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Autore: Hp_Nameless    29/07/2013    1 recensioni
Salve a tutti voi, popolo di Efp. Vi starete chiedendo: “Perché questa matta mette una frase come titolo di una storia? ” Ebbene, questa è una bellissima frase dei Beatles (che tradotta, per chi non lo sapesse, è: L’amore è vecchio, l’amore è nuovo, l’amore è tutto, l’amore sei tu. Sì, in inglese funziona meglio!) che rispecchia molto la storia, e per questo è stata scelta come titolo. Questa è la storia di Justin Bieber, all’apparenza il solito bulletto, e Jennifer Hall, la sua imprevedibile ragazza.
ATTENZIONE: la storia è un cross-over con Eric Saade, personaggio di spicco verso la metà della storia.
-Amore ma dove mi porti?- chiesi con insistenza a Justin
-Smettila Jen, è una sorpresa- rispose lui continuando a trascinarmi per un braccio. Era il giorno del mio diciassettesimo compleanno e Justin aveva deciso di farmi una sorpresa.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Love is old, Love is new, Love is all, Love is new
Capitolo sette: Cos’hanno in comune?



N.d’A.
Sapete, ci tengo molto a questo capitolo, e vi spiego perché. Inizialmente volevo scrivere un'altra fan fiction con protagoniste tre persone (dopo capirete!), un po’ speciali. Poi, dopo aver scritto due capitoli ed essere arrivata un po’ al momento cruciale, non sapevo più me continuare, così mi sono bloccata. Quando mi sono bloccata anche qui, ho subito pensato di unire le due storie, così ho integrato qui i due capitoli, che con i rispettivi titoli, sono questo e il prossimo!
A presto
Ily
 
Le settimane seguenti non furono difficili. Di più.
Ero costretta a sorbirmi le persone che mi guardavano di sottecchi, i sussurri mentre camminavo per i corridoi, gli amici scomparsi. Mi era rimasta Rosalie, l’unica che appoggiava la mia scelta di tenere il bambino.
Honey e Ashley me l’avevano detto, avevano detto che ero stata molto sciocca, ed io avevo accettato la loro opinione. Eric non si era pronunciato; mentre Juls avrebbe fatto la stessa cosa: lo capivo dal modo in cui mi sorrideva quando parlavo del piccolo. Ne ero sicura, lei avrebbe fatto da madrina a mia figlia, avessi partorito sette volte per averne una!
Quanto alla mia famiglia, mio padre mi trattava una merda, Joshua quasi non mi parlava più, mentre Luca era ancora molto scosso.
Mamma ed Emma avrebbero preferito farmi abortire. Le sentii dire questo un pomeriggio di inizio marzo, mentre stavo per andare in ospedale a fare una visita.
La creaturina era ancora troppo piccola per scoprirne il sesso, ma io ero davvero curiosissima. L’attesa per l’ecografia era stata lunghissima, ma almeno ora avevo le prime fotografie di mio figlio, del mio bambino.
La dottoressa disse che stava bene il piccolo, che si muoveva, cresceva e mangiava. Il pancione si notava sempre di più, e gli sguardi della gente iniziavano a infastidirmi. Insomma, camminare per strada con le cuffie nelle orecchie non si poteva più fare senza che qualcuno mi guardasse con aria schifata o dicesse qualche parola di troppo.
Un giorno ero sul ciglio della strada, col volto basso, a fissare le mie scarpe col tacco, quando due ragazzi sul motorino si fermarono a pochi da me
-Perché la maglia larga, piccola?- disse uno scatenando la risata dell’altro.
-Ti si sta rovinando la silhouette?- chiese l’altro.
Oh, andiamo. Cos’aveva che non andava il mio vestiario? Non potevo nemmeno indossare ciò che volevo. Perché adesso una maglia larga, un legging e un paio di tacchi non potevano più essere indossati senza scatenare l’ilarità di qualche idiota.
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Era vero: ero incinta, ma non me ne vergognavo affatto. Anzi, ne ero fiera. Più che fiera, in realtà, ero felice. Insomma, la mia vita stava per cambiare radicalmente, e anche senza quel bastardo al mio fianco, io volevo il bambino per costruire con lui una famiglia, una vita che fosse solo mia.
Non mi piaceva dipendere dalle persone, non mi era mai piaciuto, ma nelle mie condizioni cercare un lavoro non era la cosa migliore da fare. La ginecologa me l’aveva sconsigliato perché lo stress avrebbe potuto far male al bambino, e infatti già quello accumulato con la scuola non gli faceva affatto bene.
Comunque, i commenti dei ragazzi non mi facevano più né caldo né freddo, anche perché i giudizi della gente non m’interessavano.  Per tutta la vita non avevo mai ascoltato le parole delle persone. Semplicemente non m’interessavano.
Per tutta la vita ero stata giudicata, squadrata, etichettata: ha i fianchi, seno troppo grande, braccia molle, cosce abnormi, viso da angelo, capelli di merda.
Non li avevo mai ascoltati: per me contava solo il MIO giudizio, ciò che pensavo io di me stessa, e, a dir la verità, questo era sempre stato un punto a mio favore dato che quando mi fissavano e poi dicevano “Sfigata” io camminavo a testa alta, sorridendo e fregandomene altamente  dell’opinione della gente. Perché col tempo avevo capito che le persone non mostrano ciò che pensano davvero, ma ciò che gli altri vogliono fargli mostrare.

