica che si addica a questo ragazzo. Nulla di troppo complesso o costoso, comunque.

-Certo, primo anno ad Hogwarts?

-Esatto, ha capito al volo.

-Avete già qualche idea sulla linea, o comunque possedete già qualche pezzo o volete l’intero corredo?

-No, signorina, dobbiamo acquistar tutto oggi, non abbiamo ancora preso nulla. Come modello scelga lei per noi, non abbiamo particolari preferenze.

Mentre il resto del negozio era gremito di gente, nessuno era presente nel reparto delle divise scolastiche, neanche mezzo bambino.

-D’accordo, allora le mostro le linee prodotte direttamente da Madame Mc Clan stessa, sono le più apprezzate ed utilizzate. E non hanno un costo eccessivo. Ecco, questo è la nuova linea per il 2001. Bella, no?

Prese una tunica e un pantalone di stoffa nerissima e li poggiò sul banco vicino le scale dell’altro piano. Erano molto sobri rispetto al resto dei costumi di carnevale che riempivano il negozio, anche se non mancava qualche cucitura un po’ troppo colorata nelle parti più in vista e poi la giacca era piena di stemmi raffiguranti una grande H, sia cuciti che stampati, sia davanti che dietro, sia all’interno che all’esterno.

-Come mai tutti questi stemmi identici?

-Sono le insegne della scuola di Hogwarts. Alcune rimarranno così, altre cambieranno aspetto il giorno stesso del tuo insediamento in una delle quattro case. E’ utile per capire immediatamente quale scuola frequenti e a quale casa appartieni, tutto qui. Come al solito Madame Mc Clan ha approfittato di questa esigenza per metterci il suo tocco artistico ed ecco così che, rispetto agli anni passati, la H di Hogwarts si trova spostata più a destra rispetto al centro del dorso, così la leggera asimmetria data dalle differenti lunghezze delle maniche e del pantalone viene resa ancor più armoniosa da questo gioco ottico.

Mentre diceva quest’ultima frase, prese un’altra giacca e la accostò a quella di prima per palesare la sua teoria. In effetti il simbolo della scuola era leggermente più piccolo e centrale nella seconda, anche se ad occhio non si notavano le diverse dimensioni delle estremità.

-Questa era la linea dell’anno scorso, per festeggiare il 2000, Madame Mc Clan aveva mantenuto il massimo della tradizione ed impreziosito il tutto con ricami e bottoni dorati, vedete? Deliziosi. Ovviamente, anche essendo un raro pezzo di arte stilistica, è comunque scontato poiché dell’anno passato, potete seriamente considerarne l’acquisto.

I prezzi comunque erano allucinanti: 75 galeoni il primo e 62 il secondo, non ci saremmo arrivati nemmeno pagando a rate. Ma anche ser Richard se ne accorse e aggiunse:

-Fantastici come sempre, ma non ha per caso qualcosa di ancor più accessibile? Sappiamo benissimo che questi prezzi sono già stracciati ma purtroppo al momento non abbiamo molta disponibilità, spero ci possa aiutare.

-Ma certo, vado a vedere se è rimasto qualcosa degli altri anni della taglia giusta.

Dopo aver ordinatamente posato la roba che aveva precedentemente preso, salì velocissima al secondo piano, sparendo dietro il solaio.

Ecco, mi toccherà prendere il modello dell’anno in cui sono nato...

Dopo pochi secondi ritornò con altri due capi tra le mani.

-Ecco, questa è la linea del ’98, mentre questa del ’96, ormai sono entrambi pezzi unici. Se non va bene questa misura non c’è altro. Dovremmo passare ad altri stilisti.

Erano assolutamente identici: questa volta niente cuciture dorate, niente stemmi asimmetrici, niente di niente.

-E cosa cambia tra i due? Mi sembrano uguali.

-Non dire così...

Ser Richard digrignò leggermente i denti, ma non potevo farci nulla, a causa della mia estrema curiosità, mi era scappato.

-Ohohoh, acuto il ragazzo.

Un’anziana ma molto arzilla signora scese le scale venendo verso di noi agitando una bacchetta di legno.

-Guarda qui, bambino. Cosa vedi?

Con l’asticella aprì la giacca mostrandone i bottoni: erano decisamente più grandi rispetto a tutti gli altri che avevo visto.

-Già. E anche se non li puoi vedere adesso, ma anche la cravatta dell’uniforme maschile e la gonna di quella femminile sono molto più lunghe della misura standard.

-Cravatta? Indosserò una cravatta? Io non so allacciarla.

-Davvero? Non ti preoccupare ti insegnerò io, sembra complicato, ma con un po’ di pratica verrà automatico.

Già come tutto, del resto...

-A questo simpatico giovanotto applichiamo uno sconto extra: non tutti hanno la faccia tosta di venir qui a criticare i miei lavori.

