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Autore: nightswimming    25/07/2013    9 recensioni
La vergogna è l'ombra dell'amore.
(historical!AU) (omegaverse: alpha!John, omega!Sherlock, alpha!Mycroft)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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III
 
 
 
 
Mio caro fratello,
 
apprendo con gioia la buona novella. E’ una vera benedizione sapere che, nonostante i tuoi scetticismi e la tua natura testarda, tu sia riuscito ad abbracciare la promessa di una felicità duratura.
Tuttavia, per quanto concerne la tua richiesta di un mio assenso scritto che vi consenta di stringere presto questo tanto auspicato vincolo, mi trovo costretto ad opporre un rifiuto. E’ mio desiderio conoscere di persona questo coraggioso capitano Watson prima di concedere il mio benestare.
Non lascerò che un membro della casata degli Holmes si unisca a chiunque non abbia incontrato la mia totale approvazione.
Sarò di ritorno sabato dieci giugno. Confido che saprai attendere.
Ti porgo ancora le mie congratulazioni,
 
                                                                               Mycroft
 
*
 
“Maledetto!” sbottò Sherlock furibondo, accartocciando la lettera e scagliandola via.
John strinse i pugni e tacque di fronte alla sua collera. Seduto su una poltrona dello studio di Sherlock, si tormentava un labbro con il pollice, pallido e cupo in volto.
“Se crede di poter fare quello che vuole di me-”
“Temo che possa farlo, signor Holmes” lo interruppe tristemente John. “E’ una legge disumana, la nostra.”
Si alzò in piedi e gli si fece vicino. Gli aveva a malapena sfiorato i capelli con una carezza rassicurante quando il maggiordomo, sempre ritto in piedi nella sua posizione di guardia davanti alla porta, si schiarì la voce con fare di disapprovazione.
Sherlock perse le staffe.
“Fuori!” gridò, gli occhi che mandavano lampi. “Fuori di qui! Non sono in calore, il capitano Watson è perfettamente capace di moderare i suoi slanci, e anche se non lo fosse saremo sposati fra dieci giorni a dir tanto! Cosa importa se succederà nella prossima ora o durante la prima notte di nozze?”
Il viso del maggiordomo divenne di fuoco.
“Ma, signore, cercate di capire-”
“Fuori, ho detto!”
“Signor Holmes…”
“Silenzio, capitano! E voi, mi avete sentito? Fuori!”
L’uomo balbettò impaurito, ma rimase al proprio posto, irremovibile.
John trattenne Sherlock, che si era già gettato in avanti, dall’usargli violenza e lo fece riaccomodare sulla sua sedia.
“Signor Holmes, il suo servitore obbedisce solo agli ordini” tentò di convincerlo in tono ragionevole. “Non è sua la scelta di stare qui. Anzi” lanciò uno sguardo di scuse al pover’uomo, “credo proprio che gradirebbe essere da tutt’altra parte.”
Sherlock digrignò i denti ma gli prese una mano fra le sue e la strinse forte.
“Non sopporto più questa prigione. E’ casa mia, e non posso fare niente di quello che vorrei davvero!” mormorò, la voce colma di frustrazione.
John sorrise con calore.
“Vi porterò via di qui. Presto. E potrete fare quello che vorrete, quando vorrete, tutte le volte che vorrete.” Gli baciò le nocche. “Ve lo prometto.”
Sherlock lo guardò negli occhi.
Quell’uomo gli stava offrendo la libertà, il vincolo coniugale, devozione e amore tutto in una volta. Com’era possibile? Era un alfa. Avrebbe dovuto dirgli con una risata sprezzante che dal giorno delle nozze in avanti, la sua vita sarebbe stata una mera appendice dei suoi desideri e delle sue voglie. Nulla di più.
