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Autore: KiarettaScrittrice92    24/07/2013    2 recensioni
Questa è stata la mia prima fanfiction in assoluto e ho deciso di pubblicarla, ovviamente correggendola e rendendola più leggibile e apprezzabile...
La mia storia comincia con Shinichi di nuovo adulto. Ai gli ha dato l'antidoto e ha raccontato a Ran il segreto di Conan Edogawa. Shinichi è riuscito a far arrestre i pezzi grossi dell'organizzazione con molte difficoltà, ma scopre con enorme dispiacere che deve lasciare Beika e tutti i suoi amici perchè suo padre ha bisogno del suo aiuto a Sendai! Due giorni dopo la sua partenza quelli dell'organizzazione evadono dalla prigione, quella stessa sera succederà ciò che meno vi aspettate...
La nostra storia inizia due anni dopo la partenza di Shinichi per Sendai sopra un treno che va a Beika...Tenetevi forte alle sedie perchè questa volta il detective liceale non riuscirà da solo a vincere la battaglia...
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei ricordi'
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Insieme al campeggio

Il ragazzo aprì gli occhi, ma subito la stanza gli parve offuscata: dovette sbattere le palpebre un paio di volte, per riuscire a vedere finalmente un’immagine nitida. Era in una stanza d’ospedale, lo dimostrava il letto candido, la tendina verde messa a ridosso del muro, l’odore di disinfettante, ma soprattutto la canula della flebo attaccata al suo braccio. 
Tentò di mettersi seduto, ma subito una fitta al fianco sinistro lo fece ributtare sul letto con un gemito. Già una volta era stato in ospedale in quella situazione, sotto le sembianze di Conan. Quel giorno Ran gli aveva donato il sangue per l’operazione. Chissà se l’avevano operato anche questa volta, oppure gli avevano solamente dovuto chiudere la ferita. 
Non passò molto tempo: una ventina di minuti, mezz’ora al massimo, quando la porta della stanza si aprì e comparvero i due ragazzi che erano alla sua festa di compleanno. Heiji si avvicinò subito al letto, con un sorriso, forse contento di vedere l’amico sveglio, mentre l’altro tenendo le mani in tasca andò verso la finestra, guardando fuori.
«Kudo stai bene?» chiese Heiji, appena fu vicino al letto dell’amico.
«Insomma…- disse toccandosi la fasciatura - che cosa è successo? Io mi ricordo di essere uscito da lì e poi…»
«È stato lui a salvarti. - disse Heiji indicando l’altro ragazzo che ora guardava dalla finestra - Quando sei andato a salvare Ran, Ai era talmente preoccupata per te che mi ha chiamato, purtroppo io non potevo raggiungerti perché avevo un caso tra le mani, ma fortunatamente lui era nei paraggi del Tropical Land e ti ha visto entrare nel parco.»
Shinichi si girò verso il ragazzo e lo fisso per diversi secondi. Si ricordava vagamente di lui e cercò di concentrarsi meglio. Il primo ricordo che aveva avuto era stato quello che probabilmente era il loro primo incontro. Quel vestito bianco... Poi gli venne in mente, Kaito Kid, il ladro gentiluomo. Lui ed Heiji, come molti altri investigatori gli avevano sempre dato la caccia, ma lui ogni volta riusciva a sfuggire. Eppure durante la lotta contro gli uomini in nero se non fosse stato per lui a quest’ora non sarebbe stato più al mondo.
«Kaito…» disse con un filo di voce, come se ad un tratto fosse diventato timido.
Il ragazzo si girò verso di lui con un ghigno divertito, poi tornò serio.
«Non pensare che l’abbia fatto per te! È solo che mi dà noia perdere l’unica persona che riesce a tenermi testa!»
«È solo troppo orgoglioso per ammettere che è tuo amico anche se siete rivali... Non è forse così Kid?» intervenne Heiji e tutti e tre si misero a ridere. 
Finalmente si stava iniziando a ricordare del suo passato, pian piano ogni ricordo veniva a galla. Forse non gli era chiaro ancora tutto, la maggior parte dei ricordi erano ancora annebbiati e confusi, ma pian piano si stava ricordando e questo lo rendeva felice.