-Sicura, madame?

-Sicura? Che ti sembro, rimbambita? Dai, prendi le misure e mettiti subito al lavoro, al prezzo ci penso io con questo baldo giovanottone.

Prese sotto braccio ser Uppercut ed insieme si avviarono verso la cassa. Nel frattempo la commessa iniziava a prendermi le misure di vita, braccia, collo e gambe, più qualche altra parte del corpo che non riuscivo a vedere poiché il metro fluttuante che la ragazza usava per misurarmi continuava a bloccarmi la testa in posizione eretta.

-Fatto. Avrai la tua divisa pronta entro un paio d’ore. Ancora abbiamo poche ordinazioni, perciò posso mettermi subito al lavoro. Vai dal tuo amico e riferisciglielo.

Trovai ser Richard che ancora discuteva del più e del meno con la signora Mc Clan, ero sicuro si stesse annoiando a morte, ma dalla sua espressione e dai suoi sorrisi non faceva minimamente trapelarlo.

-Oh, eccoti qua, non ci crederai, ma la gentilissima proprietaria ci ha fatto uno sconto strabiliante: solo 30 galeoni per tutto il corredo scolastico, compresi gli accappatoi e gli asciugamani. Non avremmo potuto sperare di meglio, sei contento?

-Credo di si...

-Ah, i ragazzi di oggi, non sono mai riconoscenti. Ritornate oggi pomeriggio, vi aspettiamo!

Il mio tutore chinò leggermente il capo ed uscì, invitandomi a seguirlo.

Dopo questa spesa ci restano ben 20 galeoni, credo che la bacchetta riesca ad entrare in questo budget, ma prima, mangiamo! Che ne dici di un gelato da Florian? Per oggi niente cibo del Paiolo Magico, offro io naturalmente.

In effetti al ricordo del gelato mi salì una fame da lupi. Camminando riosservai tutti i negozi del viale, con più calma sta volta e mi domandai se ne avessi davvero avuto l’occasione di visitarli.

-Quando avremmo finito potrai girare per tutta la settimana, ti consiglio di guardare cosa vorresti, farti una lista e poi, fra sette giorni, quando avremo gli altri 20 galeoni, fare la spesa. Che poi, se ho ben capito il ragionamento di quel folletto, 20 galeoni è il tetto massimo da non sforare per non bloccare i fondi per la settimana seguente, no? Ma tu per quella data sarai già a scuola, quindi non ti serviranno; potresti anche non importartene e prendere fino a 30 galeoni, sì, si può fare.

Lasciai i conti al mio tutore, mentre io avevo già deciso quale sarebbe stata la mia prossima tappa: il negozio di scherzi di fronte la libreria, Gambol & Jape. Qualsiasi cliente del negozio ne usciva con aria allegra e soddisfatta, ed un sacco di scintille provenivano dal suo interno. La seconda tappa risultò difficile da fissare, tutti i negozi, dal primo all’ultimo, mi intrigavano parecchio, perfino quello che vendeva pentoloni, alla fin fine era tutto una novità per me.

Arrivati alla gelateria Fortebraccio ci sedemmo su uno dei graziosi tavoli posti all’esterno del locale: c’era molta gente che, come noi, aveva pensato di pranzare con un buon gelato. Dopo non molto un uomo robusto chiese le ordinazioni; io presi una coppa a due gusti, semplice cioccolato per non avere sorprese e menta scarlatta per provare qualcosa di fuori dal comune, inoltre molta gente l’aveva ordinata, quindi doveva essere buona. Il mio tutore invece fece una richiesta strana:

-Una bottiglia di acqua minerale per favore. Con due bicchieri. Ah, e se possibile un boccale vuoto, per piacere.

-Non desidera altro?

-No no, sto bene così.

Inizialmente pensai volesse risparmiare almeno sulla sua ordinazione, ma quando arrivarono il gelato e l’acqua capii perché non ordinò nulla. La coppa altro non era che una montagna di gelato cascante, erano tipo tre chili di roba caramellata e glassata, l’equivalente di sei pranzi.

-La mangi tutta?

Si prese gioco di me ser Richard.

-Ancora caschi in questi tranelli. Se richiedi una porzione intera, stai chiedendo una pinta. Ed una pinta è veramente esagerata per un bambino. Non ti ho detto nulla perché anche a me va bene quello che hai preso tu, dividiamocela.

 

Completamente satollo, avevo un po’ di sonnolenza, ma la nostra visita a Diagon Alley non era giunta nemmeno a metà e fermarsi ora sarebbe stato stupido, quindi ci avviammo nuovamente verso la boutique di Madame Mc Clan dall’altra parte della via, poiché il negozio di bacchette si trovava esattamente di fronte.

