Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: nightswimming    16/07/2013    3 recensioni
La vergogna è l'ombra dell'amore.
(historical!AU) (omegaverse: alpha!John, omega!Sherlock, alpha!Mycroft)
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note dell’autrice: scusate se aggiorno fuori tabella di marcia, ma non so se domani sera o giovedì sarò in grado di raggiungere un pc, per cui lo faccio ora. Grazie infinite dei bellissimi commenti <3
 
 
 
 
 
 
 
II
 
 
 
 
 
 
Riaprì gli occhi nella quiete serale della sua stanza, illuminata dalla luce delle candele.
Sua madre emise un singhiozzo sollevato e si sporse sul suo letto per baciargli la fronte.
“Sherlock, caro, finalmente sei sveglio. E’ tutto finito.” Gli accarezzò i ricci sudati, le lacrime agli occhi. “Siamo salvi.”
Sherlock battè le palpebre. L’aria era piena di pace ritrovata; non c’era più nessuna traccia di distruzione o di urla o di colpi di fucile.
“Per quanto ho dormito?” chiese con voce roca. Sua madre si affrettò a versargli un bicchiere d’acqua e glielo porse. Sherlock lo bevve tutto in tre lunghi sorsi.
“Eri stremato dalle forti emozioni e dal calore. Sei rimasto privo di sensi per così tanto tempo.” Si asciugò gli occhi con un fazzoletto. “Tre giorni interi. Io e il capitano Watson eravamo divorati dalla preoccupazione.”
Sherlock si mise seduto contro i cuscini. Qualcuno lo aveva spogliato, mettendogli la camicia da notte. I muscoli gli dolevano e si sentiva la testa come piena di spilli dolorosi.
“Il… Capitano Watson?” chiese confuso, massaggiandosi le tempie.
Sua madre sospirò mettendosi una mano sul petto.
“Il tuo salvatore. Il nostro – la sua guarnigione ha scacciato i russi, appena in tempo.” Sorrise con aria sognante. “E’ venuto più volte a informarsi delle tue condizioni. Un impeccabile gentiluomo.”
Sherlock congiunse le punte delle dita sotto il mento. Cercò di concentrarsi: le sue memorie di quel giorno erano vaghe e confuse.
Ricordò due occhi di un blu tempestoso, minacciosi e dolci a un tempo. Ricordò il gesto di premersi un pezzo di stoffa sul viso. Ricordò una mano che lo aiutava ad alzarsi.
Nient’altro.
“Ditemi, la sua guarnigione è ancora in città?” chiese.
“Sì, caro.”
Sherlock annuì, pensieroso.
“Desidero vederlo per esprimergli la mia gratitudine” disse infine.
Sua madre si alzò in piedi.
“Darò disposizioni perché venga domani. Ora torna a riposare.”
 