Erano le cinque di pomeriggio quando la porta della stanza d’ospedale, in cui era stato ricoverato, si aprì per la seconda volta, facendo entrare Ran. Aveva la testa fasciata e i suoi occhi violetti e immensi lo guardavano con compassione. Il ragazzo non riuscì a resistere all’intensità di quello sguardo e dovette voltarsi, rigirandosi dall’altro lato del letto, come un bambino offeso che non vuole più vedere in faccia chi l’aveva fatto arrabbiare. In realtà, semplicemente, si vergognava: non riusciva a sostenere quello sguardo, perché più la guardava negli occhi, più aveva paura di non ricordarsi di lei. Sì, sapeva il suo nome, sapeva che l’aveva amata e che molto probabilmente provava ancora una certa attrazione per lei, sapeva che lei ricambiava i suoi sentimenti, eppure sentiva che quello non gli bastava. Era come se l’assenza di quei ricordi con lei lo facesse sentire vuoto e incompleto. 
Strinse i denti, innervosito da quella sensazione. Non aveva mai pianto in vita sua, se non forse da bambino, ma in quella circostanza avrebbe voluto riuscirci almeno una volta, per sfogare quella frustrazione.
«Shinichi…» disse la ragazza intimidita, chiamandolo semplicemente per nome.
«Cosa c'è?» chiese il ragazzo cercando di non fargli capire che la sua voce tremava, anzi cercò anche di rimanere freddo e distaccato, come se fosse veramente offeso.
«So che non ti ricordi ancora di me… - rispose lei - ma ti ringrazio per avermi salvata da quell’uomo!» le rispose lei, che alla fine della frase arrossì leggermente.
«Non c’è di che!» rispose lui cercando di rimanere, ancora, serio e freddo.
«Perché non mi guardi in faccia quando ti parlo?» chiese la ragazza e questa volta il suo tono sembrava scocciato, quasi offeso.
Lui si girò dopo aver fatto un grosso sospiro per trattenere il nervoso che aveva addosso. Vide il rossore sulle sue morbide guance, i suoi occhi lilla tristi e lucidi, pronti per fare uscire qualche lacrima e subito gli si bloccò il respiro. Non c’era più l’ansia di quei ricordi confusi e contorti nella sua mente, non c’era più la frustrazione di non ricordarsi più momenti importanti, c’era solo lei, lei e i suoi occhi immensamente tristi, nei quali voleva perdersi per farli tornare felici e limpidi. 
Avrebbe tanto voluto prenderla tra la sue braccia e consolarla, stringerla e rassicurarla che sarebbe andato tutto bene, che non le sarebbe capitato più nulla di male, che anche a costo della vita, l’avrebbe protetta. Eppure né il suo corpo, né la sua lingua volevano muoversi di un millimetro. 
Fu lei a fare il primo passo. Si avvicinò a lui cauta, come se volesse avvisarlo di cosa stava per fare e gli stesse dando la possibilità di evitarlo, ma lui, invece, non si mosse e la ragazza inevitabilmente arrivò a poggiare le labbra rosee sulle sue. 
Shinichi rimase lì immobile, chiuse solo gli occhi, in modo da assaporare appieno quella sensazione che non gli sembrava affatto nuova. Era un’esperienza bellissima poter sentire la carne delle sue labbra sfiorare quelle vellutate di lei e per un attimo ebbe l’istinto di andare oltre: di aprirsi un varco tra le sue labbra per baciarla seriamente, ma questo non accadde perché lei si staccò proprio quando lui prese quella decisione. 


Shinichi era stato dimesso tre giorni dopo che Ran venne a fargli visita. Nei giorni successivi un sacco di altre persone andarono a trovarlo e, doveva ammetterlo, quelle visite non gli dispiacevano affatto, sopratutto quelle che ogni giorno gli fecevano i quattro bambini della festa, in particolar modo la piccola Ayumi che era spensierata e dolce e sembrava sempre trovare il lato positivo in tutto, mettendolo di buon umore. Quando fu dimesso, ne uscì senza grossi danni. Aveva solo una cicatrice al fianco che gli doleva ancora se faceva troppi sforzi, ma per il resto si sentiva in gran forma e pronto a ricominciare la sua vita. 