Sposato, e reclamato, Sherlock avrebbe potuto finalmente andare ovunque volesse senza correre alcun rischio. Il suo odore sarebbe cambiato; il suo status pure. Esistevano punizioni gravissime per chi profanava il sacro legame fra un alfa e un omega uniti dal matrimonio e dalla natura. Nessuno avrebbe osato attaccarlo. Sarebbe stato libero, libero di condurre ricerche in giro per il mondo, libero di seguire la sua curiosità, libero di parlare con chi voleva senza irritanti maggiordomi di mezzo. Libero, e al sicuro.
Lui aveva tutto da guadagnare da quell’accomodamento. Ma John? Cosa poteva guadagnarci, lui?
Nei giorni trascorsi ad aspettare la risposta di Mycroft, seduti in giardino o intorno alla sua scrivania, avevano parlato per lunghe ore delle loro vite prima di incontrarsi. John aveva ricusato l’obbligo di prendere un compagno perché gli aveva preferito il combattimento, il dovere e il piacere di soldato; gli aveva detto di aver rifiutato molte proposte da omega persino più blasonati e ricchi di lui pur di seguire le sue inclinazioni.
Dunque non intendeva sposarlo per avere né un titolo, né la sicurezza economica. Era un combattente eccelso, un eroe di guerra, e aveva un carattere e un aspetto più che piacevoli. Non doveva mai aver avuto difficoltà a essere oggetto di desiderio.
Di cosa mai si poteva trattare? Sherlock voleva saperlo, aveva bisogno di saperlo.
“Capitano” cominciò, sciogliendo l’intreccio delle loro mani. L’altro gli rivolse un’espressione interrogativa. “Sarò sincero con voi, perché la sincerità è il minimo che vi devo.”
“Parlate” lo incalzò John, fattosi curioso.
Sherlock lo guardò a lungo negli occhi, cercandovi un qualunque indizio, una qualunque manifestazione evidente del motivo che stava cercando, prima di domandargli: “Perché io? Perché un omega che vi ordina di tacere e vi giura vendetta se mai lo deluderete? Non comprendo.” Scosse la testa. “Siete un alfa.”
John sorrise.
“E voi siete un omega. Dovreste essere nulla più che una culla umana per i miei figli. Eppure, guardatevi.” Lo indicò con un ampio gesto della mano con quella che sembrava ammirazione. “Sono certo che siete in grado di superare per carattere e intelligenza gran parte dei miei pari. Vi ho detto che per anni ho preferito la guerra ad un eventuale legame: non capite? Non desidero un inferiore, un mero sfogo per i miei istinti, e nemmeno qualcuno che mi tema e senta paura in mia presenza. Voglio qualcuno che si riveli una sfida, per me, che non mi faccia perdere lo spirito combattivo. Un compagno che mi rispetti, ma con cui si possa instaurare un rapporto di forze opposte. Un uomo da poter amare… da poter meritare.” Distolse lo sguardo. Ancora una volta, sembrava imbarazzato. “I racconti che ho udito su di voi vi definivano indomabile. La prima volta che vi ho sentito descritto in quei termini, ho pensato: se davvero esiste un omega che risponda alla mie aspettative, è lui.”
Sherlock, a quelle parole, si fece immobile e zitto. Lo guardò quasi con un reverenziale terrore, come se non avesse mai visto uno spettacolo simile: strano e meraviglioso a un tempo.
John si leccò le labbra e arrossì ancora di più.
“Perdonate se con questa dichiarazione vi ho messo a disagio. Abbiamo tempo per prendere confidenza l’uno con altro, e davvero io-”
Sherlock chiuse gli occhi gli baciò una mano, indugiando con le labbra sulla sua pelle per lungo tempo. John venne preso dalla commozione e gli baciò la fronte.
Entrambi ignorarono il tentativo disperato del maggiordomo di richiamarli alla decenza.
 