***

-Dove vai Jen?- chiese Rose un giorno mentre attraversavo la cucina di sottecchi.
-A fare due passi- dissi cercando di convincerla, ma a quanto pare non funzionò.
-Aspetta, la mamma vuole parlarti- mi bloccò lei. – È di là in salotto che ti cerca.
Ri-attraversai la cucina per arrivare in salotto e lì trovai la mamma che camminava avanti ed indietro.
-Che succede?- chiesi notando la sua agitazione
-Niente- finse. Stavo per chiederle di dirmi la verità, il telefono mi bloccò.
Lei si lanciò in una fitta conversazione composta per lo più da insulti e cose del genere verti alla persona dall’altro capo del telefono. Di punto in bianco mise la cornetta al suo posto e si rivolse a me.
-Justin?
-Justin, cosa?
-Che fine ha fatto?
-Non lo so
-Come non lo so… aveva promesso di aiutarci…- concluse toccandosi la fronte.
-Lo so, ma lo hanno portato via- abbassai lo sguardo.
-Portato via? Lo credi davvero?- mi urlò addosso.
-Sì, e se tu non mi credi non sono affari miei- le urlai con le lacrime agli occhi.
Scappai nella mia stanza e chiusi a chiave la porta. Rose mi rincorse ma non fece in tempo ad opporsi. Mi gettai sul letto a piangere per ore, e solo un messaggio mi riportò alla realtà.
Mittente sempre Justin, e diceva solo: “Ti amo”.
Ti amo
Quelle due fottutissime parole che servono solo a rovinare la vita alle persone. Per quale cazzo di motivo non me l’aveva detto prima di non volere il bambino? Almeno così ci avrei ragionato di più, ma soprattutto non avrei fatto credere a tutti che lui mi sarebbe stato vicino.
Era davvero un bravo attore. Aveva recitato la parte del buono e caro per poi nascondersi dietro le spalle del padre e del fratello, quel vigliacco. Non aveva nemmeno avuto il coraggio di guardarmi in faccia mentre mi abbandonava. Si era nascosto dietro ad un cellulare per mentirmi, e continuava a farlo anche ora che non c’era più.
Che stronzo.
Era l’unico aggettivo che mi veniva in mente per lui.