Era appena rientrato a casa e si era seduto sul divano dell’ingresso per rilassarsi un po’, quando gli squillò il cellulare. Per un attimo ebbe un fremito. Se fosse stata di nuovo quella donna? Tirò un sospiro di sollievo, quando sul display del suo cellulare vide la scritta Mamma, decidendo così di premere il tasto verde e rispondere alla chiamata.
«Pronto?»
«Ehi, Shin-chan come stai?»
«Ciao mamma, qui tutto a posto e voi? Papà ha finito il suo libro?» domandò, tanto per parlare.
«Non ancora. Dice di essere in un vicolo ceco, secondo me sta solo invecchiando!»
Il ragazzo sorrise divertito: sua madre non cambiava mai, aveva sempre la battuta pronta e si divertiva sempre un mondo a vantare le sue abilità, anche a costo di sminuire gli altri.
«E tu invece, quando uscirà il tuo ultimo film? Dato che hai ricominciato a recitare.» riprese il ragazzo.
«Non ne ho la più pallida idea, il regista non mi ha riferito ancora niente!» esclamò la madre.
«Capisco…»
«Ah, Shinichi!»
«Che c’è mamma?»
«La tua... Beh ecco la tua memoria... Insomma è tutto ok? Sai, io e tuo padre eravamo un po’ preoccupati.»
«È tutto a posto stai tranquilla. Ti voglio bene, ciao, e salutami papà.»
Poi chiuse la chiamata senza aspettare che la madre rispondesse, mentre quella sensazione di nervoso e frustrazione tornò ad assillarlo. Per quei giorni all’ospedale, dopo la visita di Ran, si era quasi dimenticato della storia della memoria, come se conoscesse tutte quelle persone che arano andate a trovarlo, eppure sapeva che non era così.
La donna dall’altro lato del telefono rimase allibita. Non solo suo figlio le aveva chiuso il telefono in faccia, ma le aveva anche detto “ti voglio bene” e non l’aveva mai fatto in vita sua. Ciò voleva dire solo una cosa, che non era davvero tutto apposto come diceva lui.


Passarono altri due giorni dalla telefonata di Yukiko. Shinichi si era rimesso a pieno e si sentiva come nuovo. Quel fastidio di non ricordare nulla sembrava essersi assopito e si sentiva più che sereno.
Il giorno prima Heiji lo aveva invitato a fare un campeggio e lui aveva accettato volentieri, in modo così da staccare dalla vita fredda e monotona della città. Forse sperava anche che, all’aria aperta, gli venisse in mente qualche nuovo ricordo.
Erano in macchina e il ragazzo dalla pelle scura stava al volante mentre lui sedeva nel posto del passeggero, affianco.
«Dai sarà divertente un campeggio solo maschi senza le ragazze che sicuramente staranno tutto il weekend a fare shopping!» disse Heiji col fare ironico mentre guidava la macchina.
«Ma perché dovevo venire pure io? Ho cose più importanti da fare che andare in campeggio!» esclamò Kaito che era seduto, o meglio stravaccato nel sedile posteriore.
«Sì per poi rubare chissà quale gioiello? Scordatelo e poi anche Aoko ha il weekend organizzato con le ragazze!» rispose Heiji prontamente, facendo sbuffare l’altro, dopodiché per un po’, calò il silenzio.
«Hattori… Sonoko, ha il ragazzo?» domandò Shinichi rompendo nuovamente il ghiaccio.
«Sì, credo si chiami Makoto Kyogoku e lo conosci più tu che io… Ma non sarà con noi!»
«Capisco…»
Questa volta non ricordava assolutamente nulla di questo ragazzo, nemmeno il nome gli aveva portato in mente alcun ricordo. Eppure non è che gli importasse molto questa volta, insomma era soltanto il fidanzato di Sonoko, ragazza che a quanto ricordava era una molto alla buona, che ci provava con tutti, quindi sarebbe stato irrilevante.