*
 
Il dieci giugno sembrava voler arrivare con molta più lentezza rispetto al normale scorrere del tempo.
Sebbene le giornate trascorressero in modo piacevole (Sherlock aveva mostrato al capitano i risultati e le osservazioni ottenuti grazie a anni e anni di ricerca scientifica: l’uomo ne era rimasto strabiliato, e si era espresso con parole molto più che lusinghiere, l’ammirazione e l’amore che gli illuminavano lo sguardo) i loro animi erano irrequieti. L’attesa li consumava; il miraggio della loro unione, così vicina e allo stesso tempo così lontana, li frustrava.
Il capitano Watson sembrava specialmente affetto da quello stillicidio. Diveniva più nervoso di giorno in giorno, e si rifiutava categoricamente di voler lasciare il castello, anche solo per un pretesto innocuo come una passeggiata a cavallo. Aveva richiesto a Sherlock il favore di trascorrere più tempo possibile solo con lui nei suoi alloggi - fatta eccezione per l’irrinunciabile maggiordomo - e di annullare le visite previste per quella settimana.
Sherlock ne era rimasto stupito, ma lusingato. Nessuno aveva mai voluto trascorrere tanto tempo in sua esclusiva compagnia.
Mycroft era solito ripetere sempre che, alla lunga, la sua lingua tagliente sarebbe risultata simile alla tortura cinese della goccia. Sgarbo dopo sgarbo, insinuazione dopo insinuazione, le povere vittime sarebbero uscite di senno senza possibilità di scampo. Sherlock aveva potuto riscontrare la verità di quelle sue parole acri nella vita di tutti i giorni.
Ma John Watson, in questa come in molte altre cose, si era rivelato diverso.
Pendeva dalle sue labbra; ma con una grande dignità, e nobilitato da un sentimento che agli occhi di Sherlock sembrava ardere come il sole. Si era dimostrato sinceramente interessato sia ai suoi studi, sia alla sua persona, intervallando lunghi minuti di silenzio passati ad ascoltare a commenti pacati e pertinenti.
Sherlock si beava di quella calma autorevolezza, di quel suo carattere così forte e accomodante a un tempo. I suoi sorrisi deliziati erano come un balsamo per il proprio orgoglio sempre rimasto arroccato in difesa. Ogni giorno che passava, sembrava covincersi sempre di più della bontà della sua scelta, e, per la prima volta nella sua vita, si sentì interamente appagato. Interamente felice.
Se solo avesse potuto condurre oltre le proprie esplorazioni della persona del capitano, e non solo del suo spirito, allora si sarebbe considerato vicino alla beatitudine.
Dopo quel primo - e finora unico - sconvolgente bacio, tutto ciò che la presenza irritante del maggiordomo aveva permesso erano stati sfioramenti di mani e carezze sui capelli. Tocchi fugaci che non l’avevano neanche lontanamente soddisfatto; e che, sospettava, non erano bastati in minima misura neanche al capitano.
Provava grande curiosità nei confronti dei bisogni che la sua carne sembrava avere. Era tutto nuovo per lui, e desiderava sapere quanto più possibile, nel minor tempo possibile. Questo desiderio intenso e avvolgente non era nulla rispetto alla brutalità del calore: un lume di candela, piacevole e intimo, paragonato a un incendio che appiccava fuoco a qualunque cosa incontrasse con cieca furia distruttrice.
Quella voglia era solo sua, pensava, non della natura. Il suo corpo gli obbediva, cantava; era pervaso da un’energia gioiosa; e la sua mente, per una volta, sembrava accodarsi di buon grado alla sua controparte più terrena, apparentemente incapace di evidenziare alcun lato negativo.
Il fatto che John Watson si dimostrasse all’apparenza irreprensibile non gli era però di alcun aiuto.
Aveva proposto più volte di eludere la sorveglianza, di scappare, di rifugiarsi anche solo per poco tempo in un luogo solitario: ma il capitano non aveva voluto sentire ragioni.
Dopotutto, non erano ancora sposati. Le consuetudini imponevano castità e astensione.
Ma come Sherlock ben sapeva, tutti prima o poi giungevano al punto di rottura. A volte bastava semplicemente crearlo con le proprie mani.
“Voi avete esperienza” aveva insistito una sera, mentre bevevano un bicchiere di vino nel fumoir.
Il capitano aveva lanciato un preventivo sguardo di scuse al maggiordomo e gli aveva sorriso, un rossore delizioso sul collo. “Non è di mio gradimento partire svantaggiato. Quando verrà il momento, desidero possedere almeno una basilare conoscenza del-”