*
 
La mattina seguente, Sherlock, di nuovo in forze, si mise di buon’ora nel suo studio e si dedicò a riempire i suoi taccuini con i risultati di vecchi esperimenti.
Verso le undici qualcuno bussò alla porta.
“Sì?” disse, senza alzare lo sguardo dai fogli.
“Un capitano John Watson, signore, del Quinto Fucilieri di Northumberland.”
Sollevò la testa. Il suo maggiordomo lo guardava con espressione neutra, in attesa di una risposta.
Sherlock si alzò in piedi.
“Fatelo entrare, grazie.”
L’uomo annuì e richiuse nuovamente la porta dietro di sé.
Sherlock si sistemò il colletto della camicia, lisciò la piega dei pantaloni e controllò che i gemelli fossero allacciati con cura.
Poco dopo si sentì di nuovo bussare.
“Prego.”
Entrò un uomo in divisa militare, di statura modesta, biondo e dall’aria garbata. Sherlock ne riconobbe gli occhi: un azzurro cupo che dava l’aria di poter facilmente essere dolce come minaccioso.
John Watson gli sorrise.
“Marchese” disse, dopo essersi inchinato. Sherlock lo imitò. “Sono felice di sapere che vi siete ripreso.”
Aveva un’espressione sincera e aperta. Sherlock sollevò un angolo delle labbra.
“Se ho potuto riprendermi in primo luogo, è grazie a voi. E, vi prego, chiamatemi Holmes.”
Gli porse una mano. Dopo una breve esitazione, John Watson la strinse.
Sherlock sentì un brivido caldo scorrergli lungo il braccio e potè giurare di averlo avvertito anche nell’altro uomo. Per un attimo una strana armonia, un inspiegabile senso di completezza lo invase.
Sciolse in fretta la presa e tornò a sedersi, indicando al suo ospite di fare altrettanto.
“Prego, mettetevi a vostro agio, così potremo parlare più comodamente del modo in cui potrò sdebitarmi per quello che avete fatto.” Allargò il suo sorriso, che raggiunse gli occhi. John Watson si illuminò. “Anche se penso non vi sia un corrispettivo materiale per la dignità di un uomo, o per la sua vita.”
John Watson fece per parlare, ma poi si accorse che il maggiordomo degli Holmes li stava osservando impettito dalla porta e si interruppe.
Sherlock sospirò.
“Vi prego di scusarmi, ma sono un omega non reclamato e in molti casi non ho diritto alla discrezione.” Le sue parole grondavano disprezzo; il maggiordomo si mosse da un piede all’altro, a disagio. “Pare che non sia sicuro lasciarmi solo con un alfa.”
John Watson gli rivolse un’occhiata colma di dispiacere, ma non di pietà. Poi distolse in fretta lo sguardo e si mise a giocherellare con i guanti che teneva in mano.
“Credetevi quando vi dico che il solo pensiero di farvi danno mi addolora” disse piano.
Sherlock batté le palpebre, per un momento preso alla sprovvista da quella misteriosa affermazione. Poi torno in sé e si mise a riordinare meccanicamente i suoi taccuini sulla scrivania.
“Mi avete salvato la vita. Sono un uomo con abbondanza di mezzi. Chiedetemi quello che volete, e io ve lo darò” disse in tono pratico ma benevolo. “Qualsiasi cosa.”
John Watson allargò gli occhi per la sorpresa prima di scuotere la testa con decisione.
“No, no, no. Non sono venuto per ottenere qualcosa in cambio. Quel che ho fatto l’ho fatto per dovere e… Per voi.” L’onestà nel suo sguardo era quasi sconcertante. Sherlock ne fu colpito. “Solo per voi.”
Calò un breve silenzio, pieno da una parte di stupore, e dall’altra di nervosismo.
Sherlock si schiarì la voce tentando di scuoterli da quell’imbarazzo.
“Ma… Ci sarà pure qualcosa che volete. Che posso darvi,” tentò in tono ragionevole.
John Watson lo guardò intensamente.
“Mi basta sapere che pensate bene di me.”
Sherlock rise.
“Avete impedito il mio disonore, e con molta probabilità la mia morte. Come potrei non pensare bene di voi?” chiese sarcastico.
Di nuovo John Watson distolse lo sguardo. Vedendo un tenue rossore imporporargli il collo, Sherlock eruppe in una risata profonda.
“Non siate così modesto, capitano Watson. Ho sentito dire che siete un eroe di guerra. Dovreste essere abituato alle lodi.”
Fu il torno del soldato di ridere.
“Ho un temperamento peculiare.”
“Un tipo di peculiare non del tutto spiacevole, allora.”
Il rossore sulle guance di John Watson peggiorò, diventando più che evidente.
“Io… Ho mentito, signor Holmes” ammise, dopo aver deglutito con fatica. Quando sollevò lo sguardo Sherlock vide che era pieno di apprensione. “C’è qualcosa che vorrei.”
Sherlock sorrise.
“Ne ero certo. Non esitate a manifestare il vostro desiderio. Entro i limiti del possibile, farò di tutto per esaudirlo.”
John Watson si alzò in piedi e pose la mano sull’elsa della spada che portava al fianco. Sherlock intuì che il gesto lo tranquillizzava; dopotutto, era un soldato. Si chiese cosa potesse incutergli tanto timore – si chiese cosa potesse essere così estremo da fare paura persino a un coraggioso ufficiale dell’esercito britannico.
“Signor Holmes” cominciò, e i suoi occhi ardevano. “Ve lo chiedo con la più grande sincerità d’animo e vorrei, se possibile, che voi rispondeste animato da un uguale sentimento.”
Sherlock aggrottò le sopracciglia, ma annuì.
“Avete la mia parola, capitano.”
John Watson aggirò la scrivania posta in mezzo a loro e gli si avvicinò, la mascella tesa, lo sguardo nervoso.
“Vorrei che mi concedeste l’onore della vostra mano” disse, scandendo le parole con infinita cura.
Sherlock credette di non aver sentito bene. Con la coda dell’occhio vide che il suo maggiordomo era rimasto a bocca aperta.
“Io… Temo di non capire…” disse con qualche difficoltà, il cuore che gli batteva forte in petto per la sorpresa. Gli occhi di John Watson erano gentili e pieni di passione.