Il ragazzo scosse la testa, cercando così di togliere quei soliti pensieri e di trovare un altro argomento su cui parlare con i due amici. I discorsi però finirono su un caso complicato che Heiji aveva risolto qualche giorno prima e subito dopo Shinichi raccontò il caso particolare della villa, collegato a quello del pala ghiaccio.
A quel punto il povero Kaito esasperato, all’ennesima risata dei due, sbuffò.
«Ma guarda un po’ te se devo andare a fare il campeggio con due detective!»
«Non ti lamentare Kid e goditi la vacanza!» lo rimproverò il detective dalla pelle scura.
«Ti ho detto mille volte di non chiamarmi Kid quando non…!»
«Sì sì, scusa mi sono confuso… Comunque stai tranquillo, per questo weekend tra te e noi ci sarà una tregua giusto Kudo?»
Il ragazzo fece un cenno con la testa, mentre guardava fuori dal finestrino un immenso campo di girasoli.
Amava quei fiori. Forse perché erano un po’ l’opposto suo. Loro cercavano sempre la luce, si tendevano vogliosi verso il sole traendone gioia, luce e calore, mentre lui dava sempre le spalle a quel calore. Non sapeva perché, forse per paura di bruciarsi, oppure semplicemente perché gli veniva difficile osare, eppure era sicuro che una volta lui non era così, una volta lui era sicuro di sé quasi su tutto.
In quel momento voltò anche lui lo sguardo verso il sole per un attimo: doveva essere sicuro anche lui. Così, guardando ancora per qualche secondo quella sfera incandescente nel cielo, si fece la promessa che sarebbe tornato lo Shinichi che tutte quelle persone a Tokyo conoscevano, sebbene sapesse che non sarebbe stato affatto facile mantenerla.


La sera, a cena, i tre ragazzi erano intorno al fuoco. Stavano cucinando degli spiedi e ognuno teneva il suo, facendolo rosolare su quel piccolo falò scoppiettante. Shinichi però era nervoso, si guardava attorno agitato, come se ci fosse odore di guai nell’aria.
«Kudo perché ti guardi in giro? Mi fai venire il nervoso!» esclamò Kaito.
«Lascialo perdere, Kaito, avrà perso la memoria, ma il suo istinto da detective è sempre all’erta.» gli rispose Heiji fissando l’amico che aveva smesso di guardarsi attorno ed era tornato a guardare intensamente il suo spiedo, subito dopo il rimprovero dell’amico.
«Forse volevi dire che la sua sfiga è pronta a colpire un’altra vittima?» disse addentando un pezzo di carne del suo spiedo.
«La vuoi piantare? - s’intromise di nuovo il giovane detective di Osaka - Oggi sei proprio acido Kaito! Cos’hai bevuto stamattina a colazione succo di limone al posto del latte?»
«Ho capito, va bene… Io vado a dormire» finì la sua porzione di cibo e dopo essersi alzato si ritirò nella sua tenda di un bianco immacolato, che sotto la luce della luna sembrava quasi splendere. 
Non passò molto, che anche i due giovani detective, finiti i loro spiedi, si ritirarono ognuno nella propria tenda.
Shinichi era subito crollato. Forse per la stanchezza accumulata durante il viaggio o semplicemente perché aveva sonno. Si era accucciato sotto il caldo sacco a pelo, per ripararsi dall’aria fredda che tirava in quella zona da campeggio e si lasciò trasportare nel mondo dei sogni dal sussurro del vento che muoveva leggermente la tenda. 
Il ragazzo ormai stava dormendo da qualche ora, ed era nel pieno del sonno, quando un grido acuto squarciò quella notte gelida.
Shinichi si svegliò di colpo. Per un attimo gli sembrò che il cuore gli fosse finito in gola per lo spavento. Qualche secondo dopo, appena si riprese, si affacciò incuriosito dalla tenda e notò che non solo i suoi due amici, ma anche molti altri campeggiatori faceva altrettanto. 
Con uno sguardo d’assenso lui ed Heiji decisero che era il caso di andare a vedere cosa fosse successo. Così poco dopo uscirono tutti e tre dalle loro tende con i giubbotti sopra i pigiami pesanti.
Si diressero di corsa verso il luogo da cui era provenuto l’urlo e, quando arrivarono:
«Che cosa è successo signora?» chiese Heiji rivolgendosi alla donna che aveva urlato.