-Questa bella camminata ci farà digerire un po’ e quantomeno ci risveglierà, abbiamo tante cose ancora da comprare.

Quel lugubre negozio chiamato Da Olivander come al solito sembrava chiuso, ma in realtà la porta era sbloccata, quindi riuscimmo ad entrare. Mi sembrava difficile credere che quel negozio fosse aperto dal 382 a.C. come recitava l’insegna, ma a quel punto, tutto poteva esser possibile.

-Permesso?

Un signore più che anziano che trasportava una montagna di scatolette sbucò fuori da dietro uno degli scaffali e ci diede il benvenuto.

-Prego, non aspettavo ancora clienti per tutto il resto della settimana, ma prego, entrate pure. Desiderate?

Ser Uppercut mi fece cenno di rispondere ed io, colto alla sprovvista, balbettai.

-Una, u-una bacchetta, s-signore.

-Ah, ma davvero? Ed io che credevo foste venuti per un tè! Su, mi dica il suo cognome, faremo prima.

Non avevo la più pallida idea di come il mio cognome avrebbe aiutato il mercante, ma tant’è...

-Il mio cognome? Burgio!

-Burgio? Mai sentito... Sicuramente straniero, non è vero? Catalano forse?

-No, italiano...

-Bene bene, mi domandavo quando mai avrei rincontrato uno studente di origini italiane nel mio negozio... Forse, questa qui...

Il vecchio posò le scatole sul tavolo e sparì nuovamente dietro quegli scaffali colmi di innumerevoli scatole più o meno piccole, messe sicuramente sotto un qualche strano ordine ben preciso.

Dopo un po’ riapparve, tenendo in mano una scatola che da bianca era ingiallita parecchio. Da lì estrasse una particolare bacchetta avorio, del tutto diversa da quelle di ser Richard e del dottore dell’ospedale.

-Solitamente bacchette e maghi sono legati anche da legami geografici, ognuno dei materiali di cui è composta questa bacchetta sono mediterranei, dovrebbe fare al caso tuo.

La presi in mano ed aspettai i pareri del negoziante, ma niente.

-Su, via, la agiti!

Ah...

Non sapendo bene cosa fare la agitai a mo’ di sonaglino per neonati, ma mai mi sarei aspettato un tale risultato. Il palmo della mano iniziò a bruciarmi talmente tanto che lasciai cadere la bacchetta per terra, che prese fuoco e si polverizzò, in un istante.

-Per tutti i folletti, mai capitata una cosa del genere. Direi che non andava bene, per nulla bene.

Il mio tutore subito si mostrò in mia difesa:

-Le assicuro che non era sua intenzione distruggerle la merce, ripagheremo i danni e...

-Non c’è bisogno che vi scusiate, è normale, sa quante me ne capitano ogni giorno. Finora nessuno aveva mai polverizzato una bacchetta, ma c’è sempre una prima volta. E poi nel prezzo delle bacchette è sempre compreso qualche extra come cauzione per i danni, non si preoccupi. Forse quest’altra; non è ben chiaro il perché, ma di quei pochi ragazzi italiani che vennero negli anni, la maggior parte hanno trovato affinità con questa.

Ritornò a frugare nel suo magazzino.

-Ecco qui, legno di cipresso imbevuto nel sangue di lucertola magna e crine di unicorno fulvo. Antica ricetta, non ne fabbrico altre da decenni ormai.

Sebbene la lista dei pezzi di cui era composta sembrava essere uscita da un qualche libro di streghe di serie B, dovevo ammettere che il colore rimandava veramente all’idea di tutti quei materiali, sebbene non avessi in mente che legno avesse il cipresso o che diamine fossero la lucertola magna e l’unicorno fulvo.

-Questa volta agitala rivolgendola in terra, cerchiamo di evitare al massimo gli eventuali danni.

-Non ce ne sarà bisogno, sono fiducioso. Su, agitala.

La scossi esattamente come mi aveva consigliato il mio tutore, e feci bene. Questa volta sentii solo una leggerissima scossa tra l’indice ed il pollice, ma la bacchetta in compenso esplose in mille pezzi e le sue schegge volarono ovunque, conficcandosi in diversi punti del negozio; per fortuna nessuno s’era fatto del male.

-No, no, assolutamente no.

Guardai ser Richard sperando potesse darmi conforto, ma niente, lui era più preoccupato di me.

-Sei un caso difficile, ragazzo. Se neanche questa va bene, non saprei cosa proporti. Dovrò provare a darti un esemplare per famiglia, ci impiegheremo un sacco di tempo mi sa. Almeno che...

Questa volta non tornò con una scatola tra le mani, ma addirittura uno scrigno di legno e la scocca in rame. All’interno vi era una bacchetta dall’aspetto magnifico, lucente e trasparente come il cristallo, liscia come il vetro e con all’interno un sottile filamento verde acido.