“Signor Holmes, vi prego” aveva riso il capitano. Lo guardava con occhi sgranati, che non sapevano cosa fosse meglio: se fingere di essere sconvolto quando, oramai, la natura anticonformista dell’altro gli era ormai più che famigliare, o se spingerlo ad andare avanti e vedere dove il discorso sarebbe giunto. Sherlock sapeva che l’ultima possibilità era quella che lo attraeva di più. “Contenetevi. Siamo ascoltati.”
Sherlock soffiò un sbuffo impaziente dal naso.
“Non per mia volontà, perciò le conseguenze di quello che dirò non dipendono da me. Potete sempre andarvene,” disse poi rivolto al maggiordomo, ormai sempiternamente paonazzo in volto.
“Io-” tentò l’uomo, spiazzato, tormentandosi le mani.
Sherlock rivolse uno sguardo al bell’orologio a muro che troneggiava di fianco al camino. Segnava le undici e tre quarti.
“Vi chiedo fino alla mezzanotte. Uscite a prendere un po’ d’aria nel parco, e magari una rosa per l’aiuto-cuoca con i capelli rossi. ” Sorrise, ma siccome non potè fare a meno di esibire tutti i denti, impaziente com’era di restare solo con il capitano, risultò più minaccioso che rassicurante. “Portategliela. Sarà buona con voi. Credetemi.”
Riuscì ad addolcire la sua espressione semplicemente perché aveva colto con la coda dell’occhio un sorriso divertito di John.
“Mia madre non saprà nulla.”
“Poco danno può essere fatto in quindici minuti, signore” rincarò gentilmente la dose il capitano.
Il maggiordomo guardò prima l’uno, poi l’altro, indeciso e spaventato.
“Io-” ripeté.
“Avete la mia parola.”
“La nostra.”
Sherlock sorrise.
“Non finirete nei guai.”
L’uomo divenne d’improvviso rigido, dopodiché annuì svelto e grato e svicolò come un topo fuori dalla porta.
Sherlock non perse tempo. Dopo aver girato la chiave nella toppa, si voltò a fronteggiare l’altro con sguardo impaziente.
John si era alzato dalla sedia e aspettava immobile.
Qualcosa scattò nella mente di Sherlock nel vedere l’espressione aperta e onesta del suo viso, il desiderio puro e sincero nel suo sguardo.
In un attimo, eliminò ogni distanza fra loro e lo strinse per la vita, affondando il naso nei suoi capelli.
Sentire il suo odore avvolgerlo fu come essere incendiato.
Confuso ma pieno di determinazione, prese a far vagare le mani ovunque poteva, gemendo frustrato nell’incontrare nient’altro che vestiti. John sospirò e lo strinse forte, quasi impedendogli di muoversi nel suo abbraccio, impegnato a ricoprirgli il viso di baci.
“Dimmi come” gli sussurrò Sherlock all’orecchio sentendosi l’intero corpo in fiamme. “John-”
Fu allora che ogni dubbio riguardo alla natura dell’altro sparì dalla sua mente, perché il capitano manifestò con un ringhio basso e possessivo il suo temperamento di alfa.
Sherlock sentì le sue labbra prendere possesso delle proprie, calde, ruvide, prepotenti, ogni remora e delicatezza messe da parte. Una mano si insinuò nei suoi capelli e gli fece reclinare la nuca per fargli esporre il collo: Sherlock gemette con abbandono quando avvertì la sua lingua e i suoi denti assaggiare la pelle sensibile.
Fu allora che capì, finalmente, cosa significava la passione amorosa, e cosa invece era soltanto mero impulso fisico. Le sensazioni travalicavano il suo corpo: lo avvolgevano in qualcosa di più grande, indescrivibile, intenso al punto del dolore. Non aveva mai creduto che lui, Sherlock Holmes, potesse mai contenere dentro il proprio cuore tanto trasporto nei confronti di un’altra persona all’infuori di sé.
John si allontanò di colpo. Gli prese il viso fra le mani, il respiro corto, gli occhi grandi ed intensi. “Così bello” sussurrò roco sfiorandogli l’angolo delle labbra rosse di baci con il pollice. Gli sorrise incantato. “Non sei di questo mondo.”
Sherlock rabbrividì e tentò goffamente di raggiungere la sua cintura; impresa difficile dal momento che i baci erano ripresi.
“Lascia che-” provò a dire sulle sue labbra. John scosse la testa.
“No. Abbiamo poco tempo. Voglio che sia tutto per te.”
“Ma-”
“Devi sapere cosa si prova prima di poter ricreare quella sensazione” si impose John, gentile ma fermo.
Sherlock assunse un’espressione oltraggiata ma infine si convinse e annuì.
“Voglio toccarti” disse distogliendo lo sguardo, imbarazzato dal tono simile al capriccio con cui aveva pronunciato quelle parole. “Non so perché lo voglio così tanto. Perché lo antepongo al desiderio che tu tocchi me.”
John lo abbracciò e gli sussurrò all’orecchio, la voce fremente di gioia: “E’ colpa di quel sentimento che tanto detesti.”
Sherlock fece una smorfia.
“Che tanto detestavo” borbottò contrariato, come ogni volta che doveva ammettere di essersi ricreduto su qualcosa.