“Vorrei sposarvi al più presto. Rendervi mio.” Gli sfiorò con delicatezza una mano, chinandosi su di lui. “Se anche voi vorrete fare lo stesso con me.”
Sherlock alzò il capo. Erano molto vicini, eppure non sentì nessun famigliare sentimento di repulsione verso quell’uomo a un tempo timido e intraprendente che aveva appena dichiarato di volersi legare a lui. La sua gentilezza, la sua sensibilità e la sua empatia rendevano improbabile, quasi paradossale la sua natura di alfa; eppure Sherlock ancora ricordava il suo odore, quel profumo delizioso.
No, non c’era nessun errore. John Watson tradiva gli stereotipi della propria specie: era diverso, unico.
Come lui.
Sherlock si alzò bruscamente in piedi.
Cosa stava facendo? Doveva restare lucido. Ne andava del suo futuro, della sua libertà. Non poteva farsi abbagliare dalla gratitudine e da una prima buona impressione.
“Voi non mi conoscete” disse secco, misurando a lunghi passi la stanza. “Dite di avere un temperamento peculiare. E’ vero anche nel mio caso: ho trent’anni e non sono ancora stato reclamato.” Rialzò lo sguardo su di lui, diffidente. “Questo non vi insospettisce? Non vi spaventa il pensiero di un omega così contrario all’idea di un compagno?”
John Watson sorrise con dolcezza.
“Penso che non vogliate un padrone, non che non vogliate un compagno. E penso che se fossi un omega anch’io desidererei la stessa cosa.”
Sherlock si fermò in mezzo alla stanza. Lo guardò esterrefatto.
“Vi prendete gioco di me?” sibilò.
Il capitano tornò subito serio e scosse la testa.
“No- credetemi, no. Ho sentito molto parlare di voi. Le vostre ricerche scientifiche, il desiderio d’indipendenza, il rifiuto di ogni alfa abbastanza coraggioso da proporsi a uno spirito così libero. So che vi dipingono come arrogante e…” si interruppe e deglutì, a disagio, “e… pazzo… e vogliate scusare queste parole che non sono le mie. Credetemi quando vi dico che da quel poco che ho avuto modo di conoscervi, non mi sembrate né arrogante né pazzo. Penso che siate straordinario.” Si avvicinò a lui in due passi, gli occhi vivi e adoranti. “E che non intendo tarparvi le ali né costringervi a nulla che voi non vogliate. Desidero solo avere l’onore di essere il vostro alfa.”
Sherlock socchiuse gli occhi, un ghigno pericoloso sulle labbra.
“Voi non sapete quello che dite” sussurrò tagliente. “Ve ne pentireste. Oh, ve ne pentireste. Se voi ora mi state mentendo, prima o poi sareste costretto a rivelare la vostra vera natura. Mi verreste in odio. Di conseguenza, mi adopererei in ogni modo per rendere la vostra vita un inferno. E vi posso assicurare che ho una mente molto attiva e fantasiosa.” Il suo ghigno si allargò. “Avreste pace solo durante il mio calore… Ma, conoscendomi, forse neanche in quella circostanza.”
John Watson gli si avvicinò tanto che le loro fronti quasi si sfiorarono. Non sembrava sentirsi affatto minacciato né offeso da quelle parole così irrispettose - dette da un omega, per di più. Aveva scoperto i denti e i suoi occhi erano diventati scuri, ma a Sherlock sembrarono più sintomi di eccitazione che di rabbia.
“No” disse roco. “Voi, voi non sapete cosa dite, se pensate che me ne potrei pentire anche solo per un’ora.”
Poi sorrise. Provocatorio. Languido.
“Signore-” si intromise debolmente il maggiordomo, che sembrava sconvolto dalla situazione che si era venuta a creare.
Sherlock prese un grosso respiro, poi si raddrizzò, allontanando il viso da quello dell’alfa.
Era la prima volta in vita sua che veniva pervaso da una simile sensazione di frenesia, fatta eccezione per i giorni del calore.
Era intrigato. Voleva. Desiderava. E non si sentiva umiliato, né schiavo di una natura perfida e traditrice. Al contrario: si sentiva vivo. Energico. In controllo di una debolezza che non sembrava neanche più tale.
“Andate a chiamare la marchesa” ordinò.
Il maggiordomo emise una sorta di squittio.
“Ma, signore, sapete bene che-”
“Se al vostro ritorno il vostro padrone si dovesse lamentare di un qualche affronto subito, vi do il permesso di punirmi con la morte” disse John Watson guardandolo negli occhi. Sorrideva con aria maliziosa, ma complice.
Sherlock sorrise a sua volta.
“Avete sentito? Andate.”
Non appena il servitore fu uscito, i due si riavvicinarono come attratti da un magnete invisibile.
“Avevo tentato più volte di immaginare come foste fatto” sussurrò John Watson carezzandogli la guancia con il dorso di una mano. Sherlock gli afferrò il polso e ne baciò l’interno; l’altro si lasciò sfuggire un sospiro deliziato e sorrise. “Credevo che il vostro scarso successo in campo amoroso derivasse da un aspetto sfortunato, amplificato da un carattere difficile. Poi, tre giorni fa, vi ho visto. E…”
Sherlock rise. Si rese conto che una forza sconosciuta sembrava avergli sottratto peso, lasciandolo fluttuante nell’aria. Un’euforia misteriosa che lo galvanizzava.
“Vi siete ricreduto?” chiese cingendogli la vita con un braccio.
John Watson tacque e lo guardò con malcelato desiderio.
“Sì” sussurrò sulle sue labbra. “Dio, sì.”
Fu un bacio colmo di rispetto, piacere, gioia. Sherlock non era abituato a nessuno dei tre e dovette aggrapparsi alle sue spalle per tentare di riprendere possesso delle proprie gambe. Teneva gli occhi chiusi e si sentiva caldo, leggero, meravigliosamente confuso.
John Watson si separò da lui senza fiato.
“Sposatemi” disse con urgenza, prendendogli il viso in entrambe le mani. “Sposatemi domani. Ditemi di sì.”
Sherlock appoggiò la fronte alla sua e sospirò.
“Sì.”
 