-E’ fatta con osso di diaruga, la tartaruga millenaria.

Appena sentì quel nome, il mio tutore scattò in avanti:

-Non possiamo permettercela, sarebbe troppo costosa, Emanuele, non toccarla, se si rompesse saremmo nei guai.

-Ah, no, non è una bacchetta da mettere in vendita. Vedi questo nucleo? Si colora a seconda del mago che la tiene. Grazie ad esso potremmo capire quale famiglia di bacchette farà al caso nostro. E non si preoccupi per la bacchetta stessa, è indistruttibile, nemmeno gli incantesimi più potenti sono in grado di mandarla in frantumi. Avevo quasi dimenticato di possederla, non mi è mai e dico mai servita. Ma oggi devo ammettere che sono in crisi, il mio fiuto non m’è stato d’alcun aiuto.

Presi in mano la bacchetta e, sperando in cuor mio non esplodesse in milioni di micro particelle, la agitai verso il pavimento. Ritornò il bruciore della mano, ma stavolta la bacchetta non si incendiò, ma si accese di un rosso profondo. Era troppo calda, quasi incandescente, perciò la poggiai velocemente sul tavolino alla mia sinistra, che era quello più vicino a me.

-Curioso, davvero curioso...

L’anziano Olivander prese la bacchetta e la ricollocò nel suo scrigno.

-Cosa c’è di curioso?

-Curioso è il fatto, signor Burgio, che il nucleo della bacchetta di diaruga, che lei ha appena toccato, si sia oscurato, rendendo risultato nullo. Ed è curioso il fatto che esso significa che nessuna delle bacchette esistenti possano fare al caso vostro. Il che significa anche che non potrò aiutarvi quest’oggi nella ricerca della vostra bacchetta, in tal caso...

-Vuole dirci che ce ne andremo a mani vuote?

-Purtroppo sì, è quello che stavo per dirle.

Sembrava tutto troppo impossibile per essere vero, tutta questa attesa per possedere la mia bacchetta, e adesso nulla. Ogni mia speranza, distrutta.

Eppure la bacchetta s’è colorata di rosso, non nero, come dice  il vecchio...

Sporgendomi verso lo scrigno ed osservando meglio la bacchetta mi resi conto che sebbene la bacchetta si fosse accesa di un rosso fiammante, il nucleo al suo interno s’era incupito, come se si fosse bruciato.

-Non c’è nulla che possiamo fare, una altra bacchetta, un altro negozio?

-No, ragazzo, ho più di diecimila combinazioni differenti di bacchette e nessuna di esse andrà bene. Tre l’altro la bacchetta di osso di diaruga non mente: nessun materiale preso in considerazione ad oggi sarà utile alla causa. L’unica possibilità che abbiamo...

-Si?!?

-Si?

Chiedemmo all’unisono io ed il mio tutore.

-Vi avverto, ci vorrà tempo, molto tempo. Probabilmente ci impiegherò un intero mese, vi sta bene?

-Abbiamo scelta?

-Effettivamente no. Sapete, questa è una storia che ci tramandiamo i maestri artigiani di generazione in generazione: la bacchetta di sughero.

Io e ser Uppercut ci guardammo perplessi, mentre il negoziante parlava dietro il muro di scatole e bacchette, accompagnato dal sottofondo che produceva rovistando tra i suoi arnesi.

-Secoli fa, anzi, più di mille anni fa, con l’apertura della scuola di Hogwarts, ci fu un incremento vertiginoso di adepti alle arti magiche. I maestri artigiani dell’epoca, eh, compresi i miei antenati, non riuscirono a tener testa a quella mole di nuovi clienti, molti dei quali provenienti da nuove famiglie non presenti nei nostri registri. Necessitavano un qualcosa, un miracolo, che potesse dare loro un attimo di respiro, che riuscisse a comprendere quali bacchette andassero bene ad ogni diverso cliente, dato che molte delle ricette odierne furono scritte proprio in quel periodo. Così, dopo numerosi ed impensabili esperimenti, nacquero queste due meraviglie, la bacchetta di cristallo e quella di sughero.

Quella di cristallo l’avete appena vista, è uno strumento fenomenale per comprendere al volo quale materiale catalizzi al meglio il flusso magico di ognuno di noi, l’altra beh, è tutt’altra cosa.

Sebbene la bacchetta di diaruga non avesse ma fallito prima d’ora, in quegli anni la maggior parte dei maghi ricevevano la strada verde, scoprendo successivamente che si trattava di particolari combinazioni di legno di platano, faggio, agrifoglio e quercia con nuclei provenienti da animali e creature rare e pericolose, come corde di cuore di drago, lacrime di sirene erculee e propoli di falene arcobaleno.