Era una donna robusta ed aveva come minimo una quarantina d’anni se non di più. Era ancora stranamente vestita, inoltre non era vestita come una normale campeggiatrice, ma indossava un’elegante vestito a fiori e un paio di spadrillas di tela bianca.
La donna, col suo dito tremante indicò la porta della roulotte proprio di fronte a lei. A quel gesto Heiji e Shinichi entrarono per vedere cosa volesse indicare e la situazione fu subito chiara.
A terra c’era una donna sui trent’anni, i capelli neri erano sparsi sul pavimento e sporchi di sangue che aveva sporcato un po’ dappertutto. Alla nuca aveva un foro, segno indelebile dell’uso di un’arma da fuoco, ma non c’erano segni di aggressione o di lotta, l’unica cosa strana era il computer portatile ancora acceso.
«Ci dica esattamente cos’è successo.» chiese Shinichi alla signora, dopo essere uscito dalla roulotte.
«Erano le otto e mezza quando sono tornata alla roulotte, la mia amica, la signorina Shizune, era al computer portatile - disse la donna puntando il dito verso un computer sulla scrivania della roulotte - eravamo qui di passaggio perché dovevamo portare una cosa importante a una nostra amica, ma quando sono andata a vedere se era messa al proprio posto nella scatola, non la trovai. Mi arrabbiai con Shizune e poi uscii e andai a cercarla, circa mezz’ora fa sono tornata alla roulotte a mani vuote e ho trovato la povera Shizune così, com’è adesso…»
«Scusi se le sembro indiscreto, ma quale sarebbe l’oggetto in questione?» chiese Heiji, cercando di saperne di più.
«Una collana di madre perla che spettava in eredità alla nostra amica. Aveva anche un ciondolo di quelli che si aprono e dentro c'era una strana pietra che non ho mai visto.» a quella risposta, i due giovani detective si girarono verso Kaito che era stato per tutto il tempo fuori dalla roulotte mezzo assonnato, ma comunque con l’aria attenta.
«Ehi, non guardate me! Non c’entro! E poi non rubo cose che non conosco!» disse alzando le mani come a volersi arrendere.
«No Hattori, non può essere stato lui... e poi Kaito non ucciderebbe nessuno, lo sai bene!» disse Shinichi.
Eppure questa volta avevano pochi indizi. Quel caso sembrava parecchio più complicato degli altri e quella tela di fili rossi era intrecciata talmente bene che era parecchio difficile sbrogliarla. Il ragazzo, come fosse una richiesta d’incoraggiamento, chiese ad Holmes di aiutarlo. Sperava che rivangando nella sua memoria, quelle letture che sapeva una volta adorava, forse sarebbe riuscito ad arrivare alla soluzione. 
Decisero comunque che sarebbe stato opportuno chiamare la polizia, che ovviamente non tardò ad arrivare e si mise subito ad indagare insieme ai ragazzi. Eppure neanche loro, riuscirono a trovare anche solo un minimo dettaglio che potesse dare una svolta al caso.
«Abbiamo troppi pochi indizi e troppi sospetti - disse l’ispettore Megure guardando il corpo della vittima - Shinichi ed Heiji, siete sicuri che sia tutto qui?»
«Così ha detto la signora, ispettore.» rispose Heiji.
«Capisco…» rispose l’uomo, più a se stesso che ai due ragazzi, continuando a guardare pensieroso la vittima.
Ad un tratto però tutti e tre furono sorpresi dalla voce femminile di una donna.
«Ispettore, ispettore…» gridò correndo verso il suo capo.
La donna era la stessa che si trovava vicino a Takagi il giorno del suo compleanno e Shinichi la ricordò come Sato. Miwako Sato.
«Sì, che c’è Sato? Hai trovato qualche indizio?»
«Di più ispettore l’arma del delitto!»
I due amici si guardarono negli occhi per pochi secondi, poi iniziarono a correre verso la direzione da cui era venuta la donna, seguiti a ruota dall’ispettore e l’altro agente. Sul luogo c’erano diversi agenti che gironzolavano.