*
 
Quando tornarono a bussare alla porta, si separarono, sorridenti.
“Prego” disse Sherlock, gli occhi ancora fissi in quelli dell’altro. John aveva quasi le lacrime agli occhi.
Sua madre entrò in un turbinio di gonne e ventaglio.
“Oh, Sherlock, è vero dunque?” esclamò al colmo della gioia, sfiorandogli una guancia con una carezza.
Suo figlio alzò gli occhi al cielo. John si schiarì la voce e, dopo essersi inchinato, avvicinò le labbra alla mano della donna.
“Marchesa” disse reprimendo a stento un sorriso. Aveva notato che Sherlock sembrava indispettito da tutto quel giubilo. “Lieto di rivedervi.”
La signora Holmes rise deliziata.
“Capitano” disse facendosi allegramente aria col ventaglio. “Voi siete un angelo. Avete compiuto il miracolo! Si era persa del tutto la speranza.”
John arrossì e raddrizzò la schiena, sistemandosi a disagio la spada sul fianco. Sherlock emise un verso seccato.
“Vi ringrazio per avermi presentato al meglio, madre” disse acido indicandole la propria sedia.
La marchesa prese posto come una regina sul trono.
“Caro, io ho sempre saputo della tua natura ostica, ma in fondo buona. Avevo però il terrore che nessun altro se ne accorgesse.”
John sorrise con fare educato ma non commentò, visto che non voleva offendere né lei, né Sherlock.
“Marchesa, l’ho già domandato a vostro figlio, ma ritengo indispensabile anche la vostra benedizione: vorrei avere l’onore della-”
“L’avete!” gridò la signora, le guance rosse per l’entusiasmo. “L’avete, capitano!”
John non potè fare a meno di sorridere per la gioia riconfermata, e Sherlock, seppure ancora infastidito, non potè fare a meno di unirsi a lui.
“Credete che la cerimonia possa essere celebrata in fretta?” chiese impaziente il capitano.
“Deve!” rispose subito la marchesa. Sherlock digrignò i denti: aveva paura che John ci ripensasse, e non faceva nulla per nasconderlo. “Al più presto.”
“Domani due giugno sarebbe una data adatta?”
La donna stava già per dire sì quando si interruppe di colpo. Sherlock la fulminò con un’occhiata.
“Temo che questo non sia possibile, capitano” mormorò la marchesa con aria afflitta. “Dalla morte del mio adorato marito, la custodia di Sherlock è passata all’unico alfa rimasto nella famiglia: suo fratello Mycroft.” Sospirò. “E il caro Mycroft al momento si trova in Francia. Senza il suo permesso, Sherlock non si può sposare.”
John impallidì per la delusione. Sherlock, furioso, battè un piede a terra.
“Ridicolo! Non sono una proprietà che si trasmetta da una persona all’altra. Non ho alcun bisogno del benestare di Mycroft!”
Sua madre emise un verso di dissenso.
“Sherlock, abbiamo già parlato di queste tue strane idee ribelli. Non essere sciocco. Certo che hai bisogno del suo benestare. E’ il tuo tutore; il suo compito è di proteggerti, di scegliere quel che è meglio per-”
“So io quel che è meglio per me!” gridò Sherlock, rosso in volto.
John gli sfiorò un braccio per calmarlo.
“Non è possibile ottenere il suo permesso via lettera?” chiese, pallido e nervoso.
La marchesa sembrò riflettervi su.
“Sì” disse infine con aria penserosa. “Penso che la legge lo consenta.” Guardò con aria speranzosa i due, che erano ancora vicini. “Gli scriveremo in modo che possiate unirvi al più presto.”
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: nightswimming