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Autore: xingchan    27/07/2013    2 recensioni
"Non poteva ignorare ciò che stava accadendo in quello stato per il semplice fatto di non averne nulla a che fare. Gli Amestresiani erano uguali ai Xingesi; le differenze antropologiche non contavano."
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Envy, May Chang
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Only Humans'
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Nessun uomo è un'isola



Il sole stava velocemente calando; la luna già pallidamente stanca faceva capolino nella volta celeste ornata di colori ardenti come braci.

La stazione dell'Est era poco affollata. May non la ricordava così terribilmente silenziosa. Il chiasso che sentiva al suo arrivo era completamente svanito, le luci leggermente attenuate e il suono degli altoparlanti stesso sembrava essere leggermente sottotono.

May Chang strinse a sé l'homunculus imbarattolato con il costante timore di perderlo a causa della sua sbadataggine dovuta alla sua abitudine di viaggiare troppo con la fantasia, e Xiao Mei la imitò aggrappandosi con le unghiette sulla sua spalla destra. Le gambe della ragazzina dondolavano distrattamente al di sotto della panchina su cui era seduta ormai già da due ore. Per tutto quel tempo aveva fissato il barattolo contenente Envy senza attenzione.

Dopo averla convinta a tornare indietro, l'homunculus non aveva più aperto bocca aspettando pazientemente il momento in cui si sarebbe reimpossessato di quel corpo mutaforma di cui andava fiero. Di tanto in tanto volgeva gli occhi esageratamente grandi per un mostriciattolo di quella stazza alla ragazzina che lo teneva prigioniero, scorgendo nella sua espressione una scintilla di determinazione dietro quella maschera confusa. A quanto pareva, le sue parole avevano colpito il bersaglio, quello di cui lui, Envy, si era sempre servito per manipolare gli umani. Toccarvi i punti deboli, in un modo dannatamente semplice, meravigliandosi allo stesso tempo di come quelle creature inferiori potessero sempre cadere nella stessa trappola, ripetutamente. Bastava tirare in ballo qualcuno di importante nella vita delle sue vittime ed il gioco era fatto.

A dir la verità, con quella ragazzina di Xing era stato molto più semplice di quello che credeva. Non pensava che cedesse così in fretta a quelle insinuazioni che per lui erano di poco conto, ma che avrebbero fruttato molto per se stesso.

Gli esseri umani tenevano troppo ai propri simili; non c'erano barriere che tenessero contro la loro solidarietà, un disgustoso e spregevole dettaglio che in principio lui considerava con scarsissimo interesse, ma che, si era reso conto, costituiva una valida arma a doppio taglio da usare contro di loro.

Aveva approfittato così tante volte di quell'aspetto che li caratterizzava, ed ogni volta che lo faceva, si sentiva addirittura appagato. Soprattutto dei risultati che ne derivavano. Davvero soddisfacenti.

"Ragazzina?! Pronto ragazzina, sto parlando con te!" la richiamò con la sua vocina stridula resa ovattata dalla chiusura ermetica del contenitore. Aveva avvertito che la bambina stava riflettendo, molto probabilmente proprio sulla sua decisione di non mettersi subito in cammino verso il paese orientale. "Sembri dubbiosa. Forse hai cambiato idea?" la pungolò, non contento di averle già arrecato abbastanza problemi. In verità, l'homunculus era ansioso di riprendere le sue sembianze pseudo-umane e, volendo accertarsi che la bambina non decidesse d'improvviso di ritornare a Xing, aveva ripreso a sibilare peggio di una serpe per trovare una qualsiasi mina da disinnescare nell'animo di May.

"Neanche per sogno!" rimbeccò repentinamente l'altra, aggrottando le sopracciglia.

"Oh! Quindi hai a cuore questa gente, eh?" replicò Envy assottigliando lo sguardo.

"Certo!" asserì May convinta. "Non potrei mai abbandonare persone che hanno bisogno del mio aiuto..."

"Bene, allora!" esclamò l'homunculus ormai accertatosi della sua sicurezza.

"Che cosa vorresti dire?" chiese la bambina, perplessa per quel sospiro di sollievo appena accennato. Che cosa avrebbe ricavato lui dal loro ritorno a Central City?