Era impossibile soddisfare tali richieste, e la frustrazione per esserci andati così vicini, fu enorme. Fin quando, beh, forgiarono la bacchetta di sughero. Ah, eccole qua...

A quanto pare il signor Olivander aveva appena trovato ciò che stava cercando, perché il rumore cessò di colpo. Adesso stava tornando verso di noi.

-Anch’essa una bacchetta straordinaria: resistentissima, praticamente indistruttibile, a patto che non ne venga spezzato il sottile nucleo e con una particolarità. A causa della sua composizione porosa, che è anche il motivo per cui se viene distrutta può essere riparata con un semplice incantesimo riparatore, riesce ad assorbire ogni esubero di flusso magico proveniente dall’utilizzatore e, contemporaneamente, amplificare lo stesso, se esso risulta inferiore a quello dovuto per realizzare un determinato incantesimo. Detto così può sembrare complicato da capire, ma vi basta sapere una cosa: poteva essere utilizzata da chiunque. Nessuno sa con certezza assoluta perché una bacchetta decida di seguire un determinato mago nonostante non faccia parte della famiglia, o perché quella di sughero non faccia distinzioni, fatto sta che lo fa. Purtroppo c’è un però...

Il commerciante venne verso di noi mostrando una boccettina contenente degli strani filamenti secchi e cinerei.

-Queste. Ciglia di elfo dei boschi, dette in maniera leggera, ma in realtà sono vasi sanguigni. Non sto qui a dirvi di giustificare i miei antenati ed i loro colleghi perché sarebbe impossibile, ma sono loro la ragione per cui essi si siano estinti secoli fa. Ed è anche il motivo per cui gli elfi, nati e cresciuti come bestie in delle stalle di allevamento, siano diventati domestici. La loro sofferenza e la loro malinconia di casa, uniti alla lontananza con le loro foreste natie hanno impoverito il loro sangue, rendendoli a tutti gli effetti inutili se non per esser utilizzati come schiavi. E’ una storia terribile, ma è la verità. Ovviamente essendo estinti, non fu più possibile creare nuove bacchette di sughero ed il loro ricordo diventò sempre più flebile, fino a diventare una leggenda ai giorni nostri. Ma, la mia famiglia ha sempre tenuto questo barattolo per darlo in eredità alle generazioni future, giusto per ricordargli sempre di non commettere più queste atrocità per il facile guadagno. Come vedete ce ne sono quattro, quattro ciglia per quattro bacchette. Il sughero bianco non è difficile da trovare, quindi è possibile crearla. Non ne ho mai vista una in vita mia ed il progetto originale è custodito nella camera blindata della mia famiglia alla Gringott, perciò dovrei iniziare proprio da lì. Ho solo quattro possibilità di riuscita, perciò non posso nemmeno assicurarvi che riesca a costruirla senza averle sprecate tutte per i tentativi falliti, ma ci proverò.

-Non sono più tanto sicuro di volerla...

-Sciocchezze! Vedi come sono secche diventate ormai queste ciglia? Erano almeno il triplo del volume quando furono raccolte, continuando così si dissolveranno entro una generazione o due, perdendo così anche l’ormai futile scopo di monito ai futuri fabbricatori di bacchette. Ormai gli elfi da cui sono stati sottratti sono morti, sarebbe solo uno spreco lasciarli a marcire senza dargli un’ultima vita. E poi il tuo è il tipico caso in cui bacchette straordinarie come questa dovrebbero venir adoperate, non perché una scorciatoia, ma perché l’unica possibilità. Ragazzo, davvero, nessuno meglio di te se la meriterebbe.

Ser Richard nonostante fosse più confuso che persuaso, accettò la proposta a nome mio:

-D’accordo, le commissioniamo quest’incarico. Quanto tempo le servirà?

-Come vi ho detto, per me sarà un’esperienza nuova, dovrò andare in Irlanda da un mio compagno di studi per poterci lavorare assieme, credo che anche lui ne rimarrà entusiasta, ed in questo periodo sarò oberato a mantenere aperto questo locale per i clienti un po’ meno difficili del qui presente signor Burgio, perciò credo se ne parli per ottobre.

-Ottobre? Ma le lezioni iniziano a settembre, che farò nel frattempo?

-Scriverò personalmente al preside, non ti preoccupare, sono sicuro che troverà una soluzione per il tuo caso, è un uomo dalle mille risorse e soprattutto è molto comprensivo. Siete stato molto gentile, ci scusi per il disagio e i danni, ci rivedremo ad ottobre.

Dopo esserci stretti la mano, uscimmo dal locale ma, poco prima di chiudere la porta, il signor Olivander mi urlò!

-Grazie!

Per cosa?

-Era da tanto che non mi sentivo così euforico ed emozionato, la sua futura bacchetta è leggendaria, ci dobbiamo aspettare grandi cose da lei, signor Burgio. Grandi!