Avvertì l’altro sussultare e prendere un lungo sospiro tremante.
“Stringiti a me” disse poi John con voce spezzata. Sherlock obbedì.
Il tempo era poco, sentì mormorare John, il tempo era poco e lui gli chiedeva con angoscia sincera di perdonarlo se tutto gli fosse risultato troppo frenetico e brusco. Sherlock stava per ingiungergli di stare zitto quando sentì una sua mano farsi strada sotto la camicia, carezzargli la pelle, scendere oltre il suo ombelico.
La guancia premuta contro la spalla di John, trattenne il fiato; e quando avvertì le sue dita sfiorarlo e chiudersi attorno a lui con una riverenza tale da portarlo quasi alle lacrime, gemette.
John gli baciò una tempia. Il suo respiro era affannoso. Sembrava sull’orlo di qualcosa che Sherlock non conosceva.
Si impose di ricordarsi di ridefinire la parola “calore” nel proprio personale vocabolario, perché quando la mano di John si mosse, la sensazione fu di un piacere quasi bruciante. Si sentiva teso e costantemente al limite, e si disse che la sensazione sarebbe dovuta risultargli sgradevole, ma invece era tutto il contrario. Sembrava che John avesse trovato una fonte di piacere nel suo corpo che lui prima di quel momento non sapeva nemmeno di avere.
Pensò che quel momento così squisito non sarebbe potuto durare, ma invece proseguì per quelli che dovevano essere minuti interi; e quei fremiti deliziosi non fecero altro che aumentare, invadendolo da capo a piedi, accecandolo.
John sussurrò qualcosa di concitato e incomprensibile al suo orecchio. Il tono della sua voce era colmo di devozione. Sherlock lo strinse forte e venne preso alla sprovvista dalla fine- una contrazione meravigliosa, violenta, assordante, che chiuse il suo corpo in un cerchio continuo di piacere.
Quando riaprì gli occhi, si rese conto che aveva affondato i denti nella spalla di John, e che non era in grado di reggersi in piedi.
“Sedetevi.”
Obbedì senza forze. John lo cinse per la vita e lo fece accomodare su una poltrona.
Tremava e aveva il viso congestionato.
Sherlock lo guardò ancora ansimante.
“State bene?” chiese, meravigliandosi del sussurro rauco che era diventata la sua voce. Aveva urlato? Non riuscì a vergognarsene. “Vi ho turbato in qualche modo?”
John rise.
“Se mi-” Gli rivolse uno sguardo sofferente, eppure divertito. “Non vi potevate vedere. Non credo che ‘turbamento’ sia in grado di definire adeguatamente quello che avete provocato in me.”
L’orologio battè la mezzanotte.
Sherlock si risistemò gli abiti, immerso in un silenzio pensieroso. Erano tornati al voi; l’intimità dei nomi di battesimo era solo un ricordo. Il mondo al di là delle mani di John gli sembrò freddo e inaccogliente.
“Io… Vi vorrei ringraziare” disse rigido.
John, che si era voltato verso il camino e sedeva piegato su sé stesso su una scomoda sedia, come per nascondersi al suo sguardo, si girò nuovamente verso di lui.
Sherlock lo fissò con espressione decisa.
“Avvicinatevi” disse.
John obbedì.
Non sembrava a proprio agio col suo stesso corpo. Era come se qualcosa stesse rendendo difficoltosi i suoi movimenti, donandogli una goffaggine che non gli apparteneva.
Sherlock lo guardò con attenzione, nuovamente lucido.
Sembrava combattuto. Irrequieto. Quasi impaurito.
Raccolse il coraggio per superare l’umiliazione cui si stava per sottoporre e parlò.
“Ditemi cosa ho sbagliato.”
John gli rivolse un’occhiata allibita, dopodiché scosse la testa e sorrise debolmente. Si sporse in avanti per sfiorargli le labbra con un bacio colmo di tenerezza.
“Voi non potrete mai sbagliare nulla” gli disse a un soffio dal viso, la voce affranta. “Sono io che ho commesso un errore imperdonabile.”
Sherlock sorrise.
“Vi posso assicurare che questo non è vero.”
Doveva avere un’espressione particolarmente sfacciata in volto perché John rise e lo baciò di nuovo. Sherlock ricambiò con sollievo.
“Mi fate perdere il controllo” ammise infine John, le labbra sulla sua tempia. “Smarrire il senno. Inorridire di me stesso.” Sembrava sinceramente disgustato dalle proprie azioni.
Sherlock emise un verso di disapprovazione.
“Smettetela di fare penitenza. Ho chiesto io espressamente quello che è accaduto. E voi non avete nemmeno permesso che io ricambiassi.” Lo strinse con ostinazione. “Vi è proibito avvertire senso di colpa.”
John ricambiò l’abbraccio ma non lo guardò più in viso per il resto della sera.
   
 
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