"Ehi, piccola! Che ci fai tutta sola?"

La voce dolce di un uomo le fece alzare lo sguardo verso l'alto. La sua ombra la sovrastava completamente. Era sui quarant'anni, con i capelli biondo scuro, gli occhi grigio/blu e una barbetta appena accennata che finiva in un buffo pizzetto. Aveva un'aria rassicurante, proprio come la sua cadenza di voce che aveva assunto con lei. Quella bontà solamente percepita procurò alla bambina un velo di apprensione. Ciò che turbò la piccola ragazza era il fatto che lui fosse del tutto ignaro di quello che poteva succedere.

"Devo prendere il treno per Central City..." rispose soltanto lei. Sapeva che avrebbe dovuto aspettare un'altra ora affinchè riuscisse a lasciare definitivamente Youswell.

"Ci vuole ancora molto," replicò l'uomo. "perchè non mangi qualcosa prima di partire? Sembri così magra..."

In effetti, un po' di appetito l'aveva sul serio. Aveva camminato per diversi minuti prima di raggiungere la stazione; ed ora che era lì ferma come una statua, si era del tutto dimenticata che il suo stomaco reclamava tacitamente di essere riempito.

Non rispose a quella proposta gentile; abbassò soltanto il capo con un'espressione pensierosa, mentre colui che doveva essere un passeggero come lei, sorridendo, portò una mano sulla sua testolina con fare affettuoso.

Si sentì leggermente a disagio, ma doveva ammettere che in quel momento il timbro di quella persona le diede maggiore convinzione in quello che aveva deciso.

***

Il tanto sospirato treno, fischiando, aveva finalmente calpestato le rotaie della città mineraria. Le poche persone che per un motivo o per un altro avevano la necessità di raggiungere la capitale di Amestris si diressero in religioso silenzio verso gli scomparti con i loro bagagli. Alcuni sospirarono profondamente; altri che si erano assopiti stavano cercando di ricomporsi per salirci.

"Stai molto attenta, ragazzina!" si assicurò l'uomo, guardando May da una minuscola finestrella del vagone. La giovane Chang, oltre all'ingombrante carico che gli aveva affidato Scar, ora aveva anche un pacchetto con le provviste per il viaggio, regalatole dal signore gentile che l'aveva incontrata.

Un gesto molto premuroso, si disse May commuovendosi.

Si accomodò sui cuscini non proprio soffici dei sedili allungati, posando ciò che aveva in mano accanto a lei, quando Xiao Mei saltò giù dalle sue spalle per acciambellarsi sul di un lembo del suo cappottino.

La piccola Chang si abbandonò con le braccia sopra il barattolo dove era rinchiuso l'essere immortale e, piano, socchiuse gli occhi. Aveva appena scelto di rimanere al fianco di quelle persone a discapito del poco tempo che rimaneva per ottenere rispetto dal sovrano di Xing, ormai prossimo alla morte.

Si chiedeva se fosse giusta una simile condotta da parte sua, però allo stesso tempo non riusciva a credere che quell'azione fosse riprovevole e sbagliata.

Quella gente dell'estremo confine orientale era stata così gentile che May aveva completamente dimenticato cosa significasse essere di un altro paese, una straniera. Si era sentita a casa sua, con la sua gente e, per una volta nella sua vita, si era sentita spogliata di tutte quelle responsabilità troppo gravi per una bambina; aveva provato un calore diverso da quello che aveva sperimentato all'interno del proprio clan, quello dei Chang. A Xing, May, in quanto principessa, aveva un ruolo ben preciso: sostenere il proprio casato e giocare una qualsiasi carta a sua disposizione per ingraziarsi l'imperatore, così da permettere alla sua gente di avere di che sfamarsi.

L'amore che i suoi sudditi provavano per lei era magro, soprattutto pieno di aspettative, che spesso non coincideva con quella ricerca di affetto autentico che May, prima dell'incontro con Xiao Mei ma ancora adesso, desiderava. Le volevano bene perché lei era l'incarnazione della loro fortuna, l'ancora di salvezza che li avrebbero condotti via da una vita fatta di morte e stenti.