-Prego...

Non sapevo proprio cosa dire, sapevo solo che lui era felice, mentre io senza bacchetta. Chiusi la porta e mi ritrovai nuovamente a Diagon Alley, anche se con la mente ero ancora là, assieme a quei poveri elfi che venivano sterminati per produrre quella bacchetta che di lì a poco sarebbe diventata la mia.

 

-Che storia, eh? Non avevo mai visto Olivander in crisi. Ma tu sei speciale, no? Qualsiasi cosa facciamo, succede sempre qualcosa di fuori dagli schemi. Sei fortunato, guarda il lato positivo: ci siamo risparmiati i soldi della bacchetta, non trovi?

Lo volevo uccidere.

-No, eh? In effetti non è questa gran consolazione. Mi dispiace che tu non abbia provato la sensazione che si prova quando si tiene in mano la propria bacchetta per la prima volta. Riesci proprio a sentire che qualcosa vive dentro di te, capisci finalmente che le magie che sei in grado di fare e che hai fatto fino a quel momento non erano pure illusioni, ma la realtà. Che sei un mago, che sei speciale ed in grado di fare qualsiasi cosa. Beh, poi comunque non è esattamente così perché poi scoprirai che essere un mago non significa per niente essere onnipotente e che anche tu hai dei limiti, ma in quell’esatto momento credi di riuscire a volare solo con la forza del pensiero! Ah, fantastico.

Notando la mia espressione torva cambiò subito argomento:

-Ma non fa nulla, oggi, fra un mese: cosa cambia? Ad ottobre la proverai senz’altro. Intanto, visto che ci rimangono ancora 20 galeoni dopo aver ritirato l’uniforme da madame Mc Clan, andremo a scegliere il tuo animale domestico, almeno per questo non credo ci debbano essere problemi, eheh!

Effettivamente un bell’animale era quello che ci voleva dopo la delusione della storia della bacchetta, magari un cagnolino scodinzolante o un allegro criceto a cui piacciono le giostrine. Ma cosa c’entravano con la scuola?

-Ma, ser Richard, perché dobbiamo acquistare un animale?

-Che sbadato, me ne ero dimenticato, ovviamente oltre alla tua domanda di iscrizione è arrivata pure la lista del materiale didattico da portarsi ad Hogwarts, contenente i titoli di tutti i libri di testo raccomandati, gli accessori di cui non si può far a meno e tutte quelle altre cose che servono per imparare le varie discipline. E gli animali sono uno di quelli. Sono molto utili per allenarsi con certi incantesimi durante le lezioni, vedrai che hanno un loro preciso scopo. In più i gufi possono trasportare lettere e pacchi un po’ come i corrieri postali. Non sono obbligatori però, la scuola ha già i suoi da dare in comodato agli studenti. Se si vuole essere un po’ più indipendenti però si può optare per acquistarne uno; molti lo fanno, del resto.

Il mio tutore cercò tra le tasche della sua giacca e tirò fuori una lettera:

-Eccola qua! C’è la lista di tutto ciò che ti serve. Altre cose te le raccomanderò io quando saremo al negozio giusto, ma per la scelta dell’animale uno vale l’altro, perciò sei libero di decidere autonomamente, basta che ti attieni tra quelli riportati nella lista.

Gufo, gatto, rospo...

-Ma qui indica solo tre animali! Altro che scelta...

-In realtà potresti portare qualsiasi animale che si mantenga sotto certe dimensioni, ma oltre a quelli citati non mi vengono in mente altri animali, o sono troppo piccoli, o troppo grossi. Ed un cucciolo non vale, dato che poi crescerebbe andando fuori misura. Ci penseremo poi, al Serraglio Stregato. Intanto, ritiriamo l’uniforme che deve essere già pronta.

 

Tlin Tlin!

-Ohohoh, chi si rivede, il ragazzino curioso ed il suo elegante accompagnatore, ma prego, prego, venite. Amanda!!! Sono pronti gli abiti del signor Burgio, non è vero?

Una vocina stridula e terrorizzata proveniva dal secondo piano:

-S-sì, devo solo confezionare gli ultimi pezzi e...

-Confezionare?!? Ma che ti sei bevuta? Il ragazzo deve ancora provarli! Scendi, spacchetta tutto e vieni qui! Scusatela... E’ nuova...

Accidenti, è terrificante.

La ragazza si precipitò da noi con una dozzina di buste addosso: sulle spalle, sotto le braccia, tra il mento ed il petto. Tutto pur di non far spazientire la sua datrice di lavoro.

Tutti quei vestiti?

-Bene, giovanotto, inizia con la divisa estiva. Prendi questo, e questo e quest’altro. Provali come ti stanno e poi esci per farti guardare.