***

-Vieni alla festa- aveva detto. –Ci divertiremo.
Sì, mi stavo proprio divertendo! C’erano un mucchio di ragazze altezzose nei loro vestitini attillati, mentre io indossavo solo una camicia larga e una gonna perché gli indumenti troppo attillati facevano male al bambino. E poi, quel deficiente era pure sparito chissà dove con la troia di turno.
Mi annoiavo da morire su quei divani sui quali sarei sprofondata anche senza mio figlio, così mi alzai e mi diressi al piano bar. Durante il tragitto, però, incappai in qualcosa, così alzai gli occhi e vidi due figure identiche, tranne che per il vestiario. Istintivamente urlai: -Siete uguali a me!- ed entrambe le ragazze fecero lo stesso nel medesimo istante: una cosa davvero raccapricciante!
-Mi piacerebbe sapere chi siete voi due brutte copie- esclamò la smorfiosa col vestitino color panna.
-Ehi, brutta copia lo vai a dire a qualcun altro!- esclamò l’altra sulla difensiva.
-Ok, forse è meglio calmarci- dissi interponendomi tra le due.
-E tu chi saresti?- chiesero insieme.
-Potrei fare la stessa domanda a voi!- esclami incrociando le braccia al petto.
-Io sono Vanessa Martinez, ma immagino già lo sappiate- esordì la ragazza con i capelli a rosa e il vestito color panna.
-…Ma immagino già lo sappiate…- le fece il verso l’altra.
-Basta ora!- mi arrabbiai -Io sono Jennifer Hall
-Io Nicole Evans
-Bene, ora che abbiamo fatto le presentazioni: chi diamine siete?- domandò Vanessa.
-Ma allora sei tonta?! Ci siamo appena presentate!- fece Rosalie.
Mi chiedevo cosa stesse succedendo: era impossibile che c’erano due ragazze uguali a me!
-Mi domando perché voi due siate state invitate alla festa!- esclamò Vanessa con la sua aria da snob.
-Ma come, non sai che lei è la ragazza di Justin Bieber- disse Eric alle mie spalle e beccandosi la mia occhiataccia.
-Cosa? Non ci credo! Sono anni che cerco di mettermi con lui, e quell’idiota sceglie te?
-Nel caso non l’avessi notato, Vanessa, siete identiche- puntualizzò Nicole.
-Signore, io sono Eric Saade!- s’inchinò il ragazzo con le sue strane maniere.
-Non so come funziona da te in Svezia Saade, ma qui a LA non si fanno inchini- lo prese in giro Nicole.
Scoppiai a ridere, sorpresa del fatto che Nicole sapesse la provenienza di Eric. Davvero poche persone lo sapevano, e ancor di meno se ne rendevano conto, e fu proprio questo a scaturire delle domande in Eric.
-E tu cosa ne sai?- domandò sulla difensiva facendo arrossire violentemente Nicole, che abbassato lo sguardo, non rispose alla sua domanda.
Capendo l’imbarazzo della mia coetanea, mi avvicinai a Eric, e poggiandomi su di lui, gli chiesi di andare a prendere qualcosa da bere per tutte.
L’idiota tornò al divano con quattro birre, pur sapendo benissimo che io non potevo assumere alcolici per via del bambino.
-Sei un idiota!- sbottai colpendolo con un pugno.
-Ma perché? La birra l’hai sempre bevuta!- si difese impassibile.
Roteai gli occhi e dissi: -Vabbè, faccio io…
Tornai al tavolo con un’aranciata e mi sedetti accanto ai due.
Un momento, manca qualcuno!
-Dov’è Nicole?- domandai.
-Boh- rispose spazientito Eric. Probabilmente avevo interrotto la conversazione.
Presi a sorseggiare la mia aranciata mentre mi guardavo intorno per cercare Nicole, ma lei non c’era.
Sentendomi d’intralcio per i due tizi che continuavano a parlare, mi alzai ed annunciai: -Vado a cercare Nicole
Attraversai tutto il locale, ma di lei nessuna traccia. Avendo bevuto l’aranciata a stomaco vuoto, mi sentii un leggero languorino allo stomaco, e per evitare di star male in pubblico, andai nel bagno. Mi poggiai sul lavandino e alzai gli occhi per guardarmi allo specchio, e solo allora notai la porta di un gabinetto semi-aperta. Mi avvicinai, indispettita, e porsi l’orecchio udendo dei singhiozzi. Mi sporsi un po’ oltre la porta e vidi una figura inerme seduta sul water in un vestitino nero, il viso con le linee di mascara sciolto. Entrai, pensando di essere d’aiuto, ma mi sorpresi quando vidi che la figura era Nicole.
-Ehi ma che ti succede?- chiesi richiudendo la porta con me all’interno. Per tutta risposta lei emise solo versi strani e singhiozzi strozzati.
-Che c’è? Vanessa ti ha detto qualcosa? Non ascoltarla sai com…
-No. Il problema non è Vanessa. Il problema sono io. Il problema è che riesco sempre a cacciarmi nei guai, a dire la cosa sbagliata al momento sbagliato. A mettere in imbarazzo tutti, ma me stessa per prima.
-Se ti riferisci a Eric, per quello che è successo prima, lui stava scherzando…
-Ma aveva ragione: io non avrei dovuto saperlo!
Strinsi gli occhi, non capendo il verso della conversazione, ma sentii la vista mancare e gambe cedermi. In men che non si dica, iniziai a vedere tutto nero con leggeri neon.
N.d’A.
Probabilmente non vi fregerà nulla di quello che sto per dirvi, dato che vi ho lasciato in un punto abbastanza cruciale, ma ho voglia di farvi vedere qualcosa!
Questi sono li abiti delle ragazze:
Jen: http://www.polyvore.com/jennifer_party/set?id=80845693
Vani: http://www.polyvore.com/vanessa_party/set?id=77824619
Nick: http://www.polyvore.com/cgi/set?id=77825413&.locale=i
  
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