La piccola principessa era molto propensa a risollevare il suo clan; non faceva altro che ragionarci tutte le notti, tentando di imboccare la strada che l'avrebbe portata verso una soluzione facile ed efficace insieme. Però, oltre alla ricerca dell'immortalità, May sperava di trovare qualcuno che desse una forma alla sua idea di amore. Non quello condizionato dalla propria efficienza, nemmeno quello costretto a causa di un matrimonio combinato, divenendo così uno strumento per perpetuare la sua famiglia a dispetto della pace.

Ciò che voleva May era sentirsi amata per quello che era, e non per quello che rappresentava. I Chang non le avevano mai offerto da mangiare o di che vestirsi, men che meno in modo così dolce e solidale. Era lei stessa che, con la sua piccola panda gigante, si procurava di che vivere, lavorando anche duramente per tutto il giorno.

Ma lei non poteva lamentarsi, non le era concesso.

In quel momento il suo clan aveva bisogno di lei, era vero, e lei doveva aiutarli, che lo volesse oppure no. La sua tribù aveva riposto tutta la sua fiducia e la speranza di un futuro sereno nelle sue mani. Non poteva assolutamente abbandonarla al suo destino dedicandosi ad un altra nazione, oltretutto una che non le apparteneva.

Ma era altrettanto vero che Amestris rischiava di scomparire, e se Amestris fosse andata perduta senza che lei avesse mosso un solo dito, senza dubbio un pezzo del suo essere sarebbe stato spazzato via insieme a quella nazione che l'aveva accolta come una figlia. La gente dell'Ovest era esattamente identica a lei, ci si rispecchiava ed al tempo stesso se ne sentiva una piccola parte e, di conseguenza, avevano il pieno diritto di vivere. Se fosse stato il contrario, come credevano quegli esseri immortali, si sarebbe sentita svuotata, sapendo inoltre che un pezzo del mondo era scomparso senza lasciare traccia. E lei, in quanto un piccolo, essenziale frammento di umanità ne avrebbe sortito le conseguenze, fatte di senso di vuoto e di dolore insanabile nel constatare che, un tempo, vi erano membri buoni di quella stessa umanità meritevoli non di una, ma di cento, mille vite assieme.

Non poteva ignorare ciò che stava accadendo in quello stato per il semplice fatto di non averne nulla a che fare. Gli Amestresiani erano uguali ai Xingesi; le differenze antropologiche non contavano.

Le circostanze l'avevano portata a trovarsi in un luogo la cui gente rischiava la vita, ed era dovere di tutti coloro che erano al corrente di ciò che stava per accadere far sì che la catastrofe ordita dal "Padre" andasse a monte.

Perciò, non poteva tirarsi indietro. Doveva fare del suo meglio per contribuire alla salvezza di Amestris. Perchè lei, come tutti gli altri, non era un'isola che si completava con la sua sola esistenza. Al contrario, era un membro dell'umanità.





NDA

Non ho mai scritto niente su May (già, sto sperimentando quasi tutti i personaggi, andrei bene in un laboratorio di chimica XD), men che meno qualcosa uscito di getto (ieri, ma siccome ho la chiavetta dovevo lasciare il numero libero libero sul cellulare), ma quando qualche sera fa mi sono rivista l'episodio 45, la mia mente mi ha condotto verso ciò che scrive John Donne:

"Nessun uomo è un'Isola, intero in se

stesso. Ogni uomo è un pezzo del Continente,

una parte della Terra. [...] Ogni morte d'uomo mi

diminuisce perchè io partecipo dell'umanità."


Il componimento continua, ma volevo soffermarmi su questo punto. :)
Envy non mi ispira più di tanto (mi ripugna, però ammiro la sua capacità di ragionamento -almeno quella-), ecco perchè forse gli ho dedicato la prima parte in un modo troppo ripetitivo da parte mia. Ma metterlo in paragone con i pensieri della principessa aiutava a evidenziare il contrasto con ciò che volevo intendere (accantonando le altre ff che mi urlano di proseguirle, eheh...).

Non credo sia OOC, perchè in quel momento penso che May abbia davvero rimurginato sul significato dell'idea di essere "una piccola parte del tutto"! <3

Un abbraccio! :)

   
 
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