Mi diressi verso i camerini di prova e fortunatamente tutti erano liberi. Forse era ancora presto per lo shop pomeridiano.

Nonostante fossero indumenti della divisa primaverile, erano molto pesanti ed iniziai a grondar sudore e non finirmela più.

-Le scarpe, hai dimenticato le scarpe, provale.

E mi arrivò scivolando da sotto la tendina uno scatolo contenente le scarpe nere della scuola.

Canottiera, camicia, pantaloni e scarpe: questa era la divisa da mettere quando iniziava a far caldo, o all’inizio dell’anno.

-Si, direi che vanno bene. La camicia dovrebbe cadere esattamente sotto le ascelle, ma nel giro di un paio di mesi crescerai che quel punto lo raggiungerai senza problemi. Prossimo: autunnale!

Canottiera di lana, camicia scura, gilet di caldo cotone, giacca e pantaloni più spessi.

-Tutto perfetto, la giacca allarga sulle spalle ma è normale, mettiti più dritto! Si, così va benissimo, anche qui crescendo fra qualche mese ti cadrà a pennello. E’ meglio che stiano un po’ più larghi adesso che stretti durante l’anno scolastico. Vai con l’invernale!

Fino alla camicia mantenni tutto, cambiando solo un maglione di lana così spesso e pungente che mi sembrava di stare dentro un forno. In più mi dovetti mettere il mantello per quando piove.

-Qui c’era poco da controllare, era ovvio che se ti stavano bene i precedenti anche questi sarebbero stati ok, abbiamo finito. come le pare, ser Uppercut?

-Tutto magnifico, madame, come sempre, del resto.

-Ma certo che lo è. Amanda adesso che puoi confezionare gli abiti dei signori, in fretta!

Oltre che per il caldo che sentivo a causa dei mille cambi d’abito e alla temperatura rovente che aveva raggiunto Londra in quel giorno, stavo sudando guardando la frenesia col quale la povera ragazza si muoveva per rispettare gli ordini della proprietaria.

Una volta pagato e ricevute le buste, ser Richard si chinò, raccolse la mano di madame Mc Clan in segno di galante congedo e si diresse verso l’uscita, senza dimenticarsi di fare il solito occhiolino alla giovane commessa. Due donne diverse, di età diversa e con caratteri opposti, eppure le invaghì entrambe, strabiliante.

-Adesso dove dici di andare, al Serraglio Magico?

-Si, è meglio. Ho voglia di vedere animali strambi.

-Ti avverto, anche il proprietario di questo negozio è antipatico da morire. Purtroppo è una caratteristica comune di molti negozianti, forse stressati dalle richieste assurde dei clienti pian pianino si trasformano in questi esseri scontrosi ed intrattabili. Limita i commenti che a sbatterci fuori non ci sta neanche un secondo, intesi?

-Si, ormai me lo dici sempre ma poi non ti ascolto mai.

-E lo so, eheh.

Il Serraglio Stregato era uno dei negozi che avrei voluto visitare per primi, per via della merce che vendeva, non certo per il suo aspetto. Già da fuori si capiva che non doveva essere il massimo della pulizia: corvi, pipistrelli e ratti scorazzavano liberi nell’ampia corte recintata che attorniava l’edificio in cui il negozio era situato, lasciando resti ed escrementi al loro passaggio. Anche se erano tutti abbastanza irrequieti, ritornavano sempre sui loro posatoi e trespoli, solo un arruffatissimo suricato era tenuto con una cordicella legata alla gamba per non permettergli la fuga, ma comunque era abbastanza libero per poter gironzolare attorno per metri e metri. Gli animali all’interno erano quelli o più preziosi o pericolosi, o che semplicemente soffrivano troppo la luce del sole diretta. C’erano grosse tartarughe fiacche che non facevano altro che dormire e masticare fieno secco, ma anche tartarughe marine così minuscole che sparivano una volta immerse nell’acqua putrida in cui sguazzavano. Il lato destro era quello decisamente più rumoroso, qualsiasi animale, siano essi topi ballerini, scimmie urlatrici o piccoli di cinghiale, creava un chiasso assordante. A sinistra invece c’erano per lo più insetti e rettili che volendo o meno non potevano emettere più rumore di un semplice sibilo.

-Allora, cos’è questo baccano... E’ entrato un cane, forse?

Un uomo alto, con un gilet nocciola e la camicia azzurra a righe blu, in parte canuto, in parte calvo e con un paio d’occhiali poggiati sulla punta del naso apparve urlando dal retro della sua bottega.

-Allora? Smettetela! Sono solo clienti! Dannate bestiacce! Voi, volevate?

Probabilmente quella era il massimo della cortesia che sapeva esprimere. Ma a causa delle sue urla gli animali iniziarono ad urlare ancora più forte che ormai se non si gridava non si riusciva a sentire una singola parola.