Era un piccolo spiazzo circondato da cespugli e alberi, alcuni secchi per via dell’afa di quei giorni, non sembrava molto grande, ci potevano stare al massimo cinque o sei tende, non di più.
Sato indicò un punto vicino a un piccolo albero secco: a terra vi era una pistola, probabilmente una PPK. Fu un’agente della scientifica a prenderla, con i suoi bianchi guanti di plastica, per poi metterla in una busta trasparente e sigillaria.
I due ragazzi rimasero lì, davanti a quell’alberello, cercando di ricostruire la dinamica dei fatti.
«Tu quindi credi che l’assassino sia corso qui e l’abbia fatta cadere di proposito?» chiese Heiji stupito, dopo un’affermazione, che a lui sembrava assurda, del suo amico.
«Potrebbe essere un spiegazione valida. Quello che non mi convince è il perché prima ha preso la collana e poi, dopo che la signora se ne andata di nuovo, ha ucciso Shizune, mi pare illogico.»
«Probabilmente voleva che… - il ragazzo si zittì fissava un punto dietro la schiena dell’amico - Kudo guarda là!» disse indicando un ramo del piccolo albero secco dietro di lui.
Shinichi si girò e vide che impigliato nel ramo dell’albero c’era un pezzo di stoffa nera. Avvicinò la mano a quel pezzo di tessuto: le dita gli tramavano, come se stesse per toccare qualcosa di rovente e sapeva che si sarebbe bruciato. Quando lo ebbe in mano lo fissò con occhi attenti, ma allo stesso tempo spaventati.
«Kudo... tu credi che in tutto questo possa c’entrare l'organizzazione?» chiese il giovane detective di Osaka, vedendo lo sguardo perplesso dell’amico, mentre teneva quel pezzo di stoffa in mano.
«Non lo so, spero solo che non erano qui per me, ma per la collana!» disse mettendosi poi il pezzo di stoffa in tasca.
«Cosa pensi di fare?»
«Forse è meglio che torniamo alle nostre tende. Se sono davvero stati loro non penso siano stati così stupidi da lasciare altre tracce in giro, già è un miracolo che abbiamo trovato questa.»
I due ragazzi tornarono alle tende senza dire una parola all’ispettore, che invece sperava in una loro brillante deduzione per quel caso complicato.
«Ho paura Hattori!» sussurrò Shinichi quando furono seduti vicino alle loro tende.
«Che cosa stai dicendo Kudo? Non hai mai avuto paura di niente e di nessuno! Non ti puoi far mettere i piedi in testa da loro, li hai battuti una volta e puoi rifarlo!» disse Heiji non riconoscendo più l’amico. 
Chissà forse il laser dell’organizzazione aveva anche quello scopo, oltre a quello di far perdere la memoria o forse semplicemente non ricordando il suo passato non era facile affrontare alla leggera una situazione del genere.
«Stai pure tranquillo Kudo. - disse una voce alle loro spalle, i due si voltarono e videro Kaito uscire dalla sua tenda e unirsi a loro - Se sono venuti qui non è sicuramente per te!»
«Kaito cosa…? Che vuoi dire?» chiese Shinichi stupito.
«Vi ho mentito prima! Sapevo di cosa si trattava quella collana, ma non avevo intenzione di rubarla!»
«E allora? Cosa c’entra con l’organizzazione?» domandò Heiji.
«Vi ricordate cosa ha detto, la signora sul ciondolo della collana?»
«Sì, della pietra strana che non sapeva cos’era!» disse prontamente il ragazzo.
«Esatto! Quella pietra è un opale verde, un tipo di pietra che si trova solo in India! Ora non so se è vero ma credo che sia quello l’alimentatore per il laser che ti ha fatto perdere la memoria… - disse rivolgendosi a Shinichi - e dato che è più facile rubarlo piuttosto che andarlo a prendere fino a lì ne hanno approfittato! Certo con uno non se ne fanno molto, ma penso che alimenti il laser almeno per altri due o tre obbiettivi.»
Tutti e tre i ragazzi rimasero in silenzio nella notte fredda, rannicchiati su se stessi, mentre nuvolette di condensa uscivano dalle loro bocche quando respiravano.

  
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