-Cercavamo un qualche animale da poter portare ad Hogwarts! Questo ragazzo deve frequentare il primo anno e gli serve una bestiolina dalle dimensioni adatte! Cosa avete da poterci mostrare?

-Che domande, tutto!Scegliete, prendete, pagate e sparite! Devo occuparmi di queste bestiacce che continuano a sfondare i timpani, dannate pantegane! Brutti rospacci! Inutili moffette!

Ad ogni imprecazione seguiva una bastonata alla gabbia o alla vasca che conteneva tali animali, che non faceva altro che aizzarli ancor di più.

-Non capisco, non hanno mai fatto così, sanno che con me non si scherza e che farebbero meglio a tener la boccaccia chiusa quando impugno questo. Volete finirla o no?!

Sdeng! Sdeng!

Ancora bastonate.

-Diamo un’occhiata da soli, non riceveremo alcun aiuto mi sa... Guarda cosa potrebbe piacerti che sia delle dimensioni più o meno delle nostre mani, prendilo, pagalo e filiamocela di corsa da questo manicomio.

Ero molto interessato ai topi ballerini, appena entrato avevo posato gli occhi su di loro, infatti oltre ad essere della dimensione giusta, erano parecchio divertenti: saltavano sulla corda, facevano capriole e giravano su se stessi tenendo un nastro rosa tra i denti. Non so come diamine abbiano fatto ad ammaestrarli ma erano molto bravi e coordinati, ma ormai non stavano più esibendosi in nessuna performance. Come tutti gli altri animali infatti, soffiavano e squittivano nervosamente, come se fossero posseduti.

Bah, meglio guardare qualche rettile, non c’è il rischio che mi saltino addosso...

Erano tutti molto tranquilli, ma a parte un iguana a strisce rosse e arancioni, qualsiasi altro animale non lo conoscevo affatto. In alcuni c’erano i cartellini coi prezzi ed il nome della specie a cui appartenevano, altri invece erano semplicemente lì, buttati nel mucchio degli ingredienti per pozioni. Pensiero terrificante l’immaginarsi che venissero acquistati per esser tagliuzzati e messi in pentola, eppure era così. Volevo salvarne almeno uno da quel triste destino. Così li guardai negli occhi, cercando di capire chi fosse quello più consapevole della propria situazione ed evitargli ulteriore sofferenza e fu lì che mi accorsi di una cosa.

-Emanuele, credo che gli animali...

-Me ne sono accorto.

-Ma perché?

-Non ne ho idea...

-Ti era mai capitato prima d’ora?

-No, assolutamente no, possedevo perfino un cane quant’ero piccolo, non mi era mai successa una cosa del genere.

Infatti gli sguardi di tutti i rettili e gli anfibi erano rivolti su di me, se mi giravo a destra, continuavano a fissarmi spostando a loro volta la testa a destra, se facevo l’opposto, idem. Poi, chi poteva, stava irto sulle zampe anteriori in un atteggiamento di apprensione e tensione, come se di me avessero paura. Allontanandomi da quelle teche mi accorsi di un fatto ancor peggiore: anche gli altri animali mi fissavano, ma a differenza di quelli muti, questi ringhiavano e sbuffavano, mostravano i denti e gli artigli, minacciosissimi. Capii perfino che i topini s’erano fermati perché infastiditi dalla mia presenza e non a causa del loro padrone, ma il peggio era che gli animali che stavano fuori in esposizione entrarono nel negozio per intimorirmi a loro volta.

E’... E’ sicuro... ce l’hanno di sicuro con me...

-Ma dimmi un po’, non è che ce l’hanno con te, ragazzino? Che gli hai fatto?

Niente, io non gli ho fatto niente... E’ evidente che mi odiano, ma perché?

-Non preoccuparti, hanno fatto così probabilmente perché hai un odore diverso, come il mio, lo sento...

Una voce sinistra, fioca ma penetrante, sopraggiunse da dietro.

-Un odore diverso, come il tuo? Ma che stai dicendo?

Mi voltai, ma non c’era nessuno dietro di me, a parte ser Uppercut al mio fianco.

­-La verità, non mentirei mai, non ne sono capace...

-Dove sei? Fatti vedere!

-Sono qui, dinanzi a te, mi guardi ma non mi vedi, mi senti ma non mi credi...

Tutte queste frasi incomprensibili, chi diamine è? Mi prende in giro? Lo guardo ma non lo vedo... Quindi per non perderlo non devo spostare lo sguardo, perché è qui davanti, ma dove? Ci sono solo una salamandra e questo serpente qui sotto... Un attimo, il serpente...

-Mi hai trovato, finalmente!

Il serpente! E’ il serpente che sta parlando!

-Muthsera!

  
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